mercoledì 27 ottobre 2010

Il tesoro dell'Africa ( II )

BEAT THE DEVIL (IL TESORO DELL'AFRICA, 1954) Regia: John Huston; sceneggiatura: John Huston, Anthony Veiller, Peter Viertel (dal romanzo di James Helvick); dialoghi: Truman Capote; fotografia: Oswald Morris; musica: Franco Mannino; interpreti: Humphrey Bogart (Billy Dannreuther), Jennifer Jones (Gwendolen Chelm), Gina Lollobrigida (Maria Dannreuther), Robert Morley (Petersen), Peter Lorre (O'Hara), Edward Underdown (Harry Chelm), Ivor Barnard (maggiore Ross), Bernard Lee (ispettore della cid), Marco Tulli (Ravello), Mario Perroni (Purser), Alex Pochet (direttore dell'albergo), Aldo Silvani (Charles), Giulio Donnini (amministratore), Saro Urzì (capitano), Juan de Landa (autista dell'HispanoSuiza), Manuel Serano (ufficiale arabo), Mimmo Poli (barista); durata: 100'.
Mentre stavo meditando su cos’altro memorizzare a proposito del film, mi sono riletto ciò che ne scriveva Morando Morandini sul CastoroCinema dedicato a Huston. L’ho trovato perfetto: in una pagina dice tutto ciò che c’è da dire, aggiungendo un sacco di informazioni. In casi come questi (tutto il libro è così, e passa in rassegna tutti i film di Huston), copio e incollo: un piccolo omaggio a uno dei grandi maestri della critica cinematografica.
« All'inizio del 1953 Huston comincia a Ravello e nei dintorni le riprese di Beat the Devil, ispirato a un romanzo di James Helvick di cui Bogart aveva acquistato i diritti di riduzione. Per una volta soci anche in affari (il film risulta prodotto dalla Romulus e dalla Santana, la società di Bogart), regista e attore avevano affidato la sceneggiatura a Peter Viertel e Anthony Veiller, ma, pur essendo poco soddisfatti del lavoro compiuto, partono per Roma dove incontrano Truman Capote e lo assoldano con la mansione di riscrivere i dialoghi. Alla brigata s'aggiunge per qualche tempo anche il famoso fotoreporter Robert Capa, accanito e sfortunato giocatore di poker. La lavorazione procede in disordinata allegria, con un largo margine d'improvvisazione. Alla maniera di Rossellini, Huston scrive di notte con Capote i dialoghi delle scene da girare il giorno dopo. Ne esce uno di quei film "minori" che hanno un fascino di lunga durata, fatto per divertire gli amici piuttosto che il pubblico.

Americano e, quindi, incline a una concezione più puritana del lavoro (e del cinema), Eugene Archer lo giudica severamente: uno scherzo in famiglia, divertente per gli iniziati, impenetrabile per gli altri; un'operazione di condiscendenza verso se stessi, inoffensiva in se stessa, ma irritante nelle sue implicazioni (è lo stesso atteggiamento che, in chiave di umorismo sarcastico, espresse il commediografo Harry Kurnitz: « Non importa che entriate nel cinema a proiezione iniziata, vi parrà in ogni caso di aver perduto almeno metà del film »). Con Beat the Devil (Il tesoro dell'Africa, 1954) Huston fa la parodia - ma anche l'illustrazione e l'autocritica - del proprio cinema e del thriller avventuroso. (...) Naufragata sulla costa africana, la compagnia viene arrestata dalla polizia araba per sbarco clandestino, ma Bogart salva la situazione promettendo al commissario, languoroso cinéphile che sogna da anni di conoscerla, un prossimo incontro con Rita Hayworth.

Di ritorno in Italia, i lestofanti, di nuovo alle prese con la legge, apprendono che Harry Chelm, falso e un po' stolto nobile inglese di cui credevano di essersi sbarazzati nel naufragio, s'è impossessato dei terreni con l'uranio. Della brigata fanno parte anche due donne, Gwendolen Chelm (Jennifer Jones), moglie di Harry (Edward Underdown) e Maria Dannreuther (Gina Lollobrigida), moglie di Billy (Humphrey Bogart). Gwendolen è la riuscita caricatura delle eroine affascinanti e ambigue - alla Ava Gardner o Yvonne De Carlo - del cinema americano esotico-avventuroso degli anni '40. (...)

Di impianto caricaturale è pure il personaggio dell'italica e anglofila Maria con cui Gina Lollobrigida, ribattezzata da Bogart Lola Freezer, fa la parodia di se stessa, ma senza la consapevolezza della sua collega americana. Huston non si limita a demistificare il sessappiglio hollywoodiano: dà la baia anche agli schemi e agli stilemi del thriller. È esemplare, a questo proposito, la sequenza dell'attentato a Harry Chelm: il montaggio a stacchi stretti, gli effetti sonori (il pianoforte automatico, l'urlo della Jones in primissimo piano), il taglio espressionistico delle luci, l'agguato nell'ombra e il salto felino dell'attentatore sono gli ingredienti di una sequenza di impeccabile ritmo audiovisivo che è una felice parodia “alla maniera di ...”. (...) (Morando Morandini, dal volume su John Huston, ed. Castoro Cinema)


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