Partner (1968) Regia di Bernardo Bertolucci. Liberamente tratto da “Il sosia” di Dostoevskij. Scritto da Bernardo Bertolucci e Gianni Amico. Fotografia: Ugo Piccone. Scenografie di Francesco Tullio Altan. Costumi di Nicoletta Sivieri. Musiche originali di Ennio Morricone. Girato a Roma (Fori Imperiali, Teatro di Marcello, eccetera). Interpreti: Pierre Clementi, Sergio Tofano, Tina Aumont, Stefania Sandrelli, Giancarlo Nanni, Salvatore Samperi, Ninetto Davoli, Giulio Cesare Castello, Romano Costa, Antonio Maestri, Mario Venturini. Durata: 1h46’
Dopo “Il sosia” di Dostoevskij, la seconda fonte di ispirazione per “Partner” è la scuola di teatro, le lezioni di dizione e recitazione; e molte sequenze sono dedicate al Centro Sperimentale di Cinematografia, e ai piccoli trucchi che si usano sul set (la “macchina per fare le ragnatele”, per esempio)
Questo aspetto lo vediamo fin dall’inizio, quando Pierre Clementi seduto al bar sfoglia un libro su Friedrich Murnau e si ingobbisce facendo smorfie per imitare il vampiro Nosferatu. Non è l’unica citazione cinematografica del film: per la realizzazione delle scene con il sosia, Bertolucci usa volutamente gli stessi trucchi usati da Georges Méliès (l’inventore dei trucchi cinematografici) nel 1895. Le grandi ombre proiettate sul muro, che recitano come se fossero attori, vengono ancora dal “Nosferatu” di Murnau, ma anche da “Wampyr” di Dreyer. C'è spazio anche per un'ampia citazione dalla Corazzata Potiomkin di Eisenstein (la carrozzina sulla scalinata), per un ritratto di Antonin Artaud, per un dipinto di Caspar D. Friedrich...
E’ divertente scorrere la lista degli allievi del centro di cinematografia che recitano nel film: io ho riconosciuto soltanto Ninetto Davoli, che al minuto 60 suona con lo scacciapensieri un motivo che parrebbe quello di Fra Diavolo nel film di Stanlio e Ollio (“quell’uom dal fiero aspetto...”), ma ci sono anche Giancarlo Nanni, che diventerà un regista di teatro importante, e Salvatore Samperi regista che ebbe molto successo in seguito (soprattutto grazie ad attrici come Laura Antonelli, va detto). Giulio Cesare Castello, Romano Costa, Antonio Maestri, Mario Venturini dovrebbero tutti essere (salvo miei errori) gli insegnanti del Centro Sperimentale.
Terzo elemento fondamentale di “Partner”, forse del tutto imprevisto prima di iniziare le riprese, è il maggio del 1968: la realtà quotidiana che irrompe nel film. Bertolucci racconta che Pierre Clementi, francese di Parigi, tornava a casa ogni weekend, e quando rientrava sul set aveva sempre qualche cosa di nuovo da raccontare, qualcosa che aveva visto e sentito, magari uno slogan di quelli rimasti ancora oggi famosi (ce ne sono molti nel film). Moltissimi anche i rimandi alla guerra nel Vietnam, che nel 1968 era nel pieno del suo svolgimento, con le sempre più numerose obiezioni di coscienza dei giovani militari americani, che a quel tempo erano tutti di leva e non volontari come oggi.
Altre fonti di ispirazione sono sicuramente, come si diceva ieri, i fumetti. Per esempio, Sergio Tofano al minuto 41 guida un’automobile ferma imitando il rumore del motore con la bocca chiusa: lo fa in maniera serissima, da grande attore. Anche la recitazione di Pierre Clementi è quasi sempre volutamente esagerata, sopra le righe, da cartone animato: a tratti sembra di vedere Paperino o Daffy Duck.
Le attrici protagoniste sono Stefania Sandrelli e Tina Aumont. La Sandrelli qui è molto giovane ma era già un’attrice di grande richiamo: è diventata famosa a sedici anni, non tanto per la sua bellezza (di attrici giovani e belle è piena la storia del cinema) quanto per la sua bravura: vedi “Il federale” di Salce, dove recita allo stesso livello di Ugo Tognazzi e Georges Wilson.
La francese Tina Aumont entra in scena nella seconda parte, con Pierre Clementi è in perfetta sintonia anche per le sue doti mimiche e fisiche: anche lei sembra uscita da un cartoon Warner – per essere precisi, dovendo fare un nome, direi che i due attori francesi, quando sono insieme, ricordano molto Wyle Coyote e Bip Bip (però lei si fa prendere, non scappa).
Tina Aumont entra in scena al minuto 67, come venditrice di detersivi porta a porta; ha le palpebre dipinte in modo che, quando chiude gli occhi, sembra che gli occhi siano ancora aperti. E’ un trucco tipico dei surrealisti, che nel cinema fu usato anche da René Clair in uno dei suoi primi film, “Le voyage immaginaire”: in una scena ambientata nel museo delle cere, i manichini prendono vita. Gli attori recitano a occhi chiusi, e sulle palpebre hanno dipinte iridi e pupille, uno sguardo fisso e irreale, non umano. Avviene in questo modo anche il dialogo successivo fra Pierre Clementi e la venditrice di detersivi, sviluppato su frasi che probabilmente vengono, almeno in parte, da qualche opuscolo pubblicitario. Lo riporto qui perché è molto particolare, e anche perché ha molti sottintesi che si agganciano benissimo alla nostra attualità.
Lei: - Bisogna riconoscere che oggi si vive in un’epoca di decadenza per i liquidi purificanti. Il consumatore si è fatto prudente e sospettoso, finisce con l’abbinarli inconsciamente a una specie di fuoco che divora gli oggetti: il cloro e l’ammoniaca provocano una violenta trasformazione della materia. Il liquido ammoniacale brucia la sporcizia, la uccide; e invece (...) le polveri detersive non rovinano affatto. (...) Le polveri detersive non rovinano, anzi liberano l’oggetto da uno stato di imperfezione temporanea, senza traumatizzarlo (...) Per concludere: il cloro e l’ammoniaca sono strumenti di guerra, e si sa che tutte le guerre sono cieche. Invece, le polveri detersive hanno una funzione discriminante, svolgono un’azione selettiva, non di guerra ma di pulizia. Il nostro detersivo elimina senza uccidere.
Lui: - Ma la pubblicità è uno strumento fascista, e lei serve il fascismo.
- Non capisco perché.
- Lei vive con tutti questi detersivi?
- Sì. Ma vivo anche con la televisione.
- Quanti ne ha, di televisori?
- Due. Uno a colori e uno in bianco e nero.
- Ma la tv a colori non c’è ancora.
- Ah no? Io la vedo a colori.
- Sta coi suoi genitori?
- Io vendo detersivi.
- E’ sposata?
- No, ...no.
- Non le piace il matrimonio.
- No.
- Non vorrebbe avere dei bambini?
- No.
- Perché? Cosa pensa dell’amore?
- E’ una cosa sporca.
- Sessantanove, le dice qualcosa?
- No, che cos’è?
- Nel ’69 accadranno delle cose importanti che cambieranno il mondo.
- Lo renderanno più pulito.
- I padroni per cui lavora, li conosce?
- No.
- Non le interessa sapere chi sono?
- Sono certa che sono persone pulite.
- Perché?
- Beh, perché. (ride)
- Pensa che usino i loro detersivi?
- I detersivi sì, ma non il liquido ammoniacale.
- Quando va in giro per le case, vende più agli uomini o alle donne?
- Agli uomini.
- E quando rifiutano che cosa fa?
- Non rifiutano mai.
- Perché? (lei comincia a spogliarsi).
Va ricordato, per chi ancora non lo sapesse e per una maggior comprensione del testo, che il cloro (in questo contesto) è la candeggina; e che quando fu concepito il film le polveri detersive erano ancora una relativa novità, da noi le lavatrici erano arrivate – a livello di produzione di massa – solo con il boom economico dei primi anni ’60. Nel 1968 la pubblicità insisteva ancora molto su aspetti (il lavaggio delicato, che non rovina i tessuti e non intacca i colori) che oggi vengono quasi sempre dati per scontati.
Al minuto 53, un’altra scena che sarebbe piaciuta ai surrealisti:
- Che stai facendo?
- Immagino.
(noi vediamo quello che Jakov immagina)
Bertolucci dice che “Partner” va visto nel suo contesto, io direi piuttosto di guardarlo oggi, allegramente, senza farsi troppe domande. Ci sono anche un paio di omicidi, ma si vede subito che sono finti, da fumetto. Insomma, è un film un po’ strano, inconsueto: ma basta avere un po’ di pazienza all’inizio e poi ci si diverte, ed è questo quello che conta.
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