lunedì 24 gennaio 2011

Il settimo sigillo ( I )

IL SETTIMO SIGILLO (Det sjunde inseglet, 1956). Scritto e diretto da Ingmar Bergman. Fotografia: Gunnar Fischer - Musiche: Erik Nordgren - Scenografia: P.A. Lundgren – Con: Max von Sidow (il cavaliere Antonius Block), Gunnar Björnstrand (lo scudiero Jöns), Nils Poppe (il giullare Jof), Bibi Andersson (Mia, moglie di Jof), Bengt Ekerot (La morte), Ake Fridell (il fabbro Plog), Inga Gill (Lisa), Erik Strandmark (Skat, il capocomico), Bertil Anderberg (Raval), Gunnel Lindblom (la donna muta), Inga Landgré (la moglie di Block), Anders Ek (il monaco), Maud Hansson (la giovane al rogo), Gunnar Olsson (il pittore di chiese), Lars Lind (il giovane monaco), Benkt-Ake Benktsson (l'oste), Gudrun Brost (la donna all'osteria), Ulf Johanson (il capo dei soldati). Durata: 96 minuti

“Il settimo sigillo” è uno dei tre film che più mi hanno impressionato da bambino, e che mi hanno spinto a interessarmi di cinema (gli altri due sono “La strada” di Fellini e “Moby Dick” di John Huston). Si tratta di un film che cattura subito l’attenzione, e che si vuole vedere fino alla fine, senza interruzioni; ma è anche un film molto complesso, che meriterebbe una sosta e un’annotazione ad ogni suo istante. Su “Il settimo sigillo” si è scritto molto, è uno dei film più famosi e più studiati di tutta la storia del cinema; ed è per questo motivo che preferisco iniziare andando a prendere quello che ne dice il suo autore.
Ingmar Bergman, da “Immagini”:
Alla base del Settimo sigillo c'è l'atto unico “Pittura su legno” che fu scritto per la «prima» degli allievi di Malmö. Dovevamo avere qualcosa da recitare per il saggio di primavera. Ero insegnante della scuola ed era difficile trovare delle pièces con parti all'incirca ugualmente importanti. “Pittura su legno” doveva essere una pura esercitazione. Era impostato come una serie di monologhi. Il numero degli allievi determinava il numero delle parti.
In “Pittura su legno” erano presenti, a loro volta, alcuni ricordi infantili. Come ho raccontato in Lanterna magica, a volte seguivo mio padre quando andava a predicare in qualche chiesa di provincia: come tutti quelli che sono stati in chiesa, in qualsiasi epoca, mi sono messo a osservare i dipinti al di sopra dell'altare, il trittico, il crocifisso, le finestre dipinte e gli affreschi. C'erano Gesù e i ladroni feriti e insanguinati; Maria appoggiata a Giovanni - ecco tuo figlio, ecco tua madre. Maria Maddalena, la peccatrice, chi se l'era scopata l'ultima volta?
Il cavaliere gioca a scacchi con la Morte. La Morte sega l'Albero della vita, un poveretto terrorizzato è seduto su in cima e si torce le mani. La Morte conduce la danza verso la Terra Oscura, tiene la falce come una bandiera, tutti quanti ballano formando una lunga fila e dietro a tutti viene il giullare. I diavoli badano a che proceda bene la cottura, i peccatori precipitano a capofitto nelle fiamme, Adamo ed Eva hanno scoperto la propria nudità. L'occhio di Dio sbircia da dietro l'albero proibito.
Alcune chiese sono come acquari, non c'è uno spazio libero, dappertutto un rigoglio di uomini, santi, profeti, angeli, diavoli e dèmoni. Questa e l'altra vita coprono muri e volte. Realtà e immaginazione hanno costituito una solida lega: peccatore, guarda la tua opera, guarda quel che t'aspetta dietro l'angolo, guarda l'ombra alle tue spalle! (...)
Ma alla fine “Pittura su legno” servì a poco. “Il settimo sigillo” prese un'altra direzione, e divenne una specie di road movie capace di muoversi senza imbarazzo attraverso il tempo e lo spazio. Fa i suoi giri e ne è responsabile.
Consegnai la sceneggiatura alla Svensk Filmindustri e là si cercò di respingerla in ogni modo possibile. Arrivò allora “Sorrisi dì una notte d'estate”. La prima aveva avuto luogo il 2 luglio 1955 e, nonostante le aperte e celate apprensioni, fu un enorme successo. Nel maggio 1956 fu presentato al festival di Cannes. Quando vinse la Palma d'Oro, partii per Malmö, facendomi prestare i soldi da Bibi Andersson, che allora era la più agiata di noi. Poi tornai a volo dal capo della Svensk Filmindustri, Carl Anders Dymling, che, terrorizzato e tutto sottosopra, se ne stava in un hotel di Cannes a vendere “Sorrisi di una notte d'estate” a bassissimo prezzo a mercanti di cavalli di ogni risma. Una cosa simile non gli era mai capitata. Il suo candore era quasi pari alla sua robustezza fisica.
Gli piazzai la sceneggiatura rifiutata del Settimo sigillo davanti agli occhi, dicendo: «Ora o mai, Carl Anders! ». Allora lui rispose: «Sì, ma prima devo leggerla». «Tu l'hai già letta, perché l'hai rifiutata», ribattei io. «Sì», fece lui, «ma forse non l'avevo letta bene».
Dovetti promettere di realizzare il film in fretta, in 36 giorni, meno i giorni di viaggio andata e ritorno per gli esterni. Doveva trattarsi di una produzione in economia. Quando la sbornia di Cannes passò ai suoi effetti postumi, ci accorgemmo che “Il settimo sigillo” era esile, troppo esclusivo e difficile da piazzare. Due mesi dopo la decisione, però, eravamo in moto. Invece di fare un film diverso, come in realtà avremmo dovuto fare, andammo allo studio. E’ straordinario con quale allegra leggerezza si potesse allora iniziare a girare un film complicato come quello.
(Ingmar Bergman, da “Immagini”, ed. Garzanti)
(continua)

Il settimo sigillo ( II )

IL SETTIMO SIGILLO (Det sjunde inseglet, 1956). Scritto e diretto da Ingmar Bergman. Fotografia: Gunnar Fischer - Musiche: Erik Nordgren - Scenografia: P.A. Lundgren – Con: Max von Sidow (il cavaliere Antonius Block), Gunnar Björnstrand (lo scudiero Jöns), Nils Poppe (il giullare Jof), Bibi Andersson (Mia, moglie di Jof), Bengt Ekerot (La morte), Ake Fridell (il fabbro Plog), Inga Gill (Lisa), Erik Strandmark (Skat, il capocomico), Bertil Anderberg (Raval), Gunnel Lindblom (la donna muta), Inga Landgré (la moglie di Block), Anders Ek (il monaco), Maud Hansson (la giovane al rogo), Gunnar Olsson (il pittore di chiese), Lars Lind (il giovane monaco), Benkt-Ake Benktsson (l'oste), Gudrun Brost (la donna all'osteria), Ulf Johanson (il capo dei soldati). Durata: 96 minuti

- Io vorrei sapere senza fede, senza ipotesi, voglio la certezza. Voglio che Dio mi tenda la mano e scopra il suo volto nascosto; voglio che mi parli.
- Il suo silenzio non ti parla?
(minuto 19, il cavaliere e la morte, al confessionale)


- ...il mio cuore è vuoto, e quel vuoto è come uno specchio voltato verso il mio volto. I vedo me stesso in quel vuoto, e mi riempio di paura e di disgusto. (...) Vi leggo indifferenza, e paura verso il mio prossimo, verso tutti i miei simili che non riconosco. Vi scorgo immagini di incubo, nate dai miei sogni e dalle mie fantasie... (...) Attraverso la mia indifferenza verso il mio prossimo, mi sono isolato dalla loro compagnia. Ora, vivo in un mondo di fantasmi: sono imprigionato nei miei sogni e nelle mie fantasie.
(minuto 18, il cavaliere al confessionale, con la morte che tace e ascolta)
- Nella nostra paura, noi costruiamo un’immagine, e quell’immagine la chiamiamo Dio.
(il cavaliere, davanti alla giovane portata al rogo)

La morte: Ora sto per lasciarvi. Quando ci incontreremo di nuovo, il tuo tempo e quello dei tuoi compagni sarà terminato.
Il cavaliere: E allora ci dirai i tuoi segreti.
La morte: Io non ho segreti.
Il cavaliere: Dunque tu non sai niente.
La morte: Non mi serve sapere. Io non ho niente da dire.
Cavaliere: (prega, le mani a nascondere il volto): Dall’oscurità che ci avvolge, mi rivolgo a te, mio Dio...
Jons: Probabilmente è vero, siamo avvolti nell’oscurità e lì nessuno ascolta i vostri lamenti e allevia le vostre sofferenze. Asciugatevi le lacrime, e specchiatevi nella vostra indifferenza. (...)
La moglie del cavaliere: Silenzio, silenzio...
Jons: Farò silenzio, ma mi ribello.

- L’ora è venuta, -
dice la ragazza che era sempre rimasta muta. (sono le sue uniche parole nel film)
Questo è un mio appunto che risale a un bel po’ di anni fa e che quindi è stato “preso al volo” durante una visione tv, perché non c’erano ancora nemmeno le videocassette: « (...) Era il film che cercavo da molto tempo, quello della partita a scacchi. (...) Protagonista è il cavaliere Antonius, che torna dalle crociate; poi la Morte, che lo incontra sulla spiaggia. Iniziano la partita su proposta di Antonius. Lo scudiero di Antonius, scettico e che preferisce vivere alla giornata, pur senza rinunciare a porsi domande sulla vita. Antonius è ossessionato dall’aldilà: cosa c’è, dopo? Lo chiede all’indemoniata sul rogo, e poi alla Morte che gli risponde di non saperlo, perché a lei non serve. Poi gli Attori: il capocomico, che fuggirà con la moglie del fabbro e morirà sull’albero abbattuto dalla Morte stessa. Il saltimbanco, che vede gli spettri, diavoli e santi: vedrà Antonius e la Morte giocare a scacchi, e fuggirà con la famiglia, riuscendo così a salvarsi, lui solo con la moglie e con il figlio di un anno. C’è l’uomo che convinse Antonius a partire per la Crociata, ora divenuto ladro: deruba i cadaveri degli appestati, e in questa situazione lo trova appunto lo scudiero, e poi istiga il fabbro contro il buffone all’osteria. Lo scudiero lo marchierà per questo. Presso la casa della derubata c’è la Ragazza, che partirà poi con lo scudiero. Prima c’è il pittore, l’imbrattamuri con il quale lo scudiero discute a lungo nella chiesa. E la moglie del fabbro, che fugge con il capocomico ma poi si ricongiungerà al marito nel bosco; e il fabbro, che si scatena contro il buffone ma poi si unirà al gruppo. Infine la moglie di Antonius, rimasta ad attenderlo al castello. Al castello di Antonius arriva anche la Morte, che porterà via tutti con sè, mentre il buffone osserva da lontano e descrive tutto alla moglie. Il titolo è tratto dall’Apocalisse, e vengono citate ancora le fragole.» (febbraio 1979)
In un’intervista a Venezia (corriere della sera, 8.6.1993) Peter Greenaway confessava di aver fatto cinema perché “...come Paolo sulla via di Damasco, ho avuto una folgorazione quando ho visto Il settimo sigillo di Ingmar Bergman”. Penso che sia capitato a molti... Io però non ho mai pensato di fare cinema, avevo ambizioni molto più modeste. Mal me ne incolse, bisognava invece mirare alto – ma forse, tutto sommato, meglio così. Nella migliore delle ipotesi, sarei stato soltanto uno dei tanti mediocri, e comunque non era nel mio carattere.
(continua)

Il settimo sigillo ( III )

IL SETTIMO SIGILLO (Det sjunde inseglet, 1956). Scritto e diretto da Ingmar Bergman. Fotografia: Gunnar Fischer - Musiche: Erik Nordgren - Scenografia: P.A. Lundgren – Con: Max von Sidow (il cavaliere Antonius Block), Gunnar Björnstrand (lo scudiero Jöns), Nils Poppe (il giullare Jof), Bibi Andersson (Mia, moglie di Jof), Bengt Ekerot (La morte), Ake Fridell (il fabbro Plog), Inga Gill (Lisa), Erik Strandmark (il capocomico Skat), Bertil Anderberg (Raval), Gunnel Lindblom (la donna muta), Inga Landgré (la moglie di Antonius Block), Anders Ek (il monaco), Maud Hansson (la giovane al rogo), Gunnar Olsson (il pittore di chiese), Lars Lind (il giovane monaco), Benkt-Ake Benktsson (l'oste), Gudrun Brost (la donna all'osteria), Ulf Johanson (il capo dei soldati). Durata: 96 minuti

Ingmar Bergman, da “Immagini”:
Con l'eccezione del prologo, girato negli atri del Cortile Reale - dove fu filmata anche la cena a base di fragole di Jof e Mia - l'intero film venne realizzato nella Città del cinema. Ci muovevamo in uno spazio estremamente ristretto. Ma avemmo fortuna con il tempo e filmammo dal sorgere del sole alla sera tardi. Ogni costruzione fu fatta quindi entro lo spazio della Città del cinema. Il ruscello nell'oscura foresta, dove i viandanti incontrano la strega, fu realizzato con l'aiuto del corpo dei vigili del fuoco e causò vere e proprie inondazioni. Se si guarda bene, dietro gli alberi si vede un misterioso riflesso di luce. Proviene dalla finestra di un alto edificio lì vicino.
La scena finale con la Morte, che danza allontanandosi con i viandanti, fu girata negli atri del Cortile Reale. Dopo che avevamo già impacchettato ogni cosa per la sera, cominciò il maltempo. All'improvviso vidi una nube strana. Gunnar Fischer tirò su la cinepresa. Molti degli attori erano già tornati nei propri alloggi. Alcuni inservienti e turisti danzavano ai loro posti, senza avere idea di che cosa si trattasse. Quell'immagine, divenuta poi così famosa, fu improvvisata in pochi minuti.
Così andarono le cose. Il film fu fatto in 35 giorni.
Il settimo sigillo è uno dei pochi film che mi stiano veramente a cuore, ma non so perché. Non si tratta, infatti, di un'opera priva di pecche. Viene fatta funzionare grazie ad alcune pazzie, e si intravede che è stata realizzata in fretta. Non credo però che sia un film nevrotico; è vitale ed energico. Inoltre, elabora il suo tema con desiderio e passione.
A quel tempo ero ancora duramente legato alla problematica religiosa. Qui sono compresenti due opinioni in proposito. Ognuna di esse parla la propria lingua. Perciò regna una relativa tregua tra la devozione infantile e l'aspro razionalismo. Non ci sono complicazioni nevrotiche tra il Cavaliere e il suo Scudiero.
E così è con la Santità dell'Uomo. Jof e Mia rappresentano per me qualcosa di urgente: tolta la teologia, rimane il Sacro.
C'è, inoltre, una scherzosa cordialità nell'immagine della famiglia. Il bambino giungerà al miracolo: l'ottava palla del giocoliere rimarrà sospesa in aria in un momento frenetico... per una frazione di secondo.
Il settimo sigillo non zoppica da nessuna parte.
Si possono soppesare le negligenze del film con il fatto che feci una cosa che oggi non oserei più fare. Il Cavaliere esegue la sua preghiera mattutina, e al momento di riporre la scacchiera si volge e lì si trova davanti la Morte. «Chi sei?», domanda il Cavaliere. «Sono la Morte».
Bengt Ekerot e io eravamo d'accordo sul fatto che la Morte dovesse portare una maschera da clown, quella del clown bianco, o, meglio, una combinazione tra la maschera da clown e il teschio.
E un rischioso numero d'illusione che poteva benissimo fallire. All'improvviso avanza un attore con il volto dipinto di bianco, vestito di nero, e dice di essere la Morte. Noi lo accettiamo come la Morte, invece di dire: su, dai, smettila, non ci inganni! Sappiamo bene che sei un attore di talento dipinto di bianco e vestito di nero! Non
sei affatto la Morte! Nessuno protesta. Anzi, questo fatto ci rende coraggiosi e allegri.
A quel tempo vivevo con alcuni poveri resti della mia devozione infantile, un'idea del tutto ingenua di ciò che si potrebbe chiamare la salvazione extraterrena.
Nel frattempo la mia convinzione attuale aveva cominciato a manifestarsi.
L'Uomo è portatore della sua propria Santità, che però ha luogo su questa terra, senza alcun bisogno di spiegazioni extraterrene. Nel mio film vive, dunque, un rimasuglio abbastanza privo di nevrosi di una devozione sincera e infantile, che si accorda serenamente con un aspro e razionale concetto della realtà.
Il settimo sigillo è in definitiva una delle ultime espressioni di fede, delle idee che avevo ereditato da mio padre e che portavo con me dall'infanzia.
Quando realizzai Il settimo sigillo, preghiere e intercessioni erano realtà centrali nella mia vita. Dire una preghiera era un atto perfettamente naturale.
In Come in uno specchio l'eredità infantile fu liquidata. Là si sostiene che ogni idea di Dio creata dagli uomini non può che essere una mostruosità. Un mostro a due facce o, come dice Karin, «il Dio Ragno».
Nel franco incontro del cavaliere con Albertus Pictor nel Settimo sigillo, presento senza imbarazzo la mia convinzione artistica: Albertus afferma che lui si trova in uno showbusiness, dove la sola cosa che occorre è mantenersi in vita evitando di rendere gli uomini troppo disperati.
Jof è un predecessore del ragazzo in Fanny e Alexander: è nervoso perché incessantemente deve stare a contatto con fantasmi e dèmoni, nonostante ne abbia paura. D'altronde non può smettere di raccontare le sue fandonie, per lo più per rendersi interessante. Jof è insieme fanfarone e visionario. Ma Jof e Alexander sono, a loro volta, imparentati con il bambino Bergman. Certo, molte erano le cose che vedevo, tuttavia il più delle volte raccontavo balle. Quando mancavano le visioni, allora inventavo.
Per quanto mi ricordo, avevo un dannato terrore della morte, che durante la pubertà e i primi venti anni poteva impennarsi sino a farmisi intollerabile.
Il fatto che io, morendo, dovessi essere eliminato, che dovessi passare attraverso la porta buia, che ci fosse qualcosa che non potevo controllare, aggiustare o prevedere, era per me fonte di continuo spavento. Che, poi, all'improvviso, io abbia preso il coraggio di raffigurare la Morte come un clown bianco, come un personaggio conversante, che giocava a scacchi e non deteneva alcun segreto, questo fu il mio primo passo nella lotta contro la paura della morte.
Nel Settimo sigillo c'è una scena che prima mi riempiva di terrore e insieme mi affascinava. E quando Raval muore dietro l'albero nell'oscura foresta. Conficca la testa nel suolo e urla per il terrore.
L'intenzione originaria era di fare un primo piano. Ma poi scoprii che con la distanza l'effetto terrificante si rafforzava. Quando Raval era morto, lasciai girare la cinepresa senza alcun motivo, e su quella radura del bosco pieno di mistero - che è come una scena teatrale - cadeva una pallida luce solare. Era stato nuvoloso per tutta la giornata, ma proprio quando Raval veniva ucciso scendeva una luce che pareva fosse stata preparata.
(Ingmar Bergman, da “Immagini”, ed. Garzanti)
(fotografie dal sito "Bergmanorama")

(continua)

Il settimo sigillo ( IV )

IL SETTIMO SIGILLO (Det sjunde inseglet, 1956). Scritto e diretto da Ingmar Bergman. Fotografia: Gunnar Fischer - Musiche: Erik Nordgren - Scenografia: P.A. Lundgren – Con: Max von Sidow (il cavaliere Antonius Block), Gunnar Björnstrand (lo scudiero Jöns), Nils Poppe (il giullare Jof), Bibi Andersson (Mia, moglie di Jof), Bengt Ekerot (La morte), Ake Fridell (il fabbro Plog), Inga Gill (Lisa), Erik Strandmark (il capocomico Skat), Bertil Anderberg (Raval), Gunnel Lindblom (la donna muta), Inga Landgré (la moglie di Antonius Block), Anders Ek (il monaco), Maud Hansson (la giovane al rogo), Gunnar Olsson (il pittore di chiese), Lars Lind (il giovane monaco), Benkt-Ake Benktsson (l'oste), Gudrun Brost (la donna all'osteria), Ulf Johanson (il capo dei soldati). Durata: 96 minuti

Lo storico Franco Cardini dice che “Il settimo sigillo” e “Brancaleone alle crociate” sono i film che hanno reso meglio il medioevo storico, così come doveva essere; e le crociate in particolare. Aggiunge a questi due titoli un film di Cecil B. De Mille del 1935, “I crociati”, avvertendo che è poco attendibile storicamente ma “avendolo visto da bambino” gli ha segnato la vita: l’intervista era sul Venerdì di Repubblica il 6.5.2005, per l’uscita del film di Ridley Scott sulle Crociate.
Penso che Cardini si riferisse, più che alla processione dei flagellanti, a tutto il film: e in particolare alla scene in cui recitano i comici. Il “Brancaleone” di Monicelli esce quasi dieci anni dopo “Il settimo sigillo”, che è il suo evidente punto di riferimento in molte scene. Del resto, “Il settimo sigillo” ha influenzato molti film, e continua ancora ad essere fonte d’ispirazione, spesso addirittura copiato pedestremente - ma sono ormai pochi ad accorgersene, Bergman in tv non lo si vede più neanche a "Fuori orario" ...
Un ottimo remake, anche se ben mascherato, è sicuramente “Joe Black” (1998, regia di Martin Brest), che però si rifà a un film precedente, “La morte in vacanza” (Death takes an holiday, 1934, regia di Mitchell Leisen, testo originale da un dramma di Alberto Casella, 1891-1957). Nonostante le molte e marcate differenza, è però difficile non pensare al “Settimo sigillo”, guardando Brad Pitt aggirarsi nel ruolo che fu di Bengt Ekerot. La differenza, viene da pensare, più che nell’aspetto fisico dell’attore sta nello svolgimento successivo della storia: a differenza di quello che vediamo in Bergman, in “Meet Joe Black” è la morte a mostrare il suo lato umano e a decidere di mischiarsi a noi almeno per un po’. Ma la morte è probabilmente più simile a quello che vediamo nel “Settimo sigillo”:
La morte: Ora sto per lasciarvi. Quando ci incontreremo di nuovo, il tuo tempo e quello dei tuoi compagni sarà terminato.
Il cavaliere: E allora ci dirai i tuoi segreti.
La morte: Io non ho segreti.
Il cavaliere: Dunque tu non sai niente.
La morte: Non mi serve sapere. Io non ho niente da dire.
(Ingmar Bergman, Il Settimo Sigillo)
Questo è il passo dell’Apocalisse che viene letto nel finale, e che dà il titolo al film:
Apocalisse di San Giovanni, 6-8
(...) Quando l'Agnello sciolse il primo dei sette sigilli, vidi e udii il primo dei quattro esseri viventi che gridava come con voce di tuono: «Vieni». Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora.
Quando l'Agnello aprì il secondo sigillo, udii il secondo essere vivente che gridava: «Vieni». Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada.
Quando l'Agnello aprì il terzo sigillo, udii il terzo essere vivente che gridava: «Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: «Una misura di grano per un danaro e tre misure d'orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati ».
Quando l'Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: «Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l'Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra.
Quando l'Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l'altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio della testimonianza che gli avevano resa. E gridarono a gran voce: «Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e verace, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue sopra gli abitanti della terra? ». Allora venne data a ciascuno di essi una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro.
Quando l'Agnello aprì il sesto sigillo, vidi che vi fu un violento terremoto. Il sole divenne nero come sacco di crine, la luna diventò tutta simile al sangue, le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra, come quando un fico, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i fichi immaturi. Il cielo si ritirò come un volume che si arrotola tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto. Allora i re della terra e i grandi, i capitani, i ricchi e i potenti, e infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti; e dicevano ai monti e alle rupi: Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sul trono e dall'ira dell'Agnello, perché è venuto il gran giorno della loro ira, e chi vi può resistere?
Dopo ciò, vidi quattro angeli che stavano ai quattro angoli della terra, e trattenevano i quattro venti, perché non soffiassero sulla terra, né sul mare, né su alcuna pianta.
Vidi poi un altro angelo che saliva dall'oriente e aveva il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli ai quali era stato concesso il potere di devastare la terra e il mare: «Non devastate né la terra, né il mare, né le piante, finché non abbiamo impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte dei suoi servi ». Poi udii il numero di coloro che furon segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila, segnati da ogni tribù dei figli d'Israele: dalla tribù di Giuda dodicimila; dalla tribù di Ruben dodicimila; dalla tribù di Gad dodicimila; dalla tribù di Aser dodicimila; dalla tribù di Nèftali dodicimila; dalla tribù di Manàsse dodicimila; dalla tribù di Simeone dodicimila; dalla tribù di Levi dodicimila; dalla tribù di Ìssacar dodicimila; dalla tribù di Zàbulon dodicimila; dalla tribù di Giuseppe dodicimila; dalla tribù di Beniamino dodicimila.
Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all'Agnello».
Allora tutti gli angeli che stavano intorno al trono e i vegliardi e i quattro esseri viventi, si inchinarono profondamente con la faccia davanti al trono e adorarono Dio dicendo: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen».
Uno dei vegliardi allora si rivolse a me e disse: «Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta, perché l'Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi».
Quando l'Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio in cielo per circa mezz'ora. Vidi che ai sette angeli ritti davanti a Dio furono date sette trombe (...)
(Apocalisse di San Giovanni, testo dalla Bibbia di Gerusalemme ed. CEI, Conferenza Episcopale Italiana)

Nella piccola città dove si fermano Jons e il cavaliere c’è ricchezza, si vede bene nella scena della taverna, e anche nella scena in cui Skat getta via il pollo che Lisa gli aveva offerto. Tutti i personaggi che vediamo sono evidentemente ben nutriti, e anche abbastanza contenti; eppure anche qui è arrivata la peste, e sta seminando ovunque morte.
(continua)

Il settimo sigillo ( V )

IL SETTIMO SIGILLO (Det sjunde inseglet, 1956). Scritto e diretto da Ingmar Bergman. Fotografia: Gunnar Fischer - Musiche: Erik Nordgren - Scenografia: P.A. Lundgren – Con: Max von Sidow (il cavaliere Antonius Block), Gunnar Björnstrand (lo scudiero Jöns), Nils Poppe (il giullare Jof), Bibi Andersson (Mia, moglie di Jof), Bengt Ekerot (La morte), Ake Fridell (il fabbro Plog), Inga Gill (Lisa), Erik Strandmark (il capocomico Skat), Bertil Anderberg (Raval), Gunnel Lindblom (la donna muta), Inga Landgré (la moglie di Antonius Block), Anders Ek (il monaco), Maud Hansson (la giovane al rogo), Gunnar Olsson (il pittore di chiese), Lars Lind (il giovane monaco), Benkt-Ake Benktsson (Foste), Gudrun Brost (la donna all'osteria), Ulf Johanson (il capo dei soldati). Durata: 96 minuti

Il film inizia sulla spiaggia, con un bianco e nero molto contrastato che rimanda direttamente alle incisioni di Dürer (Il cavaliere, la morte e il diavolo – I quattro cavalieri dell’Apocalisse) che sono la fonte dichiarata per il film. A creare questo effetto è Gunnar Fischer, direttore della fotografia per quasi tutti i film di Bergman prima dell’incontro con Sven Nykvyst: diversi fra loro, ma entrambi grandissimi. Più avanti, Gunnar Fischer riprenderà esterni molto luminosi, e interni con poca luce ma sempre nitidi: che sembra un controsenso, ma i grandi direttori della fotografia hanno sempre avuto un rapporto speciale con la luce.
“Il settimo sigillo” ha un corrispondente diretto in “Come in uno specchio”, di pochi anni seguente: che è più sommesso e meno spettacolare, ma che fa più male perché si svolge in ambito quotidiano, mentre qui siamo in una favola, una ballata senza tempo. Di questa irrealtà sono testimoni quegli scacchi così bianchi e puliti: lucente e nuova la scacchiera, improbabile che il cavaliere se li sia portati dietro dalle crociate, anche perché sono troppo ingombranti per chi viaggia senza bagaglio. Sono scacchi da sogno, nitidi e irreali allo stesso tempo.
Ad accomunare i due film sono anche le visioni: in “Come in uno specchio” a vedere l’aldilà è il personaggio affidato a Harriet Andersson, dichiaratamente malata (nei nostri tempi chi ha visioni viene dichiarato malato, e curato con gli psicofarmaci: anche per i santi e i profeti, ormai, è rimasto poco spazio). Nel “Settimo sigillo” è una visione (da ballata, da cantastorie) l’apparizione della Morte, che riguarda solo il cavaliere e che nessun altro vede a parte il giullare Jof: ma Jof è solito avere queste visioni, e non gli crede nessuno perché le mescola abbondantemente con la sua fantasia, come nelle migliori tradizioni. Quando ne parla con sua moglie, lei gli risponde «non parlarne troppo in giro, poi la gente dirà che sei pazzo e non è vero. Non per ora, almeno.»
Anche “L’ora del lupo” e “Sussurri e grida” sono ricchi di queste visioni, così come molti altri film di Bergman, che ne parla diffusamente nei suoi libri autobiografici, come “Lanterna magica”. La stessa cosa accadeva a Federico Fellini, e sarebbe interessante fare un parallelo fra i due: qui basterà accennare a una frase di Bergman che ho riportato nel secondo post sul “Settimo sigillo”: «Bengt Ekerot e io eravamo d'accordo sul fatto che la Morte dovesse portare una maschera da clown, quella del clown bianco, o, meglio, una combinazione tra la maschera da clown e il teschio.»
Sul clown bianco, e sulla sua maschera, Fellini ci ha lasciato molte riflessioni e anche un film intero, “I clowns” (1970) che è tra i suoi più profondi e tra i più dimenticati. Può capitare, infatti, che si dicano ad alta voce verità profonde, ma che la gente non ci faccia alcun caso. Capita molto spesso, e non solo al cinema.
Federico Fellini, da “Fare un film” (Einaudi, 1980)
Ebbene, il clown incarna i caratteri della creatura fantastica, che esprime l'aspetto irrazionale dell'uomo, la componente dell'istinto, quel tanto di ribelle e di contestatario contro l'ordine superiore che è in ciascuno di noi. E' una caricatura dell'uomo nei suoi aspetti di animale e di bambino, di sbeffeggiato e di sbeffeggiatore. Il clown è uno specchio in cui l'uomo si rivede in grottesca, deforme, buffa immagine. E' proprio l'ombra. Ci sarà sempre. E' come se ci chiedessimo: " E' morta l'ombra? Muore l'ombra? "
Per far morire l'ombra occorre il sole a picco sulla testa, allora l'ombra scompare.
Ecco: l'uomo completamente illuminato ha fatto sparire i suoi aspetti caricaturali, buffoneschi, deformi. Di fronte a una creatura tanto realizzata, il clown - inteso come il suo aspetto gobbo - non avrebbe piú ragione di essere. Il clown, è certo, non sarebbe scomparso: sarebbe stato, soltanto, assimilato. Cioè, in altre parole, l'irrazionale, l'infantile, l'istintivo non sarebbero piú visti con un occhio deformato, quello che li rende deformi. San Francesco non si è definito, forse, giullare di Dio? E Lao Tse diceva: "Appena ti fabbrichi un pensiero, ridici sopra ".
Quando dico: il "clown", penso all'augusto. Le due figure sono, infatti, il clown bianco e l'augusto. Il primo è l'eleganza, la grazia, l'armonia, l'intelligenza, la lucidità, che si propongono moralisticamente come le situazioni ideali, le uniche, le divinità indiscutibili. Ecco, quindi, che appare subito l'aspetto negativo della faccenda: perché il clown bianco, in questo modo, diventa la Mamma, il Papà, il Maestro, l'Artista, il Bello, insomma "quello che si deve fare". Allora l'augusto, che subirebbe il fascino di queste perfezioni se non fossero ostentate con tanto rigore, si rivolta. Egli vede che le " paillettes " sono splendenti; però la spocchia con cui esse si propongono le rende irraggiungibili. L'augusto, che è il bambino che si caca sotto, si ribella a una simile perfezione; si ubriaca, si rotola per terra e anima, perciò, una contestazione perpetua. Questa è, dunque, la lotta tra il culto superbo della ragione (che giunge a un estetismo proposto con prepotenza) e l'istinto, la libertà dell'istinto.

Il clown bianco e l'augusto sono la maestra e il bambino, la madre e il figlio monello; si potrebbe dire, infine: l'angelo con la spada fiammeggiante e il peccatore. Insomma, essi sono due atteggiamenti psicologici dell'uomo: la spinta verso l'alto e la spinta verso il basso, divise, separate.
Il film finisce così: le due figure si vengono incontro e se ne vanno insieme. Perché commuove tanto una situazione simile? Perché le due figure incarnano un mito che è in fondo a ciascuno di noi: la riconciliazione dei contrari, l'unicità dell'essere.
Quel tanto di dolente che c'è nella continua guerra fra il clown bianco e l'augusto non è dovuto alle musiche o a qualcosa di simile: ma alla circostanza che ci si presenta sotto gli occhi un fatto che riguarda la nostra incapacità a conciliare le due figure. Infatti, più vorrai obbligare l'augusto a suonare il violino, e più egli farà scorreggioni col trombone. Ancora: il clown bianco pretenderà che l'augusto sia elegante? Ma, tanto più questa richiesta verrà fatta con autorità, tanto più l'altro si ridurrà ad essere stracciato, goffo, impolverato.
E' l'apologo perfetto di un'educazione che intende proporre la vita in termini idealizzati, astratti. Ma dice, appunto, Lao Tse: "Se ti costruisci un pensiero - clown bianco; ridici sopra -l'augusto ".
A questo punto, si potrebbe citare anche la famosa antitesi popolare cinese, tra yin e yang, il freddo e il sole, la femmina e il maschio, tutti i possibili contrasti; si potrebbe parlare di Hegel e della dialettica; aggiungere che, forse, gli augusti sono, più di preciso, un'immagine sottoproletaria, da corte dei miracoli; i denutriti, gli storpi, i rifiutati, coloro che sono capaci, semmai, di rivolte, ma non di rivoluzioni. Il popolo, probabilmente, li ha sempre trattati con confidenza perché, a causa della sua condizione miserevole, ha sempre avuto una certa dimestichezza con l'orrido.
I Fratellini furono coloro che introdussero un terzo personaggio: le contre-pitre, simile all'augusto, il quale tuttavia, prestava la sua alleanza al padrone. Egli era il lazzarone ricattato, la spia, il confidente della polizia, il liberto che vive nelle due zone, a metà strada tra l'autorità e la mascalzonaggine. (...)
(Federico Fellini, da “Fare un film”, ed. Einaudi, 1980)
(continua)

Il settimo sigillo ( VI )

IL SETTIMO SIGILLO (Det sjunde inseglet, 1956). Scritto e diretto da Ingmar Bergman. Fotografia: Gunnar Fischer - Musiche: Erik Nordgren - Scenografia: P.A. Lundgren – Con: Max von Sidow (il cavaliere Antonius Block), Gunnar Björnstrand (lo scudiero Jöns), Nils Poppe (il giullare Jof), Bibi Andersson (Mia, moglie di Jof), Bengt Ekerot (La morte), Ake Fridell (il fabbro Plog), Inga Gill (Lisa), Erik Strandmark (il capocomico Skat), Bertil Anderberg (Raval), Gunnel Lindblom (la donna muta), Inga Landgré (la moglie di Antonius Block), Anders Ek (il monaco), Maud Hansson (la giovane al rogo), Gunnar Olsson (il pittore di chiese), Lars Lind (il giovane monaco), Benkt-Ake Benktsson (l'oste), Gudrun Brost (la donna all'osteria), Ulf Johanson (il capo dei soldati). Durata: 96 minuti

E’ centrale, nel “Settimo sigillo”, la scena degli attori: la recita in piazza. Ho notato che la maggior parte della critica sorvola su questa lunga scena, forse considerandola come un semplice riempitivo: altre scene sono ritenute più importanti, e forse lo sono davvero: la giovane “strega” portata al rogo (fa ancora una grande impressione, quando il cavaliere la guarda negli occhi per vedere anche lui il diavolo, o magari qualcosa dell’aldilà) , la processione dei flagellanti, un po’ tutto insomma. Ma questa recita, rivedendo il film dopo la prima volta, ha qualcosa che non si dimentica.
Innanzitutto, non ha bisogno di parole: come nei “grammelot” di cui racconta Dario Fo, non c’è bisogno di tradurre niente. Quello che vediamo era probabilmente la stessa cosa che succedeva con i nostri comici, gli zanni, la Commedia dell’Arte, che avevano un loro teatro a Parigi dove recitavano in italiano, in veneziano, in bergamasco, nella lingua che gli pareva; da grande uomo di teatro, Bergman ce li ripresenta tali e quali, ma svedesi. E’ bravissimo Nils Poppe, ed è ancora più brava Bibi Andersson: che (come imparo da wikipedia) nasce non come attrice ma come ballerina classica, e qui si vede. Ed è magnifica la pantomima (da comica del cinema muto) fra Skat e l’avvenente moglie del fabbro. Mentre Skat e la bionda prosperosa si dicono quel che devono dirsi, continuiamo ad ascoltare la canzone dei due sul palcoscenico: un gallo, forse un asino, un cucù, qualche bestia cornuta, immortali metafore della nostra condizione umana.
Nella sceneggiatura originale (un po’ diversa da quello che si vede nel film) Bergman fa iniziare la rappresentazione con un “mentre mia moglie dorme” al quale il pubblico risponde: “sta dormendo o sta russando?”. Subito Mia entra in scena fingendo di russare e Jof si adatta alla trovata cambiando i versi della canzone: “mentre mia moglie sta russando – sta dormendo, intendo dire...”. Questo piccolo accorgimento fa ridere il pubblico e lo mette di buon umore – un piccolo trucco degli attori immutato da secoli, fin dai tempi di Plauto, o del Globe, o del nostro varietà dei tempi di Totò e della Magnani...
Nella versione italiana, la canzone non viene tradotta (ed è una fortuna, perché Nils Poppe e Bibi Andersson sono bravissimi); nella traduzione inglese sembra invece di leggere il “Sogno di una notte di mezza estate”:
JOF: Night and moonlight now prevail
here sleeps my wife so frail...
VOICE (from the public): Does she snore?
JOF: May I point out that this is a tragedy, and in tragedies one does not snore.
VOICE: I think she should snore anyhow. (...)
JOF: Night and moonlight now prevail
here snores – I mean, “sleeps” – my wife so frail...
(da “The seventh seal” Lorrimer Publishing Ltd., London, 1960)
E’ un peccato non conoscere lo svedese, a questo punto...
Sono da sempre nel mio cuore tutti gli attori di questo film, ma il mio preferito (quasi inutile dirlo) è Gunnar Björnstrand: che qui (e non solo qui), visto da oggi, assomiglia molto ad Harrison Ford. Penso proprio che lo scudiero Jons sia stato uno dei modelli per Han Solo, per Indiana Jones, per tanti altri eroi e persone normali dell’attore americano: che con lo svedese condivide una certa somiglianza fisica e la notevole simpatia umana, unita a qualcosa di vagamente illegale che – come capita con i personaggi di Stevenson – aiuta molto ad immedesimarsi. Jons è lo scudiero del cavaliere, ed è quindi una presenza rassicurante; ma ci sono due o tre cose che gli vediamo fare nel film (come il “marchio” su Raval) che lo rendono non del tutto raccomandabile, un guerriero simpatico e compagnone che però quando serve sa essere spietato, quasi come i pirati dell’Isola del Tesoro e di tutti i romanzi di Stevenson. Una figura epica, quasi un archetipo: il potenziale fuorilegge che però sta dalla parte del giusto.
Impressiona rivedere qui Björnstrand e von Sydow subito dopo aver visto gli altri film di Bergman in cui compaiono, insieme o uno alla volta: è la prima volta che mi capita di farlo, ed è normale estendere il discorso a tutti gli altri attori di Bergman. E’ come avere a che fare con una compagnia teatrale: si può dire che Bergman ne ha avute due o tre diverse, al cinema, ma probabilmente la collaborazione continuava direttamente dall’attività in teatro, con cui c’era uno scambio continuo, oltre che dalla sua vita personale. Nel “Settimo sigillo” si comprende bene anche la grandezza di Björnstrand, qui diversissimo dai suoi molti ruoli “borghesi” e da commedia, molto agile a cavallo, forte e aggressivo ma anche capace di umorismo e di finezze (la sua rabbia repressa di fronte alla morte, nel finale). Per molti anni ho pensato che i due attori avessero più o meno la stessa età, ma mi sbagliavo: Björnstrand (classe 1909) ha vent’anni esatti più di Max von Sydow (classe 1929), mentre Bergman è nel mezzo, 1918.
Mia è Bibi Andersson, molto diversa dagli altri ruoli (spesso “birichini”) che le affiderà Bergman, con i capelli lunghi, quasi angelica, giovanissima e molto materna. A momenti è difficile riconoscerla, soprattutto se paragonata con i ruoli duri e severi che Bergman le affiderà da “Persona” in avanti.
Inga Landgré, la moglie del cavaliere, è stata protagonista del primo film di Bergman, “Crisi”; e ha collaborato con lui anche per molti altri film degli anni ’50.
Bengt Ekerot, la Morte, sarà qualche anno dopo l’attore raccolto nel bosco dal mago Vogler nel “Volto”.
Il grosso e sorridente Ake Frydell (il fabbro Plog) è presente in molti film di Bergman di questo periodo; evidentemente Bergman lo aveva in grande simpatia, per ovvi motivi. Appare anche lui nel Volto (l’attore che recita accanto al mago). Qui Frydell ha qualche problema con la moglie, ma in “Sorrisi di una notte d’estate”, ha una parte molto felice di amoroso corrisposto, e anche nel “Volto”, del resto, ha un notevole successo con le donne. Insomma, uno che piace...
Gunnel Lindblom, la ragazza muta, è un volto e una presenza difficili da dimenticare: è un’ottima attrice e Bergman l’ha chiamata per molti suoi film.
Nils Poppe, il giullare Jof, compare solo in un altro film di Bergman, “L’occhio del diavolo”, dove interpreta un pastore protestante (un altro ruolo comico-brillante). Poppe somiglia un po’ a Donald O’Connor (Singing in the rain, Francis il mulo parlante) o magari al Joel Grey di Cabaret, due attori con cui ha molto in comune. Curiosa la sua coppia con Bibi Andersson, che funziona e appare molto credibile solo perché i due attori sono bravissimi (forse una fonte d’ispirazione per Roger Rabbit?).
Inga Gill (Lisa, la moglie del fabbro) ha altre piccole parti qua e là nei film di Bergman, Erik Strandmark (il capocomico Skat) era molto amico di Bergman, ma recita poco nei suoi film. Bertil Anderberg (Raval), è un altro attore molto bravo di cui però si perdono le tracce fuori dal cinema di Bergman.
Anders Ek, che qui appare brevemente nei panni di un monaco, è presente da protagonista in due film importanti di Bergman: il clown in “Gycklarnas afton” del 1952, e “Il rito” del 1969, in cui è il terzo componente del trio di attori con Björnstrand e Ingrid Thulin.
Maud Hansson (la giovane al rogo), nata nel 1937, era qui diciannovenne; avrà un ruolo nel “Posto delle fragole”, e una lunga carriera d’attrice fino al 1987, quasi tutti film per la tv svedese. Somiglia molto a Jean Seberg nella Giovanna d’Arco di Preminger, che è del 1957 : sarà un caso?.
Gunnar Olsson, il pittore di chiese, è invece un attore poco utilizzato da Bergman: farà una breve apparizione nel “Posto delle fragole” (il vescovo), e poco più: cosa della quale mi dispiace, a dire il vero, perché è molto simpatico e in coppia con Björnstrand se la cava alla grande.
Gudrun Brost, la donna all'osteria, è la moglie del clown (cioè Anders Ek) in “Gycklarnas afton”, e avrà un ruolo importante anche in “La fontana della vergine”, del 1959.
La musica di Erik Nordgren inizia con variazioni sul tema medievale del dies irae, che poi verrà eseguito alla lettera nella scena della processione e dei flagellanti. Il tema del dies irae è molto antico e molto suggestivo: si tratta di un brano presente nella Messa di Requiem in latino, e in altri brani della liturgia. Il testo si riferisce al Giorno del Giudizio (dies irae, dies illa: “nel giorno dell’ira, in quel preciso giorno...”) ed è attribuito ad un discepolo di San Francesco, Tommaso da Celano (1190-1260), che ne trascrisse anche la musica. Nella forma in cui la conosciamo oggi, la sequenza del “dies irae” risale al secolo XIV, ed è stata ripresa infinite volte da compositori più o meno grandi. Chi volesse ascoltare questo brano nella sua forma più spettacolare può rivolgersi alla “Sinfonia fantastica” di Héctor Berlioz.
In “Immagini” (ed. Garzanti) Bergman dice di essere stato molto influenzato, durante la fase preparatoria del “Settimo sigillo”, dall’ascolto dei Carmina Burana di Carl Orff: che è una rileaborazione di canti presi da manoscritti più o meno del periodo in cui si svolge il film. Si tratta di una composizione che dura più di un’ora, non certo limitata al primo brano, il fin troppo famoso “O Fortuna”. Molti brani musicali più o meno di questo periodo sono arrivati fino a noi, sia di musica sacra che di devozione popolare; in Italia un gruppo che si è dedicato molto a questo repertorio è l’Ensemble Micrologus di Assisi.
C’è una curiosa censura nella versione italiana: nel colloquio tra lo scudiero e il pittore, Jons nomina “le chiappe” (dovunque vai, le hai sempre dietro), ma nel dialogo italiano si parla invece della coda “che per quanto ti giri non riesci mai a tagliarla”. Direi che come censura è ben trovata...
(continua)