giovedì 28 ottobre 2010

Novecento ( III )

Novecento, di Bernardo Bertolucci (1976) Sceneggiatura di Franco Arcalli, Bernardo Bertolucci, Giuseppe Bertolucci. Fotografia: Vittorio Storaro. Scenografie di Ezio Frigerio e Gianni Quaranta. Costumi: Gitt Magrini. Musiche originali: Ennio Morricone. Musiche citate nel film: estratti da opere di Giuseppe Verdi, inni e canzoni del movimento socialista e comunista, canzoni popolari contadine, canzoni di musica leggera anni ’30. Girato in studio a Roma Cinecittà, e in esterni a Busseto, Cremona, Mantova città, Rivarolo del Re, Guastalla, Suzzara, San Giovanni in Croce (Reggio), Reggio Emilia, Parma, al cimitero vecchio di Poggio Rusco (Mantova), e a Capri (inizio secondo atto). La scena del giuramento degli agrari si svolge nel Santuario delle Grazie a Curtatone (Mantova). La Corte delle Piacentine, a Roncole di Busseto, un complesso del 1820, è l’azienda agricola che si finge proprietà dei Berlinghieri.
INTERPRETI: Famiglia Dalcò: Sterling Hayden (Leo Dalcò), Roberto Maccanti (Olmo da bambino), Gérard Depardieu (Olmo Dalcò), Maria Monti (Rosina Dalcò, madre di Olmo), Giacomo Rizzo (Rigoletto), Antonio Piovanelli (Turo), Paulo Branco (Orso), Liù Bosisio (Nella), Odoardo Dall’Aglio (Oreste), Patrizia De Clara (Stella), Anna Henkel (Anita, figlia di Olmo). ? (Montanaro) ? (Irma) ? (Leonida) Catherine Kosac (Rondine) Famiglia Berlinghieri: Burt Lancaster (Alfredo Berlinghieri il vecchio), Romolo Valli (Giovanni Berlinghieri), Paolo Pavesi (Alfredo da bambino) Robert De Niro (Alfredo Berlinghieri), Werner Bruhns (Ottavio Berlinghieri, zio di Alfredo jr), Francesca Bertini (la zia suora), Laura Betti (Regina), Tiziana Senatore (Regina da bambina), Anna Maria Gherardi (Eleonora, moglie di Giovanni), Ellen Schwiers (Amelia, sorella di Eleonora) E con: Stefania Sandrelli (Anita Foschi), Dominique Sanda (Ada Fiastri Paulhan), Donald Sutherland (Attila), Alida Valli (Signora Pioppi), Pietro Longari Ponzoni (signor Pioppi), Josè Quaglio (Aranzini), Stefania Casini (Neve, la ragazza epilettica), Pippo Campanini (don Tarcisio), Allen Midgette (il vagabondo), Salvatore Mureddu (capo delle guardie a cavallo) Doppiatori: Giuseppe Rinaldi (Lancaster), Renato Mori (Hayden), Claudio Volonté (Depardieu), Ferruccio Amendola (De Niro), Rita Savagnone (Dominique Sanda), Antonio Guidi (Sutherland) Durata totale (atto I e II): 315 minuti


Nascono i due bambini: Alfredo, figlio del padrone, e Olmo, figlio dei contadini che lavorano le sue terre. Non si sa bene chi sia il padre di Olmo, la mamma è sicuramente una della famiglia: ma la storia non serve raccontarla, si capisce tutto senza bisogno di commenti.
L’azione comincia dall’annuncio della morte di Verdi, che per la precisione avvenne nel 1901: Giuseppe Verdi nacque nel 1813, quindi la sua vita copre l’intero arco dell’Ottocento. L’aggancio al film quindi non è affatto casuale, e dà un’idea di continuità storica. A diffondere la notizia è un contadino della famiglia Dalcò: siccome è gobbo, il padrone ha avuto la bella idea di farlo vestire con il costume di Rigoletto, una delle opere più belle e più famose di Verdi (a questo punto del film ne abbiamo appena ascoltato il preludio). Ma la gobba non è una cosa divertente, e anzi le malformazioni (in primo luogo il rachitismo) erano retaggio di secoli di miseria e di fame. Il gobbo, interpretato dall’attore Giacomo Rizzo, lo vedremo spesso nel corso del film: è un’ottima persona e tutti gli vogliono bene, anche se lo prendono in giro lo fanno con affetto. Sarà lui, vent’anni dopo, ormai con i capelli bianchi, ad accogliere e abbracciare Olmo quando tornerà dalla Grande Guerra.

Il padrone, Alfredo Berlinghieri senior, interpretato da Burt Lancaster, decide di fare festa e va ad aprire la nivéra. La nivéra, o nevéra, era il posto dove veniva conservata la neve dell’inverno: l’antenato del frigorifero. Nelle vecchie ville, o nei castelli, la nivéra non mancava mai: qui il vecchio agrario va a prendere le bottiglie, che tiene sotto chiave: è champagne, ma ai contadini – abituati al loro bel rosso – non è che piaccia molto.
Con la bottiglia di champagne, il padrone va a trovare il contadino anziano, vero patriarca all’antica: è facile pensare che, come accadrà ai due bambini appena nati, i due vecchi siano cresciuti insieme da bambini e siano diventati amici, pur mantenendo il rapporto di casta preesistente. Il vecchio Dalcò, interpretato da Sterling Hayden, sta affilando la falce: un lavoro che richiede grande perizia, e che va ripetuto diverse volte nella giornata. Lo vediamo dapprima battere la lama tenendola a terra, poi rialzarla e passarvi sopra la cote: un gesto abituale ma pericoloso, la lama era affilatissima. La pietra cote era un arnese molto comune, le cave da cui proveniva erano abbastanza poche e avevano un giro d’affari molto fiorente. Di questa operazione ho sentito parlare molte volte, e l’ho anche vista eseguire; oggi penso che siano rimasti in pochi a saperla fare a dovere. A me dicevano sempre: “si fa così ma tu non farlo mai, che è pericoloso e ti tagli; e poi non sei capace, rischi soltanto di rovinare la lama”. Ma, a quei tempi, per un uomo anche radersi era un’impresa: chi si ricorda i vecchi rasoi a mano (per fortuna, non ne ho mai usati) sa che erano lame affilatissime, proprio come le falci dei contadini, e che i tagli erano all’ordine del giorno: anche per questo molti preferivano andare dal barbiere.

Qui c’è il primo salto narrativo: al termine della scena dei mietitori vediamo subito i due bambini cresciuti, intorno agli otto anni. Gli attori: Paolo Pavesi è Alfredo (Alfredo come il nonno), Roberto Maccanti è Olmo: sono entrambi bravissimi, ma “Novecento” è rimasto l’unico film della loro vita. La scena inizia con Giovanni Berlinghieri, figlio del padrone, che ha comperato una macchina per rastrellare e ne è molto contento. Giovanni è interpretato da Romolo Valli, uno dei più grandi attori del teatro italiano, un vero mostro di bravura. In “Novecento” ha una parte abbastanza ingrata, e in generale al cinema non è stato sfruttato al meglio; ma in teatro era meraviglioso, e per nostra fortuna ci sono rimaste molte documentazioni sulla sua grandezza (consiglio vivamente la sua registrazione Rai di “Il gioco delle parti” di Pirandello, accanto a Rossella Falk).

Di seguito, una delle scene che hanno suscitato tra il pubblico vive proteste: il bambino Olmo che va a caccia di rane lungo i canali, e le infilza su un filo di ferro. Le rane, ancora vive, si agitano e cercano di scappare per tutta la scena; spesso sono in primo piano.
E’ senz’altro una tortura e una crudeltà, ma i tempi erano diversi: oggi le rane che si trovano nei ristoranti arrivano tutte dalla Cina e dal Sud-est asiatico, ma allora le rane si trovavano in abbondanza anche da noi, e mangiarle era normale. Questa scena ci mostra una cosa di cui ci scordiamo spesso: se vogliamo mangiare carne, c’è sempre qualche animale da uccidere.
Da bambino ho visto spesso tirare il collo alle galline, o scuoiare dei conigli; non ho mai visto uccidere il maiale, come ci verrà mostrato nel secondo atto, ma quantomeno so benissimo cosa c’è dietro ai due etti di prosciutto che compero al supermercato. Quello che ci mostra Bertolucci era la vita quotidiana nelle campagne, rifatta così bene che sembra un documentario: il bambino non mangerà le rane che ha pescato, le rivenderà al padrone e le vedremo in tavola in una scena successiva. La pesca delle rane, secondo quello che mi hanno raccontato, avveniva di preferenza di notte: girando con una pila, le rane rimangono abbagliate dalla luce improvvisa e troppo forte, e si prendono facilmente. Qui invece Olmo pesca di giorno, è molto bravo e molto agile nell’acchiapparle.
Le rane sono sensibilissime all’inquinamento. Gli anfibi respirano con la pelle, e se c’è un minimo di veleno muoiono subito, un’ecatombe. Oggi di rane e di salamandre ne sono rimaste pochissime, è questa la vera tragedia. Fosse stato per Olmo e per i bambini che andavano a cacciarle, di rane ne avremmo ancora pieni i fossati. Purtroppo fra i cacciatori e i pescatori la maggioranza pensa che il mondo sia ancora quello lì, quello di cent’anni fa: ma io i vecchi cacciatori e pescatori li ho conosciuti, già negli anni ’80 avevano riposto mestamente canne e fucili: «Cosa vuoi andare a pesca, o a caccia, oggi che hanno costruito dappertutto?».
A questa scena segue una gran tavolata, tutti i contadini mangiano insieme alla stessa tavola: ed è una scena che mia madre mi ha descritto spesso. I miei nonni non erano braccianti, e mia mamma non è cresciuta in un ambiente povero come quello che si vede nel film: c’era moltissimo da lavorare e non si era ricchi, ma quantomeno la roba da mangiare non mancava mai.

In questa scena c’è una citazione evidentissima da “Il mangiatore di fagioli” di Annibale Carracci (1560-1609): un quadro celebre e importante, perché è la prima volta nella Storia dell’Arte che viene mostrata una scena così comune, invece dei santi e dei condottieri a cui eravamo abituati. Un piccolo passo in avanti verso il mondo moderno, come lo conosciamo oggi. Però è importante far notare un altro dettaglio: uno dei contadini ha gli occhi cerchiati di verde. Quasi sicuramente si tratta del verderame, uno dei primi antiparassitari usati in agricoltura, ovviamente velenoso anche per chi lo sparge sulle piante: la vita di un bracciante non valeva molto, e in queste cose il mondo come lo conosciamo oggi è purtroppo tornato identico a quello di cent’anni fa.

Bertolucci racconta che anche lui, come Alfredo Berlinghieri, “abitava nella casa dei padroni, ma viveva con i contadini”: con i contadini si stava meglio, ed in Emilia era sicuramente vero. Lo posso dire perché questo è un mondo che io ho appena sfiorato, ma che nel ’76 era ancora vivo, identico. Bertolucci, girando “Novecento”, poteva ancora scegliere le facce e i corpi giusti, credibili, veri: quello che manca alla fiction moderna, anche quella girata con le migliori intenzioni, per essere veramente credibile. Nel suo film ci sono le grandi star di Hollywood (Lancaster, Hayden, De Niro) e i grandi attori italiani, tedeschi e francesi: ma la gran parte delle persone che si vedono in “Novecento” sono persone vere, non stanno recitando. Mi viene da pensare che sul set avrei potuto esserci anch’io: in fin dei conti c’era gente più giovane di me, che peccato.
(continua)

Nessun commento: