lunedì 29 giugno 2020

Incontri con uomini straordinari


Meetings with remarkable people (1979) Regia di Peter Brook. Tratto dal libro omonimo di Gurdjieff. Sceneggiatura di Peter Brook e Jeanne de Salzmann. Fotografia di Gilbert Taylor. Musiche di Interpreti: Dragan Maksimovic, Terence Stamp, Athol Fugard, Natasha Parry, Colin Blakely, Bruce Myers, Colin Blakely, Gregoire Aslan, Warren Mitchell, Tom Fleming, Bruce Purchase, Fabian Sovagovic. Durata 1h44'

"Incontri con uomini straordinari" è stato, e forse lo è ancora, un libro molto letto e molto citato; l'autore è Georges Gurdjieff (1872 circa -1949), figura ambigua e affascinante, per alcuni un maestro, per altri qualcosa di più simile a un venditore di fumo. In ogni caso, "Incontri con uomini straordinari" è un libro molto bello, ricco di notizie e di informazioni, che si può leggere anche soltanto come un libro d'avventure; la fedeltà all'originale è assicurata anche dalla partecipazione alla sceneggiatura del film da parte di Jeanne de Salzmann, principale allieva di Gurdjieff in Europa e sua esecutrice testamentaria.
Il film che ne trasse Peter Brook nel 1979 è dunque molto fedele al libro, sia pur nei limiti di una riduzione cinematografica, ed è bello da vedere ancora oggi, anche se non raggiunge la magia del "Mahabharata" che il grande regista inglese girerà dieci anni dopo. Se il "Mahabharata" nasce in teatro, e anche al cinema mantiene un'impostazione teatrale, "Incontri con uomini straordinari" è invece girato nei luoghi in cui visse Gurdjieff, o comunque molto vicino a quei luoghi, più esattamente tra l'Afghanistan (l'Afghanistan degli anni '70, prima dell'invasione sovietica e dei talebani) e gli studi inglesi di Pinewood.

Un film "about the search and the searcher" , sulla ricerca e su chi la compie, dice Peter Brook in un'intervista (reperibile su youtube), ed è proprio così, i personaggi sono alla ricerca di se stessi o di qualcosa che dia senso alla vita, e alle volte lo trovano. Un amico di Gurdjieff sceglierà di fare il meccanico sulle navi, il principe russo diventerà un monaco, l'archeologo si fermerà in un altro monastero, e Gurdjieff continuerà a cercare la sua confraternita antichissima e misteriosa. Nel film si vedono con dovizia di particolari le danze descritte da Gurdjieff nei suoi libri, con le musiche trascritte da Thomas de Hartmann che fu suo discepolo; le danze dei dervisci, soprattutto, che Gurdjieff insegnò anche in Europa durante il suo lungo soggiorno in Francia.

Gli attori: il giovane Gurdjieff (che si vede anche da bambino e da ragazzo) è interpretato da Dragan Maksimovic, un attore jugoslavo molto attivo in patria e anche in film di tutta Europa. Terence Stamp è il principe russo che diventa un monaco e una guida spirituale; Athol Fugard è il giovane professore di archeologia che porta Gurdjieff nel deserto del Gobi; Natasha Parry e Bruce Myers sono tra gli amici del giovane Gurdjieff. Nel cast anche Colin Blakely (un tamil) e Gregoire Aslan (principe armeno), e molti altri ottimi attori.
Sul mio piano personale, ammesso che possa interessare a qualcuno, sono lontanissimo da queste cose. Ricordo di aver lasciato perdere Gurdjieff poco dopo aver letto il libro, nonostante l'indubbio fascino del suo racconto. "Incontri con uomini straordinari" è un libro che piace, è divertente come un libro di avventure, ma l'impressione di aver davanti un contaballe o un abile affabulatore è spesso grande. A questo proposito si può sottolineare la sequenza che riguarda di Yazidi, definiti "adoratori del diavolo": ma è solo un'etichetta loro affibbiata dai musulmani, che li ritengono eretici. Se ne è parlato di recente perché anche l'odierna Isis li perseguita. Metto qui un link per chi fosse interessato ad approfondire: detto molto in breve, gli Yazidi sono di etnia curda e la loro religione è molto più antica dell'islam. Inoltre, Gurdjieff non è cristiano, e si vede; gli manca spesso la pietas, che hanno anche i buddhisti, l'amore verso il prossimo. La sua è più una ricerca personale che una vera interazione con il prossimo, e mi scuso per la sintesi molto rozza ma non ho intenzione di dilungarmi troppo e comunque oggi ognuno può cercare notizie molto più facilmente di quando capitò a me negli anni '80.
Avrei ritrovato Gurdjieff molto tempo più tardi, sulla fine degli anni '90, per un incontro con un mio coetaneo romagnolo che si diceva suo seguace, quando già non ci pensavo più. "L'uomo automatico", il liberarsi dagli automatismi che ci condizionano dopo averli appresi da bambini, è alla base dei suoi insegnamenti; è qualcosa di molto interessante, ma non se viene usato per sentirsi più sveglio e più furbo degli altri. Ma anche il mio coetaneo romagnolo non era mai andato a fare i turni in fabbrica, non conosceva la realtà di chi lavora, fuggiva dal vero e dalle malattie, dalla guerra, dalla sofferenza; era andato in India e sfruttava quell'esperienza per vivere alle spalle degli altri, come probabilmente fece Gurdjieff, con corsi molto costosi e "seminari" dove alla fine non è che si imparasse molto. Lo stesso Gurdjieff, verso la fine di "Incontri con uomini straordinari", a domanda precisa risponde che il denaro non è un problema, non è una cosa importante... Mi sono chiesto che cosa volesse dire, e alla fine la risposta più semplice è che il denaro si trova, il fesso o la riccona che ti finanzia prima o poi lo trovi. Mi scuso ancora per le mie sintesi molto estreme, ma l'impressione che si cercasse più che altro di plagiare delle persone mi è rimasta, e non è detto che sia colpa di Gurdjieff. Come maestro, comunque, preferisco Elemire Zolla (che maestro non volle mai essere): Zolla si definiva "felicemente sincretista", diceva che i mistici si somigliano tutti, e che durante la nostra ricerca si può vivere nel mondo anche senza dare a vedere di conoscere qualcosa in più degli altri, e magari in samadhi.
(...) Si può vivere a fianco d'un uomo in samadhi senza notarlo: sbriga le sue faccende e lo si crede coinvolto, si proiettano su di lui i comuni sentimenti e non si ricevono smentite.
Una condizione puramente interiore è priva di connotati. Le metafore con le quali se ne parla designano fatti esterni e perciò falsificano, a cominciare dall'alternativa geometrica di dentro/fuori, esterno/interno. (...) La psiche in samàdhi è unificata in se stessa e nel contempo è unita al mondo o, meglio, nelle parole di Leopardi, annegata nell'infinità dell'essere. Entra negli eventi e ne esce a mano a mano che affiorano e dileguano perché essi le appaiono espressioni finite dell'essere infinito che è la sua stessa essenza, ciò che è e io sono diventano per lei sinonimi. Chi avverte estaticamente l'unità di se stesso e dell'essere, considera illusoria la molteplicità degli eventi, perciò, quando si presentano, non fa scattare la Biade automatica bene/male, amico/nemico. Si lascia attraversare, come un mare, uno specchio.
Il rovescio di samàdhi è ciò che i vecchi psichiatri chiamavano nevrastenia, l'indugio accigliato e penoso sulle cose, che ogni sensazione centellina e cincischia, su ogni immagine vagabonda indugia: non c'è circolazione, nitore mentale, e la psiche si smarrisce in un'incessante fantasticheria.
(...) Gli ufficiali di marina si allenavano a entrare in samàdhi quando erano messi di vedetta ad avvistare sommergibili; dovevano poggiare lo sguardo sull'estremo orizzonte senza mettere a fuoco nessun tratto di mare; così i monaci un tempo apprendevano a tenere lo sguardo sulla linea d'orizzonte della vita, a non tornare sugli eventi trascorsi, a schivare il compiacimento e l'indugio su se stessi, sorvolando il fiume della realtà e scartando i sogni di veglia. (...)
Elemire Zolla, da "Archetipi", capitolo primo, pag.8-12 edizione Marsilio.




(le immagini vengono dal sito www.imdb.com )

giovedì 25 giugno 2020

La vallée (Obscured by clouds)



 
La vallée (1972) Regia di Barbet Schroeder. Scritto da Barbet Schroeder e Paul Gegauff. Fotografia di Nestor Almendros. Musiche dei Pink Floyd. Interpreti: Bulle Ogier, Michael Gothard, Jean Pierre Kalfon, Valerie Lagrange, Monique Giraudy, più il bambino, abitanti della Papua Nuova Guinea. Durata: 1h40'

"La vallée" di Barbet Schroeder è il film che ebbe per colonna sonora "Obscured by clouds" dei Pink Floyd, e di solito viene ricordato quasi soltanto per questo, ma è invece un film che merita attenzione. E' un bel film, nonostante tutto quello di negativo che avevo letto, valido ancora oggi; mi sono chiesto se lo avranno visto per davvero, quelli che ne scrivevano. In effetti, va detto che è stato un film introvabile o quasi per moltissimi anni.

 
Siamo in Papua Nuova Guinea (metà dell'isola fa parte dell'Indonesia) dove una spedizione di quattro persone (più un bambino, figlio di due di loro) vuole andare in cerca di una leggendaria valle che si trova in territori inesplorati. A loro si aggrega una giovane donna ricca e annoiata (Bulle Ogier) che da principio vorrebbe solo delle piume di uccello del paradiso (ne era già vietata la caccia) da rivendere a Parigi assieme ad altri oggetti di folklore locale (compresi oggetti sacri e rituali, maschere, etc). La donna, moglie di un console, finirà per aderire in tutto alla spedizione, dopo diverse avventure.

 
Film in gran parte improvvisato, alla maniera del primo Werner Herzog, girato in condizioni difficili (il Monte Hagen, che vediamo nel film, passa i quattromila metri), con molte sequenze di valore etnologico come la grande festa tribale, girate presso la tribù Mapunga (nel film si dice Kombugas).
In un'intervista sul film, reperibile su youtube, il regista spiega che più che la meta (la Valle) l'importante è il cammino; come per i pellegrini insomma, ma in ambito laico e non credente. Ci sono parecchie eco di Levi Strauss, come nel dialogo che qui riporto in parte, a 1h30', tra Olivier e la ricca parigina:
Olivier: il paradiso è un luogo con molte uscite ma senza nessuna entrata (il nostro passato, i nostri condizionamenti, non si torna indietro dalla conoscenza e non si può ritrovare l'innocenza) Forse, dovremmo dare un altro morso alla mela (riferimento all'Eden)
Questo dialogo avviene subito dopo la grande festa tribale, alla quale sono stati ammessi "i bianchi"; Bulle Ogier si è convinta di essere entrata a far parte della tribù, ma Olivier la disillude: siamo solo turisti, hai visto come è la loro vita, quale è la condizione delle donne? Non riusciresti mai ad adattarti...

 
Gli attori: oltre a Bulle Ogier, il quartetto degli "hippies antropologi esploratori" è composto da Michael Gothard (Olivier), Jean Pierre Kalfon (il capo spedizione Gaetan), Valerie Lagrange e Monique Giraudy, più il bambino. La fotografia, splendida, è di Nestor Almendros. Barbet Schroeder, regista francese di nascita, ha girato altri film di successo oltre a documentari interessanti di storia recente, come quelli su Idi Amin Dada, sull'avvocato Verges, e su un monaco buddista con simpatie naziste, birmano, chiamato W. "La vallée" è il secondo film di Barbet Schroeder con le musiche dei Pink Floyd, dopo il precedente "More" uscito nel 1968.


 
(le immagini vengono dal sito www.imdb.com )

domenica 21 giugno 2020

More


More (1968) Regia di Barbet Schroeder. Scritto da Paul Gegauff, Barbet Schroeder, Eugene Archer, Mimsy Farmer, Paul Gardner. Fotografia di Nestor Almendros. Musiche dei Pink Floyd. Interpreti: Klaus Grunberg, Mimsy Farmer, Heinz Engelmann, Michael Chanderli, Georges Montant, Louise Wink, Durata: 1h51'

"More" di Barbet Schroeder è un film bello e disperato, girato a Ibiza, famoso per le musiche dei Pink Floyd. Non ero mai riuscito a vederlo fino a poco tempo fa, al pari di "Obscured by clouds" (La vallée), sempre per la regia di Schroeder e sempre con le musiche dei Pink Floyd; le recensioni che ho letto erano tutte piuttosto sbrigative o negative, i due film erano pressoché dimenticati, del tutto scomparsi dalla programmazione, e quindi scoprire che si tratta di due film molto belli è stata una piacevole sorpresa.
 

"More" comincia in Marocco, dove un giovane tedesco (l'attore è Klaus Grunberg) perde i suoi soldi al gioco al tavolino di un bar, ma il tipo con cui li ha persi glieli rimette in tasca di nascosto (ci sa fare) e poi i due diventano amici. Il tipo si chiama Charlie, e vive di espedienti non disdegnando i furti; l'amicizia con Charlie gli farà conoscere Estelle (Mimsy Farmer) ma senza volerlo e in un modo che non ci si aspetterebbe, cioè intrufolandosi a una festa per rubare dalle giacche e dalle borsette abbandonate in una stanza. Anche Estelle viene derubata, ma Charlie è pieno di risorse e sa come procurare altro denaro; Estelle vedrà tornare i suoi soldi, e inizierà una relazione con il giovane che glieli ha resi. Poi Charlie se ne va per la sua strada, e non lo vedremo più fino alla fine del film; Estelle dice al ragazzo tedesco che deve partire, ma di andare a trovarla a Ibiza dove lei è ospite del dottor Wolf (anche lui tedesco). Così succede ma finirà male per il giovane, iniziato all'eroina e poi all'LSD; non varranno i consigli dell'amico Charlie che torna nel finale e gli dice apertamente che Estelle è già responsabile della morte di altri due come lui: "vuoi essere il terzo"? Il film termina proprio con il funerale del protagonista. Estelle, disgraziata anche lei, rimarrà con Wolf.
 

Fotografato da Nestor Almendros in maniera splendida, dura 1h51' e ha anche un titolo italiano, "Di più ancora di più". Belli i colori, le luci, gli arredi, bella Ibiza ancora intatta; ricorda un po' "Blow up" di Antonioni, di pochi anni precedente, ma qui tutto è più vero e più tragico. Si tratta infatti di storie che sono veramente successe, magari non a Ibiza: che una ragazza o un ragazzo abbiano iniziato a drogarsi in questo modo è purtroppo qualcosa che è successo molte volte, e probabilmente è una storia che continua ancora oggi. A pensarci bene, "More" ha la tipica struttura dei film sui vampiri; però al di là della finzione cinematografica i personaggi sono reali, la storia è vera, ed è successa tante volte.

Molte le sequenze da ricordare, soprattutto la bellezza di Ibiza che, probabilmente proprio grazie a "More", ebbe negli anni seguenti un enorme incremento di turisti. C'è un mulino a vento a 1h19' e i due giovani gli si slanciano contro come Don Chisciotte (ma sono sotto l'effetto dell'LSD). Estelle usa una curiosa siringa, con pipetta di gomma invece del pistone, probabilmente in uso prima delle siringhe monouso che conosciamo oggi; questa pratica, scambiarsi le siringhe, è stata all'origine della diffusione di molte malattie gravi, dall'epatite virale all'Aids.
 

Gli attori sono tutti bravi: Klaus Grunberg è molto credibile, è un'ottima prova e ci si sarebbe aspettati una carriera internazionale, ma in seguito avrebbe lavorato soltanto in Germania e quasi sempre per la tv; è ancora in attività e ha al suo attivo cinquanta titoli come interprete. Mimsy Farmer è bella e quasi evanescente (ottima prova, non facile). Il trafficone Wolf è Heinz Engelmann (anche lui mette in guardia il protagonista da Estelle). Charlie è Michael Chanderli, il tizio con la barbaccia nera e riccia è Georges Montant, Cathy è Louise Wink. Il regista Barbet Schroeder è francese, e ha al suo attivo molti film e documentari; "More" è stato il suo primo lungometraggio. Le musiche dei Pink Floyd non sono state composte appositamente per il film, non tutte: "The Nile", "Cirrus minor" e "Cymbaline" erano già state pubblicate in disco prima dell'uscita del film.
 
 
(le immagini vengono dal sito www.imdb.com)


mercoledì 17 giugno 2020

La casa (Sharunas Bartas) 1

 
La casa (Namai, 1997). Regia di Sharunas Bartas. Scritto da Sharunas Bartas e Ekaterina Golubeva. Fotografia di Sharunas Bartas e Rimvydas Leipus. Musiche di Interpreti: Francisco Nascimento, Oksana Cernych, Viktorija Nareiko, Eugenia Sulgaite, Alex Descas, Léos Carax, Valeria Bruni Tedeschi, Leonidas Zelcius, Egle Kukaite e molti altri. Durata: due ore.
 
"The house" di Sharunas Bartas è un film unico, bello e disperato; io vi ho letto una discesa agli inferi in cerca di Euridice ma si tratta solo delle mie sensazioni, dei pensieri e delle associazioni che mi sono arrivate durante la visione, e non è detto che sia davvero questa l'intenzione dell'autore. Scrivo questo post, come gli altri sul cinema di Bartas, camminando su un terreno incerto: è come ripercorrere un sogno, lungo e profondo, e cercare di capire cosa sono quelle immagini, di chi sono quei volti, da dove vengono questi ricordi e queste visioni. Porto qui i miei appunti personali (in questo caso, personalissimi), chiedo scusa a Sharunas Bartas se mai passerà di qui, e consiglio a tutti la visione del film: che non è quasi parlato e non ha un filo narrativo, ma la narrazione nasce comunque, e le parole sono quelle che vi arriveranno dall'anima.


Si nomina spesso Andrej Tarkovskij, soprattutto per il cinema dell'est Europa, e quasi sempre si sbaglia; io direi che sicuramente Bartas conosce Tarkovskij, e si vede, ma non è il primo nome che mi è venuto in mente guardando "The house". Il primo pensiero è per la grande pittura, per Vermeer, per la luce e per i dettagli; poi Ingmar Bergman per i volti e i primi piani, e Stanley Kubrick ancora per la luce e per gli ambienti, oltre che per la perfezione tecnica. C'è qualcosa del polacco Zbig, per le persone e le stanze che si susseguono, e del primo Werner Herzog quando gli attori paiono recitare in ipnosi, come in "Herz aus Glass". C'è soprattutto il teatro di Tadeusz Kantor, un percorso nel ricordo con un'eco potentissima nel finale; è il riferimento giusto, ma Kantor non è più con noi da tanti anni e l'esperienza del suo teatro purtroppo non si può più ripetere né raccontare. Aggiungerei i libri di Elemire Zolla, le aure, l'arte e il suo rapporto con la natura, e Dante, sempre una discesa nell'Inferno, o nel Purgatorio, chiamato in causa anche da un libro su cui ci si sofferma a lungo). Di Tarkovskij, da Tarkovskij, c'è di sicuro Johann Sebastian Bach: "Erbarme dich, mein Gott" (abbi pietà di me, Signore) dalla Passione secondo san Matteo, è il vero motivo conduttore di "La casa". Del mito di Orfeo, per chi non se lo ricordasse, ho già accennato qui; per gli appassionati di disegno posso anche consigliare l'Orfeo di Dino Buzzati (il titolo del libro di Buzzati è "Poema a fumetti"), che ha molti tratti in comune con "La casa" di Sharunas Bartas. A tratti il film è vagamente surrealista, ma anche espressionista; ci sono forse citazioni da Man Ray, da Murnau, da Eisenstein, nei primi piani: ma questo è normale in un autore che abbia conoscenza della storia del cinema.
 

"La casa" sembra spesso la ricostruzione di un sogno, un uomo che vaga fra le ombre. Pensando ai miei sogni personali, e a questo vagare in ambienti reali ma non riconoscibili, mi capita sempre più spesso di ricordare le teorie sulla relazione fra i sogni e lo stato degli organi interni, ed è possibile che qualcosa di simile sia davvero presente in questo film di Bartas. Bisognerebbe anche tener conto dell’alternanza fra giorno e notte, la luce che viene dall’esterno ci fa capire l’ora. Proseguendo nel mio parallelo con il mito di Orfeo ed Euridice, forse Valeria Bruni Tedeschi è una Proserpina, che ricorda con gli amori umani rievocandoli con burattini, e Alex Descas, che gioca a scacchi potrebbe essere Plutone, re degli Inferi. Proserpina è in parte appartenente al mondo terrestre; rapita da Plutone, le è concesso di tornare per alcuni periodi sulla terra; è il mito della primavera, della rinascita del mondo dopo il gelo invernale.


"The house" dura due ore, inizia con "Erbarme dich" (J.S.Bach, Passione secondo san Matteo) e con la stessa musica (eseguita solo dal violoncello), si chiude; c'è molta musica, ben riconoscibile la "Canzone di Solveig" di Edvard Grieg, dalle musiche di scena per il "Peer Gynt" di Ibsen.
Nel libro di cui vengono strappate delle pagine (nel finale alcune saranno bruciate e altre messe da parte, ma non vediamo quali) c'è un disegno del Conte Ugolino, sul quale l'immagine si ferma a lungo: forse la Casa è proprio l'Inferno dantesco, è una discesa nell'Ade? (di Orfeo?) e i nudi presenti nel film vanno visti come in Doré e nelle illustrazioni dell'aldilà, come in Luca Signorelli: le anime del Purgatorio forse. C'è una cagna che allatta e che poi sale a mangiare gli avanzi sul tavolo del banchetto (non è quindi Cerbero). Valeria Bruni Tedeschi fa recitare a due burattini una storia d'amore triste, schiaffi compresi. Ci sono molti handicappati, una donna con il volto sfigurato (ustioni?), due anziani sordi che dialogano fra di loro, altro ancora. Non solo volti e corpi belli, dunque; ci sono anche bambini, come sempre in Bartas. Un fucile alla fine sparerà e ucciderà, ma noi non vediamo chi spara; e carri armati marciano sulla casa.


E' un film silenzioso, oltre a un dialogo fra sordomuti nel linguaggio dei segni quasi non c'è parlato; c'è la musica e ci sono i suoni d'ambiente, e la voce umana si ascolta solo all'inizio e alla fine:
« Madre. Madre, spesso avrei voluto parlare con te di tutto, ma non l’ho mai fatto. Ma dentro di me, io parlavo con te. Potevo sentirlo, e sentire le tue risposte. Ma ogni volta che vengo qui ad ascoltarti, non posso più parlare con te. Rimango in silenzio. Tutte le parole sono state dette. Dette internamente. E tutte le mie domande, tu hai risposto ad esse, dentro di me. Prima è sempre accaduto questo. Quando eravamo distanti. Distanti l’uno dall’altra. Ecco com’era prima. Come è stato, e mai più potrà accadere. Non importa quanto io lo voglia. Il futuro. Nel futuro io sono libero. Libero, perché ancora non esiste. Non comprendo il presente. Il presente è così sfuggente che non sono certo che esista. » (all'inizio, voce fuori campo)
« Madre. Il tempo è passato. E sono distante da te. Ciò che è importante, Madre, per me, è credere che queste cose non svaniranno. Le nostre canzoni, i nostri sguardi, i nostri minuti, noi due. Per noi non sono altro che anime morte. Anime malate, sfinite, semplicemente questo. E soprattutto, quasi prive di speranza. Ma non stiamo per sparire. Se solo potessi dirti quanto io fortemente creda in tutto questo, Madre.» (il finale, voce fuori campo)

 
1- continua

La casa (Sharunas Bartas) 2


La casa (Namai, 1997). Regia di Sharunas Bartas. Scritto da Sharunas Bartas e Ekaterina Golubeva. Fotografia di Sharunas Bartas e Rimvydas Leipus. Musiche di Interpreti: Francisco Nascimento, Oksana Cernych, Viktorija Nareiko, Eugenia Sulgaite, Alex Descas, Léos Carax, Valeria Bruni Tedeschi, Leonidas Zelcius, Egle Kukaite e molti altri. Durata: due ore.

Questi sono i miei appunti presi durante la visione di "The house" di Sharunas Bartas: si tratta soltanto di mie impressioni personali, spero che possano essere utili a qualcuno ma non è detto che lo siano. In realtà, è un film che non andrebbe raccontato, come accade con la grande musica; metto qui questi miei appunti ma non sono affatto sicuro che sia una cosa giusta. Il consiglio è comunque di cercare Bartas, e di guardare i suoi film organizzandosi da soli le proprie impressioni: so che sembra una banalità, ma troppo spesso trovo spettatori (e anche critici professionisti, purtroppo) ripiegati su luoghi comuni fin troppo ripetuti, incapaci di crearsi un'immagine propria e di cercare le informazioni giuste. Se volete leggere quello che scrivo, liberi di farlo - ma io sono solo un appassionato di cinema come tanti, il mio parere e le mie impressioni (e non solo per Bartas) valgono meno di zero.
 

Lasciare che l’immagine si organizzi da sè; scegliere bene le luci, la scenografia, lo sfondo, l’inquadratura fissa, pochi movimenti di macchina e solo per seguire ciò che sta già avvenendo. Il sonoro è in presa diretta, gli attori sanno cosa devono fare. Il mito di Orfeo. E’ la lezione di Antonioni, di Herzog, di Wenders, di Tarkovskij.
Dapprima viene inquadrata la casa, dall’esterno: è una grande casa antica, in campagna.
Versi in francese, da recuperare (anche alla fine) Poi ci spostiamo all’interno. La luce viene sempre dall’esterno, dalle finestre, come in Vermeer.
All’inizio, una stanza con libri antichi, e piccioni. Musica di Bach, breve citazione di Erbarme dich.
Poi la cagna nera con tanti cuccioli. Poi Orfeo. Poi un dettaglio di mosche sulla rete di fil di ferro, alla finestra (come nelle case disabitate da tempo). Poi una stanza, una scacchiera, un uomo dalla pelle nera seduto che gioca da solo.
Al minuto 17, una stanza grande con una grande tavola di legno, un grande lampadario a candele, e molte persone sedute. Si cena, ma soprattutto si beve vino rosso. Serie di primi piani, volti, persone, Orfeo che si muove tra gli altri quasi senza essere visto, come nei sogni. Si comincia da un volto di una ragazzina con i capelli neri, molto severa e assorta; poi si passa agli altri volti. Uno di loro è una donna giovane, con il viso deturpato da un'ustione. Volti belli e meno belli, giovanissimi o anziani, in una continua citazione della grande pittura, da Caravaggio a Rembrandt. Torna la musica di Bach.
 

Al minuto 30, due burattini molto belli nelle mani di Valeria Bruni Tedeschi. Uno è Pinocchio, l’altra è forse la Fata: ma ha il cappello come Pinocchio, e un grande cuore azzurro cucito sul petto.
L’azzurro è il colore dominante del film: la luce è azzurrina, le pareti sono spesso blu o azzurre.
I due burattini si cacciano, ritornano, si picchiano, si abbracciano.
Fin qui non abbiamo ascoltato nemmeno una parola, solo il silenzio e pochi rumori d’ambiente.
Orfeo vaga tra volti e luoghi, passa da una stanza all’altra quasi senza interagire. Guardando volti, corpi, ambienti, è molto forte l’impressione di essere nell’aldilà, forse nell’Ade; e che queste persone siano anime ferme, in sosta temporanea in sala d’aspetto, forse in attesa di Caronte o di un Giudizio, o magari di una preghiera.
Al minuto 40, esterno con neve: è la superficie di un grande lago gelato. Ma si torna subito dentro, e assistiamo per la prima volta a un dialogo: sono due sordomuti, anziani, che dialogano tra loro quasi soltanto a gesti. Un uomo giovane legge un libro molto vecchio; ne strappa una pagina, ne toglie con cura un brandello e lo mette nel petto, vicino al cuore. Prende un altro libro, e si sofferma su un’immagine che si direbbe il Conte Ugolino. Veduta d’insieme: due grandi finestre, un fuoco che crepita. Un cieco che ricorda Riszard Cieslak nel Mahabharata di Peter Brook, poi un volto che ricorda molto Kantor.
Nel corridoio, il giovane della pagina strappata, stracarico di libri: li sta portando in un’altra stanza.
Poi un uomo e una donna, anziani, che avanzano sottobraccio nel corridoio, verso di noi.
Al minuto 56 una stanza con molte donne e bambini, tutti nudi sia le donne che i bambini (le anime che stanno per nascere?).
Suono di fisarmonica: viene da un uomo seduto su un tappeto, al centro di una stanza, nella luce azzurrina. E’ musica da ballo, bella e triste, evocativa, con il ritmo molto marcato.
 

A 1:00 vediamo in una stanza una ragazza giovanissima col volto coperto di gesso, o di trucco molto spesso: Euridice? Il trucco pesante dà al suo volto l’aspetto di un cretto, o di un terreno arido; ma le labbra sono rosse. E’ bianchissima, ed è vestita di bianco. Aridità, morte, terreno non fecondo.
Orfeo le tocca il volto. L'uomo dalla pelle nera (Plutone?), da dietro uno stipite lo osserva con volto stupefatto e severo, quasi spaventato; come se Orfeo stesse facendo qualcosa di pericoloso, di vietato, di contrario a tutte le leggi. Lentamente, Orfeo le rimuove il gesso dal volto (la biacca), rivelando il volto roseo. L'uomo dalla pelle nera si ritira lentamente. La ragazza apre gli occhi.


A 1:03 una giovane donna nuda, seduta fuori di una stanza. Dentro la stanza, una bambina nuda che corre e gioca. Poi riascoltiamo Bach, la viola di Erbarme dich. Finestra che dà sull’esterno, alberi e neve, luce azzurrina.
Orfeo esce dalla stanza di Euridice. Nel corridoio c’è una ragazza nera, nuda, appoggiata al muro azzurro. Orfeo e la ragazza scambiano uno sguardo lungo, ma è come se fossero due ombre.
Poi la ragazza nera va verso lo specchio, uno specchio antico con due candele accese, che sembra un altare: si guarda allo specchio e poi si siede, sempre contemplando la sua immagine. Sulla mensola dello specchio, molti oggetti.
Un letto appoggiato al muro. Il nero dorme; seduto poco lontano da lui, il giovane dei libri sfoglia un altro volume antico.
Il cane (una femmina) al centro di una stanza, una vecchia seduta in un angolo. Nel sotterraneo, il vecchio smuove la terra con un bastone.
 
 
A 1.10, volto di una ragazza molto giovane, con i capelli neri (Euridice?) Esterno. Sole, vele a pattini sul lago gelato.
Interno. Orfeo è sdraiato tra donne giovani e nude, che lo accarezzano: l’impressione è sempre quella che si tratti di ombre, di anime in attesa (nel limbo, in attesa di un giudizio, oppure in attesa di nascere?). Gli porgono da bere in un calice, lui beve (il rumore del bere è molto amplificato, quasi a sottolineare che lui ha un corpo e le altre no). Volti illuminati a metà, come in Bergman (Il ballo ingrate, Sussurri e grida, Persona...)
A 1.15, esterno. Sole alto, bosco verde. Forse Chopin al pianoforte.
Interno. Orfeo sul lenzuolo, solo, senza più le donne di prima, abbandonato. Forse le ombre sono svanite con il giorno?
Orfeo si alza e va allo specchio dove prima si era seduta la ragazza nera. Le candele sono spente, tutto è abbandonato. Orfeo beve da una bottiglietta (le ombre non hanno bisogno di bere). Orfeo esce dalla stanza, fuori stanno lavando il pavimento. Ci sono le stesse persone di prima, ma ora c’è vita, colori, voci.
Un violino: il violinista lo vedremo nella sala da pranzo, suona una musica simile a quella del circo in Il cielo sopra Berlino. Seduti al tavolo, con i resti del pranzo, Orfeo e una ragazza nuda Orfeo mangia con gusto, sempre a sottolineare i rumori del corpo; la donna mangia pochissimo e in punta di forchetta.
Esterno. Nuvole rosse e gialle, è il tramonto. Sulla tavola, la cagna mangia rumorosamente gli avanzi. Orfeo è a terra, solo e stravolto, senza speranza.


Ancora notte. Il volto del vecchio sordomuto appare per un attimo dal buio. Il giovane dei libri è seduto davanti al fuoco e brucia metodicamente i suoi libri, una pagina per volta; alcune pagine le mette da parte.
A 1h30, un albero di Natale nella stanza, con due fuochi ai lati. Poi, fuochi d’artificio colorati sul davanti. E’ un Natale nordico. Musica per oboe e organo. Tornano tutti, ombre intorno all’albero.
Ma anche la nostra vita, e non solo il sogno, è spesso un girare insensato, tra gente assente che non bada a cosa facciamo.
A 1:40, volto di Euridice sul suono di oboe e organo (simile al flauto di Orfeo in Gluck).
Maschere, metà renne e metà donne (nude dalla vita in giù, sopra renne). Ancora la tavola imbandita, candele. Tutto in ordine, si replica la sera precedente. Fuori, festa notturna sul lago ghiacciato; piccoli fuochi artificiali molto colorati.
Interno. L'uomo dalla pelle nera (Plutone?) è davanti al fuoco. Mette nel caminetto dei piccoli fuochi d’artificio, sul cui pacchetto c’è l’immagine del volto di Cristo. I fuochi si accendono (l’uomo non c’è già più) ed escono dal comignolo della casa, che vediamo dall’esterno.
Musica dei Madredeus. Questo film è come una gigantesca coreografia, studiata nei minimi movimenti anche se poi tante cose non previste succedono ugualmente (come in Herzog, "Cuore di vetro").
A 1h50, fiori colorati davanti alla finestra a semiluna. Due spari: uno sparo colpisce lo specchio, un altro uccide l'uomo dalla pelle nera (l'attore è Alex Descas) davanti alla sua scacchiera.
Esterno. Nebbia.  Arrivano carri militari, camions e carri armati (a codest’ora, di codesto passo...)
Volto di vecchia. Cristo crocifisso sulla parete. Volto di Orfeo. Erbarme dich. Volto di bambina (Euridice?), con le labbra blu (morte?). Esterno casa. Soldati.
Voce in francese: “le temps est passè..” (cercare)


Elenco musiche, dai titoli di coda : Mahler, Krebs, Bach, Haendel, Mozart, Chopin, Madredeus.
1997. Ma si ascolta anche Grieg, la canzone di Solveig dal "Peer Gynt"
"My house. I don't know exactly where it stands in this world. All I know is that it's mine. Many people have lived in my house. Some only pass through while others stay. Some of them are still there. Sometimes, it can be very cold in my house. I'd like to know how many people are still living in my house and who they are. The trouble is, they often move from one place to another, go away and then come back. We eat together at times but some of them are always missing. The people who live in my house often change rooms, perhaps too often. I can't understand it. I can't count anymore. I still have time to learn who is where." (Sharunas Bartas, da un'intervista on line)


 
 
 

domenica 14 giugno 2020

Sharunas Bartas


A 1:00 vediamo in una stanza una ragazza giovanissima col volto coperto di gesso, o di trucco molto spesso: Euridice? Il trucco pesante dà al suo volto l’aspetto di un cretto, o di un terreno arido; ma le labbra sono rosse. E’ bianchissima, ed è vestita di bianco; dalla finestra entra una luce azzurra. Aridità, morte, terreno non fecondo. Orfeo le tocca il volto. Un uomo dalla pelle nera (Plutone?), da dietro uno stipite lo osserva con volto stupefatto e severo, quasi spaventato; come se Orfeo stesse facendo qualcosa di pericoloso, di vietato, di contrario a tutte le leggi. Lentamente, Orfeo le rimuove il gesso dal volto (la biacca), rivelando il volto roseo. Plutone si ritira lentamente. La ragazza apre gli occhi.  (dai miei appunti su "La casa" di Sharunas Bartas)
 
E' da molto tempo che volevo scrivere su Sharunas Bartas, mettere in ordine i miei appunti, fermare qualche immagine. Ma parlare di Sharunas Bartas è quasi impossibile, qualsiasi cosa io scriva non sarà mai quello che ho visto, ma solo la trascrizione dei pensieri che sono affiorati alla mia coscienza guardando il film. Io ho scritto che in "La casa" c'è un Orfeo e c'è un'Euridice, ci sono Plutone e Proserpina, ma è davvero questa l'idea che voleva rappresentare Bartas?

 
Davanti ad alcune sequenze dei film di Sharunas Bartas, il pensiero corre immediatamente a Tarkovskij; e viene da dire che Bartas è forse l'unico ad essere riuscito a ripetere quelle meraviglie, quei miracoli. Ma poi Bartas non è Tarkovskij, è un'altra cosa ancora. A tratti fa pensare a Béla Tarr (ungherese, nato nel 1955) ma anche Béla Tarr è un'altra cosa. Il nome giusto da evocare, pensando a Sharunas Bartas, è probabilmente quello di Tadeusz Kantor: ma Kantor lavorava solo in teatro, e il teatro è qualcosa di effimero, non si può spiegare né portare ad esempio. Esistono filmati del teatro di Kantor, ma chi è stato a teatro sa che i grandi spettacoli esistono solo nell'attimo in cui vengono rappresentati, e non si possono raccontare. Le registrazioni filmate sono sempre benvenute, ma come spiegare quello che succedeva durante gli spettacoli di Tadeusz Kantor? L'evocazione di un ricordo, o di molti ricordi, volti, corpi, musiche, canzoni, luci, ambienti, sensazioni: è questo che affascina nei film di Sharunas Bartas, ed è questo il ricordo che mi porto dentro di Tadeusz Kantor.
Nella vita reale di Bartas c'è la collaborazione con Eimuntas Nekrosius, un altro regista di teatro, anche lui lituano, che appare in alcuni suoi film; forse da Nekrosius arriva un'eco di Kantor.
 
 
Sharunas Bartas è lituano, nato nel 1964. I suoi film:
1986 - Tofolaria (cortometraggio)
1990 - Praejusios dienos atminimui  (In memoria dei giorni passati)
1991- Trys dienos
1995 - Koridorius
1996 - Few of us  (Lontano da Dio e dagli uomini)
1997 - Namai (La casa)
2000 - Freedom
2004 - Visions of Europe (l'episodio "Children lose nothing")
2005 - Septyni nematomi zmones (Sette uomini invisibili)
2010 - Indigène d'Eurasie
2015 - Peace to us in our dreams
2017 - Frost
2019 - Dusk (al crepuscolo)


 
Paolo Mereghetti su Sharunas Bartas:
... Bartas è venuto a cercare il segreto del cinema, o almeno di certo cinema, quello che non vuole seguire il mainstream di Hollywood o di Cinecittà. Fin dalle primissime inquadrature (una pianura attraversata da un treno che non si sa dove vada, un fiume scavalcato da una strada che non si sa dove porti) lo spettatore è messo davanti ai "misteri" che dovrà affrontare lungo tutti i 105 minuti del film: il senso del film non è depositato dall'alto (da una battuta, da un dialogo, dalla sceneggiatura) ma va cercato scena dopo scena dentro quello che si vede sullo schermo. Obbliga lo spettatore a non essere passivo e accettare così quello che gli si vuole far credere, ma piuttosto lo sprona a confrontarsi con quello che passa sullo schermo, obbligandolo ad avere un rapporto attivo con il materiale del film. Cosa sta cercando di farci vedere il regista? Cosa può davvero mostrarci di quel mondo? E' l'occhio dello spettatore che deve cercare negli angoli, nelle pieghe, nelle zone scure, ritrovando la capacità di guardare, di osservare, di capire. Non ci arrivano notizie da questo viaggio ai limiti del mondo, alla fine del film non ne sapremo certo di più sugli usi dei tofolar, ci saremo solo confrontati con delle immagini insolite e avremo imparato che il cinema non è solo effetti speciali e attori di grido. E' anche qualcosa d'altro: in questo caso è la possibilità di esplorare più a fondo e più intensamente le nostre stesse capacità sensoriali, a cominciare dalla vista e dall'udito. Per accorgerci che la realtà è spesso "incomprensibile" (...) ma che non dobbiamo mai smettere di interrogarla né di sforzarci di aprire sempre meglio gli occhi. Sensoriale.
Corriere della Sera-7, novembre 1996, recensione di Paolo Mereghetti a "Lontano da Dio e dagli uomini" di Sharunas Bartas.
(Nota: i Tofolar sono nomadi di origine mongola che abitano in Siberia, protagonisti del primo film di Sharunas Bartas. Nell'articolo, Mereghetti paragona i film di Bartas a quelli di Franco Piavoli).



 
 
(fermo immagine da Few of us, La casa, Koridorius)
 

mercoledì 10 giugno 2020

Musical


Il musical ha una gran quantità di fans, giustamente; io ho le mie perplessità, un po' perché sono abituato a scrivere sui film uno per uno, e un po' perché non mi piace ragionare per generi ("Mezzogiorno di fuoco" è un western? Lo considerate uguale a quelli di Sergio Leone e a quelli con John Wayne?) ma soprattutto perchè quello dei musical è un insieme molto eterogeneo, ci sono i capolavori e le mezze misure, ci sono film musicali di tutto divertimento e altri ricchi di significato (penso a Cabaret), ce ne sono di scadenti e di sopravvalutati, e ci sono capolavori nascosti o dimenticati che meriterebbero di essere citati più spesso. In più, dagli elenchi dei musical fatti dagli entusiasti o dai giornalisti mancano sempre film di livello alto o altissimo, e sono sempre quei pochi titoli quelli di cui si parla. Come mi capita spesso, viene da chiedersi se i film siano stati visti per davvero oppure se se ne parli per luoghi comuni o per citazioni di citazioni. Insomma, si fa in fretta a dire musical: sul mio piano personale, se penso a "Singing in the rain" va tutto bene, idem con Busby Berkeley ("Gold diggers of 1935" è un capolavoro sia per la musica che per le immagini) o con Fred Astaire ("Top hat" è uno dei miei film preferiti in assoluto), ma poi mi fermo e comincio a pensare.

Innanzitutto, i musical andrebbero visti nella versione originale; se doppiati si percepisce lo stacco fastidioso fra parte parlata e parte cantata, un effetto forse inevitabile per la comprensione della storia narrata, ma che disturba molto la visione. Inoltre, molti musical sono stati doppiati anche nel canto; oggi non lo si fa quasi più, ma lo si è fatto per lungo tempo e non sempre con buoni risultati. E' piacevole "Mary Poppins", per esempio, anche nella versione italiana a cui siamo tutti affezionati; ma "My fair lady" e "The sound of music" ("Tutti insieme appassionatamente") sono stati per me due film insopportabili fino a quando non è arrivata la possibilità di ascoltarli nel sonoro originale, con il dvd o con il doppio canale audio in tv. Mi sono deciso a cercare "The sound of music" solo grazie a John Coltrane e alla sua versione di "My favourite things", altrimenti lo avrei considerato irrecuperabile; quanto a "My fair lady", i tentativi di rendere l'originale usando i nostri dialetti sono molto goffi, e anche la presenza di grandi attori nei nostri remake in teatro non è che abbia aiutato molto. Qualcosa di simile mi è successo anche con "Bulli e pupe" ("Guys and dolls") dove in più c'è anche l'equivoco sulla voce di Marlon Brando: è il doppiaggio che dà l'idea di una differenza tra la voce di Brando mentre recita e mentre canta, nell'originale è tutto più naturale. Anche Gigi Proietti ha fatto a suo tempo una battuta sulla voce di Brando in "Bulli e pupe", ma va evidentemente riferita al doppiaggio italiano. Tra l'altro, "Bulli e pupe" è un film curioso: un cantante famoso viene scritturato per recitare, e un attore non certo famoso per il canto ha invece le parti cantate più importanti.

Allo stesso modo, non ho mai guardato per intero "Sette spose per sette fratelli"; non ne amo molto la musica, e nemmeno il doppiaggio italiano. Non vado molto d'accordo con Gershwin (trovo lo swing irritante, non sempre ma quasi) e quindi ho apprezzato "Un americano a Parigi" ma solo fino a un certo punto. "A star is born" di Cukor ("E' nata una stella") per me è stato punitivo, l'ho voluto vedere fino in fondo per rispetto verso Cukor ma è stata veramente una sofferenza. Ho provato anche a guardare i remake successivi, realizzati cambiando anche la musica, ma preferirei sorvolare. Su altri film con Barbra Streisand, come "Funny girl", "Funny lady", "Hello Dolly" posso solo dire che ci sono dei bei momenti ma non me la sento di gridare al capolavoro come invece fanno in tanti.

Ci sono poi i musical che ho voglia di vedere o rivedere, perché ho in mente una canzone rimasta famosa, ma che poi a conti fatti mi lasciano un po' deluso: è il caso di "Il mago di Oz", dove l'unica canzone bella è "Over the rainbow" - ma solo la parte iniziale, perché poi quel ritornello "when you wish upon a star" a me ha sempre dato l'idea del "non so più come andare avanti e ci metto una toppa". Allo stesso modo considero il più recente "Hair", dove oltre alla citatissima "Aquarius" non ho trovato nient'altro che mi sia rimasto in memoria; è comunque un bel film, su un soggetto storico importante (la guerra in Vietnam, c'era ancora la visita di leva).

Ho un mio elenco di capolavori da continuare, dopo quelli che ho citato all'inizio metto "Stormy weather", "Alta società" (specialmente quando entra in scena Louis Armstrong), Cabaret, Taking off di Milos Forman; di molti di questi ho portato qui da tempo i miei appunti personali.

Sono invece rimasto deluso anche dai musical dell'epoca rock, come "Tommy" e "Quadrophenia" con musica dei Who (hanno fatto di meglio, salverei quasi soltanto "See me, feel me"...). A quattordici anni ero andato al cinema per "Jesus Christ Superstar", ero ancora poco smaliziato, venivo dalle canzonissime e dai festival di Sanremo in tv e il film mi era piaciuto, ma poi ho cominciato a conoscere la vera grande musica e ho lasciato perdere Andrew Lloyd-Webber. In seguito, ho ascoltato qualcosa da Evita, Cats, e altri musical di Lloyd-Webber (scopro che ha solo dieci anni più di me, non l'avrei mai creduto) e chiedo scusa agli appassionati del genere ma non riesco a credere che si valuti "Don't cry for me Argentina" come una grande canzone. A me sembra qualcosa che si trova facilmente sul pianoforte mentre si fanno gli esercizi, e quando avevo preso lezioni di musica (tanti anni fa, ormai mi sono dimenticato come si fa) mi era capitato di pensare che c'è più musica nel Czerny e nel Longo (gli esercizi per le cinque dita) che in Lloyd-Webber o in John Williams.

 
Sono rimasto del tutto estraneo a eventi come "Flashdance", "Grease", "La febbre del sabato sera": in quel periodo ascoltavo Nick Drake, Leonard Cohen, i Pentangle e Tim Buckley, e poi ho cominciato ad andare alla Scala per Claudio Abbado, Maurizio Pollini, Carlos Kleiber, Giuseppe Sinopoli, Wolfgang Sawallisch, Riccardo Muti, Leonard Bernstein... Di "Grease" mi disturbava anche che si riesumasse la brillantina, per la mia generazione "roba da vecchi", ma così vanno le mode. Non ho mai sopportato i Bee Gees con quei falsetti fastidiosi, li ricordavo con canzoni estive e simpatiche, trovarli ridotti in quel modo mi aveva fatto tristezza ma se a voi piace, che fare. Scrivendo, mi torna alla memoria anche una chiacchierata con un amico in loggione che faceva il commesso alla libreria Cortina: perchè dobbiamo occuparci di Madonna Ciccone, ci chiedevamo negli anni '80. Già, perché mai: e invece, eccoci ancora qui (la Ciccone ha la mia stessa età, detto en passant) a dover subire cose che non ci sono mai piaciute.

 
Ho una considerazione altissima per John Huston, ma ho trovato bruttino il musical "Annie" e non riesco a capire come mai se ne sia occupato: è proprio la musica che è brutta. Allo stesso modo non ho capito "Jersey boys" di Clint Eastwood, e deploro il fatto che il suo "Bird", su Charlie Parker, sia completamente uscito dalla programmazione. "Bird" è un capolavoro, ma nelle rassegne dedicate a Eastwood non c'è mai, non appare nemmeno oggi ai festeggiamenti per i suoi novant'anni.
Trovo belli e divertenti i film di Richard Lester con i Beatles, non tanto per le canzoni ma proprio perché sono divertenti; vedo malvolentieri i film con Frank Sinatra come cantante (non mi piace Sinatra) ma mi piace Bing Crosby; mi sono trovato distantissimo da "Alexander's ragtime band" (mah) e dal mondo di film come "Gigì", "Can can", o magari "Follie d'inverno" ("There's no business like show business"), e mi sono annoiato a morte con Resnais e Scola e i loro film sulle sale da ballo (Ballando ballando, etc) non per i film in sè ma per le musiche scelte.

 
Infine, i film con i cantanti degli anni '60, che vedevo arrivare nel cinema del mio paese da bambino e che ritrovo su RaiMovie all'ora di cena: oggi c'è chi li chiama "musicarelli", che brutta parola. Per quanto mi riguarda, a dodici anni ero già stanco di Albano, di Rita Pavone e di tutte quelle cose che passavano in tv e che ero obbligato ad ascoltare e vedere da bambino; ma oggi mi capita di fermarmi a vederne qualche sequenza perché ci sono tanti bravi attori nelle parti di fianco (Gino Bramieri, Raffaele Pisu, Aroldo Tieri, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia...) e perché si vedono le città come erano quando io ho cominciato a conoscerle. Molti di quei film sono incentrati sul servizio militare (Gianni Morandi era davvero in caserma quando girava "Non son degno di te") e penso sempre che bisognerebbe spiegare ai ventenni del Nuovo Millennio che cos'era il servizio di leva, e come mai è stato abolito. Un grosso favore che è stato loro regalato dalle generazioni precedenti, i primi a beneficiarne sono stati i nati nel 1986 se non ricordo male. Oggi chi fa il servizio militare lo fa da volontario, ma prima non era così, la cartolina precetto arrivava a tutti. Per cambiare, sono stati necessari molti decenni di lotte e di sacrifici; è una storia che andrebbe raccontata, ed in questo possono essere utili film come "Hair" di Milos Forman, e anche quelli del ventenne Gianni Morandi.
 
qui  e qui per alcune sequenze da "Gold diggers of 1935" di Busby Berkeley
qui per una sequenza da "Stormy weather"

 
(nelle immagini, dall'alto:
Fred Astaire con Audrey Hepburn, Eleanor Powell,
Rita Hayworth, Ginger Rogers, Dolores Del Rio; 
Louis Armstrong e Grace Kelly in "High society; 
due fotogrammi da "Bird" di Clint Eastwood)