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venerdì 20 dicembre 2019

Il Faust di René Clair


 
La bellezza del diavolo (La beauté du diable, 1949) Regia di René Clair. Liberamente tratto dal Faust di Goethe. Sceneggiatura di René Clair e Armand Salacrou. Fotografia di Michel Kelber e Giulio Venanzo. Musiche di Roman Vlad. Interpreti: Gérard Philipe, Michel Simon, Nicole Besnard (Margherita), Simone Valère (principessa), Carlo Ninchi (il principe), Paolo Stoppa (il procuratore). Raymond Cordy (Antonio), Gaston Modot (capo degli zingari), Tullio Carminati (ciambellano) Durata: 95 minuti

"La beauté du diable", girato nel 1949 da René Clair, è una versione del Faust di Goethe che ha il suo punto di maggior interesse nella presenza di due dei più grandi attori nella storia del cinema: Gérard Philipe e Michel Simon. Gérard Philipe fu attore di teatro prima che di cinema, ebbe una carriera folgorante ma durata troppo poco: Philipe fu stroncato da un tumore nel 1959, a trentasei anni. Michel Simon, svizzero di Ginevra, è una pietra miliare nella storia del cinema, da "L'Atalante" di Jean Vigo a "Boudu salvato dalle acque" di Jean Renoir passando per decine di film dove è impossibile non notare la sua presenza. Nel film di René Clair, Michel Simon e Gérard Philipe si scambiano i ruoli: all'inizio lo scienziato Faust è impersonato da Michel Simon, e il diavolo è Gérard Philipe, giovane e bello. Dopo aver firmato il patto, Faust entrerà nel corpo del giovane (Gérard Philipe) e il diavolo rimarrà sulla scena ma sotto le sembianze di Michel Simon.

 
Si tratta di una riscrittura del Faust di Goethe, con molte libertà rispetto all'originale, dove Margherita è una giovane zingara, manca Valentino, e non c'è Elena di Troia sostituita da una principessa senza nome. La giovane zingara salverà Faust nel finale, gettando dalla finestra la pergamena del patto col diavolo firmata col nome vero, Faust: dato che ora quel nome corrisponde alle sembianze prese da Mefistofele, il popolo si solleverà contro Mefistofele stesso, a questo punto abbandonato anche da Lucifero, perché ha fallito. Così Faust, rimasto giovane nelle sembianze, sarà libero, libero anche dal desiderio della ricchezza e del potere, e se ne andrà povero ma felice insieme alla carovana degli zingari. L'oro prodotto artificialmente è tornato sabbia; nel film infatti l'alchimista Faust era a buon punto nel trasformare la materia vile in oro, e sarà Mefistofele a portarlo al compimento dell'opera, anche se confesserà di aver bisogno dello scienziato Faust: "tu sei più bravo di me". Mefistofele mostra a Faust il suo futuro, dove seduce la bella principessa e poi farà uccidere il principe da Mefistofele. Alla fine della visione, Faust si stancherà anche della bella principessa; ed è questo l'errore di Mefistofele, il giovane Enrico (cioè Faust stesso) rifiuterà questo destino e da qui inizia la sua redenzione.
"La bellezza del diavolo" è uno dei capolavori nascosti, completamente scomparsi dalla programmazione televisiva e difficilmente reperibile anche su dvd: una volta la si chiamava censura di mercato, oggi potremmo dire con tutta tranquillità che si tratta di ignoranza e stupidità allo stato puro. Abbiamo reti tv che trasmettono 24 ore su 24, ogni giorno dell'anno: trovare un po' di spazio per i capolavori del cinema non sarebbe difficile e invece succede che perfino i film di Clair o di Lubitsch vengano ignorati. Un controsenso, ma così va e sappiamo anche di chi sono le colpe.
Quando il film uscì, alla fine degli anni '40, René Clair era considerato come regista di puro intrattenimento e si parlò molto di questo suo passaggio a un film "impegnato", tratto addirittura dal capolavoro di Goethe; oggi queste polemiche hanno un valore soltanto storico, come spettatori odierni possiamo anche ignorarle e ricominciare da capo a esaminare la filmografia del grande regista francese, dagli esordi con "Entr'acte" e il surrealismo passando per le piacevolissime commedie degli anni '30 (Sotto i tetti di Parigi, Il milione) e per i grandi successi di Hollywood (Ho sposato una strega, Avvenne domani, Il fantasma galante). A ben guardare, già con "À nous la liberté" (1931) Clair aveva sfiorato temi di grande impegno, anticipando il Chaplin di "Tempi moderni".

 
"La bellezza del diavolo", al di là di tutti questi discorsi, rimane comunque un film molto bello e molto ben fatto, e non riesco a capire come mai wikipedia riprenda soltanto, nella rassegna critica, alcune righe negative di Giovanna Grignaffini sul "Castoro Cinema" dedicato a René Clair, peraltro un libro utile e ben fatto. Iniziava così la sua recensione la Grignaffini, a pagina 108 del libro citato: «Il difetto maggiore di "La bellezza del diavolo" è quello di essersi lasciato imprigionare in una tale rete di rimandi, riferimenti filosofici e meditazioni trascendentali che ha finito per diventare e un vero e proprio filtro opaco rispetto alla struttura reale del film. (...) »
Una volta detto che i rimandi filosofici sono sempre i benvenuti, Giovanna Grignaffini riporta quasi soltanto pareri e dichiarazioni del momento in cui uscì il film, e quindi fa un lodevole lavoro storico; ma oggi si possono anche lasciare da parte quei pareri e quelle dichiarazioni, ormai molto datati, a partire da "il primo film di Clair esplicitamente dotato di un messaggio" che aveva senso nel 1949 e oggi non ne ha più, perché le nuove generazioni sono ormai completamente ignare di ciò che aveva significato René Clair ai suoi tempi. Più avanti, la Grignaffini fa notare il clima "da operetta" della corte del Re, da "opera buffa" con fondali di cartapesta; tutto questo mi fa che ricordare che il cinema di Clair ci riporta agli inizi del cinema. René Clair fu contemporaneo di Méliès e se ne ricordava ancora; e io direi che questo è un suo pregio, le capacità artigianali e la grande fantasia, nonché la libertà lasciata allo spettatore di immaginarsi qualcosa al di là dell'immagine mostrata hanno ancora molto senso anche nell'era dell'immagine computerizzata.

 
Giovanna Grignaffini riporta anche la battuta di Stendhal per l'uscita della prima edizione del Faust di Goethe, centratissima e micidiale: "non è necessario convocare le potenze celesti e infernali per raccontarci l'avventura di uno studente che mette incinta una serva", citazione fatta dallo stesso Clair come riportato dalla Grignaffini. Un po' drastico (nel mito di Faust, precedente a Goethe, c'è ovviamente molto di più) ma che riesce comunque a far sorridere. Dalle pagine di Giovanna Grignaffini rubo anche questa definizione: la "macchina fantastica per definizione che è la presenza in scena di Michel Simon". Michel Simon rimane un attore indimenticabile, alla pari con Gérard Philipe anche se in modo diverso.
 
Il film fu girato a Roma; oltre a Gérard Philipe e Michel Simon ci sono Nicole Besnard (Margherita), Simone Valère (la principessa) e molti attori italiani, come Carlo Ninchi (il principe) e Paolo Stoppa (il procuratore che indaga su Faust). Le musiche sono di Roman Vlad, anch'egli italiano: di origini rumene, fu anche direttore artistico alla Scala e curò programmi di divulgazione musicale alla Rai. Clair si muove con grazia, come sempre, anche nel senso di una facilità narrativa e di immagine che è davvero un dono del cielo, una grazia. Spero che nel frattempo qualcuno abbia restaurato le sue pellicole (molte ne avrebbero bisogno) e che presto ci sia una sua retrospettiva completa. Nel caso avvenisse, buon divertimento a tutti.




venerdì 2 settembre 2011

René Clair ( I )

René Clair nasce nel 1898, e a poco più di vent’anni, nel 1920, è già nel cinema come attore; il suo primo film da regista è del 1923, l’ultimo del 1965. Tre anni prima della sua nascita i fratelli Lumière effettuavano la prima proiezione pubblica di immagini in movimento; Clair da bambino ha sicuramente visto i film di Georges Méliès, che iniziò a produrne nel 1896 e finì la sua carriera nel 1918. A Georges Méliès, alla sua casa di produzione, alla nascita del cinema, René Clair dedicherà un film nel 1947, “Il silenzio è d’oro”, dove la nascita del cinema è descritta con la precisione e l’accuratezza (e l’affetto) che poteva avere solo chi a quella nascita aveva assistito.
René Clair è la felicità nel cinema. In seguito girerà anche film drammatici, come “Grandi manovre” (1956), ma penso che si possa dire che è con Clair, dagli anni '20 in poi, che la felicità fa il suo ingresso nel cinema; prima c’erano stato film comici, film brillanti, ma niente di paragonabile a “Il milione” o a “Sotto i tetti di Parigi”. A Clair devono molto, moltissimo, tutti i registi di cinema “brillante”, un primato probabilmente da condividere con Lubitsch, che era più vecchio di sei anni e col quale condivide sicuramente l’origine teatrale; ma per chi conosce Clair è difficile non riconoscere la sua influenza su Blake Edwards, su William Wyler, e anche su Mary Poppins (regista Stevenson) e su tutte le commedie della Disney.
René Clair non nasce dal nulla: dietro di lui c’è il grande teatro brillante francese di fine Ottocento, Labiche in primo luogo, autore di farse e commedie ancora oggi molto rappresentate e piacevolissime nei loro giochi ad incastro, come “Il cappello di paglia di Firenze” o “I due timidi”, che sono anche due titoli dei suoi film, ancora nel periodo del muto (1927 e 1928).
Non tutti i film di Clair sono dei capolavori, ma tutti quelli che ho visto me li ricordo volentieri e torno spesso a rivederli; alcuni erano difficili da capire per un diciottenne (a diciott’anni si fa molto caso alle mode e ai vestiti degli adulti, soprattutto se è “roba del nonno”), altri si capiscono al volo, come “Il milione” o “Parigi che dorme”, “A nous la liberté”...
Le donne di Clair sono tutte molto piacevoli, e molto determinate al di là dell’apparente fragilità: nel periodo francese, quello iniziale (il migliore) appaiono quasi sempre piccole e ben fatte, il tipo della ballerina, con una luce particolare negli occhi che va molto al di là della bellezza puramente fisica. E’ un tipo in cui si può far rientrare anche Gina Lollobrigida di “Le belle delle notte”, ma probabilmente qui c’è all’origine una scelta della produzione. Nel periodo americano, spesso sono delle star scelte dai produttori (Veronica Lake, per esempio) in Grandi manovre è invece il turno di Michèle Morgan, donna matura e consapevole. La più simpatica delle attrici di Clair è sicuramente Annabella, nome d’arte di Susanne Georgette Charpentier (1909-1996). (nella foto qui sopra Clair è con Louise Brooks: è bello sapere che si conoscevano. Qui sotto, invece, Annabella in "14 luglio"; le altre immagini del post vengono da "Entr'acte" e da "Le million").
Un’altra costante dei film di Clair è il “noir”, l’ambiente della malavita, celebratissimo negli anni ’30 e ’50 anche qui da noi e non solo in Francia. La malavita di Clair non è comunque quella dei film di altri registi francesi, quelli con Jean Gabin da protagonista: siamo molto più vicini alle farse di Mack Sennet e di Buster Keaton, o ai film di Charlie Chaplin, cose piccole, banditi tutto sommato gentili e spesso anche un po’ pasticcioni. Raramente si arriva ad un finale drammatico, quasi soltanto in “Grandi manovre” o in “Quartiere dei lillà”, ma anche in questi film il dramma è appena accennato, anche se non lascia indifferenti.
René Clair rimarrà sempre un autore fedele a se stesso, ben riconoscibile anche nei film americani, nonostante il lungo percorso di tempo come autore, che va da dal 1922 al 1965; morirà nel 1981.
Non sono riuscito a vedere tutti i film di Clair come avrei desiderato: mi sono fermato a poco più di metà strada, e molti non li rivedo da vent’anni, o giù di lì. Siccome sono un bel po’ noioso, mi piacerebbe vederli o rivederli in un’edizione decente, ben restaurata: le copie che circolavano erano quasi sempre piuttosto usurate, ed è un peccato. Visto lo stato in cui versa la tv italiana, governata da autentici incompetenti su ogni canale, difficilmente riuscirò a completare il mio percorso; dispero ormai anche dei dvd, e mi toccherà quindi fare ordini su internet; ma fino a agli anni ’90 i film di Clair passavano regolarmente in tv, anche in orari decenti.
I film di Clair che ho visto:
Parigi che dorme (1923, H.Rolland, A.Préjean, M.Rodrigue) ****
Entr’acte (1924, F.Picabia, Man Ray, M.Duchamp, E.Satie) ****
Le voyage imaginaire (1925, J.Borlin, A.Préjean, Dolly Davis) ***
La tour (1928, documentario sulla Torre Eiffel) ***
Sotto i tetti di Parigi (1930 A.Préjean, Pola Illery, G.Modot) ****
Il milione (1931 Annabella, R.Lefevre, V.Greville, L.Allibert) ****
A nous la liberté (1931 R.Cordy, H.Marchand, Rolla France) ****
Quatorze juillet (1932 Annabella, Pola Illery, G.Rigaud) ****
L’ultimo miliardario (1934 Max Dearly, R.Saint-Cyr, M.Mellot) **
Il fantasma galante (1935 R.Donat, Jean Parker) ***
L’ammaliatrice (1941 M.Dietrich, B.Cabot, M.Auer) **
Ho sposato una strega (1942 V.Lake, F.March) ***
Avvenne domani (1943 Dick Powell, Linda Darnell, Jack Oakie) ***
Dieci piccoli indiani (1945 W.Huston, B.Fitzgerald) ***
Il silenzio è d’oro (1947 M.Chevalier, F.Perier, M.Derrien) ***
La bellezza del diavolo (1950 G.Philipe, Michel Simon, N.Besnard) ****
Le belle della notte (1952 G.Philipe, G.Lollobrigida, M.Carol) ***
Grandi manovre (1955 G.Philipe, M.Morgan) ****
Quartiere dei lillà (1957 P.Brasseur, G.Brassens, Dany Carrel) ***
I due piccioni (1962 Leslie Caron, C.Aznavour) ***
da http://www.wikipedia.it/ :
René Clair (nome d'arte di René Chomette) (Parigi, 11 novembre 1898 - Neuilly-sur-Seine, 15 marzo 1981) è stato un regista, sceneggiatore, attore e produttore cinematografico francese.
Nato a Parigi, crebbe nel quartiere di Les Halles. Frequentò il Lycée Montaigne ed il Lycée Louis-le-Grand. Durante la prima guerra mondiale servì nell'esercito francese come autista di ambulanze. Dopo la guerra iniziò una carriera come giornalista sotto lo pseudonimo di René Desprès. Fece anche il suo debutto come attore e divenne l'assistente di Jacques de Baroncelli e Henri Diamant-Berger. Iniziò la carriera di regista nel 1924, distinguendosi subito con Entr'acte (Intermezzo), un cortometraggio dadaista tratto da un'idea del pittore Francis Picabia. Il suo primo successo fu il film muto Un chapeau de paille d'Italie (1927), tratto dalla farsa teatrale Un chapeau de paille d'Italie di Eugène Labiche e Marc Michel. Poi seguirono film quali: Sotto i tetti di Parigi (1930), Il milione e A me la libertà (entrambi del 1931), Per le vie di Parigi (1933), L'ultimo miliardario (1934).
Seguirono altri film girati nel Regno Unito e poi a Hollywood, negli Stati Uniti: tra questi, Il fantasma galante (1936), L'ammaliatrice (1941), Ho sposato una strega (1942) e Avvenne domani (1944). Durante la seconda guerra mondiale, trovandosi negli Stati Uniti venne privato della cittadinanza francese dal governo della repubblica di Vichy.
Nel dopoguerra Clair torna in patria e nel 1947 realizza un altro capolavoro, Il silenzio è d'oro. I film successivi sono La bellezza del diavolo (1950), Le belle della notte (1952), Grandi manovre (1955), Quartiere dei lillà (1957). Gli è stato dato un dottorato onorario dall'Università di Cambridge ed ha ricevuto il Grand Prix du Cinéma Français nel 1953. Nel 1960 è stato eletto all'Académie Française. Divenne l'icona assoluta del cinema francese, ed il riconoscimento principale assegnato dall'Académie Française per il cinema porta il suo nome. Nel 1974 è presidente del Festival di Cannes. "Clair è il primo "autore" a pieno titolo del cinema francese, in grado d'imporre il comando di un unico individuo in tutte le fasi creative. Ma questo essere autore non si manifesta tanto nella valorizzazione della regia nè nella direzione degli attori, quanto nella preparazione scrupolosa della sceneggiatura" (N. Berge)
(continua)

René Clair ( II )

QUATORZE JUILLET (PER LE VIE DI PARIGI, 1932) Regia, soggetto, sceneggiatura e dialoghi: René Clair; fotografia: Georges Périnal e Louis Page; scenografia: Lazare Meerson; musica: Maurice Jaubert; interpreti: Georges Rigaud (Jean), Annabella (Anna), Pola Illery (Pola), Paul Olivier (Sig. Imaque), Raymond Cordy (l'autista), Aimos (Charles), Tomy Bourdelle (Fernand), Pré fils; durata: 100'.
Il quattordici luglio, festa nazionale in Francia, è per Clair il pretesto per una serie di piccole storie, leggere o drammatiche, con al centro una coppia di giovani, una fioraia e un taxista. All’inizio del film, la fioraia verrà licenziata dal ristorante dove lavora: è una situazione che abbiamo visto in molti film, perché a quei tempi si usava, fiori, sigari e sigarette venduti da belle ragazze ai ricchi clienti. All’origine del licenziamento ci sono le avances di un ricco ubriaco: ma, come si capisce subito, tutto è destinato ad andare a buon fine. Il riccone ubriaco è infatti dello stesso tipo di quello incontrato da Charlot in “Luci della città”: non è cattivo ma quando beve non sa più bene quello che fa; le avances alla fiorista da parte dei clienti sono considerate cosa normale dal proprietario del ristorante, ma la fioraia non è d’accordo. Noi spettatori sappiamo tutto fin dall’inizio il signore ubriaco non aveva affatto cattive intenzioni, e le sue confusioni mentali daranno presto buoni frutti.
Insomma, è tutto un equivoco e tutto si risolverà bene, a metà strada tra il comico e il drammatico: ma questo è solo l’inizio della storia, che sarebbe troppo lungo riassumere. Ben più drammatico sarà il film nella sua seconda parte, con il giovane innamorato che finisce per legarsi a una banda di rapinatori; ma, prima che succeda il peggio (lo si può dire perché è chiaro fin dall’inizio) la ragazza riuscirà a riportarlo tra le sue braccia.
Le minute e affettuose osservazioni della gente e soprattutto dei “piccoli”, operai, fioraie, negozianti, e anche balordi e malavitosi, rendono “Quatorze juillet” quasi un anticipo di Jacques Tati, con rimandi precisi a Chaplin e Dickens: mostrare il mondo così come è, usando il pretesto di una bella storia d’amore. E’ un film particolarmente felice, e va a fare un’ideale trilogia con Il Milione e Sotto i tetti di Parigi, girati poco tempo prima; mentre direi che “A nous la liberté”, che lo precede di un anno, è un’altra cosa: soprattutto perché il suo perno principale non è una storia d’amore. Pola Illery fa la pupa del gangster, ed è una parte molto spinta per l’epoca; Annabella è come al solito dolce e delicata, e molto sensuale. Il protagonista maschile è finalmente un bel ragazzo, più credibile rispetto ai caratteristi che Clair aveva fin qui usato per le parti di amoroso: ma qui serve che sia un bel ragazzo. C’è il milonario ubriaco come in Chaplin (film quasi contemporaneo, ma viene prima Clair), c’è la bella fioraia, c’è anche Raymond Cordy che fa il taxista (gli viene bene), c’è la gag della danza che non riesce mai a partire (all’inizio), gli acquazzoni, i banditi, e naturalmente anche le feste per il 14 luglio...Un vrai Clair, dieci e lode.
Le musiche sono di Maurice Jaubert, lo stesso di “L’Atalante” di Jean Vigo; delle musiche fa parte anche la pianola meccanica del bar, che funziona a moneta. Un antenato del juke-box degli anni ’60, che parte “a spinta” anche senza moneta, proprio come i flipper e juke-box veri: siamo agli inizi del cinema sonoro, ogni pretesto è buono per inserire della musica nella colonna sonora, e questa pianola meccanica nel corso della storia diventa un vero e proprio personaggio.
I DUE PICCIONI (Les deux pigeons, 1962). Episodio dal film “Les quatre vérites” Scritto e diretto da René Clair, liberamente tratto da una novella di La Fontaine. Fotografia: Armand Thirard. Scenografia: Léon Barsacq. Musica: Georges Garvarenz. Interpreti: Leslie Caron, Charles Aznavour, Raymond Bussieres, Durata: meno di venti minuti.
Non è una gran cosa, ma è simpatico. Dura un quarto d’ora, ci sono Leslie Caron e Charles Aznavour chiusi dentro un appartamento (quello di lei) proprio per il weekend di Pasqua; i due non si conoscevano, lui era venuto per aiutare lei che era rimasta chiusa in casa. L’uomo è molto seccato, stava partendo per un weekend i campagna e invece eccolo lì chiuso con un’antipatica viziata: oltretutto, gli tocca assistere dall’alto al furto della sua roba che aveva messo nell’auto parcheggiata in strada. La situazione ovviamente cambia, col passare del tempo; e quando sta per nascere qualcosa, ecco che arriva il fabbro, quello che avevano chiamato due giorni prima, e sistema a dovere la serratura.
Il titolo, “I due piccioni”, si riferisce a una fiaba di La Fontaine, che però viene solo accennata, e io non la conosco e non saprei ripeterla. Leslie Caron interpreta una famosa modella, Aznavour è un corniciaio artigiano (quasi come Bruno Ganz in “Ripley’s game”).
Il film è del 1962, in bianco e nero, e fa parte di “Les quatre verités”, girato con Luis Berlanga, Alessandro Blasetti, Hervé Bromberger. Nell’episodio di Blasetti c’è Sylva Koscina con Monica Vitti, entrambe in mutande o comunque poco vestite: l’unico, vero, grande motivo d’interesse della parte del film che non è firmata da René Clair. (aprile 2008)
(continua)

René Clair ( III )

PORTE DES LILAS (QUARTIERE DEI LILLA’, 1957) Regia, sceneggiatura e dialoghi: René Clair (dal romanzo di René Fallet “La grande ceinture”); fotografia: Robert Lefebvre e Albert Militon; scenografia: Léon Barsacq; musica: Georges Brassens; interpreti: Pierre Brasseur (Joujou), Georges Brassens (l'Artista), Henry Vidal (Pierre Barbier, il ricercato), Dany Carrel (Maria), Raymond Buissières (Alphonse), Amédée (Paulo), Alain Buvette (l'amico di Paulo), Bugette (il brigadiere), Annette Poivre (Nénette), Gabrielle Fontan (Signora Sabatier) Alice Tissot , Albert Michel, Gérard Buhr, Paul Faivre, Teddy Bilis, Bever, Sylvain. Durata: 95'.
Un pericoloso bandito si nasconde nella casa di un abitante del Quartiere dei Lillà, a Parigi : a condividere il segreto sono l’Artista (Georges Brassens, un musicista) e il suo amico Joujou, un simpatico balordo dedito all’alcool (Pierre Brasseur). Potrebbe essere l’inizio di un thriller, ma invece Clair indirizza il soggetto verso una commedia leggera da teatro dell’assurdo, dove l’ospite (il bandito) diventa via via sempre più ingombrante e finisce col non andarsene più. Per la prima ora del film, dunque, il tono generale è molto piacevole, e siamo all’altezza del René Clair migliore, con molte belle trovate; però poi bisogna trovare un finale alla storia, e bisogna ammettere non era facile. Qui entra in gioco la ragazza, la bella Maria (Dany Carrel) di cui è innamorato da sempre Joujou, e che invece finirà per innamorarsi del bandito. Il finale è quindi molto serio, addirittura drammatico; ma io cerco di non raccontare mai i finali e anche per oggi mi atterrò alla regola.
Fra le trovate più belle di Clair, da antologia del cinema, è la ricostruzione della rapina fatta attraverso i giochi dei bambini, in strada: un’idea che sarebbe venuta a pochi altri (magari a De Sica e Zavattini), condotta con mano veramente felice. Un’altra trovata molto felice, che però rischia di sfuggire a chi non conosce bene la lingua francese (come me) è l’uso delle canzoni e della musica di Georges Brassens (l’Artista che ospita suo malgrado in casa il pericoloso bandito). Le musiche e le canzoni di Brassens, voce e chitarra acustica, sono molto belle e sempre perfettamente intonate alle sequenze in cui vengono eseguite. L’uso della musica come parte integrante della narrazione è del resto una delle caratteristiche di René Clair, fin dai tempi di “Sotto i tetti di Parigi” e di “Il milione”, agli inizi del sonoro, e sempre con esiti felicissimi.
Nel film c’è anche musica di Schubert, sia pure molto “massacrata” (cioè eseguita non in tono) dalla radio che ascolta il bandito: si tratta di frammenti dal quintetto “Die Forelle” (La trota) e del famosissimo Moment musicale n.3 in fa minore, in origine per pianoforte.
Eccellenti gli attori, come sempre, e molto buono il doppiaggio italiano in cui è immediatamente riconoscibile la voce di Carlo Romano (Joujou-Pierre Brasseur). (agosto 2011)
I film di Clair che mi mancano o che vorrei rivedere:
Un chapeau de paille d’Italie (1927)
E’ una commedia magnifica, scritta a metà Ottocento da Labiche. Conosco bene la versione operistica che ne fece Nino Rota nel 1955, “Il cappello di paglia di Firenze”, musica e libretto (il libretto insieme alla moglie); dopo aver visto “Il milione” il sospetto che anche René Clair ne abbia tratto qualcosa di molto divertente è più che fondato.
I due timidi (1928)
E’ ancora una commedia di Labiche.
Break the news-Vogliamo la celebrità (1937)
Girato in America, con Maurice Chevalier protagonista: dovrei averlo visto, ma in anni così lontani che ne ho perso la memoria.
Accadde domani (1943)
Questo invece me lo ricordo bene, soprattutto per i costumi che mi sembravano davvero bizzarri. E’ un film ancora oggi molto copiato, quasi sempre senza citare la fonte: l’uomo che riceve ogni giorno il giornale di domani...
La beauté du diable (1949)
Il Faust di Goethe, protagonisti due attori che amo moltissimo, forse i miei preferiti in assoluto : Michel Simon e Gerard Philipe. Visto e rivisto, ma purtroppo mi manca da troppo tempo; e ne vorrei un bel dvd, di quelli fatti bene, con il sonoro originale, con tanti retroscena, interviste d’epoca...
Tutto l’oro del mondo (1961)
Un ricordo vago, più che altro per il titolo.
Les fêtes galantes (1965)
Ha un titolo italiano molto balordo, “Per il re per la patria e per Susanna”: l’originale si rifà a Lully, a Rameau, ma non mi ricordo di averlo mai visto. E’ l’ultimo film girato da René Clair.

lunedì 29 agosto 2011

Il silenzio è d'oro

IL SILENZIO È D’ORO (Le silence est d’or, 1947). Scritto e diretto da René Clair. Fotografia di Armand Thirard e A.Douarinou. Scenografia di Léon Barsacq. Musica: Georges Van Parys. Interpreti: Maurice Chevalier, François Perier, Marcelle Derrien (Madeleine), Dany Robin (Lucette), Robert Pizani (Duperrier), Christiane Sertilange (Marinette), Paul Olivier, Gaston Modot, Raymond Cordy, Paul Demange (il sultano), e molti altri. Durata: 100 minuti.

Un omaggio di René Clair all’inventore del cinema come lo conosciamo oggi, Georges Méliès. Méliès, mago e prestigiatore, aveva rilevato a Parigi il teatro che era stato del famoso Houdini; quando i Lumière fanno la loro prima proiezione va a vederla e chiede di comperare una di quelle macchine, ma i Lumière non gliela concedono e allora Méliès (che è anche un abile artigiano) se ne fabbrica una da solo, inizia a girare brevi film, e soprattutto scopre i trucchi cinematografici. La presenza di fantasmi e diavoli che appaiono e scompaiono nei suoi film (il diavolo è quasi sempre lo stesso Méliès nel classico costume mefistofelico) sono l’immediata garanzia di successo per il nuovo mezzo appena inventato. Méliès inizia a produrre film nel 1896, un anno dopo la prima proiezione dei Lumière, e terminerà la sua carriera nel 1918, non riuscendo più a stare al passo dei colossi americani, francesi e italiani (a Torino, Pastrone e “Cabiria”) che avevano cominciato a muoversi con ben altri mezzi rispetto a quelli ancora artigianali di Georges Méliès; e soprattutto con ben altri capitali a disposizione.
René Clair si ispira dichiaratamente a Méliès per questo film, ma il suo protagonista non assomiglia affatto al vero Méliès: affidando la parte a Maurice Chevalier, attore brillante e con fama di scapolo e di viveur, Clair prende le distanze dal film biografico sia pure nel contesto di una riproduzione storica perfetta. Tra i collaboratori di Clair per questo film, infatti, ci sono alcuni tecnici che avevano lavorato con Méliès: la ricostruzione dei teatri di posa è eseguita con estrema attenzione anche al minimo dettaglio, così come la tecnica di costruzione delle scenografie, la posizione della cinepresa e del palcoscenico, se si va a confrontare si scopre che tutto è identico alle fotografie prese mentre Méliès lavorava, e non poteva essere diversamente perché René Clair aveva veramente vissuto quell’epoca, cominciando a fare cinema (come attore) già nel 1920. A differenza di Méliès, però, Emile (Maurice Chevalier) ha un produttore a cui rendere conto: ecco un’altra differenza significativa, ancora un modo per prendere le distanze dal film biografico e anche un modo per Clair di parlare un po’ di se stesso e delle sue esperienze personali. Va anche detto che Clair è forse troppo preso personalmente dal soggetto per poter condurre lucidamente il film, che è a tratti un po’ confuso, discontinuo (cosa strana per Clair).
Il film inizia benissimo, per strada, con un anticipo di Grandi Manovre, tra l’altro: i dragoni a cavallo si vedono in un breve frammento della sfilata del carnevale, e dopo i dragoni sfilano i moschettieri, ma con l’ombrello, perché piove. Si prosegue poi un po’ a sbalzi, il film si perde per strada, torna grande per alcune sequenze, finisce con un’idea ottima ma realizzata un po’ stancamente. C’è spazio anche per l’ometto che porta sul set una capra: gli avevano chiesto un cammello, ma lui ha solo una capra, e dunque la capra finirà col recitare nei film di Emile Clément. E c’è spazio per tutti gli omini dei film di Clair, Raymond Cordy e soci, come nel Milione: si rappresenta la nascita del cinema, i primi anni, ed è un gran bel vedere perché la ricostruzione è minuziosa. René Clair c’era, ha conosciuto Méliès, ha visto i suoi studi, li ricostruisce in questo film. Si vede anche molto teatro: varietà, can can, donnine, comici, canzoni e cantanti, e non possono mancare i musicisti di strada come in Sotto i tetti di Parigi.
Chevalier è in gran forma, così come l’attore che fa Celestin, padre della protagonista, vale a dire l’uomo che sposò la donna che era amata da Chevalier; e che adesso ha una figlia ventenne, identica a sua madre. Celestin è un ometto simpatico ma ridicolo, sempre in giro in tournée, anche in Algeria; anche dopo vent’anni, pur mantenendo inalterata l’amicizia, Emile-Chevalier non si capacita che la donna che amava si sia sposata con uno come lui. Sarà però la ragazza, la figlia di Celestin, a condurre il gioco. Sembra inerte, indifferente, ma si fa sempre quello che vuole lei; le piace Emile ma sceglierà il suo giovane assistente (interpretato da François Perier), e se non fosse per lei il ragazzo non si sarebbe mai deciso. Chevalier anziano ha qualcosa di James Stewart anziano (forse si somigliavano anche da giovani, ma era difficile notarlo).
Sono tutti bravi gli altri attori, soprattutto nelle piccole parti; però la protagonista non va, non funziona, ed è grave perché le donne come lei sono sempre state il vero centro dei film di Clair. Così come è un po’ scialbo il suo innamorato, che però si dimostrerà (sul palcoscenico) un ottimo attore; e sul suo non essere bello ci si scherza, con ottimi esiti, nei dialoghi. Del resto, i veri divi ai tempi di Méliès non erano ancora arrivati: gli attori erano ancora volti anonimi, all’inizio del cinema. Divertente la scena del ricchissimo Sultano in visita agli studios, dal quale ci si aspettano importanti finanziamenti: come prevedibile prima chiede se la ragazza che recita è in vendita, ma poi protesterà e vorrà il lieto fine, che gli verrà dato cambiando lì per lì la sceneggiatura: lo accontentano, certo che lo accontentano. Anche a voi piace il lieto fine, vero?

martedì 5 ottobre 2010

Grandi manovre

GRANDI MANOVRE (LES GRANDES MANOEUVRES, 1955). Scritto e diretto da René Clair. Collaborazione alla sceneggiatura di Jérome Géromini; fotografia: Robert Lefebvre e René Juilliard; scenografia: Max Douy; musica: Georges Van Parys; interpreti: Gérard Philipe (Armand), Michèle Morgan (Marie-Louise), Yves Robert (Félix), Jean Desailly (Duverger), Lise Delamare e Jacqueline Maillan (le sorelle di Duverger), Brigitte Bardot (Lucie), Magali Noel (Teresa la cantante), Simone Valère (Gisèle), Dany Carrel (Rose-Mousse), Catherine Anouilh (Alice), Jacques François (Rodolphe Chartier), Pierre Dux (il colonnello), Olivier Hussenot (il prefetto), Jacques Fabbri (l'attendente di Armand), Arlette Thomas (Amélie), France Asselin (Sophie), Gabrielle Fontan (Mélanie), Raymond Cordy (il fotografo), Hélène Duc, Madeleine Barbulée, Jacqueline Marbaux, Bruno Balp, Bever. Durata: 106'.

Una strada ampia e deserta, di prima mattina; e un giovane ufficiale che esce di corsa dalla casa di una donna; ha dimenticato la sua sciabola, la donna lo chiama e gliela rende. Lui torna indietro veloce, prende la sciabola e corre al quartier generale. Il giovane ufficiale è Gérard Philipe, e fin dall’inizio noi sappiamo di cosa si occupa e cosa farà durante il film, a parte le manovre militari: quelle arriveranno alla fine, per intanto c’è lo spazio di un mese da occupare; e questo mese “di vacanza” gli riserverà molte sorprese. In questa sequenza, brevissima, c’è già tutto il film: è il modo di operare di René Clair, e di quasi tutti i grandi registi, da John Ford a Stanley Kubrick. Mi piace moltissimo questo modo di iniziare una narrazione, direttamente dentro le cose, i caratteri già ben definiti. E’ un buon modo per raggiungere la perfezione narrativa, aiutando lo spettatore (che ancora non sa cosa succede) ad entrare nel film, e a immedesimarsi o a provare antipatia; poi bisogna continuare, e con Renè Clair siamo in ottime mani, “Grandi manovre” è ancora oggi un capolavoro, un film da non perdere.
Si può fare un capolavoro anche partendo da materiale già molto sfruttato, anche da un soggetto che apparentemente ha già detto tutto quello che aveva da dire: un giovane ufficiale di cavalleria e le sue amanti. Un soggetto già sfruttato ampiamente in tutto l’Ottocento, “La vedova allegra”, gli ufficiali di “Guerra e Pace”... Una scommessa cinica ed atroce, leggera, come nel “Così fan tutte” di Mozart: ma leggera solo in apparenza, perché siamo nel 1910, di lì a poco scoppierà una guerra terribile. Per la cavalleria questa sarà l’ultima guerra, avrà ancora sporadiche uscite, una lunga coda con momenti gloriosi, ma la sua storia, le uniformi, i dragoni, la storia dei soldati a cavallo finisce qui, tra il 1914 e il 1918. Questo è un mondo che sta finendo, e noi sappiamo, come Clair, cosa è venuto dopo.
Il vero seguito di “Grandi manovre” è “Orizzonti di gloria” di Stanley Kubrick, che uscirà poco dopo: 1955 per il film di Clair, 1958 per Kubrick: i due film sono molto simili, molti personaggi (anche il film di Kubrick si svolge in Francia) potrebbero passare tranquillamente da un film all’altro; il colonnello che qui vediamo colmo di bonomia potrebbe benissimo trasformarsi, sul fronte, in uno dei pazzi che mandarono a morte migliaia di soldati in cariche insensate; e il personaggio di Kirk Douglas potrebbe ben essere lo stesso di Gérard Philipe, solo di qualche anno più anziano, e più maturo.
E’ questo il malessere che si avverte sottotraccia per tutto il film, divertente e leggero come un’operetta; tutto questo è ben esemplificato dalla scelta dei due protagonisti, Gérard Philipe ha 33 anni, sembra un ragazzo ed appare un po’ invecchiato dai baffetti; Michèle Morgan non è più giovanissima, aveva 35 anni, ma – forse per via delle luci e del trucco - ne dimostra qualcuno in più.
Gérard Philipe, forse è inutile ricordarlo, è stato un attore grandissimo, anche in teatro; per la bellezza fisica e per l’eleganza dei suoi gesti faceva davvero innamorare tutte le donne. Non so come fosse Philipe nella sua vita privata, ma per questo film l’immagine pubblica dell’attore corrisponde perfettamente con quella del suo personaggio. Michèle Morgan è altrettanto grande, e tutti gli attori che vediamo sono molto in parte, come è d’abitudine con René Clair che sapeva sempre scegliere i collaboratori giusti. Tra le ragazze del cast, due ventenni destinate a luminosa carriera: Brigitte Bardot e Magali Noel
A Magali Noel e a Brigitte Bardot vengono affidati due ruoli tutt’altro che marginali. La Noel canta molte canzoni di cafè chantant, un repertorio piacevole che però io non conosco affatto; quindi non so dare un titolo a nessuna delle canzoni, e purtroppo nemmeno a quella più importante, la musica del primo ballo tra i protagonisti, che farà da tema conduttore per tutto il film. La mia ignoranza sull’operetta non mi permette nemmeno di riconoscere il motivo che fa “oui je t’aime par toujours”, per l’operetta in teatro: come sempre, un testo ben scelto. Da ricordare anche la canzone comica che viene ascoltata sul grammofono, tutti seri nel salotto : la «fidanzata» non è gradita alle sorelle del ricco borghese Duverger, che la spingeranno nelle braccia del sottotenente per levarsela di torno. (Forse chi conosce il francese sa spiegarmi cosa sta cantando e recitando quel disco...). Le musiche originali del film sono di Georges Van Parys, collaboratore abituale di Clair e ottimo compositore. Non saprei dire se la fanfara dei dragoni è una marcia militare originale o se è stata scritta per l’occasione da Van Parys, ed anche questo è un dettaglio che sarebbe bello conoscere.
Alcune note sparse: 1) Siamo nel 1910, ci sono già i telefoni e l’elettricità per illuminazione nelle case; ma per il resto potrebbe essere Tolstoj, Kleist, o qualsiasi altro grande autore di inizio Ottocento. La ricostruzione d’epoca è perfetta, e non è un caso perché René Clair ha vissuto veramente quel periodo. 2) Il fotografo (l’attore è Raymond Cordy) che aspetta il sole per fare la fotografia, come accadeva per davvero, lì vicino, negli studi di Georges Méliès: anche questo è un particolare che sicuramente René Clair aveva visto di persona, e che rimanda a “Il silenzio è d’oro”, un film del 1947 dove il protagonista (Maurice Chevalier) è direttamente ispirato alla figura e al lavoro di Méliès. En passant, si può notare che il 1910 fu anno duro per Méliès, la concorrenza nel cinema cominciava a farsi seria e di lì a poco (1913) il padre del cinema e dei trucchi cinematografici avrebbe cessato la sua attività, cominciata nel 1895.
Non ho riassunto il film e quello che vi succede perché questo è un film da vedere, fino alla fine non si sa cosa succederà, il finale (memorabile, uno dei finali più emozionanti nella storia del cinema) potrebbe anche essere molto drammatico; e soprattutto con René Clair alla guida si può andare ovunque; per quanto mi riguarda, con René Clair guarderei qualsiasi cosa.
« La moneta che si lancia in aria ne sa altrettanto, sull'avvenire, dei più profondi pensatori, dei più abili calcolatori (diciamo che essa ne sa altrettanto poco). Farò della mia vita un gioco d'azzardo».
(René Clair , dal suo romanzo “La Princesse de Chine”, 1951) (citazione dal “Castoro Cinema” curato da Giovanna Grignaffini, ed. Giunti)