giovedì 1 novembre 2012

Tarkovskij

(Andrej Tarkovskij, Lo specchio)

Mi fermo qui. Un saluto a tutti, e grazie per avermi seguito con tanta pazienza.

Stalker

(Tarkovskij, Stalker)

Solaris

(Andrej Tarkovskij, Solaris)

martedì 30 ottobre 2012

La città delle donne

La città delle donne (1980) Regia: Federico Fellini - Soggetto e sceneggiatura: Federico Fellini, Bernardino Zapponi, Brunello Rondi - Fotografia: Giuseppe Rotunno - Ideazione scenografica: Federico Fellini - Scenografia: Dante Ferretti - Assistente scenografia: Claude Chevant - Architetto: Giorgio Giovannini . Musica: Luis Bacalov, diretta da Gianfranco Plenizio - Canzoni: "Una donna senza uomo è" (parole e musica: Mary Francolao), "Donna addio" (versi: Antonio Amurri) - Balletto: Mirella Aguiaro - Consulente coreografie: Leonetta Bentivoglio - Arredamento: Bruno Cesari, Carlo Gervasi - Scenotecnico: Italo Tomassi - Aiuto architetto: Nazzareno Piana - Sculture: Giovanni Chianese - Pitture e affreschi: Rinaldo e Giuliano Geleng - Costumi: Gabriella Pescucci - Effetti speciali: Adriano Pischiutta - Durata: 145'.
Interpreti: Marcello Mastroianni (Snàporaz), Anna Prucnal (sua moglie, voce di Valeria Moriconi), Bernice Stegers (la signora del treno), Ettore Manni (Dr. Sante Katzone), Iole Silvani (la motociclista-contadina grassa), Donatella Damiani (Donatella, la soubrettina), Fiammetta Baralla ("Ollio"), Helene G. Calzarelli, Catherine Carrel, Marcello Di Falco, Silvana Fusacchia, Gabriella Giorgelli (la pescivendola), Dominique Labourier, Stephane Emilfork, Sylvie Mayer, Meerberger Nahyr, Sibilla Sedat, Katren Gebelein, Alessandra Panelli, Nadia Vasil, Loredana Solfizi, Fiorella Molinari, Rosaria Tafuri (Sara, seconda soubrettina), Sylvie Wacrenier, Carla Terlizzi (una femminista), Jill e Viviane Lucas (le gemelle), Mara Ciukleva (la vecchia signora di 85 anni), Mimmo Poli, Nello Pazzafini, Armando Parracino, Umberto Zuanelli e Pietro Fumagalli (i tre vecchi maghi nella sequenza dei ricordi).

Non sono riuscito a rivedere “La città delle donne”, o forse non ne avevo una gran voglia; però è l’unico film di Fellini che manca da questo blog, e qualcosa devo fare.
In attesa di rivedere il film, porto qui i miei appunti così come sono, ancora da sviluppare.
Fellini si diverte e gioca
Sogni di Akira Kurosawa
Un’altra citazione da Little Nemo di Winsor McCay: Mastroianni che dorme e si risveglia, ma poi cerca di dormire ancora, e il treno s’infila nel tunnel che chiude il film (Sante Katzone è un suo compagno di scuola ma parla in russo, come nei fumetti dell’autore di Little Nemo)
La bambina di Toby Dammit, ma moltiplicata per 10, per 20.... (sono le bambine cattive che costringono Marcello a rifugiarsi da Katzone, in una scena notturna e nebbiosa)
Riepilogo di tutti i film precedenti di Fellini, specialmente Giulietta degli spiriti, Otto e mezzo, i Clowns, Amarcord; e un ritratto di Sutherland come Casanova nella scena del processo.
Otto e mezzo soprattutto per le scene con la moglie (Anna Prucnal) che somiglia molto alla moglie di Marcello in quel film.
“Ma che razza di film è questo?” chiede Marcello, dopo gli spari davanti alla villa di Katzone.
Katzone ha due cani ai quali è molto affezionato; l’irruzione delle poliziotte provoca la morte di uno di essi (Italo) e la conseguente chiusura della villa, perché Sante adesso è in lacrime, e non vuole più combattere contro l’intimazione di sfratto e di demolizione.
La popolarità di Fellini si basa in fin dei conti su un equivoco, gli spogliarelli e le scene di sesso in La dolce vita, Anita Ekberg nella Fontana di Trevi, queste cose qui: era il 1960, bisogna tener presente che cos’era la censura “sessuale” allora, Ma il vero Fellini non è mai stato quello, quello è il Fellini che gioca e si diverte, solo una piccola parte. Ormai dovremmo saperlo tutti, vista la quantità di film che ha girato.
Un altro falso film muto.
Un’altra scena di bordello.
Marcia turca di Mozart, chitarre rock più o meno caricaturali, ritmi disco molto caricaturali. Citazioni “rifatte” di Bizet (Carmen) Traviata, Mackie Messer: anticipo di “E la nave va”. E poi molto musical americano, Cheek to cheek
Uno dei "tre vecchietti" sulla giostra è il clown Fumagalli, che chiudeva "I clowns".

Invidia somma pensando a Fellini che ha potuto ricostruire i suoi sogni e i suoi ricordi (anche per le donne che ha incontrato), potessi farlo anch’io, ma non so nemmeno disegnarli.
Mosaici di Ravenna e cammei settecenteschi nella “salita” verso il ring nel finale, dove Marcello troverà la “donna ideale”: ma c’è la vecchina già vista tante volte, poi la grande donna-mongolfiera.
Questo della “donna ideale”, la donna che hai sempre desiderato, riporta a Tarkovskij e alla Stanza di Stalker. Anche Marcello se lo chiede: “Chissà mai quale sarà, la mia donna ideale...”
Finale quasi come in 2001, con l’enorme donna (somiglia a Donatella Damiani) invece del feto enorme. E’ sempre un tornare bambini, sia per Kubrick che per Fellini: la madre, o il feto. (ninna nanna “dormi bambino”).
Ricordo anche del Cristo volante che apre La dolce vita.
La bionda dagli occhi luminosi che appare a Marcello è una vera apparizione, non caricaturale ma più vera del vero.
Sul Corriere della Sera del 10 dicembre 1996, Antonio Debenedetti dice che, molto probabilmente, Georges Simenon è il modello a cui si è ispirato Fellini per il personaggio di Sante Katzone. Fellini e Simenon furono amici, e l’autore di Maigret si vantava spesso della sua attività sessuale, della quale teneva anche un resoconto, un catalogo privato. L’articolo di Debenedetti era una recensione al libro “Georges Simenon” di S.G.Eskin, ed. Marsilio.

lunedì 22 ottobre 2012

Puccini 1973 ( V )

Puccini (1973) Regia di Sandro Bolchi. Sceneggiatura di Dante Guardamagna. Consulenza di Mario Labroca ed Enzo Siciliano. Scene e costumi di Ezio Frigerio. Regia delle opere liriche: Beppe De Tomasi. Scene e costumi: Carlo Tommasi, Franca Squarciapino. Girato quasi interamente nei luoghi originali. Cinque puntate di 65 minuti circa ciascuna.
Interpreti principali: Alberto Lionello (Puccini), Ilaria Occhini (Elvira, moglie di Puccini), Tino Carraro (Giulio Ricordi), Vincenzo De Toma (Luigi Illica), Mario Maranzana (Giacosa),
Interpreti della quinta puntata: Luciano Alberici (Tito Ricordi), Renzo Palmer (Renato Simoni), Lino Savorani (Luigi Adami), Ingrid Thulin (Sybil Seligman), Mauro Barbagli (barone Eisner, a Vienna), Bernd Treusch e Cip Barcellini (giornalisti viennesi), Mario Giorgetti e Sergio Masieri (amici di Puccini a Torre del Lago), Dino Peretti (medico), Remo Varisco (dottor Ledoux), Antonio Fattorini (Tonio, figlio di Puccini), Antonella Scattorin (Fosca, figlia di Elvira), Giancarlo Dettori (Arturo Toscanini).
Cantanti: Tito Gobbi, Gianfranco Cecchele, Gabriella Tucci, Boris Carmeli

L’ultima puntata comincia con le pesantissime ripercussioni della morte di Doria Manfredi su Puccini e sulla sua famiglia. In particolare, è Elvira la persona più colpita: a causa della sua gelosia ha fatto una sfuriata a una ragazza che era invece innocente (oggi lo sappiamo con certezza), e adesso a Torre del Lago tutti la ritengono responsabile della morte di Doria. Di conseguenza, Puccini decide di lasciare per qualche tempo la villa di Torre del Lago per trasferirsi a Viareggio. La tragica morte di Doria Manfredi rimarrà una ferita difficile da rimarginare.
A confortare almeno in parte Puccini ci sono il suo lavoro e l’amicizia con Sybil Seligman: i dialoghi che ascoltiamo qui e nella puntata precedente sono probabilmente tratti dal carteggio fra lei e Puccini. Sul sito www.theoperacritic.com ho trovato un articolo del 2006 firmato da Helmut Krausser: Sybil era moglie di un ricco banchiere californiano, è vissuta fra il 1868 e il 1939, quindi più giovane di dieci anni rispetto a Puccini; trascrisse per Puccini melodie americane e indiane (per “La fanciulla del West”), e tradusse, sempre per Puccini, “Una tragedia fiorentina” di Oscar Wilde, un progetto poi abbandonato (verrà poi musicata da Zemlinsky). Sybil Seligman prese effettivamente lezioni di canto da Tosti, come abbiamo visto nella puntata precedente. Aveva due figli, nati nel 1892 e 1895; all’epoca del primo incontro dovremmo essere nel 1908. Nel carteggio fra lei e Puccini, durato molti anni, esistono ben settecento lettere; è più che probabile che tutti i dialoghi del film siano tratti da queste lettere. In particolare, va sottolineata una frase che Alberto Lionello dice a Ingrid Thulin: “se la nostra amicizia è rimasta solo un piccolo giardino, il merito è tutto suo, Sybil...”. E’ probabile che le cose siano andate proprio così, anche perché la salute di Puccini in quegli anni non era delle migliori. Sul sito “the opera critic” ho trovato anche una foto di Sybil: il nome completo era Sybil Bennington, Seligman era il nome del marito.
La scena seguente è a Vienna 1914, dove Puccini concede un’intervista; le risposte di Puccini sono molto interessanti per gli appassionati di musica, e la scena è molto ben recitata. A Vienna Puccini riceve una decorazione da Francesco Giuseppe, e siamo ormai alla vigilia dell’entrata in guerra. Da qui nascono altri dissidi con Tito Ricordi, che rimprovera Puccini per le sue ripetute dichiarazioni di neutralità e per la decorazione viennese, che gli hanno causato molta ostilità anche da parte di Toscanini. Puccini esprime la convinzione che star fuori dalla guerra sia la cosa migliore, ed esprime un parere molto negativo su D’Annunzio non solo come interventista ma per tutta quanta la sua persona. Puccini spiega a Tito Ricordi che la sua filosofia di vita è “farsi i fatti i suoi”, “è possibile essere neutrali?”. Anche questi dialoghi sono più che documentati, non c’è nulla di inventato ed è un peccato che non siano citate le fonti originali della sceneggiatura di Dante Guardamagna, davvero molto ben fatta e recitata in maniera eccellente.
Nel 1914 (per noi italiani sarà il 1915) inizia la Grande Guerra; anche il figlio di Puccini parte volontario, e per sua fortuna tornerà sano e salvo. Il regista Bolchi ci mostra la guerra con una sequenza di immagini d’epoca, molto ben scelte.
Dal punto di vista musicale, a Vienna avevano proposto a Puccini un’operetta, molto ben pagata; il progetto non va in porto ma sfocerà comunque nella Rondine. “La Rondine” non è un’operetta, ma un’opera vera e propria. Il libretto è di Giuseppe Adami, che sarà anche uno degli autori della Turandot; la prima della Rondine è del marzo 1917, a Montecarlo, e viene pubblicata da Sonzogno, “per fare un dispetto a Tito Ricordi” che era contrario. Il suo soggetto somiglia molto alla storia della Traviata, ma senza tragedia finale. Nel film di Bolchi quest’opera non c’è, se ne fa appena menzione; ed è un peccato perché c'è molta buona musica e la si ascolta sempre volentieri.
Il tempo di guerra, forse anche per via dell’isolamento forzato a Torre del Lago, è per Puccini un periodo di grande lavoro. Comporre musica gli permette di non pensare troppo alle gravi preoccupazioni di quegli anni; il risultato, oltre a “La Rondine”, sono tre opere brevi di un atto ciascuna, riunite sotto il nome “Il Trittico”, che andrà in scena al Metropolitan di New York nel dicembre 1918. Le tre opere sono: “Il tabarro”, “Suor Angelica” e “Gianni Schicchi”.
“Il tabarro” è una storia tragica che si svolge su un barcone ormeggiato sulla Senna, libretto di Giuseppe Adami tratto da un racconto del francese D. Gold; la musica è molto bella e Puccini appare in gran forma. “Suor Angelica” e “Gianni Schicchi” sono su libretto del fiorentino Giovacchino Forzano, scrittore e uomo di teatro molto famoso in quegli anni. Forzano nello sceneggiato di Bolchi non c’è, e anche questo dispiace. “Gianni Schicchi” è un’opera buffa tratta da un personaggio citato da Dante nella Divina Commedia, condannato nella Firenze del 1200 per aver falsificato un testamento d’accordo coi parenti del morto (che era ovviamente molto ricco). L’opera assomiglia molto al “Falstaff” di Verdi, c’è molta bella musica e ci si diverte. “Suor Angelica” è invece una storia cupa, su una giovane costretta al monastero dopo aver avuto un figlio fuori dal matrimonio, ambientata nel 1600.
Di queste tre opere, il regista Bolchi ci mostra un frammento da “Gianni Schicchi”, con Tito Gobbi truccato in un modo che ricorda molto gli sberleffi di Dario Fo.
Siamo ormai negli anni ’20, il soggetto scelto da Puccini è “Turandot”, una favola scritta dal veneziano Carlo Gozzi nel ‘700, d’ambiente cinese. Questo soggetto, con lo stesso titolo, era già stato musicato pochi anni prima da Ferruccio Busoni (prima rappresentazione nel 1917, a Zurigo), un’opera molto bella e molto differente da quello che ne trarrà Puccini; è comunque più che probabile che l’interesse per Turandot nasca proprio dall’opera di Busoni (grande pianista e ottimo compositore, italo-tedesco di origini toscane). I librettisti sono Giuseppe Adami e Renato Simoni; Adami ha già scritto due opere per Puccini, “La Rondine” e “Il tabarro”; Renato Simoni è invece un personaggio molto importante in quegli anni, commediografo e critico letterario tra i più letti e influenti. Adami e Simoni erano entrambi veronesi, gli attori che li interpretano cercano di renderne l’accento veneto; si tratta rispettivamente di Renzo Palmer (Renato Simoni) e di Lino Savorani (Luigi Adami).
Renzo Palmer era un attore molto popolare, interprete di molti sceneggiati televisivi, doppiatore al cinema e nei cartoni animati, e lo si rivede sempre volentieri. Di recente ho dovuto prendere atto che i cartoni animati con la sua voce sono stati ridoppiati, e ancora mi chiedo il perché: il leone Svicolone e Braccobaldo erano divertentissimi con quelle voci, con quelle nuove molto meno. Un vero peccato, soprattutto per i bambini delle nuove generazioni; anche l’orso Yoghi con la voce di Francesco Mulè era molto più divertente – ma tutto questo con Puccini ovviamente non c’entra, quindi chiudo la parentesi e ritorno alla Turandot.
Ai suoi librettisti, Puccini spiega che vuole inserire un personaggio nuovo nella fiaba settecentesca di Carlo Gozzi, “la servetta che muore per amore”. E’ un dettaglio che fa subito pensare a Doria Manfredi. “Basta che non sia un personaggio che porta in un’altra storia” conclude Simoni, e sia pure un po’ perplesso si mette al lavoro su quella che sarà Liù, e che avrà forse la musica più bella di tutta l’opera di Puccini.
Puccini è ormai molto malato, è sempre più rauco, e stanco. Non ha più tempo né voglia nemmeno per gli amici del club di Torre del Lago. In questa scena, Bolchi inserisce alcuni frammento dell’Inno a Roma, scritto su commissione nel 1919: in una lettera alla moglie Elvira, il suo autore lo descrive così: «Ho finito l’Inno a Roma, una bella porcheria; domani viene Sadun a copiarlo in bella e lo manderò. Sarà quel che sarà.» In effetti, l’Inno a Roma appare modellato sulla canzonaccia da ubriachi che fa da inno al suo club. E’ di questi anni anche la nomina a senatore, non molto gradita da Puccini.
Da qui in avanti, la malattia di Puccini si aggrava: è un tumore alla gola, probabilmente causato dal troppo fumo. Puccini se ne rende conto e manda molte lettere ad Adami e Simoni, sollecitandoli nel lavoro; anche in queste scene, come in quasi tutto il film, i dialoghi che ascoltiamo sono tratti dall’epistolario pucciniano. Alcune di queste lettere sono quasi disperate, non tanto per le difficoltà incontrate quanto per la preoccupazione di non riuscire a finire l’opera.
“Turandot” andrà in scena nel 1926, due anni dopo la morte di Puccini; l’opera si conclude con la morte di Liù, e verrà completata solo qualche anno dopo da Franco Alfano, basandosi sul libretto di Adami e Simoni e su alcuni appunti di Puccini. E’ la versione che si ascolta normalmente nei teatri, ma non sappiamo cosa avrebbe veramente scritto Puccini, gli appunti in corso d'opera si possono anche appallottolare e buttare via.
Curiosamente, il finale dello sceneggiato di Bolchi è quasi identico a quello del film di Gallone, con Elvira dai capelli grigi nel palco per la Turandot e con l’episodio vero di Arturo Toscanini che, dopo la scena della morte di Liù, depone la bacchetta e si rivolge verso il pubblico dicendo “Qui termina l’opera, a causa della morte del Maestro”.
Il finale della puntata, sui titoli di coda, è per questa volta in completo silenzio.
Negli inserti in teatro, Tito Gobbi è Gianni Schicchi; Gianfranco Cecchele, Gabriella Tucci e Boris Carmeli interpretano il finale della Turandot

domenica 21 ottobre 2012

Puccini 1973 ( IV )

Puccini (1973) Regia di Sandro Bolchi. Sceneggiatura di Dante Guardamagna. Consulenza di Mario Labroca ed Enzo Siciliano. Scene e costumi di Ezio Frigerio. Regia delle opere liriche: Beppe De Tomasi. Scene e costumi: Carlo Tommasi, Franca Squarciapino. Girato quasi interamente nei luoghi originali. Cinque puntate di 65 minuti circa ciascuna.
Interpreti principali: Alberto Lionello (Puccini), Ilaria Occhini (Elvira, moglie di Puccini), Tino Carraro (Giulio Ricordi), Vincenzo De Toma (Luigi Illica), Mario Maranzana (Giacosa),
Interpreti della quarta puntata: Luciano Alberici (Tito Ricordi), Carlo Alighiero (Francesco Paolo Tosti), Ingrid Thulin (Sybil Seligman), Anna Volpi (cantante a casa di Tosti), Nada Malanima (Doria Manfredi) Pierluigi Zollo (fratello di Doria), Renato De Carmine (D’Annunzio), Carlo Reali (David Belasco), Antonio Guidi (Beppe, fratello di Elvira), Antonio Fattorini (Tonio, figlio di Puccini), Rino Calogero (Giulio Gatti Casazza, sovrintendente del Metropolitan),
Cantanti: Anna Moffo, Gianna Galli, Giulio Fioravanti

Dopo le contestazioni alla prima della Madama Butterfly, si tiene un consiglio in casa Ricordi, con Illica e Giacosa ma senza Puccini. Tito Ricordi è molto irritato, anche Illica comincia a perdere la pazienza; Giulio Ricordi conviene che Puccini non sa tenere i rapporti con la stampa e che è poco mondano, per niente diplomatico, e che anche questo ha avuto la sua importanza nelle contestazioni. A questo punto finiva il film di Carmine Gallone: con una dissolvenza e con uno stacco di vent’anni si parlava del trionfo successivo della Butterfly, e si mostrava Puccini già anziano e malato. Ma ci sono molte altre cose da raccontare, e uno sceneggiato in cinque puntate può farlo, mentre un film per il cinema deve essere per forza di cose più breve.
Durante questo consiglio in casa Ricordi, Giacosa annuncia che non ha più tempo per fare libretti d’opera; purtroppo non è una scusa, è davvero molto malato. A questo punto si tira indietro anche Luigi Illica, e si scioglie così il sodalizio che ha portato a tre grandi successi. Bisogna quindi trovare nuovi librettisti per Puccini.
Nella scena successiva ci spostiamo in un salotto molto elgante, dove una cantante intona “Ideale”, una romanza da camera di Francesco Paolo Tosti (1846-1916). C’è anche Puccini, e Tosti gli suggerisce di provare con D’Annunzio, che è interessato a scrivere un libretto d’opera. A casa di Tosti, Puccini conosce Sybil Seligman: della quale non so molto, è una signora molto ricca e molto colta, che affascina Puccini. Sybil (interpretata da Ingrid Thulin) sarà d’ora in avanti un’amica importante per Puccini, ma soltanto un’amica; come verrà detto da Puccini stesso in un dialogo successivo, se sono rimasti soltanto amici il merito è tutto di Sybil.
D’Annunzio è interpretato da un altro ottimo attore, Renato De Carmine: facendo un confronto con le foto e i filmati d’epoca, De Carmine appare troppo bello e troppo alto per il ruolo, ma ci può stare. Puccini vede D’Annunzio al Vittoriale, l’incontro sembra interessante ma non porterà a nulla. Ci saranno libretti d’opera scritti da Gabriele D’Annunzio, ma non su musica di Puccini; e Puccini conserverà un ricordo negativo di quest’incontro. La “Francesca da Rimini” di Zandonai (1914), ancora oggi in repertorio, è su libretto di D’Annunzio.
In questi anni Puccini va in America, vede la nascita del jazz e si entusiasma per “gli ottoni straordinari” dei musicisti neri. Siamo prima del 1910, Louis Armstrong aveva otto o nove anni.
A New York incontra ancora David Belasco, dopo Madame Butterfly toccherà a un altro suo dramma, “The girl of the golden west” che diventerà “La fanciulla del West” e avrà la sua prima nel 1910, al Metropolitan di New York. Il libretto sarà scritto da Angelo Zanardini e Guelfo Civinini, che però nello sceneggiato di Bolchi non ci sono. La messa in scena del finale di “La fanciulla del West” che vediamo in questa puntata, con Mario Del Monaco, è praticamente identica a quella della prima rappresentazione; porto qui una foto originale perché indica l’accuratezza con cui è stato girato questo film per la tv.
La storia di Doria Manfredi (interpretata dalla cantante toscana Nada Malanima, allora molto popolare per “Ma che freddo fa” e altre canzoni) occupa molta parte di questa puntata; riporto qui per intero un articolo che spiega molte cose su quello che potrebbe essere veramente successo.
Ritrovata una valigia che fu di Giulia Manfredi, che forse fu amante dell’autore della Bohème. Giulia, cugina di Doria (ingiustamente accusata dalla moglie di Puccini) era alta e forte, forse il modello della “Minnie” che Puccini stava musicando in quegli anni.
PUCCINI E LA VALIGIA DEI SEGRETI
di Leonetta Bentivoglio, La Repubblica 21 ottobre 2007
PISA. Si svela un nuovo amore nella vita di Giacomo Puccini. È un'ipotesi che monta, si dilata, prende corpo. Sembrava che già si fosse detto tutto sul popolarissimo creatore di Bohème. S'era esplorata ogni passione, favoleggiate ogni mania, narrata ogni conquista femminile, sondato ogni litigio con l'opprimente moglie Elvira. Nessun operista è stato più ritratto e sezionato in saggi, biografie, romanzi, serie televisive. Ma ecco che scenari inediti affiorano da una valigia colma di documenti. Lettere che formano i tasselli di una trama tra il giallo e il nero, una matassa ardua da sbrogliare e densa di amore e morte.
Il tutto ruota intorno al possibile legame di Puccini con un'amante mai registrata dalla storiografia che lo riguarda: Giulia Manfredi, la quale mise al mondo un figlio "di padre ignoto", Antonio. È a Pisa, dalla cantina della figlia di Antonio, Nadia, che è emersa la valigia, lasciata alla nipote da sua nonna e poi dimenticata. Grazie alle notizie portate alla luce dal ritrovamento, e confortata da un gruppo di avvocati pronti a sposare la sua causa, Nadia ha fatto partire l'atto di citazione per il riconoscimento della paternità di suo padre Antonio, che potrebbe essere il figlio del musicista. Se il test del dna le desse ragione (ma è giuridicamente lecito testare un cadavere?), Nadia si affermerebbe come nipote dell'autore di Tosca.
Per ricostruire l'intricata vicenda va rievocata quella tragica e ben nota di Doria Manfredi, cugina di Giulia e figura molto frequentata dagli studiosi della vita del Maestro. Servetta a Torre del Lago, nella villa toscana di Puccini, in riva al lago di Massaciuccoli, Doria ha sedici anni quando Elvira, consorte gelosissima di Giacomo, la accusa di avere rapporti sessuali col marito. Non solo la licenzia, ma diffonde infamie sul suo conto e la insulta per strada chiamandola «puttana». Nel 1909 Doria si uccide avvelenandosi, e l'autopsia dimostra che è illibata. Se l'episodio fosse in un'opera di Puccini, artefice di un teatro fitto di situazioni truci e morbose, si direbbe che la vittima è volata in cielo recando intatto il fiore della sua verginità.
Nella realtà quella morte, come testimoniano le biografie di Puccini, è un trauma difficile da superare per il compositore: una ferita che lacera il tessuto fitto di successi della sua esistenza gloriosa, sospinta, oltre che dal leggendario genio musicale, da un misto di dissipazione provinciale, sensualità rovente e sete culturale rivolta al futuro (era attratto dal cinema, dalla fotografia, dalle automobili, da ciò che era "nuovo").
Ed è dal suicidio di Doria che il regista Paolo Benvenuti, poi supportato da un gruppo di lavoro coordinato dalla Mediateca regionale toscana e di cui fanno parte anche lo storico del cinema Pier Marco De Santi e la musicologa Gabriella Biagi Ravenni, ha intrapreso un'indagine che lo ha condotto alla valigia: «Anni fa alcuni ragazzi della mia scuola di cinema "Intolerance" di Viareggio scelsero come tema di una sceneggiatura l'episodio del suicidio di Doria», riferisce Benvenuti, autore dei film Il bacio di Giuda, Confortorio, Tiburzi, Costanza di Lubbiano e Segreti di Stato. «Premesso che il dongiovannismo di Puccini era funzionale alla sua arte, Giacomo, per le eroine delle sue opere, s'ispirava sempre a modelli in carne e ossa, cioè a donne con cui aveva rapporti importanti».
Poteva Doria essere stata la sua amante? Non è credibile, secondo Benvenuti. Nel periodo in cui si consuma il dramma della domestica, tra l'ottobre 1908 e il gennaio 1909, Puccini scrive La Fanciulla del West, cominciata nel 1907 e finita nel 1910: «Eppure Minnie, la protagonista dell'opera, è quanto di più diverso si possa immaginare da Doria, introversa e fragile ragazza di campagna. Minnie è una virago, una Calamity Jane. Di conseguenza all'epoca dovevano essere altri gli interessi femminili del compositore».
Notare che a Torre del Lago, di fronte a casa Puccini, c'è un ristorante che esiste da inizio Novecento, quand'era una palafitta analoga alle baracche del vecchio West. Un ritrovo di pescatori e cacciatori, dove si mangia, si beve e si gioca a carte, costruito da Emilio Manfredi, vicino di casa di Giacomo e padre di Giulia, fior di ragazza alta un metro e ottanta, che tratta gli uomini alla pari, va a caccia di folaghe ed è una buona doppietta. Una fotocopia del personaggio di Minnie ne La Fanciulla del West. Gli anziani di Torre del Lago concordano nel dire che tra i due c'era una relazione, e che Puccini si rifugiava spesso col barchino insieme a Giulia tra le fresche frasche.
Nel 1923 la Manfredi resta incinta e partorisce a Pisa, lasciando il figlio Antonio a una balia, Alba Salusti. Un contratto di baliatico stabilisce che la Manfredi paghi alla donna mille lire al mese. I soldi giungono regolari dal giugno del '23 al novembre del '24, interrompendosi alla morte di Puccini. Antonio cresce con la sorellastra della balia, è operaio in una fabbrica di ceramiche, dopo la guerra apre un chiosco di bibite, fa il cuoco per gli americani e altri mestieri. Va spesso a Torre del Lago, tentando invano di farsi dire dalla madre chi è suo padre. Giulia, che non si è mai sposata e continua a gestire il ristorante, lo respinge con toni violenti. Nel `45 Antonio si sposa con Nara Sighieri e l'anno dopo nasce Nadia.  Nel '68 Giulia, vecchia e cieca, si riavvicina al figlio e lo nomina suo procuratore. Quando muore, Antonio entra in possesso della valigia che Puccini le ha dato in custodia. Contiene lettere che Giacomo ha ricevuto da amici, congiunti, avvocati e famigliari di Doria. Scritti che scottano e che il musicista vuol difendere dalla curiosità e dalla furia di Elvira. Per questo li affida all'amica di sempre.
Antonio muore nell' 88 e la valigia passa alla figlia Nadia. A lei risale Benvenuti, seguendo l'intreccio di supposizioni e pettegolezzi. Nel frattempo il regista ha deciso di realizzare un film sulla storia di Doria, La fanciulla del lago, che comincerà a girare nel 2008, anno del centocinquantesimo anniversario della nascita di Puccini. Perciò non smette d'inseguire tracce. Nadia ha in casa vari lasciti di sua nonna, tra cui dediche e foto di Puccini. Ma forse c'è dell'altro. Benvenuti insiste, la prega di cercare meglio. E Nadia, che oggi è nonna di un nipotino di nome Giacomo, rammenta che in cantina c'è una valigia impolverata. Ne escono, oltre a una sessantina di missive, due scatole con una pellicola cinematografica. Benvenuti la fa restaurare e appare un film inedito del 1915. Otto minuti emozionanti che riprendono in tutto il suo charme, e con l'eterna sigaretta in bocca, Puccini al pianoforte, a caccia, in motoscafo con Nicche (il suo Leporello) e con l'amico musicista Carlo Carignani. Del prezioso reperto è già stata data una piccola anticipazione all'ultima Mostra del Cinema di Venezia e «sarà programmata una proiezione completa all'Auditorio di Roma, forse in gennaio, nell'ambito di una giornata su musica e cinema», annuncia Mario Sesti, uno dei direttori della Festa del Cinema. «E’ un filmato eccezionale», sostiene Pier Marco De Santi, docente di Museologia del cinema e di Storia del cinema italiano a Pisa. «Dimostra l'incredibile modernità di Puccini, il primo a inventarsi un'autopromozione cinematografica e a mettere in pratica l'idea che il cinema possa tramandare ai posteri l'immagine di una figura vivente». De Santi collaborerà con Gabriella Biagi Ravenni, presidente del Centro studi Giacomo Puccini di Lucca, alla pubblicazione in un volume di tutti i documenti rinvenuti da Benvenuti in casa Manfredi «che si affiancherà al lavoro di edizione delle sue opere intrapreso dal Centro», spiega la Biagi Ravenni. «Partiture in edizione critica, tutta la corrispondenza, appunti di regie. Un lavoro enorme: ci impegnerà per vent'anni».
Ma cosa c'è di tanto rivelatorio nelle lettere? E perché Doria si è suicidata? «L'ipotesi è che la povera ragazza fungesse da messaggera d'amore tra sua cugina Giulia e Giacomo. Il che spiegherebbe perché mai, pur essendo innocente, non si fosse difesa dalle accuse di Elvira», risponde Benvenuti. «Da questi scritti emergono inoltre la strategia difensiva di Puccini rispetto all'episodio di Doria, la sua disperazione e le sue pulsioni suicide, attraverso la corrispondenza con amici come Alfredo Caselli, proprietario del bar Caselli di via Fillungo a Lucca, ritrovo di artisti e intellettuali. Puccini pativa un tremendo senso di colpa per la morte di Doria. Un nipote scrive addirittura che Giacomo, malato di diabete, voleva uccidersi mangiando una montagna di dolci». D'altra parte, insiste Benvenuti, sono numerose le prove scritte del suo attaccamento nei confronti di Giulia, riportate anche in un libro di epistolari uscito nel '74: «Nel 1920, da Londra, le scrive che vorrebbe dirle tante cose, "ma per lettera non mi fido", e la prega di "figurarsele" . In più le manda foto con dediche affettuosissime».
Dalla valigia escono pure lettere molto scabrose: in particolare ce n'è una dove la madre di Doria, con il cuore spezzato in seguito al suicidio, si lamenta con Giacomo del fatto che Elvira infanghi la memoria di sua figlia con insinuazioni insultanti sulla natura dei rapporti sessuali intercorsi tra Puccini e la defunta.
L'intera vicenda è respinta con scetticismo dall'erede di Giacomo, la combattiva Simonetta, nipote del compositore. Nata dalla relazione tra Antonio Puccini, figlio di Giacomo ed Elvira, e Giuseppina Giurumello, Simonetta, non legittimata dal cognome del padre (sposatosi con Rita Dell'Anna) mentre costui era in vita, ha portato il cognome della madre fino al' 73, quando le è stato accordato il riconoscimento. Sono seguite lotte per l'eredità e per le tre residenze pucciniane (Viareggio, Torre del Lago e Lucca), in un'epopea di contenziosi e cause affrontate sempre con grande energia dalla signora. Tra l'altro è stato grazie ai suoi interventi per la conservazione del paesaggio di Torre del Lago che pochi giorni fa si è deciso di abbattere le due torri, mastodontiche e deturpanti, progettate per il nuovo teatro all'aperto del festival pucciniano.
Interpellata sulla spinosa questione di Giulia e di un possibile "altro" figlio Antonio (il primo, e l'unico finora certo, è suo padre), la Puccini replica secca: «Non farò alcuna dichiarazione finché non avrò esaminato i documenti».
(continua)