mercoledì 30 giugno 2010

Wenders, Fattori, Segantini

DER SCHARLACHROTE BUCHSTABE (La lettera scarlatta, 1972) Regia di Wim Wenders. Sceneggiatura: Wim Wenders e Bernardo Fernandez, dal romanzo omonimo di Nathaniel Hawthorne. Fotografia: Robert Müller. Montaggio: Peter Przygodda. Musica: Jürgen Knieper. Interpreti: Senta Berger, Hans Christian Blech, Lou Castel, Yelene Samarina, Yella Rottländer, Rüdiger Vogler. produzione: P 1 im Filmverlag der Autoren (Monaco), WDR (Colonia) e Elias Querejeta PC (Madrid), direttori della produzione: Peter Genée e Primitivo Alvaro-35 mm., C., 90 min.
Giovanni Fattori (Livorno 1805-Firenze 1908)
Giovanni Segantini (Arco 1858-Schafberg, Canton Grigioni, 1899)


Wenders racconta che questa breve sequenza fu girata quasi per caso, senza sapere se poi l’avrebbe utilizzata. Ma poi fu impossibile metterla da parte, anche se con il film in sè c’entrava o poco o niente: siamo in Galizia, nord della Spagna.
Giovanni Fattori dipinge la sua Toscana, mentre Segantini è attivo sia in Italia che in Svizzera.




martedì 29 giugno 2010

Le soulier de satin ( I )

Le soulier de satin (1985) . Regia di Manoel de Oliveira. Testo di Paul Claudel, Adattamento di Manoel de Oliveira. Prodotto da Paulo Branco. Fotografia di Elso Roque. Costumi di Jasmin de Matos. Musiche originali di João Paes, con arrangiamenti e citazioni da “La folie d’Espagne” e dal “Don Carlos di Giuseppe Verdi (arie di Filippo II e della Contessa Eboli). Durata: 410 minuti ( sei ore e cinquanta minuti)
INTERPRETI: Jean-Luc Buquet (Le présentateur) Luís Miguel Cintra (Don Rodrigue), Patricia Barzyk (Dona Prouhèze) Anne Consigny (Marie des Sept-Épées) Anne Gautier (Dona Musique) Bernard Alane (Le vice-roi de Naples) Jean-Pierre Bernard (Don Camille) Marie-Christine Barrault (La lune) Isabelle Weingarten (L'Ange Gardien) Henri Serre (Le premier roi) Jean-Yves Berteloot (Le deuxième roi) Catherine Jarret (La premier actrice) Anny Romand (La deuxième actrice) Bérangère Jean (La bouchère) Franck Oger (Don Pélage) Jean Badin (Don Balthazar) Denise Gence (Le chemin de Saint-Jacques) Maria Barroso (La voix des saints) Odette Barrois (Dona Honoria) Madeleine Marion (La religieuse) Roland Monod (Le frère Léon) Rosette (La Camériste) Manuela de Freitas (Dona Isabel) Yann Roussel (Le Chinois) Claude Merlin (Diégo Rodriguez) Yves Llobregat (L'Irrépressible) Jean-Luc Porraz (Don Gil) Pascal Jouan (L'archéologue) Marthe Moudiki-Moreau (La Négresse Jabarbara) Francis Frappat (Mangiacavallo) Takashi Kawahara (Le Japonais Daibutsu) Paulo Rocha (Premier prêtre) Jorge Silva Melo (Deuxième prêtre) Diogo Dória (Almagro) Jacques Le Carpentier (Don Ramire) Catherine Georges (La Logeuse) Pierre Decazes (Don Léopol August) Patrick Osmond (Don Fernand) Didier Lesour (Le secrétaire) Bernard Métreaux (Le capitaine) Christophe Allwright (Un seigneur) Frédéric Youx (Un seigneur) Filipe Ferrer (Le chapelain) Daniel Briquet, Luís Lucas , Fernando Oliveira , Melim Teixeira (Banderantes), Jasmim de Matos (Le tailleur de Cadix) Alain Ganas, Paul Pavel, Dominique Ratonnat, João Botelho (Seigneurs chez le tailleur) Jean Dolande (Le sergent napolitain) Bernard Ristroph (L'annoncier) Olivier Achard (L'Alférès) Michel Caccia (Envoyé du Roi) Patrick Valverde (Capitaine de Diégo Rodriguez) Michel Roubaix (Don Alcindas) Olivier Rabourdin (Un pêcheur) Stéphane May (Bogotillos) Olivier Dayan (Alcochette) Carlos Wallenstein (Professeur Hinnulus) Jacques Parsi (Professeur Bidince) Jean-Claude Broche (Un soldat) Rémy Darcy (Le Chambellan) Raymond Meunier, Bernard Montini, Claude-Bernard Perot, Christian Kursner , Christian Baltauss , Bernard Tixier , José Capela , José Manuel Mendes , Pedro Queiroz (Ministres) Duarte de Almeida , Jean-Pierre Tailhade, Alexandre de Sousa (Courtisans) Rogério Vieira, Antonio Caldeira Pires , Marques D'Arede (Soldats) Manuel Cintra , José Wallenstein , Nuno Carinhas (Sentinelles) Virgílio Castelo, Alexandre Melo, Rogério Samora (Officiers) Miguel Azguime (Tambour)

« Ascoltate bene, non tossite, e cercate di capire un po’. Ciò che non capite è il più bello. Ciò che è più lungo è il più interessante, e ciò che non troverete divertente è il più arguto.»
(da Le soulier de satin, regia di Manoel de Oliveira, tratto da Paul Claudel)
Non so niente di Paul Claudel. Avevo cercato di leggermi qualcosa di suo dopo aver visto il film, ma senza grandi risultati: anzi, a dire il vero, ho abbandonato subito la lettura di “La scarpina di raso” e da allora non l’ho più ripreso in mano. Perché la magia di questo film non sta tanto nel soggetto (la scoperta dell’America, l’esplorazione dell’Africa, il Portogallo tra il ‘500 e il ‘600, l’Invincibile Armada, la storia di Don Sebastiano e la conquista del Brasile raccontate attraverso la vicenda dei due amanti che non s’incontrano mai), ma sta nella magia del Teatro.
E’ dal Teatro che parte Manoel de Oliveira, dall’atrio, in maniera buffa: c’è un attore che funge da Prologo, avanza verso di noi, ci dice qualche parola, fa suonare le trombe fuori scena; e subito dopo le porte della platea si aprono e gli spettatori entrano in sala. E’ una scena realizzata in un modo semplice e perfetto, molto divertita ma serissima, che dà grande emozione a chi sa cos’è il Teatro, anche solo da spettatore.

Subito dopo, la narrazione comincia; e, come nell’Enrico V di Laurence Olivier, è un continuo passare dal palcoscenico al film, senza soluzione di continuità, quasi in maniera magica: in mare, su una zattera alla deriva, un uomo che forse è un gesuita. E’ legato, ha le vesti stracciate: qualcuno lo ha abbandonato così; prega e declama il suo monologo confidando nella salvezza: siamo ancora nel teatro, ma noi lo vediamo proiettato su uno schermo collocato sul palcoscenico. Ed è solo un istante, perché con grande perizia Oliveira ci porta subito nel mare, naufraghi anche noi su quella stessa zattera, rapiti dalla magia del teatro. Così accadeva anche con gli spettacoli di Strehler (“La tempesta” di Shakespeare), così accade da millenni con tutti i grandi narratori.
Poi la storia comincia a snodarsi, e si arriva dopo un’ora e mezza (volate via nell’incanto) a trovarsi di fronte un buffo personaggio, che viene verso di noi arrivando dalle quinte; con lui c’è un suonatore di tamburo. Ecco quello che dice.
« Teatro! cinema, teatro, cinema...Teatro! cinema, teatro, cinema... E’ la stessa cosa! (pausa; si guarda in giro; sorride verso di noi) Avrei dovuto aspettare, ma non potevo più ammuffire in questo camerino: non sono fatto per essere tenuto fermo così facilmente, sfuggo come il gas, e come il gas scoppio in mezzo alla commedia! (breve pausa)

Attenti, ci siamo: volo via sul mio cavallino magico! (esegue una breve danza sotto gli occhi sorpresi del Tamburo; poi torna in primo piano e guarda verso di noi) Ora siamo nella Sierra Quella-che-vi-pare, in mezzo a una delle famose foreste della Catalogna. (appare un fondale alle sue spalle; si volta) Un picco: il castello di don Rodrigo è lassù. (pausa; sguardo in macchina) E’ molto malandato, la ferita lo solletica. Credo che stia per crepare. Mi sbaglio! Guarirà, altrimenti la commedia sarebbe finita. (piccola pausa) Vi presento la madre di don Rodrigo. (La donna che la interpreta avanza dalle quinte, il nostro piccolo personaggio si spazientisce) « Restate dove siete! Aspettate che io vi venga a cercare, perdinci! Chi vi ha detto di venire? Uscite subito!»
La donna torna nelle quinte, l’attore fa una smorfia di disappunto, poi continua.

« La madre di don Rodrigo, donna Qualche-cosa. (riprendendo il filo) Onoria, vi va? (sorride sornione) Ma perché è entrata...stavo per farvi il suo ritratto. E’ seccante quello che mi succede: è per questo che non sono pittore; i miei personaggi esistevano un tratto prima che io aprissi loro gli occhi! Guardate: adesso disegno donna Onoria.» (Approfitta del giubbotto di pelle di uno scenografo pittore e finge di disegnare un volto sulla sua schiena.) «Non avrò finito di farle gli orecchini che comincerà a farmi le boccacce, e si staccherà dalla schiena dell’assistente, come Margherita dal cranio di Giove. (pausa) Quando faccio un cane, non gli ho ancora finito il didietro che già comincia a muovere la coda e scappa via senza aspettare la testa. Infine: la vedrete voi stessi tra poco.»Un gesto, e le luci cambiano.

«Ora non è più il sole del mattino: è tardi, c’è il chiaro di luna. (ai macchinisti) Attenti lì sopra, fate scendere i soffietti! I proiettori del proscenio, lato giardino! (si volge ancora a noi) Vi chiedo il permesso di condurvi “Donna Prodezza” (pausa perplessa) Che nome! Le dà un’aria inverosimile. (piccola pausa) Donna Prodezza indossa il costume che le vedete da qualche giorno; le ore durano e i giorni sono fatti sparire; temo che i nervi di Madama si siano spezzati. Non che abbia la mente proprio alterata, ma ha subito un colpo. Si è “fissata”, le sue idee non si muovono più. L’ha visto il suo innamorato? Nient’affatto. Rodrigo è con sua madre, che lo cura. Li cura tutti e due! Divisi da spessi muri percorrono invano, per tentare di raggiungersi, le scale del delirio. (pausa) Vado a cercarli. (va nelle quinte; torna tenendo per mano la protagonista). Parlate, donna Prodezza. (incontro di donna Prodezza con la madre; poi l’omino torna a parlare guardando verso di noi)

« L’ora della prova è vicina. Basta che vi innalzi davanti una finestra, ed ecco la Spagna; la notte luminosa; a destra le pale d’un mulino (...) Tutto è a posto.»
L’omino si allontana e non lo vedremo più; l’azione prosegue. Tutto scorre via magnificamente, il gioco della finzione e del teatro nel teatro (o del teatro nel cinema, o viceversa) è un grande piacere; i versi declamati da donna Prodezza invocando Rodrigo sono autentica musica (ascoltare per credere!), e sembra di essere in Corneille, L’illusion comique.

Per chi non fosse mai stato a teatro (ma il Teatro vero, quello magico di Giorgio Strehler e di Peter Brook, non quello dei microfonini e dei figli di papà) basterà aprire il libro con il “Sogno di una notte di mezza estate” e cercare i momenti in cui appaiono gli Attori, e quel che dicono: il Teatro nel ‘500 e nel ‘600 era proprio così, c’erano magari grandi magie scenografiche (già Leonardo inventava macchine teatrali e scenografie) ma gran parte della magia era affidata a noi, agli spettatori e ascoltatori; e qui veniva in primo piano la bravura degli attori e dei narratori. Nel teatro Globe di Shakespeare, a Londra, le scenografie erano quasi assenti: un cartello indicava una foresta, ed erano gli spettatori a doverla vedere; ma bastava e avanzava, quando gli attori erano Attori e il Pubblico aveva l’immaginazione e l’attenzione, e la voglia di stare al gioco.

Le soulier de satin ( II )

Le soulier de satin (La scarpina di raso, 1985) . Regia di Manoel de Oliveira. Testo di Paul Claudel, Adattamento di Manoel de Oliveira. Prodotto da Paulo Branco. Fotografia di Elso Roque. Costumi di Jasmin de Matos. Musiche originali di João Paes, con arrangiamenti e citazioni da “La folie d’Espagne” e dal “Don Carlos di Giuseppe Verdi (arie di Filippo II e della Contessa Eboli). Durata: 410 minuti ( sei ore e cinquanta minuti)
INTERPRETI: Jean-Luc Buquet (Le présentateur) Luís Miguel Cintra (Don Rodrigue), Patricia Barzyk (Dona Prouhèze) Anne Consigny (Marie des Sept-Épées) Anne Gautier (Dona Musique) Bernard Alane (Le vice-roi de Naples) Jean-Pierre Bernard (Don Camille) Marie-Christine Barrault (La lune) Isabelle Weingarten (L'Ange Gardien) Henri Serre (Le premier roi) Jean-Yves Berteloot (Le deuxième roi) Catherine Jarret (La premier actrice) Anny Romand (La deuxième actrice) Bérangère Jean (La bouchère) Franck Oger (Don Pélage) Jean Badin (Don Balthazar) Denise Gence (Le chemin de Saint-Jacques) Maria Barroso (La voix des saints) Odette Barrois (Dona Honoria) Madeleine Marion (La religieuse) Roland Monod (Le frère Léon) Rosette (La Camériste) Manuela de Freitas (Dona Isabel) Yann Roussel (Le Chinois) Claude Merlin (Diégo Rodriguez) Yves Llobregat (L'Irrépressible) Jean-Luc Porraz (Don Gil) Pascal Jouan (L'archéologue) Marthe Moudiki-Moreau (La Négresse Jabarbara) Francis Frappat (Mangiacavallo) Takashi Kawahara (Le Japonais Daibutsu) Paulo Rocha (Premier prêtre) Jorge Silva Melo (Deuxième prêtre) Diogo Dória (Almagro) Jacques Le Carpentier (Don Ramire) Catherine Georges (La Logeuse) Pierre Decazes (Don Léopol August) Patrick Osmond (Don Fernand) Didier Lesour (Le secrétaire) Bernard Métreaux (Le capitaine) Christophe Allwright (Un seigneur) Frédéric Youx (Un seigneur) Filipe Ferrer (Le chapelain) Daniel Briquet, Luís Lucas , Fernando Oliveira , Melim Teixeira (Banderantes), Jasmim de Matos (Le tailleur de Cadix) Alain Ganas, Paul Pavel, Dominique Ratonnat, João Botelho (Seigneurs chez le tailleur) Jean Dolande (Le sergent napolitain) Bernard Ristroph (L'annoncier) Olivier Achard (L'Alférès) Michel Caccia (Envoyé du Roi) Patrick Valverde (Capitaine de Diégo Rodriguez) Michel Roubaix (Don Alcindas) Olivier Rabourdin (Un pêcheur) Stéphane May (Bogotillos) Olivier Dayan (Alcochette) Carlos Wallenstein (Professeur Hinnulus) Jacques Parsi (Professeur Bidince) Jean-Claude Broche (Un soldat) Rémy Darcy (Le Chambellan) Raymond Meunier, Bernard Montini, Claude-Bernard Perot, Christian Kursner , Christian Baltauss , Bernard Tixier , José Capela , José Manuel Mendes , Pedro Queiroz (Ministres) Duarte de Almeida , Jean-Pierre Tailhade, Alexandre de Sousa (Courtisans) Rogério Vieira, Antonio Caldeira Pires , Marques D'Arede (Soldats) Manuel Cintra , José Wallenstein , Nuno Carinhas (Sentinelles) Virgílio Castelo, Alexandre Melo, Rogério Samora (Officiers) Miguel Azguime (Tambour)

“Le soulier de satin” è un film molto lungo, in costume, con lunghi monologhi, che richiede pazienza anche perché la storia del Portogallo (le grandi scoperte, l’epopea dell’America e dell’Africa, il re don Sebastiano, i Lusiadi di Camoes) è magnifica ma non è che in Italia la si conosca poi tanto. Ma io con questo film, trasmesso tanti anni da Raitre, ho imparato chi era Oliveira, e da allora non mi sono più perso un suo film; o almeno, ho cercato di farlo perché questo benedett’uomo ha passato i cent’anni e continua implacabile a fare un film all’anno. Manoel de Oliveira copre tutto il percorso del cinema: inizia poco dopo la Grande Guerra, ed è ancora qui con noi. E davanti a prodigi, ad apparizioni meravigliose e rarissime come questo film, io mi metto in ascolto, mi preparo come se fossi in teatro, non tossisco, e so già che ciò che non capisco è il più interessante, e che quello che mi sembra una perdita di tempo in realtà non lo è mai, quando ho a che fare con Manoel de Oliveira o con un altro dei grandi maestri del presente o del passato.

Il titolo si spiega così: la protagonista consegna ad una statua della Madonna la sua scarpina di raso, chiedendole protezione. Queste sono le parole che le fa dire Paul Claudel, e che Oliveira riporta fedelmente: «... Allora, mentre è ancora tempo, tenendo il mio cuore in una mano e la mia scarpina nell'altra, mi rimetto a Voi! Vergine madre, vi do la mia scarpina! Vergine madre custodite nella vostra mano il mio sventurato piede! Vi prevengo che quanto prima non vi vedrò più e che sto per fare tutto contro di voi! Ma quando tenterò di lanciarmi verso il male, sia con un piede zoppo! e quando vorrò sorvolare la barriera che avete posta, sia con un'ala tarpata! »
Questa giovane donna è sposata ad un uomo più anziano di lei, che non ama ma che rispetta molto; il suo vero innamorato è in giro per il mondo (il mondo nuovo, appena scoperto o ancora da scoprire) e i due non si incontreranno più, se non nel momento topico del dramma, la grande scena in cui si è chiamati a scegliere e a decidere.

So pochissimo di Paul Claudel, e forse non ne avrei nemmeno memorizzato il nome se non avessi incontrato il film di Manoel de Oliveira. Mi sono informato e ho scoperto che è uno scrittore cattolico francese, e che il messaggio che ci ha voluto lasciare con la sua opera (molto vasta) è simile a quello di Alessandro Manzoni: l’opera della Provvidenza nella nostra vita, e i suoi percorsi.
Cercando informazioni su internet ho scoperto che “La scarpina di raso” fa parte di una trilogia con cui Claudel “inizia l'indagine per comprendere i mezzi misteriosi di cui si serve Dio per ricondurre tutte le cose ai suoi disegni”.


Confesso subito qui, che nonostante il film mi sia piaciuto moltissimo, il mio interesse personale per Claudel è sempre stato scarso. Insomma, non so dire molto di più di quando incontrai questi personaggi per la prima volta; ma nel film ci sono cose sorprendenti, che non ci si aspetterebbe di incontrare data l’impostazione iniziale. Incontriamo il Portogallo e l’Africa, Mogador, le Americhe, Praga, la Sicilia, il Giappone; tra i personaggi ci sono un giapponese e un cinese, la Luna, l’Oceano, e un’africana bellissima, nuda e ammaliante, nera come la notte, dalla pelle rilucente alla luce lunare.
Il film me lo lascio scorrere davanti, la storia in sè non mi dice molto ma i versi sono come musica, la recitazione è superlativa, l’allestimento meravigliosamente bello, sembra di essere in teatro e mi lascio cullare dalle voci e dai volti. Una volta accertato il mio disinteresse per Claudel (per il quale mi scuso con gli eventuali appassionati di questo autore, lo confesso come mia colpa), ho ascoltato tutto ma non ho mai avuto voglia di cercarne altro, quindi non so dire quanto l’allestimento sia fedele al testo e quanto vi sia d’invenzione di Oliveira; il risultato è comunque grande e meraviglioso, diverso da qualsiasi altra cosa, ed estremamente raro da vedere. Oliveira è davvero riuscito nell’impresa di fondere insieme cinema e teatro, impresa dove hanno fallito tantissimi altri (quasi tutti).

Metto qui di seguito, anche per scusarmi, qualche nota informativa su Paul Claudel, presa da wikipedia e da altre fonti in rete:
« Paul Claudel (Villeneuve-sur-Fère, 6 agosto 1868 - Parigi, 23 febbraio 1955) è stato un poeta, drammaturgo e diplomatico francese; una delle sue sorelle è la scultrice Camille Claudel. Durante la sua giovinezza a Parigi perde la fede ed entra in contatto con il positivismo imperante nella società dell'epoca, che però rifiuta decisamente preferendo il movimento anarchico. Contemporaneamente si interessa alla letteratura privilegiando, fra gli altri, Shakespeare, Dante, Dostoevskij, e tra i contemporanei Zola, Hugo e Ernest Renan. Conosce Mallarmé e partecipa ai suoi martedì, incontrando anche Verlaine e rimanendo affascinato dalla lettura di Rimbaud, cui rimarrà sempre legato. Durante questo periodo vive un travaglio interiore che lo porta alla conversione al cattolicesimo nel 1886. Tale avvenimento, secondo il racconto dello stesso Claudel, avviene a Notre-Dame de Paris, ascoltando il Magnificat durante la Messa di Natale. La sua vena artistica, pur se molto discontinua, si sviluppa da questo momento in poi con temi profondamente cristiani.

Quanto alla vita professionale, dopo aver svolto studi nel campo del diritto, lavora per il Ministero degli Esteri e intraprende la carriera diplomatica. Nel 1893 è console negli Stati Uniti, suo primo incarico all'estero. Da allora soggiorna in moltissimi paesi: Cina e Giappone (paesi dai quali rimane profondamente colpito), Germania, Italia, Brasile. Ritorna ancora una volta negli Stati Uniti nel 1927, come ambasciatore. L'ultimo suo incarico è a Bruxelles. Nel 1935 si congeda dal lavoro. La sua movimentata carriera non gli impedisce di avere una famiglia: nel 1906 sposa con Regina Perrin dalla quale ha molti figli. Una sua nipote, Dominique, fu fidanzata di Vittorio Emanuele di Savoia.
Nell'arco della sua vita si occupa di molti campi del sapere, pubblicando scritti anche di politica, scienza, letteratura ed arte. Nel 1946 viene eletto accademico di Francia. Muore nel 1955, all'apice del successo, a causa di una crisi cardiaca. Il suo epitaffio, scritto da lui stesso, recita semplicemente "Qui riposano i resti e la semenza di Paul Claudel".
Scrisse varie opere poetiche e teatrali, ma il lavoro cui dedicò tutta la vita fu “L'annuncio a Maria”, un dramma di cui presentò innumerevoli stesure fra il 1892 e il 1948. La vicenda è quella della giovane Violaine, della sua famiglia e dei suoi affetti, a partire dal momento in cui il padre Anna Vercors parte in pellegrinaggio per la Terra Santa. L'opera tratta in modo molto profondo di amore, di fede, e del ruolo delle vicende umane in rapporto alla totalità di ciò che esiste.
Negli anni della prima guerra mondiale le sue raccolte poetiche intitolate “Poèmes de guerre” e “Corona benignitatis Anni Dei” precisarono in modo chiaro la chiave espressiva di Claudel, ossia il versetto equidistante sia dalle libertà del verso libero sia dalle regole classiche, ma che seguiva il ritmo e gli elementi psicologici. Della sua numerosa produzione artistica, vanno citati inoltre anche “La scarpina di raso” (1925) per la drammaturgia e “Cinque grandi odi” (1901-1905) per la poesia.

Se le sue liriche sono state anche criticate per l'oscurità simbolista, per la sicurezza dogmatica religiosa, la sua opera, complessivamente resta pur sempre suggestiva. Il suo lavoro viene focalizzato intorno a due punti di riferimento ben precisi: Dio e l'uomo peccatore o santo. Con uno stile talvolta sfiorante l'oratoria, Claudel approfondisce il rapporto tra il divino ed il mondo arrivando alla conclusione di un necessario atto di accettazione e di rispetto nei confronti di Dio.»

Ma di tutto questo mi è difficile trovare traccia nel film di Manoel de Oliveira, e la mia impressione è che si possa parlarne come di opera del tutto autonoma; anche se, al di là della bellezza delle immagini e della bravura degli attori, la magia e la musica dei versi francesi rimangono nelle orecchie e nella mente per molto tempo, e questo penso che sia tutto merito di Paul Claudel.

lunedì 28 giugno 2010

Le soulier de satin ( III )

 Le soulier de satin (La scarpina di raso, 1985) . Regia di Manoel de Oliveira. Testo di Paul Claudel, Adattamento di Manoel de Oliveira. Prodotto da Paulo Branco. Fotografia di Elso Roque. Costumi di Jasmin de Matos. Musiche originali di João Paes, con arrangiamenti e citazioni da “La folie d’Espagne” e dal “Don Carlos di Giuseppe Verdi (arie di Filippo II e della Contessa Eboli). Durata: 410 minuti ( sei ore e cinquanta minuti)
INTERPRETI: Jean-Luc Buquet (Le présentateur) Luís Miguel Cintra (Don Rodrigue), Patricia Barzyk (Dona Prouhèze) Anne Consigny (Marie des Sept-Épées) Anne Gautier (Dona Musique) Bernard Alane (Le vice-roi de Naples) Jean-Pierre Bernard (Don Camille) Marie-Christine Barrault (La lune) Isabelle Weingarten (L'Ange Gardien) Henri Serre (Le premier roi) Jean-Yves Berteloot (Le deuxième roi) Catherine Jarret (La premier actrice) Anny Romand (La deuxième actrice) Bérangère Jean (La bouchère) Franck Oger (Don Pélage) Jean Badin (Don Balthazar) Denise Gence (Le chemin de Saint-Jacques) Maria Barroso (La voix des saints) Odette Barrois (Dona Honoria) Madeleine Marion (La religieuse) Roland Monod (Le frère Léon) Rosette (La Camériste) Manuela de Freitas (Dona Isabel) Yann Roussel (Le Chinois) Claude Merlin (Diégo Rodriguez) Yves Llobregat (L'Irrépressible) Jean-Luc Porraz (Don Gil) Pascal Jouan (L'archéologue) Marthe Moudiki-Moreau (La Négresse Jabarbara) Francis Frappat (Mangiacavallo) Takashi Kawahara (Le Japonais Daibutsu) Paulo Rocha (Premier prêtre) Jorge Silva Melo (Deuxième prêtre) Diogo Dória (Almagro) Jacques Le Carpentier (Don Ramire) Catherine Georges (La Logeuse) Pierre Decazes (Don Léopol August) Patrick Osmond (Don Fernand) Didier Lesour (Le secrétaire) Bernard Métreaux (Le capitaine) Christophe Allwright (Un seigneur) Frédéric Youx (Un seigneur) Filipe Ferrer (Le chapelain) Daniel Briquet, Luís Lucas , Fernando Oliveira , Melim Teixeira (Banderantes), Jasmim de Matos (Le tailleur de Cadix) Alain Ganas, Paul Pavel, Dominique Ratonnat, João Botelho (Seigneurs chez le tailleur) Jean Dolande (Le sergent napolitain) Bernard Ristroph (L'annoncier) Olivier Achard (L'Alférès) Michel Caccia (Envoyé du Roi) Patrick Valverde (Capitaine de Diégo Rodriguez) Michel Roubaix (Don Alcindas) Olivier Rabourdin (Un pêcheur) Stéphane May (Bogotillos) Olivier Dayan (Alcochette) Carlos Wallenstein (Professeur Hinnulus) Jacques Parsi (Professeur Bidince) Jean-Claude Broche (Un soldat) Rémy Darcy (Le Chambellan) Raymond Meunier, Bernard Montini, Claude-Bernard Perot, Christian Kursner , Christian Baltauss , Bernard Tixier , José Capela , José Manuel Mendes , Pedro Queiroz (Ministres) Duarte de Almeida , Jean-Pierre Tailhade, Alexandre de Sousa (Courtisans) Rogério Vieira, Antonio Caldeira Pires , Marques D'Arede (Soldats) Manuel Cintra , José Wallenstein , Nuno Carinhas (Sentinelles) Virgílio Castelo, Alexandre Melo, Rogério Samora (Officiers) Miguel Azguime (Tambour)


- Non era un paradiso là dove l’avevo messa?
- Il paradiso non è per i peccatori.

“Le soulier de satin”, un film del 1985 di Manoel de Oliveira tratto da Paul Claudel, continua a piacermi moltissimo nonostante il suo soggetto, che (devo essere sincero) non ho mai capito fino in fondo; e molto spesso mi trovo a chiedermi chi sono i personaggi, nel senso che proprio non li riconosco e spesso non so nemmeno dire se sono personaggi nuovi (ce ne sono moltissimi) oppure se è qualcuno che ho già visto prima. Truccato con barba e baffi, in costume cinquecentesco, faccio fatica a riconoscere perfino Luis Miguel Cintra, un attore che ammiro moltissimo. Comunque vado avanti, meglio che posso: il film ha grandissimo fascino e anche nel testo ci sono molte cose belle.
In questo momento, l’omino con la camicia bianca e con la faccia da Pulcinella che avevamo visto saltar fuori dalle quinte e presentarci i personaggi sta per finire il suo compito: su un accenno della Sonata “chiaro di luna” di Beethoven, prende Donna Prodezza per mano e la porta via, fuori scena, lasciando sua madre e suo marito (un marito molto più anziano di lei) davanti alla finestra con il mulino, piccolo miracolo di scenografia teatrale.


Il frammento di dialogo che ho riportato sopra avviene quindi tra la madre e il marito di Prodezza, davanti al mulino; la suocera chiede al genero suo coetaneo perché mai l’abbia sposata, e il genero risponde che la ama sinceramente, anche se sa di non essere corrisposto; e che conosce bene la storia del suo amore per Rodrigo. Nella scena seguente, il marito manderà Donna Prodezza a presidiare la Fortezza di Mogador, in Marocco, sulle sponde dell’Oceano, dove Rodrigo è al largo, su una nave militare.
Di seguito, vediamo il giovane vicerè di Napoli (se ho capito bene di chi si tratta) che confessa alla sua corte (tutti giovani come lui) che vuole conquistare Donna Musica, l’amica di Donna Prodezza (Claudel usa dei nomi veramente strani). L’arrivo del cappellano sposta il discorso sull’arte e sul suo uso nel campo religioso; il giovane nobile fa un elogio tra il serio e l’ironico di Rubens, suo contemporaneo: « Chi meglio Rubens ha glorificato la carne e il sangue di cui Dio ci ha rivestito per la nostra redenzione?» E aggiunge che Rubens manterrà la Fiandra non tanto al Re di Spagna quanto al Cattolicesimo, perché “il bello è cattolico”. Rubens è infatti passato alla storia, oltre che per la bellezza dei suoi dipinti (ha lavorato molto anche in Italia) per la bellezza delle donne da lui dipinte, quasi sempre nude e decisamente prosperose.
Questa scena è un piccolo trattato di storia dell’Arte, molto ben fatta; vi si parla anche del “nuovo Duomo di san Pietro” che sta per essere ultimato, e dell’ormai prossimo Concilio di Trento.


Nella scena successiva, “Il cammino di Santiago” , sono rimasto incantato dalla rappresentazione che ne fa Oliveira: una donna a rappresentare la Via Lattea, e dietro di lei il Santo, che la avvolge nel suo mantello. Dal mantello avvolto, alla fine, nascono fiamme. La donna fa un discorso oscuro e complesso, del quale mi sono segnato due sole frasi: “quando la terra serve solo a dividervi... nel cielo ritroverete le vostre radici!”. Il cammino di Santiago è la strada verso il santuario di Santiago di Compostela, una strada che ancora oggi molti pellegrini percorrono a piedi per andare a venerare le reliquie di San Giacomo.


Di seguito, siamo nell’Escurial, con il marito di Donna Prodezza a spiegare le ragioni per cui ha mandato sua moglie (una donna!) a presidiare la Fortezza di Mogador.


E qui ci trasferiamo in mezzo al mare, su una nave Al largo di Mogador. Mogador si chiama oggi Essaouira: siamo in Marocco, un’antica città berbera sulle coste dell’Oceano che fu così ribattezzata da spagnoli e portoghesi. I due personaggi che vediamo sulla nave trovano un frammento di nave naufragata, “mio fratello gesuita era su questa nave”, commentano, prima di gettare in mare quello che resta del legno, un frammento dal quale si può risalire al nome della nave naufragata.
Questa scena incomincia con un dialogo che mi è piaciuto molto, e che quindi trascrivo. L’argomento è la navigazione, l’arte del navigare a vela.
- Sarebbe meglio guidare un carro trainato da vacche senza ferri, o spingere un branco d’asini nelle frane di una montagna, piuttosto che trovarsi a bordo di questo bigoncio sbilenco, e aver bisogno dei punti cardinali per superare la propria ombra! Meglio sarebbe anche il fare dieci leghe al giorno e a piedi, piuttosto che procedere a zig zag a forza di stratagemmi (...) aspettando il risveglio di un angelo assopito (il vento).
- Mio signore, si vede che voi non siete marinaio. Il piacere per noi non è di filare via diritti stupidamente, come fanno anche le bestie, ma di lottare contro i venti avversi (...) finché ci portino, loro malgrado, là dove noi vogliamo. E’ per questo che Ulisse fu detto il più astuto degli uomini.
- E’ forse astuto offrire prima un fianco e poi l’altro per buscare un molle fiato che ci fa coprire uno spazio irrisorio? E, ogni notte, babordo, tribordo...

(continua)

sabato 26 giugno 2010

Psycho / The birds

Psycho (1960). Regia di Alfred Hitchcock. Sceneggiatura di Joseph Stefano, da un romanzo di Robert Bloch. Fotografia di John L. Russell. Musica di Bernard Herrmann. Girato in Arizona e in California. Interpreti: Anthony Perkins, Janet Leigh, Vera Miles, John Gavin, Martin Balsam, John McIntire, Simon Oakland, Patricia Hitchcock, Frank Albertson. Durata: 109 minuti.
The Birds (Gli uccelli, 1963). Regia di Alfred Hitchcock. Sceneggiatura di Evan Hunter, da un romanzo di Daphne du Maurier. Fotografia di Robert Burks. Consulente per il sonoro: Bernard Herrmann. Suoni elettronici di Remi Gassman e Oskar Sala. Girato in California, a Bodega Bay e a San Francisco. Interpreti: Rod Taylor, Tippi Hedren, Jessica Tandy, Suzanne Pleshette, Veronica Cartwright, Ethel Griffies, Charles McGraw, Ruth McDevitt. Durata: 120 minuti.

«Quasi tutti film di Hitchcock mi hanno mandato in estasi tranne “Gli uccelli”, che pone un problema al quale un etnologo non può non essere sensibile: i rapporti tra natura e cultura. Ora, mi sembra che Hitchcock in “Gli uccelli” abbia commesso un errore molto grave: gli uccelli, che rappresentano la natura, vengono presentati unicamente sotto l'angolazione visiva, cioè, tra tutti i sensi, quello più intellettuale, più socializzato, quello che sta già sul versante della cultura. Fare un film basato sui rapporti tra uccelli e uomini nel quale non ci siano sterco e puzza, quando tutto il problema dei rapporti tra uomini e uccelli consiste in questo: avremmo dovuto vedere la gente invischiata nella sporcizia. Ed è un errore che compromette l'impresa».
- Ma il lato “operistico” degli Uccelli... perché si esprimono, “cantano”...
«Non sono neppure eloquenti, rispetto agli uccelli reali, per qualcuno che abbia esperienza di questi animali. Io conosco gli uccelli, ne ho avuti, ho allevato alcuni pappagalli in questo stesso studio... I rapporti che si stabiliscono tra gli uomini e gli uccelli sono infinitamente più conturbanti, più ambigui, anche, di quanto non si mostri nel film. Per la sua costituzione anatomica, l'uccello è molto lontano da noi; non appartiene a una famiglia animale con la quale si stabilisce facilmente una comunicazione; tale comunicazione risulta angosciante, proprio perché riesce quasi a superare gli ostacoli fisici che ci separano. Questo, inoltre, fa dell'uccello un animale straordinariamente minaccioso, misterioso, attraente e ripugnante al tempo stesso. E’ quello che si può comprendere, insieme, meno e meglio. Ma gli animali del film sono uccelli impagliati, asettici, animati da
un movimento meccanico, senza alcun significato».
- Quegli uccelli sono, forse, il veicolo di un'allegoria?
«Che però perde la propria portata, perché resta visiva e ideologica. Detto questo, ho visto la maggior parte degli altri film di Hitchcock con enorme piacere: "Vertigo -La donna che visse due volte" è stupendo».
Claude Levi-Strauss, da un’intervista del 1964 a Jacques Rivette ripresa da Repubblica 21.9.2006
Questo giudizio del grande etnologo e antropologo francese (famosissimo il suo “Tristi tropici”) mi ha divertito molto la prima volta che l’ho letto, e mi ha trovato molto d’accordo. Lo so che è un discorso che non è bello da fare, ma tanti anni fa avevo dei canarini in gabbia ed è incredibile quanto “sporchino” degli animali così piccoli. La stessa cosa accade con le galline, con i piccioni, e non oso pensare agli struzzi; e tutto questo accade non per una natura dispettosa degli uccelli, ma a causa della particolare conformazione del loro intestino. Questi aspetti ai quali accennava Levi-Strauss sono invece ben presenti e ben sottolineati in un film di Robert Altman dei primi anni ’70, che in italiano ricevette il titolo “Anche gli uccelli uccidono” (ne ho già parlato su questo blog, per chi volesse leggerlo il mio post è qui in archivio). Per quanto riguarda questo aspetto, e soprattutto per quanto riguarda il comportamento dei gabbiani, dei corvi e degli uccelli a loro simili (quelli che vediamo in “Birds” di Hitchcock) , il rimando d’obbligo è invece a uno dei libri più belli che siano mai stati pubblicati, “L’anello di Re Salomone” di Konrad Lorenz.
Ma non è una questione di etologia che non mi fa apprezzare “The Birds” di Alfred Hitchcock, quanto una ragione puramente estetica e cinematografica: il particolare sottolineato da Levi-Strauss è rivelatore, perché questo è un film finto, gli uccelli sono quasi tutti pupazzi, e i trucchi con gli uccelli veri erano già grossolani se visti a metà anni ’60 (quando io vidi “The Birds” per la prima volta); inoltre, gli attori vi appaiono quasi tutti legnosi e poco espressivi, soprattutto il protagonista maschile Rod Taylor, che avrebbe potuto benissimo essere sostituito in molte scene (anche lui, come gli uccelli) da un pupazzo; e che è lontanissimo dal fascino dei James Stewart, dei Cary Grant, e di tutti i protagonisti dei film di Hitchcock nel suo periodo inglese, prima di arrivare ad Hollywood.
Insomma, qui siamo di fronte a qualcosa che non va: i meccanismi perfetti di Hitchcock avevano cominciato a scricchiolare, i suoi attori preferiti stavano invecchiando, e già in “Vertigo” (La donna che visse due volte, secondo il titolo italiano) qualcosa cominciava a scricchiolare: e Hitchcock se ne era accorto. Il discorso diventa più chiaro se a “Birds” si accostano i film immediatamente seguenti e precedenti, il celebratissimo “Psycho” e “Marnie”.
“Psycho” è un film senile, opera di un regista che teme di essere tagliato fuori dal suo tempo e che s'inventa qualcosa di nuovo per l'epoca, nel senso di qualcosa che nessuno aveva ancora osato: mostrare il sangue di un assassinio, e una donna nuda sotto la doccia. Lo stesso discorso vale per “Gli uccelli”: non a caso, sono i due film più citati da Dario Argento quando parla di Alfred Hitchcock come suo ispiratore. A guardarli bene, i due film – osannatissimi ancora oggi da critica e pubblico – rispetto a quello che è venuto prima appaiono bruttini: l'epoca d'oro di Hitchcock è passata, e intendo quella che si situa tra gli anni '40 e gli anni '50, con una serie impressionante di capolavori. Qualcosa del talento di Hitchcock per il divertimento, la suspense e i dialoghi c'è ancora, soprattutto in “Psycho”: ma ormai l'incanto si era rotto, e il regista inglese non aveva nemmeno più a disposizione i suoi attori preferiti, Cary Grant e soprattutto James Stewart, ormai un po' troppo anziani per quei ruoli. Girando questi due film, Hitchcock ha grande successo, riprende posizioni e torna ad essere un regista di punta; ma dà anche l'avvio ad una degenerazione qualitativa del film di suspense. Ormai, è impensabile fare un film thriller (un giallo) senza grandi spargimenti di sangue e senza serial killer efferati: la strada è segnata e anche il pubblico deve adeguarsi, lo voglia o no. La stessa cosa succederà, per il cinema horror, con “L'esorcista” di William Friedkin (1973): da allora non si potranno più evitare rantoli, voci roche d'oltretomba, apparizioni mostruose, effetti speciali più o meno di cattivo gusto.
La donna nuda sotto la doccia, e il sangue che scorre, servono quasi sempre (non sempre) a mascherare l’assoluta mancanza di idee. E’ un po’ quello che accade ai comici in teatro: quando hanno paura di non riuscire a far ridere il pubblico, ricorrono alle parolacce, alle allusioni ai personaggi famosi, agli spot pubblicitari che – si suppone – li avranno pur visti tutti. E sono battute e allusioni facili, che magari fanno ridere ma che fanno anche tristezza: costruire uno spettacolo costa una gran fatica, non sempre si ha voglia di farlo, ma se ti metti in disparte non incassi e va a finire che magari ti dimenticano. Triste, ma il mondo dello spettacolo funziona anche così; e non è che con il passaggio dal teatro alla televisione le cose siano cambiate di molto.
Hitchcock è stato un grandissimo regista per più di trent’anni, ma ha sulla coscienza questa degenerazione del gusto cinematografico. Forse era lo spirito dell'epoca, in quei primi anni '60, e se non lo avesse fatto lui lo avrebbe fatto qualcun altro: ma a me dispiace che sia toccato proprio ad un maestro della suspence, ma anche della commedia e dell'eleganza, di iniziare questa strada. Penso che Hitchcock si sia reso conto di tutto questo, al di là del suo entusiasmo più che comprensibile per il gioco del montaggio cinematografico (eloquentissima la sua “dichiarazione d’amore” alla scena della doccia in Psycho, come si può leggere nella famosa intervista a Truffaut).
Lo dico perché i film degli anni ’60, quelli successivi a Byrds e a Marnie, vedono Hitchcock tornare ad atmosfere più simili a quelle dei suoi primi film inglesi; il risultato non è dei migliori, e ci sono ancora molte cose di cattivo gusto, ma Hitchcock certamente non era contento di quello che stava facendo. Mi permetto di dire che si vede, ed è una cosa che fa una grande tristezza.
Rimane comunque il capolavoro di tecnica del montaggio e delle riprese della scena della doccia in “Psycho”: a quei tempi realizzare una sequenza simile era difficilissimo, bisognava usare forbici e nastro adesivo, e tanta pazienza. Ma, ad essere sinceri, Hitchcock è stato bravo ma non si è inventato niente: quarant’anni prima di “Psycho” c’era già stato Sergej Eisenstein, “La corazzata Potiomkin”, con la scena – ben più lunga e complessa - della scalinata di Odessa.
PS: Le immagini vengono da “The films of Alfred Hitchcock” di R.Harris & M.Lasky, The Citadel Press, Seacaucus N.J., anno 1976. L'immagine qui sotto mostra l'assalto degli uccelli ai bambini della scuola: le immagini degli uccelli verranno sovrapposte in seguito.