MOBY DICK (1956) Regia: John Huston. Tratto dal romanzo “Moby Dick, or the Whale” di Herman Melville. Sceneggiatura: Ray Bradbury, John Huston. Fotografia: Oswald Morris. Effetti speciali: Gus Lohman e Cecil Ford, Ralph Briont per la balena. Scenografia: Ralph Brinton, Hilda Fox. Costumi: Elizabeth Haffenden. Musica: Philip Stainton. Consigliere tecnico per la caccia alla balena: Robert Clarke. Interpreti: Gregory Peck (capitano Achab), Orson Welles (padre Mapple), Richard Basehart (Ismaele), Friedrich von Ledebur (Queequeg), Leo Genn (Starbuck), Harry Andrews (Stubb), Seamus Kelly (Flask), Tom Clegg (Tashtego), Edric Connor (Daggoo), Noel Purcel (il carpentiere), Bernard Miles (l'uomo di Man), Mervyn Johns (Peleg), Philip Stainton (Bildad), Joseph Tomelty (Peter Coffin), Royal Dano (Elia), Tamba Alleney (Pip), James Robertson Justice (il capitano Boomer), Francis De Wolff (il capitano Gardiner), Ted Howard (Blacksmith). Durata: 116'.
Sul Pequod, gli altri due ufficiali di bordo (ufficiali della marina mercantile, s’intende: non militari ma semplici capireparto, se si fosse in fabbrica) sono Stubb e Flask.
Nel film di Huston, Stubb è un volto noto del cinema. Il nome è di quelli normali, poco memorabili: Harry Andrews, 1911-1989, inglese; ma la sua faccia la si è vista molto spesso, al cinema, anche se quasi sempre in ruoli di comprimario. Harry Andrews ha un fisico notevole, sembra un vero marinaio, e con la sua piccola pipa in bocca (identica a quella di Popeye: e sembra davvero uscito da un cartoon di Braccio di Ferro) fa un figurone. Una parte tutt’altro che secondaria, nel film di Huston; e un volto e un corpo che mi rimandano a figure familiari, un contadino o un boscaiolo di quelli alti e robusti, un po’ rùsteghi ma di eccellente carattere, di una generazione purtroppo ormai quasi completamente estinta.
Una curiosità è che nella sua carriera Andrews ha interpretato anche Donato Bramante, pittore e architetto: lo potete vedere in “Il tormento e l’estasi”, accanto a Charlton Heston che impersona Michelangelo.
Il piccolo Flask, minuscolo ma robusto e attivissimo, è interpretato dall’irlandese Seamus Kelly (1912-1979), ottima scelta ma probabilmente un attore non professionista: oltre a “Moby Dick” compare, secondo www.imdb.com , solo in un altro film del 1971.
XXVII • CAVALIERI E SCUDIERI
Il secondo ufficiale era Stubb. Era nato a Capo Cod, e perciò secondo l'uso locale lo chiamavano Capocodino. Uno spensierato né valoroso né vigliacco, che pigliava i rischi come venivano con aria strafottente, e quando nella caccia il pericolo gli era più vicino, si sbrigava il suo lavoro calmo e concentrato come un falegname ingaggiato per l'annata. Buontempone, spontaneo e noncurante, presiedeva alla sua barca come se lo scontro più micidiale non fosse che un pranzo, e la sua ciurma, tutti invitati. Nel sistemare comodamente il suo angolo di barca era meticoloso come un vecchio cocchiere quando fa comoda la sua cassetta. E quand'era sulla balena, proprio nella stretta mortale della zuffa, maneggiava la lancia con crudeltà fredda e spigliata, come un calderaio il martello, fischiettando Canticchiava le sue vecchie arie ballabili fianco a fianco col mostro più esasperato. La lunga abitudine, per Stubb, aveva cambiato in una poltrona le mandibole della morte. Che cosa pensasse della morte stessa non lo so. Che mai ci pensasse, sarebbe da discutere. Ma se per caso dopo un buon pasto gli capitò mai di buttarvi un pensiero, senza dubbio la prese da buon marinaio, come una specie di segnale di guardia a montare su, e darci sotto a sbrigare qualcosa che si sarebbe capita a comando effettuato, non prima.
Ciò che forse, tra l'altro, faceva di Stubb un uomo così strafottente e senza paure, che se la trottava con tanta allegria col peso della vita addosso, in un mondo pieno di merciai tetri, tutti piegati a terra dai loro fagotti; ciò che lo aiutava a portarsi attorno quel suo buonumore quasi empio, doveva essere la sua pipa. Perchè, come il suo naso, la sua corta pipetta nera era una delle fattezze ordinarie della sua faccia. Era quasi più probabile vederlo saltar fuori dalla cuccetta senza naso, piuttosto che senza pipa. Lì dentro aveva tutta una fila di pipe incise infilate in un portapipe a stretta portata di mano, e ogni volta che andava a letto le fumava tutte di seguito, accendendole l'una dall'altra fino al termine della raccolta, e poi ricaricandole perchè fossero di nuovo pronte. Perchè per prima cosa, quando Stubb si vestiva, invece di cacciare le gambe nelle brache, si cacciava la pipa in bocca.
Io credo che questo eterno fumare dev'essere stata almeno una delle cause della sua indole speciale. Ognuno sa infatti che a questo mondo l'aria, in terra o in mare, è terribilmente infetta dalle miserie indicibili del numero sterminato di uomini che sono morti cacciandola dai polmoni; e come in tempo di colera qualcuno va in giro con un fazzoletto canforato sulla bocca, allo stesso modo il fumo del tabacco di Stubb può aver operato come una specie di disinfettante contro tutti i triboli umani.
Il terzo ufficiale era Flask, nativo di Tisbury nel Vigneto di Marta. Un giovanotto corto, tarchiato, rosso di faccia, molto bellicoso con le balene, come se fosse persuaso che i grandi Leviatani gli si fossero messi contro per fatto personale ed ereditario, e che quindi per lui era una specie di punto d'onore distruggerli ogni volta che li incontrava. Era così totalmente negato a ogni senso di riverenza per le tante meraviglie della loro massa maestosa e delle loro abitudini misteriose, e così morto alla benché minima paura di qualche possibilità di pericolo nel loro incontro, che nella sua modesta opinione la balena stupenda non era che una specie di topo, o diciamo un sorcio d'acqua ingigantito, che richiedeva solo un po' di furbizia e qualche erogazione di tempo e di fatica per poterlo ammazzare e bollire. Questa sua mancanza di paura, involontaria e ignorante, lo faceva un po' spiritoso nei riguardi delle balene. seguiva questi pesci per divertimento; e un viaggio di tre anni oltre il Capo Horn per lui era solo un bel gioco che durava tanto.
Come i chiodi di un carpentiere si dividono in chiodi fatti a mano o a stampo, così si potrebbe dividere l'umanità. Il piccolo Flask era uno di quelli battuti a mano, fatti per tenere bene e durare a lungo. A bordo del Pequod lo chiamavano “il monaco”, perchè di forma si poteva proprio paragonarlo a quel legno corto e squadrato conosciuto con quel nome sulla baleniere artiche, che per mezzo di molti pezzi laterali inseriti a raggiera serve a irrobustire la nave contro i cozzi gelidi di quei mari d'ariete.
(Herman Melville, Moby Dick; ed. Garzanti, traduzione di Nemi D’Agostino)
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