Ginger e Fred (1985) Regia: Federico Fellini - Soggetto: Federico Fellini, Tonino Guerra - Sceneggiatura: Federico Fellini, Tonino Guerra, Tullio Pinelli - Fotografia: Tonino Delli Colli, Ennio Guarnieri – Musica: Cheek to cheek (Heaven, I’m in heaven...) Musiche originali e arrangiamenti a cura di Nicola Piovani - Scenografia: Dante Ferretti - - Effetti speciali: Adriano Pischiutta - Costumi: Danilo Donati - Arredatore: Gian Franco Fumagalli - Architetto: Nazzareno Piana - Pitture: Rinaldo e Giuliano Geleng - Coreografo: Tony Ventura - Produttore: Alberto Grimaldi INTERPRETI: Giulietta Masina (Ginger), Marcello Mastroianni (Fred), Franco Fabrizi (Presentatore,doppiato da Alberto Lionello), Frederick Ledebur (Ammiraglio), Martin Maria Blau (aiuto regista), Jacques Henri Lartigue (frate volante), Toto Mignone (Toto), Ezio Marano (intellettuale), Antoine Saint Jean (assistente), Frederick Thun (sequestrato), Antonio Iuorio (ispettore Tv), Claudio Botosso (giornalista), Barbara Scoppa (giornalista), Elisabetta Flumeri (giornalista), Ginestra Spinola (madre voci trapassati), Sergio Ciulli (figlio voci trapassati), Stefania Marini (segreteria tv), Francesco Casale (mafioso), Gianfranco Alpestre (avvocato), Filippo Ascione (pianista), Elena Cantarone (infermiera), Cosimo Chiusoli (moglie spretato), Claudio Ciocca (cameraman), Federica Paccosi (ballerina), Augusto Pederosi (travestito), Alessandro Partexano (marinaio), Tiziana Bucarella (fotografa), Elena Magola (critica letteraria), Mauro Misul (editore), Luigi Rossi (superdecorato), Franco Trevisi (capitano carabinieri), Narcisio Vicario (presidente tv), Moana Pozzi, Mario Conocchia, Ivano Marescotti, e altri. Durata: 125'
Dal volume di Claudio G.Fava, editore Gremese, « Tutti i film di Fellini » riporto qualche altra recensione d’epoca interessante:
«[ ... ] Nella satira di Ginger e Fred la parte positiva è affidata alla nostalgia malinconica ma non rassegnata di un mondo diverso, più autentico del nostro. Si tratta, insomma, di un attacco alla tv intesa come rappresentativa dell'involgarimento attuale della società italiana. È stato detto che Fellini ha voluto fare una “Nashville” italiana (il film di Robert Altman), insieme corale e sardonica. Ma c'è una differenza: il mondo televisivo in Ginger e Fred è un mondo di "mostri" sia fisici sia morali, quei mostri ai quali Fellini, da sempre, ha rivolto la sua ironica e affettuosa attenzione. Invece, in Nashville, noi ci troviamo di fronte agli americani normali. I "mostri" di Fellini stanno a testimoniare una vittoria dell'immaginazione visionaria sulla lucida osservazione [...]».
Alberto Moravia, L'Espresso, Roma, 2 febbraio 1986.
«Che cosa è Ginger e Fred, opus n. 19 di Fellini? Tante cose. È il più semplice dei suoi ultimi film e, almeno per me, il più divertente e fluido, anche se la semplicità copre una complessa trama di temi e motivi e la piacevolezza sottende una sconsolata e disgustata amarezza. È un dilatato capitolo aggiunto al suo Roma del 1972, cioè un'altra tappa del suo tenero, perplesso, nauseato rapporto con l'odiosamata Città Eterna, Alma Mater e Gran Baldracca, in cui vive dal 1939. E - nel triplice senso della parola: rispecchiamento, considerazione attenta, operazione di autocoscienza - una riflessione selettiva e visionaria sulla società dello spettacolo in cui viviamo [...]».
Morando Morandini, Il giorno, Milano, 14 gennaio 1986.
«[...] Questo ritorno al passato, privo di nostalgia, di un autore sempre più in conflitto con il proprio tempo, potrà stupire, anche disorientare, addirittura deludere. Saremmo tentati a difenderlo a spada tratta se, obiettivamente, vedendolo non avessimo avuto la sensazione di assistere a un'operazione troppo dilatata, quasi che la sua misura ideale fosse stata invece quella del mediometraggio: quella di Prova d'orchestra, per esempio. [...] A ripensarci Ginger e Fred è proprio il seguito di Prova d'orchestra: la sfera di pietra che concludeva quel film distruggendo lo "spazio" riservato ai riti dell'arte, non ci ha insegnato niente. Si continua a"provare" e ad "andare in scena". Ma chi è che "prova" e che "va in scena"? Una troupe di "morti viventi" e di "replicanti", per confortare gli spettatori anonimi, massificati, dell'audience televisiva [...]».
Callisto Cosulich, Paese Sera, Roma, 23 gennaio 1986.
Nel 1986 finisce il ’68: non è un gioco di parole, è da qui comincia la supremazia culturale della destra, una destra che arriva dall’Inghilterra della Thatcher e dall’America di Reagan. Quando si criticano le decisioni del Parlamento Europeo, per esempio, non si ricorda quasi mai che è un Parlamento di destra: l’ondata di sinistra si ferma a metà anni ’80. L’Europa di sinistra si impegnò per abbattere le barriere e i confini, quella di destra si sta impegnando per alzare muri e barriere anche dove non c’erano: ancora un po’ e ci riusciranno.
Nel ’68 io facevo ancora le elementari, ma in quel periodo – e durò per almeno un decennio - ti spingevano a leggere libroni difficili, impegnativi, come Marcuse e il Capitale ma anche come tutti i più grandi nomi della letteratura e della saggistica dei secoli precedenti, da Thomas Mann a Luigi Pirandello; in campo musicale si ascoltavano autori belli e difficili, perfino nel mondo del rock non c’era quasi niente di banale e scontato. Quel clima è durato poco, ed è vero che ci sono stati errori ed eccessi, ma dire come si fa oggi che “il ’68 fu la fabbrica degli asini” è una contraffazione vergognosa. Si cita a sproposito don Milani, che non voleva il sei politico, ma chiedeva più attenzione per gli studenti che rischiavano di rimanere indietro: nei suoi scritti e nei suoi discorsi è chiarissimo, don Milani chiedeva il massimo impegno ed era molto severo con i suoi allievi - chi dice il contrario o non sa di cosa sta parlando oppure vuole dare informazioni sbagliate.
La “fabbrica degli asini” nasce nei primi anni ’80, quando si comincia a parlare di “riflusso”, e il clima è ormai maturo per programmi come “Drive in”, per le risate registrate, per programmi dove si sbeffeggiano la cultura e l’impegno civile. Da qui in avanti è il trionfo del disimpegno, dove tutto ciò che va oltre l’abc è noioso, dove vale solo quello che rende soldi, dove trionfa il mito dell’audience e dove si spacciano per maestri normalissimi autori di canzonette. Negli anni ’60 e ’70, quando io sono cresciuto, avevo solo tre canali tv (due della Rai e uno della Svizzera Italiana) che trasmettevano solo per 12-14 ore al giorno; eppure – non sembri un paradosso o un’esagerazione – c’era molta più offerta di oggi. Oggi abbiamo a disposizione un’infinità di canali tv che trasmettono 24 ore su 24, ma riempiti con un’infinità di sciocchezze. Una volta ho fatto l’inventario delle cose che vedevo da bambino, con tre soli canali tv, e che oggi sono disponibili solo a pagamento e in apposite nicchie: il campionato di basket e l’opera lirica, Pirandello e l’hockey su prato, la lista è infinita. La differenza sta qui: nei dirigenti delle reti tv e radio. Oggi, tutti i dirigenti provengono dal marketing e dalla pubblicità: la mentalità è quella e non c’è spazio per altro. Eppure, un altro mondo è possibile.
Oggi non si legge più, non solo Marcuse ma nemmeno i fumetti. Oggi si “scarica”, si prende e si mette via, in un minuto scarichiamo tutta l’Iliade e la Divina Commedia, ma poi non si legge, se si legge non si fa filtro, va bene tutto, ognuno si sceglie il suo angolino e si accetta tutto acriticamente. Va bene ed è buono solo “quello che ci piace a noi”, o che ci viene presentato come buono rovesciando quello che si era detto il giorno prima – ed è la legge della pubblicità e dell’audience.
Ma qui mi fermo, la rabbia e la delusione sono grandi e preferisco chiudere la parentesi tornando a parlare del film. Chiedo scusa, ma io appartengo a una generazione che guardava al mondo come qualcosa di migliorabile, mai e poi mai avrei pensato a un simile regresso civile e intellettuale; e su questo la tv e le radio commerciali hanno grandissima colpa.
Rimane da parlare degli attori, che sono moltissimi e quasi tutti alla loro unica esperienza cinematografica; però scorrendo il cast si trovano molte sorprese e curiosità.
Per esempio, l’anziano generale che vediamo all’inizio accanto a Giulietta Masina: si tratta di Friedrich von Ledebur, classe 1900, ufficiale della Cavalleria austro-ungarica, il leggendario Queequeg del “Moby Dick” di John Huston, una lunga lista di film alle sue spalle. E’ la sua ultima apparizione cinematografica: un attore a cui sono molto affezionato e che riconosco sempre con enorme piacere.
Il presentatore tv è Franco Fabrizi, già protagonista di “I vitelloni”; però la voce (secondo quanto ne scrive Claudio G. Fava) non è la sua, è quella di Alberto Lionello, magnifico attore di teatro, volto notissimo della tv e del cinema negli anni ’60 e ’70. Ci sono altri attori di teatro in giro per il film, volti facili da riconoscere ma a volte neppure citati nei titoli di coda: da Ezio Marano ai più giovani (giovani nell’85, s’intende) Antonio Iuorio e Ivano Marescotti. Volto famoso, all’epoca, era anche Claudio Botosso, che qui vediamo con il microfono in mano mentre fa interviste: era reduce dal ruolo di protagonista in “Impiegati” di Pupi Avati, un bel film del 1984. Appare brevemente anche Mario Conocchia, che ha recitato quasi soltanto con Fellini e che ha parti consistenti in “Otto e mezzo” e in “Giulietta degli spiriti”, e c’è spazio anche per Moana Pozzi, che appare dal video in una pubblicità per l’olio d’oliva e in altri due brevi momenti. Il "frate volante" è Jacques Henri Lartigue, fotografo di grande fama.
Le musiche sono di Nicola Piovani, che sostituisce degnamente Nino Rota, appena scomparso. La canzone “Cheek to cheek”, che accompagna i due ballerini, viene da un bel film con Ginger Rogers e Fred Astaire girato negli anni ’30, che si intitola “Top hat”, Cappello a cilindro.
"Ginger e Fred", del 1985 è dunque un film profetico, sulla televisione e sull'Italia di oggi, così come il precedente "E la nave va"(1983) e il terribile "Prova d'orchestra" (1979). Fellini era una persona buona e mite, incapace di odio e di violenza: è per questo che Ginger e Fred risulta essere ciò che sembra, cioè un filmettino mite e gentile e non un pamphlet o un’invettiva. Ma di ragioni per essere addolorato e arrabbiato, in quel 1985, Federico Fellini ne aveva parecchie. Gli rivolgo un pensiero affettuoso, quantomeno lui e la sua Giulietta non hanno visto lo sfacelo che è arrivato dopo.
«...perché, diceva Fellini, gli artisti sono come i sonnambuli, percorrono ad occhi chiusi una strada fragile e sconosciuta e se li svegli di colpo e gli chiedi di spiegarti dove stanno andando, e perché ci vanno, paiono degli idioti spaesati.» (Roberto Benigni, intervista al Venerdì di Repubblica, 14.10.2005).
2 commenti:
Questo film offre una marea di spunti, come si evince brillantemente dai post che gli hai dedicato. Ci sarebbero così tante cose da direre. Mi limito a fare due considerazioni: molto efficaci le musiche di Piovani, che probabilmente è - dopo Rota - il miglior compositore che Fellini abbia mai impiegato per i suoi film; bravi tutti gli attori di contorno, come Toto Mignone e Franco Fabrizi, compresi molti che fanno solo una particina, come lo scrittore che sbeffeggia Fred.
Ci sono anche delle donne molto belle, però è difficile ritrovarne il nome esatto. Un'ottima domanda potrebbe essere: perché alcune attrici fanno tanti film e altre più brave no?
(che si fa di questa domanda, la giriamo al ministero per le pari opportunità?)
Ieri sera ho rivisto anche "Le tentazioni del dottor Antonio" e mi sono chiesto: ma come, già così avanti e così profetico nel 1962? Poi mi sono ricordato che in USA c'è da sempre la tv commerciale, e che Fellini aveva già vinto un paio di Oscar, nel 1962 - quindi la tv americana la conosceva bene. Chissà cos'ha provato quando ha visto che quelle fetecchie arrivavano anche da noi...
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