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Ci spostiamo al bar, pieno di fumo, e riprendono le banalità e volgarità viste e sentite all’inizio.
I concetti esposti sono: che è meglio il metronomo del direttore d’orchestra, che suonare è come timbrare il cartellino, che è peggio che in fabbrica. Al controfagotto non piace il suo strumento, un altro dice che gli orchestrali sono gente modesta, di provincia, che al di fuori del loro strumento non sanno nulla, non leggono, non si informano, non hanno interessi. Il sottofondo è la musica del jukebox, il barista canta in romanesco, altre banalità e altre volgarità e sciatteria diffusa. In sala sono rimasti alcuni orchestrali, c’è chi mangia un panino, sorgono vecchie ruggini e antipatie, ci si rinfacciano la passione per gli alcolici e predilezioni sessuali poco raccomandabili.
Nelle stanze interne, il maestro sta facendo la doccia. Il Copista rimpiange i vecchi tempi, le giacche e le cravatte, la disciplina, le bacchettate sulle dita. Gli orchestrali, in sala, cominciano a riempire i muri di scritte oscene e provocatorie.
Il direttore intanto è uscito dalla doccia, finisce di vestirsi e si fa intervistare simulando di non averne voglia, spara anche lui banalità e stupidaggini, non è molto diverso dai suoi orchestrali. “Per stupide absurde leggi è proibito fare il sergente”, “Ora ci vogliono tutti alla pari, e allora! “ “Io sfogo mia rabbia e compero cose” e si lamenta perchè lo champagne non è stato tenuto in ghiaccio.
Qui arriva una forte vibrazione, un’altra l’abbiamo sentita poco prima: come un terremoto, o un forte urto. Ma non ci si fa caso, il rumore cessa e l’intervista continua. E’ davvero un lungo discorso: parla della sacralità della Musica, e di come oggi lui e gli orchestrali siano divisi, ostili.
Va via la luce, arriva il Copista con una candela, ma il direttore dice deciso: “ La pausa è finita e la prova va avanti!” Ma gli orchestrali sono insorti: hanno riempito la stanza di scritte, fanno il tiro al bersagli sui ritratti dei musicisti appesi alle pareti, cantano slogan contro il direttore.
- Maestro, ma come è successo? Quando? – dice il Copista.
La bella pianista finisce sotto il piano, a far sesso con uno dei giovani orchestrali; intanto che l’altro si dà da fare lei si mangia un panino. In mezzo al marasma, pur ferita da un oggetto lanciato (lanciato a un altro, che si è scansato), l’arpista ha ancora voglia di farsi intervistare. Con una mano sulla ferita, in testa, si siede all’arpa e recita anche lei il rosario delle banalità come hanno fatto gli altri.
“Orchestra, terrore, chi suona è un traditore! Orchestra, terrore, morte al direttore!” scandiscono in coro gli orchestrali più giovani. Un metronomo gigante, grande come il Vitello d’Oro, viene eretto al centro della sala, al posto del Direttore.
“La musica la vogliamo gestire noi, ognuno con i nostri ritmi!”. Le liti tra gli orchestrali “apolitici” continuano, risvegliando vecchie beghe personali e vecchie antipatie; diventano sempre più violente, cadono calcinacci, piove dal soffitto. Un uomo tira fuori la pistola e tira un colpo: “Ma ho il porto d’armi!” dice: lo mostra e gli ridanno la pistola. “Ah beh, se ha il porto d’armi...” concordano tutti. L’uomo con la radiolina continua ad ascoltare le partite: “Chi ha segnato?”, gli chiedono.
E, infine, la grande boccia sfonda la parete.
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- Voi siete qui... io sono qui. Ognuno deve dedicare attenzione al suo strumento. Solo questo noi possiamo fare, adesso. (...) (prosegue sottovoce, con delicatezza, raccogliendo i fogli da terra, rialzando i leggii e le sedie) Le note salvano noi, la musica salva noi. Aggrappetevi alle note, seguite le note, una dietro l’altra, così come le mie mani vi possono indicare. Noi siamo musicisti, voi siete musicisti, e siamo qui per provare. Niente paura, la prova va avanti. Ai vostri posti. Ai vostri posti, prego. Grazie.I musicisti, in piedi, tra le macerie, riprendono a suonare disciplinatamente. Si suona a lungo.
Infine, il maestro ricomincia a parlare come era prima, con tono autoritario, con un accento tedesco sempre più marcato, come Peter Sellers alla fine del Dottor Stranamore.
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Fellini era davvero un po’ veggente, ma per vedere chiaro cosa sarebbe successo era troppo presto anche per lui. Parecchie intuizioni ci sono già nei “Clowns”, che però è un film molto più dolce e nostalgico. Con “Prova d’orchestra”, Fellini ha già assaggiato il sapore del nuovo, e non gli piace. L’Italia sta cambiando, non che prima fosse l’ideale ma il nuovo che avanza è anche peggio: si tratta della classe dirigente che ha costruito il nostro Paese così come lo vedete oggi. Un discorso molto vicino (molto più di quanto non sembri) a quello famoso di Pasolini sull’omologazione, o al Bresson di “Au hasard, Balthazar”, dove una piccola radio portatile porta per la prima volta in luoghi “antichi” un suono estraneo alla Natura.
E’ anche un film che fu molto sopravvalutato, e del quale furono date interpretazioni aberranti delle quali Fellini si dispiacque molto (vedi "Intervista sul cinema", ed. Laterza, a cura di Giovanni Grazzini: ci fu qualcuno che pensò che Fellini approvasse la dittatura...) . La riflessione di Fellini è certamente inquietante, ancor di più se vista da oggi, ma che Fellini sia profondo e inquietante non è una novità, non è una caratteristica solo di questo film ed è anzi quello che più affascina in tutta l’opera del grande regista. Gli interpreti non sono memorabili, e sono tutti doppiati. Oreste Lionello fa troppe voci, con vistose e fastidiose (e false) inflessioni dialettali; con lui un’altra voce facilmente riconoscibile, quella di Armando Bandini (molto meglio Bandini di Lionello). Senza il doppiaggio, girato in presa diretta, sarebbe stato molto migliore; ma pare che sia stata una scelta precisa di Fellini, compresi certi fuori sincrono davvero fastidiosi.
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2 commenti:
Letto anche questo, avidamente come con tutto quello che finora hai scritto di Fellini. Resto in attesa di "Ginger e Fred". A presto, ciao!
La settimana prossima. Ormai il più è fatto, devo solo mettere ordine nel casino di appunti che ho preso, ma gli appunti li ho già sistemati in un file solo.
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