Partner (1968) Regia di Bernardo Bertolucci. Liberamente tratto da “Il sosia” di Dostoevskij. Scritto da Bernardo Bertolucci e Gianni Amico. Fotografia: Ugo Piccone. Scenografie di Francesco Tullio Altan. Costumi di Nicoletta Sivieri. Musiche originali di Ennio Morricone. Girato a Roma (Teatro di Marcello, Fori Imperiali, eccetera). Interpreti: Pierre Clementi, Sergio Tofano, Tina Aumont, Stefania Sandrelli, Giancarlo Nanni, Salvatore Samperi, Ninetto Davoli, Giulio Cesare Castello, Romano Costa, Antonio Maestri, Mario Venturini. Durata: 1h46’
“Partner” non l’avevo proprio mai visto: quando uscì nei cinema avevo dieci anni, e non so nemmeno se sia mai stato trasmesso in tv. E’ un film divertente e coloratissimo, pieno di belle immagini, ma non è facilissimo da seguire e può trarre in inganno fin dal titolo: “Partner” non nel senso di compagno sul lavoro, magari in teatro, o di compagna nella vita (come avevo sempre pensato io): il Partner del titolo è un altro io, forse un’allucinazione, forse una proiezione di se stesso o una fantasia del protagonista.
Il soggetto viene da Dostoevskij: non “Delitto e castigo” o i “Fratelli Karamazov” ma un racconto più piccolo e bizzarro che viene comunemente tradotto “Il sosia”, ma che ho visto anche con il titolo “L’altro io”, che rende meglio l’idea di quello che succede. Dietro al “Sosia” di Dostoevskij c’è sicuramente un altro grande scrittore russo, il Gogol di “Il naso”.
Molte delle stranezze che si vedono in questo film di Bertolucci vengono diritte dal “Sosia” di Dostoevskij, a partire dai nomi dei protagonisti: Giacobbe, il personaggio di Pierre Clementi, è Jakov Petrovic Goljadkin; Petrushka, il servitore di Giacobbe, conserva inalterato il suo nome russo originale. Pierino, insomma.
E quando mi sono chiesto da dove cominciare, dopo aver raccolto i miei pensieri e ancora un po’ sconcertato, mi sono subito detto: comincio da qui, da Petrushka: che è Sergio Tofano, non solo uno dei più grandi attori del teatro e del cinema, ma anche l’autore del Signor Bonaventura e di molti altri libri e disegni meravigliosi.
Rivedere Tofano è stato un piacere inaspettato: guardare un film e non saperne niente può essere un grande piacere, ritrovare Sergio Tofano mi ha fatto subito sorridere e mi ha messo nella condizione giusta per vedere il film. Ecco, è da qui che bisogna partire: da Sergio Tofano, dalla sua classe e dalla sua levità, e dal Signor Bonaventura. Tanto più che, a legger bene la locandina, si trova un altro nome che mette di buon umore: responsabile degli arredi e delle scenografie è Francesco Tullio Altan, il papà della Pimpa e dell’operaio Cipputi. Come dire, l’erede diretto del Signor Bonaventura: ma nel 1968, quando fu realizzato “Partner” , i fumetti di Altan dovevano ancora nascere: sarebbero arrivati solo a metà anni ’70.
I blu e i rossi di Altan sono, in questo film, uno spettacolo a sè: uno spettacolo molto gradevole, anch’esso del tutto inaspettato.
da “Il sosia” di Fiodor Dostoievskij: capitolo VIII
Come al solito, il giorno dopo il signor Goljàdkin si svegliò alle otto; svegliatosi, subito si ricordò tutti gli avvenimenti della sera prima, se li ricordò e si accigliò. « Eh, ieri ho fatto davvero la parte del cretino! » pensò sollevandosi un po' sul letto e gettando un'occhiata al letto del suo ospite. Ma quale non fu il suo stupore quando vide che non soltanto nella stanza non c'era l'ospite, ma neppure il letto sul quale l'ospite aveva dormito. « Che storia è questa? » per poco non esclamò il signor Goljàdkin, « cosa vuol dire mai tutto questo? E che cosa significa adesso questa novità? »
Dapprima Petrùshka non rispose nulla, non guardò nemmeno il suo padrone, ma volse gli occhi verso l'angolo di destra, tanto che il signor Goljàdkin fu anch'egli costretto a guardare nell'angolo di destra. Comunque, dopo un certo silenzio, con voce un po' rauca e rozza, Petrùshka rispose che « il signore non era in casa ». « Sei uno scemo, il tuo padrone sono io, Petrùshka, » disse il signor Goljàdkin con voce spezzata, guardando con tanto d'occhi il suo domestico.
Mentre il signor Goljàdkin guardava perplesso con la bocca spalancata il posto rimasto vuoto, la porta cigolò ed entrò Petrùshka con il vassoio del tè. « Dov'è, dov'è? » chiese con voce appena percettibile il nostro eroe indicando con il dito il posto assegnato la sera prima all'ospite.
Petrùska non rispose nulla, ma guardò il signor Goljàdkin in un modo tale che egli diventò rosso fino alle orecchie; lo guardò con una specie di offensivo rimprovero che pareva una vera e propria ingiuria. Al signor Goljàdkin caddero le braccia, come si suol dire. Finalmente Petrùska annunciò che l'altro se ne era andato già da un'ora e mezzo e non aveva voluto aspettare.
Certo, la risposta era verosimile e attendibile; si vedeva che Petrùska non mentiva, che il suo sguardo offensivo e la parola l'altro da lui adoperata erano semplicemente la conseguenza di tutta la nota disgustosa circostanza in cui si erano trovati, e tuttavia il signor Goljàdkin capiva, anche se in modo confuso, che c'era qualcosa che non andava e che il destino gli preparava qualche altro regalo non troppo piacevole. « Bene, staremo a vedere, » pensò fra sè, « vedremo un po', a suo tempo chiariremo tutto... Ah, Signoriddio mio! » gemette a conclusione di tutto, con voce ormai completamente diversa, « e quando l'ho invitato, per quale motivo ho fatto tutto questo? È proprio vero che sono io il primo a ficcare la testa nel nodo scorsoio di quei briganti. Ah, testa, testa! Non sei capace di trattenerti dal cianciare, come un ragazzino qualsiasi, come un qualsiasi impiegatuccio d'infimo ordine, come un qualsiasi avventizio di cancelleria, straccio, cencio marcio, pettegolo che non sei altro, specie di comare!... Santi miei! E anche dei versi ha scritto quel mascalzone e mi ha fatto una dichiarazione d'amore! Come fare per... Come fare per indicare in modo cortese la porta a quel farabutto, se torna? Si capisce, di modi e di sistemi ce ne sono molti. Così e così, diamine, con il mio limitato stipendio... Oppure anche spaventarlo in qualche maniera, che diamine, tenuto conto di questo e di quest'altro, sono costretto a spiegarmi... Diamine, bisogna pagare metà per uno l'alloggio e il vitto e dare i soldi in anticipo. Hmm! No, il diavolo mi porti, no! Questo mi insudicia. Non è affatto delicato! Forse si potrebbe fare in un altro modo, magari così: dare istruzioni a Petrùshka, che Petrùshka gliene combini qualcuna, sia trascurato nel servizio o si mostri insolente, e lo costringa ad andarsene. Aizzarli così... No, il diavolo mi porti, no! È pericoloso, e poi, se la si guarda da questo punto di vista, ma sì, non va per niente bene! Per niente bene! E se non venisse? anche questo sarebbe male? Gliene ho contate di belle ieri sera!... Eh, male, male! Eh, come si mettono male le cose mie! Ah, testa, testa impunita che sono! D'imparare per bene ciò che si deve fare non sei capace, non sei capace di darti ragione di niente! Be', e se venisse e rifiutasse? Oh, volesse Iddio che venisse! Sarei contentissimo se venisse; darei molto perchè venisse... »
Così ragionava il signor Goljàdkin, trangugiando il suo tè e sbirciando incessantemente l'orologio a muro. « Adesso sono le nove meno un quarto; è già ora d'andare. Ma qualcosa succederà; che cosa succederà? Vorrei ben sapere che cosa precisamente si nasconde qui di speciale, quale fine, quale intenzione, quali cavilli. Sarebbe bene sapere a cosa precisamente tende questa gente, quale sarà il primo passo che faranno...»
Il signor Goljàdkin non potè più resistere, buttò via la pipa ancora accesa, si vestì e si precipitò in ufficio, volendo, se pur era possibile, piombare addosso al pericolo e accertarsi di tutto con la propria personale presenza. Perchè il pericolo c'era, lui lo sapeva che il pericolo c'era. « Già, ma noi lo... scopriremo, » si diceva il signor Goljàdkin, togliendosi il cappotto e le soprascarpe in anticamera, « ecco che adesso noi penetreremo tutte queste faccende. »
Decisosi in tal modo ad agire, il nostro eroe si aggiustò per bene, assunse un'aria distinta e ufficiale e già si accingeva a entrare nella stanza accanto, quando a un tratto, proprio sulla soglia, il conoscente del giorno prima, il suo amico e compagno s'imbattè in lui. Il signor Goljàdkin junior, a quanto pare, non notò il signor Goljàdkin senior benchè si fosse incontrato con lui quasi naso a naso. Il signor Goljàdkin junior a quanto pare era occupato, si affrettava in qualche posto, era trafelato; aveva un'aria così ufficiale, così attiva, che chiunque avrebbe potuto leggergli in faccia: «in missione per incarico speciale»...
« Ah, siete voi Jàkov Petròvic! » disse il nostro eroe, afferrando per il braccio il suo ospite del giorno prima.
« Dopo, dopo, scusatemi, me lo racconterete dopo, » si mise a dire ad alta voce il signor Goljàdkin junior slanciandosi in avanti.
« Però, scusate; voi, a quanto pare, Jàkov Petròvic, volevate, sì... »
« Che cosa? Spiegatevi, presto! » A questo punto l'ospite del giorno prima del signor Goljàdkin si fermò come per forza e avvicinò malvolentieri l'orecchio al naso del signor Goljàdkin.
« Vi dirò, Jàkov Petròvic, che mi meraviglia molto il modo in cui mi accogliete... un modo che, evidentemente, non mi sarei aspettato. »
« Ogni cosa richiede una certa forma, signore. Presentatevi al segretario di sua eccellenza e inoltre rivolgetevi nel debito modo al signor direttore della cancelleria. È un'istanza? »
« Voi, io non so, Jàkov Petròvic! Voi semplicemente mi sbalordite, Jàkov Petròvic! Sicuramente voi non mi riconoscete o scherzate per via dell'innata giovialità del vostro carattere. »
« Ah, siete voi! » disse il signor Goljàdkin junior, come se soltanto adesso avesse scorto bene il signor Goljàdkin senior. « Allora siete voi? Avete riposato bene? » (...)
(da “Il sosia” di Fiodor Dostoievskij: capitolo VIII) (traduzione di Pietro Zveteremich, ed. Garzanti).
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