I clowns (1971) Regia: Federico Fellini - Soggetto e sceneggiatura: Federico Fellini, Bernardino Zapponi - Fotografia : Dario Di Palma - Musica: Nino Rota, diretta da Carlo Savina - Costumi: Danilo Donati - Trucco: Rino Carboni - Effetti speciali: Adriano Pischiutta - Scenografia e arredamento: Renzo Gronchi.
Interpreti: la troupe: Federico Fellini, Maya Morin, Lina Alberti, Alvaro Vitali, Gasparino; Anita Ekberg; Tristan Rémy; al circo Orfei: Liana, Rinaldo e Nando Orfei, Franco Migliorini (il domatore); i clowns francesi: Alex, Bario, Père Loriot (Georges Bazot), Ludo, Maiss, Nino; Pierre Etaix, Victor Fratellini, Annie Fratellini, Jean Baptiste Thierrèe, Victoria Chaplin, Charlie Rivel, , Buglione, Jan Houcke, Pipo e Rhum; i clowns italiani: Billi, Scotti, Fanfulla, Reder, Valentini, Merli, Rizzo, Pistoni, Furia, Sbarra, Carini, Terzo, Vingelli, Fumagalli, Zerbinati, i quattro Colombaioni, i Martana, Maggio, Janigro, Maunsell, Peverello, Sorrentino, Valdemaro, Bevilacqua. Durata: 93'.
Ci trasferiamo in un pensionato per artisti, dove è ricoverato Jan Houcke, un famoso direttore del circo, molto anziano, elegante, vagamente inglese, con un paio di meravigliosi baffoni. Dice di non ricordarsi più niente, ma le infermiere ridono: “non è vero, si ricorda tutto, quando vuole”. Canta “mia piccirella”, tira fuori vecchie storie di incontri con personaggi famosi: che peccato che sia doppiato...
La tappa seguente è da Charlie Rivel, spagnolo, augusto. Lui e Grock sono gli unici clown ad essere diventati ricchi; la sua casa è piena di trofei e di ritratti: il Re di Svezia, Beniamino Gigli, Laurel e Hardy, Grock... Il suo costume è una maglia rossa molto lunga, c’è anche un burattino che lo ritrae, e che Maya prende in mano a rovescio, tutta intenta com’è a raccontarci quello che c’è scritto sul foglio che le ha passato Fellini. Rivel racconta del cavo d’acciaio su cui camminava, dei pericoli che si correvano, e si esibisce con il suo costume e con la chitarra: è ancora molto buffo, improvvisa una specie di flamenco triste che strappa gli applausi. Peccato che il flamenco duri poco, Rivel è molto bravo.
Fellini ha un appuntamento con Pierre Etaix, un giovane regista francese che ha sposato Annie Fratellini: ci porta a casa del suocero, Victor Fratellini, che conserva un raro filmato di suo padre, grande clown in trio con gli altri due fratelli italo-francesi. Il film è del 1924, la pellicola è in un formato molto particolare e per vederla serve un proiettore speciale. In una casa accogliente e piena di libri, comincia la proiezione: ma la pellicola s’inceppa e si brucia: bisogna rinunciare alla visione. La moglie di Victor ci mostra vecchie foto e uno strumento musicale, un sistro particolare, invenzione di François Fratellini; il marito racconta della volta che suo padre dimenticò di mettere la parrucca di legno e si ritrovò all’ospedale con la testa spaccata dall’accetta. Il padre di Victor impersonava un augusto di origine inglese, il clown bianco (suo zio) non era mai autoritario. Insieme, al pianoforte, marito e moglie eseguono il “Momento musicale n.3 in fa minore” di Schubert, che era l’entrée preferita dei Fratellini. I Fratellini fecero molta beneficenza, e si esibivano spesso in manicomi, ospedali, e nelle trincee della Grande Guerra; Fellini ricostruisce alcuni dei loro spettacoli.
A Parigi, si va a casa di Père Loriot, al secolo Georges Bazot, un altro famoso augusto. E’ anche lui molto anziano, e molto gentile; lavorò con i maggiori clown bianchi, li ricorda tutti con affetto e ne mostra le foto. Lavorò per decenni al Cirque d’Hiver, come augusto, col nome di Baudet: ha lavorato con Bario, Porto, Rhum, Mimil, Zavatta, nomi leggendari. Mostra molte foto, ce ne è anche una di Rhum, “il più grande”.
Di seguito, andiamo con Fellini e i suoi nella bella casa di Bario, livornese di origine, un altro grande augusto. Il suo vero nome è Manrico Meschi. Ad aprire la porta è la moglie, che li fa entrare ma dice a Tristan Rémy che il marito non se la sente di parlare. Fellini ci presenta la ricostruzione di uno dei suoi spettacoli. Intanto Rémy riesce a convincere Bario a farsi intervistare, e lo vediamo seduto in soggiorno, accanto alla gabbia dei canarini, mentre la moglie, da fuori, sorveglia discreta passeggiando in giardino, dietro le tende. E’ molto lucido, ma anche molto debole e un po’ triste. “Porello, m’ha fatto pena. Che cosa triste diventare vecchi...” commenta Gasparino all’uscita.
Si vede anche il Cirque d’Hiver, l’altro grande circo in muratura di Parigi. Qui fanno ancora spettacoli, mentre il Médrano è stato trasformato in birreria, e c’è un grande museo del circo.
In macchina, Tristan Rémy parla molto di Ruhm, un augusto fantastico che morì molto giovane, alcolizzato. Dice che di lui esiste un filmato dei tempi del muto, e che si può vederlo alla cineteca della tv francese.
Ed è lì che si sposta la troupe: ad accoglierli un’archivista molto scorbutica, che non sa nemmeno chi è Fellini e ne sbaglia il nome. Li fa accomodare, è già tutto pronto: meno di un minuto, finito. Il film mostrava Ruhm con Pipo, suo partner abituale, ma è davvero brevissimo.
Fellini esprime tutta la sua tristezza. Forse il clown è definitivamente morto, come dice Tristan Rémy?
Da questa riflessione nasce la meravigliosa sequenza del funerale del clown, una delle più toccanti e magiche (e buffe) di Fellini, forse la sua più grande insieme alla sequenza finale di “Otto e mezzo”.
Tutti i clowns sono in pista: tra loro, quasi irriconoscibili, anche attori famosi di cinema e del varietà come Tino Scotti, Riccardo Billi, Fanfulla.
E’ una sequenza molto lunga, che ricorda in modo irresistibile “La classe morta” di Tadeusz Kantor (chi c’era capirà: è uno spettacolo teatrale nato una decina d’anni dopo il film di Fellini).
“E’ morto Fischietto!” dice uno dei clowns, e da qui parte tutto.
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