martedì 26 ottobre 2010
Ricamo
Nel film “Witness” di Peter Weir l’azione si svolge nel 1984, ma così a occhio non si direbbe. Siamo infatti presso la comunità degli Amish, in Pennsylvania: gli Amish sono un gruppo religioso dell’area protestante, di origine tedesco-svizzera, che vive in America da secoli, ma che ha mantenuto pressoché intatti usi e costumi dei secoli passati, facendo solo piccole concessioni alla modernità. Harrison Ford vi interpreta un poliziotto che è costretto a nascondersi per qualche tempo presso la comunità Amish: è ospite in casa di Rachel (Kelly McGillis), una giovane vedova, e di suo suocero Eli. Viene accolto bene e si trova bene, ma cominciano a girare voci su di lui e su Rachel. Del film ho parlato qualche giorno fa, adesso mi fermo su una piccola scena che illustra un lavoro tipicamente femminile, il ricamo. Le donne sono riunite tutte insieme, e ricamano: è un dono per una coppia che sta per sposarsi.
Come sempre capita in questi casi, una signora amica ne approfitta per mettere in guardia Rachel: “Si parla molto di te e di John Book, in questi giorni.” “Spero siano cose buone”, sorride Rachel: ma lo sguardo della signora dice più di tante parole, sia pure con bonomia.
Non so molto di ricamo, ma ho visto spesso le donne intente a questo lavoro, che è una vera e propria arte. Oggi non si fa quasi più, e penso che non sia una conquista o un progresso, ma piuttosto un frutto della televisione sempre accesa. Una volta si ricamava molto anche per passare il tempo: a patto di farlo per se stesse, e non essere costrette a farlo a pagamento, il lavoro del ricamo è molto bello e dà grande soddisfazione, come tutti i lavori manuali. Ma, si sa, o si ricama o si guarda la televisione: una delle due attività esclude l’altra.
Per pura coincidenza, mi sono trovato a incontrare due scene di ricamo molto belle, questa di Witness e quest’altra, più lunga, dal “Casanova” di Federico Fellini. Mi hanno detto che si tratta di “guipure”, una parola francese che sul mio dizionario viene tradotto con “merletto, trina”.
Non sono sicuro che sia una definizione del tutto corretta, sono abituato ad associare “trine e merletti” ad un altro tipo di lavoro: ma, come ho detto, purtroppo non me ne intendo molto. Qui le donne veneziane stanno facendo un lavoro molto fine, di pazienza e di precisione: è come un intarsio, un’incisione. Dentro al ricamo, il tessuto verrà asportato, risultando infine traforato a disegni, con un effetto notevole di leggerezza e di bellezza.
Diversamente dalle donne Amish, queste veneziane sono sotto padrone. Stanno realizzando qualcosa di molto grande, che non è facile da definire; si direbbe un paramento, o una tovaglia, che andrà direttamente in casa del Doge, o in qualche Chiesa, o in casa di qualche patrizio della Serenissima.
Casanova (Donald Sutherland) è lì di passaggio, perché deve incontrare una dama che vuole mantenere l’incognito: la porticina in fondo a sinistra, nell’angolino, indica il luogo dove si incontreranno. Qui davanti, sempre sulla sinistra, c’è invece in disparte Anna Maria, una ragazza timida e pallidissima che sta infilando delle perle. Casanova la noterà e la farà protagonista della sequenza successiva.
Non c’è molto da aggiungere, se non che le ragazze veneziane, anche se sono lì per lavoro e sotto una padrona severissima, trovano lo stesso il modo di ridere e di divertirsi, che è sempre una gran bella cosa. Chi ha mai detto che sul lavoro non si ride e non si parla? Anzi, casomai è vero il contrario: di buon umore si lavora meglio, e si produce di più. (E complimenti a Fellini per aver girato questa scena).
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