martedì 28 giugno 2011

Il silenzio ( I )

IL SILENZIO (Tystnaden, 1962). Scritto e diretto da Ingmar Bergman. Fotografia: Sven Nykvist - Musiche: P.A. Lundgren, con inserti di J.S.Bach - Montaggio: Ulla Ryghe - Con: Ingrid Thulin (Ester), Gunnel Lindblom (Anna), Jörgen Lindström (Johan, figlio di Anna), Hakan Jahnberg (cameriere in albergo), Birger Malmsten (l’uomo di Anna), Eduardo Gutierrez e Gli Eduardini (troupe di nani acrobati), Lissi Alandh (donna del locale di varietà), Leif Forstenberg (uomo del locale di varietà), Nils Waldt (il cassiere), Birger Lensander (l'usciere), Eskil Kalling (il proprietario del bar), K.A. Bergman (il giornalaio), Olof Widgren (il vecchio). Durata: 95 minuti -

Intorno a “Il silenzio”, uno dei film più famosi ed enigmatici di Bergman, ci sono stati e ci sono ancora moltissimi interventi, quasi tutti a sproposito. La maggior parte di questi interventi, cioè quelli del tempo in cui uscì il film, sono dettati con ogni evidenza dall’emotività e dalla mancanza di tempo per riflettere e per provare a capire, e quindi le imprecisioni sono più che giustificate, soprattutto se si pensa che questo film fu abbondantemente tagliato e modificato (nei dialoghi) dalla censura, che arrivò perfino a vietarlo considerandolo scandaloso. Quindi una visione completa di “Il silenzio” è possibile soltanto oggi, quando abbiamo davanti la versione completa e originale del film, sia pure soltanto in dvd. Per questa ragione mi ha stupito molto trovare proprio sul dvd un intervento critico dove si comincia dicendo che il titolo avrebbe dovuto essere “Il silenzio di Dio”: non solo Ingmar Bergman non ne parla, ma in “Immagini” (il libro dove parla di tutti i suoi film) Bergman indica quale doveva essere il titolo originale (“Timoka”, il nome della città) ma mette “Il silenzio” non tra i film a tematica religiosa (il capitolo “Miscredenza e fede”, dove ci sono Il settimo sigillo, Come in uno specchio, Luci d'inverno) ma alla voce “Sogni e sognatori”, apparentandolo a Il posto delle fragole, L'ora del lupo, Persona, L'immagine allo specchio e Sussurri e grida. Dato che “Immagini” è uscito vent’anni fa, mi sembra strano che nel presentare il film non si sia tenuto conto di questo libro dove c’è l’intervento diretto dell’autore. “Il silenzio di Dio” è in altri film di Bergman, non nel “Silenzio”: in questo film la tematica religiosa è appena accennata, nascosta dietro le quinte e non in primo piano. Per citare quello che dice Gunnar Björnstrand in “L’occhio del diavolo”, qui siamo su un livello molto più vicino alla nostra terra e alla nostra condizione umana.
Per questi motivi, la tentazione di fare piazza pulita di tutto quanto è stato detto e scritto su “Il silenzio” è molto grande: e in questo senso procedo, aiutato dalle pagine scritte da Bergman in prima persona, che già dal loro incipit vanno in tutt’altra direzione. Però prima di tutto vorrei riportare questo dialogo tra le due sorelle, che avviene nella parte finale del film.
Siamo al minuto 70 circa: Anna (Gunnel Lindblom) dice alla sorella che è stanca delle sue prediche e del suo senso di superiorità, e lo fa in circostanze decisamente e apertamente sconvenienti e provocatorie nei riguardi della sorella.
Anna: ...ti sei messa in testa di essere un tipo a parte, non sai vivere se non ti senti diversa, questa è la verità. A te piace solo ciò che è “di importanza vitale”, significativo, “dotato di un senso”...
Ester: E come dovremmo vivere, allora? (...)
Il tema vero di questo film è probabilmente la solitudine dell’artista, vero o presunto che sia. Chi si occupa di cose “alte” finisce prima o poi per isolarsi, o per essere isolato: gli altri, la maggior parte della gente, anche le persone più vicine e più care, smettono di capire di che cosa si sta occupando e vanno altrove, o magari si ribellano apertamente, come fa Anna con sua sorella in questo film.
E’ il tema che verrà toccato apertamente da Tarkovskij con “Andrej Rubliov”, l’artista punito per la sua diversità, per il suo talento che disturba. E’ il Silenzio dell’artista, più che il silenzio di Dio.
Anche noi oggi, guardando fuori dalla finestra come fa il bambino protagonista, possiamo vedere carri armati per la strada (oggi la guerra in Libia o in Afghanistan, dove sono impegnati nostri soldati e mezzi), e uscendo possiamo incontrare gente che parla in maniera a noi estranea (non necessariamente stranieri...). E’ un’impressione che capita spesso, da bambini, di trovare persone adulte che non comprendiamo, che magari sono gentili e ci fanno giocare, ma che ci risultano estranee, magari simpatiche ma incomprensibili, come il vecchio cameriere al piano o come i nani acrobati ospiti dell’albergo: ma anche loro sono stati bambini, anche i nani si divertono quando trovano un bambino e possono tornare a giocare con lui, quasi come i burattini con Pinocchio (la scena è molto simile, compresa l’arrabbiatura del capocomico, un Mangiafuoco meno imponente e senza barba ma comunque molto arrabbiato); e naturalmente anche il bambino non è estraneo all’incomprensione verso agli altri, dato che non restituisce le fotografie al vecchio cameriere. Non solo non le restituisce: le nasconde sotto un tappeto. Eppure sono foto di famiglia, il vecchio gliele aveva mostrate per cortesia, per simpatia.
Per completare almeno in parte questo discorso riporto qui quello che ho scritto per un film di Bertolucci che ha la stessa età di “Il silenzio”, “Prima della rivoluzione”: il senso di essere estraneo, la percezione di avere interessi diversi e di essere respinti anche da chi si ama (come capita al personaggio di Ingrid Thulin nel film di Bergman) è qui vista in chiave politica, ma il senso complessivo del discorso è molto simile.
da “Prima della rivoluzione” di Bernardo Bertolucci (1963):
La parte del film veramente politica (politica in senso alto, nel vero senso della parola) è rappresentata dal dialogo che avviene nel finale, alla Festa dell’Unità nel Parco Ducale di Parma tra Cesare (Morando Morandini) nelle vesti di maestro e il giovane Fabrizio (Francesco Barilli) nella parte del giovane allievo. La trascrivo qui sotto perché molti suoi passaggi sono ancora di grande attualità, e si merita una lettura attenta. Si parte dai lavori per l’allestimento della Festa dell’Unità a Parma, e tutto il dialogo si svolge mentre ascoltiamo la canzone “avevo quindici anni”
- Sento che è tutto sbagliato, che anche questo modo di divertirsi è tutto sbagliato.
- E’ tutto il pomeriggio che vai avanti così...Cosa vuoi?
- Ma non c’è mica bisogno che te lo dica, che cosa voglio. Credevo che parlassimo la stessa lingua, io e te...che volessimo le stesse cose.
- Ma dai....la gente per divertirsi vuole vuole vedere Celentano da vicino, Mina...
- Per questo dico che è tutto sbagliato. E dire che ho passato metà estate a girare per le sezioni...Giuro che qui sta andando tutto a puttane. (tre ragazze fanno commenti sulla morte di Marilyn Monroe) Il popolo prende quello che gli si dà...mi fa paura.
- Beh, finché siamo noi a dare.
- Il popolo accetta ciecamente. E se fossimo nell’errore?
- In questo senso avremmo potuto sbagliare da sempre.
- Infatti avete sbagliato. No, non dico gli errori piccoli, gli errori degli uomini: avete sbagliato perché in vent’anni il popolo non si è formato neppure uno straccio di coscienza.
- Noi abbiamo le prove che una coscienza popolare esiste, e anche fortissima.
- Lo so cosa intendi, ma i fatti del luglio 1960 (la rivolta al governo Tambroni) non mi bastano. Non mi bastano le rivoluzioni di un giorno...
-Non contanto le lotte, gli scioperi, le conquiste sindacali?
- Non mi bastano gli scioperi, le agitazioni sindacali, i primi maggio con le bandiere rosse. Nel ’48, forse...(...)
- Il proletariato ha degli ideali, non dimenticarlo.
- Il proletario ha un solo ideale, irrazionale; ma non ne ha colpa, avete permesso che sognasse una dignità borghese e adesso vuole confondersi con i borghesi, vestire abiti borghesi, vedere gli spettacoli borghesi, leggere libri borghesi...
- I lavoratori vogliono migliorare le loro condizioni economiche, mi sembra giusto.
(passano Enore e il fratellino, anche loro all’opera per la Festa dell’Unità)
- Che cosa ha fatto il partito per Agostino?
- E tu che cosa hai fatto per Agostino? Tu dormivi, e la sua morte ti ha svegliato...E poi perché pretendi dal partito quello che non hai saputo fare tu?
- Proprio perché non l’ho fatto io.
- Ormai sei fuori, e credi di essere più dentro degli altri. Eh, ne ho già visti come te...Il tuo problema è un altro: se tu avessi più coraggio parleresti di Gina.
- Tu mi hai portato un libro, una volta...C’era una frase sottolineata: “Gli uomini fanno la loro storia in un ambiente che li condiziona”. Tu me l’hai spiegato così: gli uomini agiscono in un ambiente che esisste già, ma sono gli uomini a fare la loro storia, non l’ambiente in cui vivono. Io sono il fallimento di quella frase. Bisogna aprire gli occhi: tu volevi modificarmi, anch’io l’ho sperato. E invece io sono una pietra, non muterò mai. (...) Così, per me l’ideologia è stata come una vacanza, una villeggiatura. Credevo di vivere gli anni della Rivoluzione, invece vivevo gli anni prima della Rivoluzione, perché è sempre prima della Rivoluzione quando si è come me.
Il finale confermerà questa affermazione: Fabrizio ritorna nella sua classe d’appartenenza, sposando Clelia che fa parte della ricca borghesia, col palco di famiglia al Regio. La rivoluzione (“avete da perdere solo le vostre catene”, citazione dal Manifesto) non lo riguarda; la politica non lo riguarda, riguarda altri, quelli come Cesare e come i ragazzi della Festa dell’Unità.
A questo punto, lasciato Bertolucci, andrei direttamente al finale del “Silenzio” di Bergman: come gli aveva promesso, Ester ha dato al bambino un foglio con l’elenco delle parole straniere: l’ultima è ANIMA.
E’ con questa parola che si chiude il film, ANIMA: molto più di un indizio, direi.
(continua)

Il silenzio ( II )

IL SILENZIO (Tystnaden, 1962). Scritto e diretto da Ingmar Bergman. Fotografia: Sven Nykvist - Musiche: P.A. Lundgren, con inserti di J.S.Bach - Montaggio: Ulla Ryghe - Con: Ingrid Thulin (Ester), Gunnel Lindblom (Anna), Jörgen Lindström (Johan, figlio di Anna), Hakan Jahnberg (cameriere in albergo), Birger Malmsten (l’uomo di Anna), Eduardo Gutierrez e Gli Eduardini (troupe di nani acrobati), Lissi Alandh (donna del locale di varietà), Leif Forstenberg (uomo del locale di varietà), Nils Waldt (il cassiere), Birger Lensander (l'usciere), Eskil Kalling (il proprietario del bar), K.A. Bergman (il giornalaio), Olof Widgren (il vecchio). Durata: 95 minuti

Un’altra cosa che mi ha colpito, scorrendo gli interventi della critica su “Il silenzio”, è il commento di Tino Ranieri sul “Castoro Cinema”: di solito Ranieri è un critico molto attento, qui invece fa una specie di riassunto (lodevole) e poi si lascia sfuggire due o tre aggettivi che mi lasciano perplesso: i nani in “squallida processione” a me sembrano persone civili e molto ben educate, solo un po’ chiassosi ma nemmeno tanto; e la maschera della scimmia è molto divertente, così come il finale del loro numero che vediamo quando Anna esce da sola in città. Il vecchio cameriere viene definito da Ranieri come “meschino genius loci”, e invece a me è sembrato gentilissimo e molto attento, perfino affettuoso quando si trova a soccorrere Ester che sta male (non è obbligatorio per un cameriere d’albergo essere così attento e gentile). Anche definire “lillipuziani” i nani acrobati è decisamente discutibile: a me, piuttosto, questa troupe di nani ha fatto tornare alla mente il nano che appare in “Solaris”, come proiezione della mente dello scienziato (si vede solo per un attimo, nel film di Tarkovskij). Inoltre, il bambino non è abbandonato dalla mamma che disinteressa a lui, come scrivono in molti, ma sembra piuttosto trattarsi di un tipo di educazione dei figli diversa dalla nostra, nel Nord Europa si tende a lasciare molta libertà ai figli rispetto a quello che facciamo noi. Anna non è una madre apprensiva, e forse si fida troppo a lasciar da solo il figlio; ma quando madre e figlio sono insieme li vediamo sempre molto vicini, e il bambino lasciato da solo sembra divertirsi nei suoi giochi in albergo. L’unica cosa che lo disturba veramente sono i litigi in famiglia, ed è la presenza dello sconosciuto che si apparta con sua madre l’unica cosa che lo fa veramente soffrire.
Rivedendo il film oggi, dopo molto tempo, l’ho trovato molto meno cupo di quanto mi ricordavo, e anzi a tratti è perfino divertente. Numerosi i rimandi ad altri film che sarebbero venuti dopo: Stanley Kubrick per i corridoi di Shining ma anche l’albergo vuoto, e Odissea nello spazio per l’uomo che mangia da solo, i silenzi, e ancora i corridoi dell’astronave. L’apparizione del cavallo scheletrico, nella città notturna, rimanda a Viktor Sjöström, punto di riferimento dichiarato per Bergman, e anche al cinema tedesco degli anni '20 e '30 (Fritz Lang, ma non solo). C’è un anticipo di “La vergogna”, per i carri armati e per il clima complessivo: non c’è una guerra in corso, e tutto appare abbastanza pacifico e ordinato, ma c’è evidentemente qualcosa che non va in questa città; e forse era il clima che si respirava nelle città dei Paesi dell’est in quegli anni.
Al minuto 59, il carro armato annunciato dalla vibrazione della brocca con l’acqua, rimanda direttamente a “Sacrificio” di Tarkovskij; l’apparizione del carro armato però poi non è particolarmente inquietante e fa pensare piuttosto (ma solo per un istante) al finale di “La vita è bella” di Benigni.
Un’altra sequenza che va sottolineata è quella del bambino con i burattini, che sembrano Sandrone e Fagiolino. Lo spettacolo è molto breve: il bambino simula un dialogo gridato e incomprensibile, poi una delle marionette viene percossa dall’altra e dice “muoio”; infine il bambino si nasconde e piange.
Ester (dal letto): Ma lui cosa diceva?
Bambino: Non lo so, diceva cose senza senso perché ha paura.
Ester: Non può cantarci qualcosa?
Bambino: Certo; ma non ora, è tanto arrabbiato.
Il bambino sta nascosto dietro il letto e piange, poi si rialza e corre in braccio a Ester. Prima, aveva visto la mamma mentre si ritirava nella stanza con uno sconosciuto.
Altri appunti sparsi: 1) tutto il film è concentrato sul conflitto, molto terreno, tra le due sorelle. A questo conflitto assiste il bambino, che si è creato un mondo suo a parte, ma che ama molto sia sua mamma che la zia 2) Sono molte le scene di sesso esplicito, è per molti versi questo è davvero un film “forte” (vedi Il rito, ma là tocca alla Thulin), però ci sono scene divertenti, il film è meno duro di come me lo ricordavo. 3) un altro rimando è ai fumetti di Guido Crepax, usciti poco dopo “Il silenzio”, dove ci sono spesso situazioni in cui la protagonista si ritrova in un posto estraneo dove ti parlano in lingua sconosciuta. Si può ancora far notare che le parole scritte in una lingua incomprensibile compaiono già nel "Posto delle fragole". 4) i nani acrobati, il varietà notturno, la tisi, sono rimandi precisi a molte situazioni “da romanzo”, tutto l’Ottocento ma anche Fellini e Kafka. 5) Bach è le Variazioni Goldberg, però è difficile riconoscere cosa si sta ascoltando, perché la musica arriva da una piccola radio ed è coperta dalla conversazione (che siano le Variazioni Goldberg l’ho scoperto solo leggendo su imdb) 6) il bambino legge le fiabe di Lermontov, a 1:04
Gli attori: Il bambino si chiama Jörgen Lindström ed è lo stesso di Persona; nato nel 1951, qui aveva undici-dodici anni. “Persona” del 1966 sarà il suo ultimo film, prima ne aveva fatti altri, e chissà cosa ha fatto in seguito.
Il cameriere anziano si chiama Hakan Jahnberg (1903-1970) ed ha ottime dote di mimo; questo è il suo unico film con Bergman, e mi piacerebbe saperne qualcosa di più.
Birger Malmsten, lo sconosciuto amante di Anna, fu protagonista di molti dei primi film di Bergman, quasi sempre nei ruoli di giovane innamorato; qui il suo ruolo è molto più duro, in “L’immagine allo specchio” del 1976 sarà addirittura uno stupratore. E’ un ottimo attore, e vedendolo oggi, viene da pensare che sarebbe stato un’ottima presenza anche nei western all’italiana, o nei film di Bertolucci e Antonioni.
E infine, non sono riuscito a identificare il quadro che viene esposto nell'albergo: metto l'immagine qui sotto, e continuo la ricerca.
(continua)

Il silenzio ( III )

IL SILENZIO (Tystnaden, 1962). Scritto e diretto da Ingmar Bergman. Fotografia: Sven Nykvist - Musiche: P.A. Lundgren, con inserti di J.S.Bach - Montaggio: Ulla Ryghe - Con: Ingrid Thulin (Ester), Gunnel Lindblom (Anna), Jörgen Lindström (Johan, figlio di Anna), Hakan Jahnberg (cameriere in albergo), Birger Malmsten (l’uomo di Anna), Eduardo Gutierrez e Gli Eduardini (troupe di nani acrobati), Lissi Alandh (donna del locale di varietà), Leif Forstenberg (uomo del locale di varietà), Nils Waldt (il cassiere), Birger Lensander (l'usciere), Eskil Kalling (il proprietario del bar), K.A. Bergman (il giornalaio), Olof Widgren (il vecchio). Durata: 95 minuti

Due miei appunti del secolo passato:
E’ da ripensare e da rivedere con calma. Non è nemmeno un film particolarmente angoscioso, anzi: quando il bambino gira per il corridoio ci sono parecchie scene buffe. Il personaggio della Thulin invece potrebbe quasi stare in “Sussurri e grida”, mentre Gunnel Lindblom rovina un po’ la parte, non per demerito suo ma per il ricordo del Settimo Sigillo e di quel suo bellissimo, oscuro e positivo, personaggio. In questo film la Lindblom è bellissima come mamma, meno come donna che va a rimorchiare gli sconosciuti (poco credibile). Lo stesso difetto trovo in “La fontana della vergine”, dove la Lindblom è molto dolce e severa, e ha ben poco di diabolico – o almeno io la vedo così. Tutto sommato, un film notevole e vivo. (16.11.1990)
E’ nel Silenzio di Bergman l’ispirazione per l’Overlook Hotel di Kubrick? Si direbbe proprio di sì, insieme ai nani felliniani e al carretto fantasma di Sjoeberg... Ma questo è il film dove la sensuale Lindblom e l’algida e malata Thulin sono la stessa persona, due facce della medaglia, Jekyll e Hyde (una sterile l’altra feconda). C’è anche Tarkovskij: il carro armato che fa tremare l’acqua...
Si intravvede Fanny e Alexander in questo film “di passaggio”, notevole (e con le meravigliose luci di Nykvist). (age 0405 26 feb)
Il riassunto del film, da “Immagini” (ed. Garzanti, 1992):
« Di ritorno dalle vacanze le sorelle Anna ed Ester e il figlio di Anna, Johan, sono costretti a fermarsi in un albergo di Timoka, una città straniera in un paese straniero. La sosta è causata dalla malattia di Ester. L'albergo è grande, ma i clienti sono pochi. E alloggiata lì anche una troupe di nani che si esibiscono in un varietà delle vicinanze. Si parla una lingua che nemmeno Ester, che è traduttrice, capisce. Johan girovaga per i corridoi dell'albergo fine secolo. Anna cammina per le strade calde. Prende contatto con il cameriere di un bar. Al varietà è testimone del rapporto sessuale di una coppia del pubblico. Eccitata da quello che ha visto, Anna ritorna al bar dal cameriere. Ester è a letto, sola. Un vecchio cameriere del piano l'aiuta. Quando Anna ritorna, Ester intuisce che è successo qualcosa e ha una discussione con la sorella. Anna lascia la stanza e va all'appuntamento con il cameriere. Johan racconta a Ester di aver visto che sua madre entrava in una stanza con uno sconosciuto. Ester cerca Anna, ma la sorella le volta le spalle e rimane con il suo amante silenzioso. Ester crolla. Il giorno stesso Anna continua il viaggio con Johan, abbandonando Ester al suo destino. Su un pezzo di carta, Ester ha scritto per Johan alcune parole nella lingua straniera.»
Ingmar Bergman, da “Immagini”:
“Il silenzio” originariamente si chiamava « Timoka». Avvenne per pura combinazione. Vidi la parola su un libro estone, senza sapere che cosa significasse. Pensavo che fosse un bel nome per una città straniera. La parola significa «appartenente al boia». (...) La città straniera era un motivo che mi seguiva da tempo. Prima del Silenzio avevo scritto un film che rimase incompiuto. Raccontava di una coppia di acrobati che perdeva un partner e finiva congelata in una città tedesca, Hannover o Duisburg. Siamo alla fine della Seconda guerra mondiale. Durante ripetuti bombardamenti i loro contatti vanno perduti. Qui si nasconde non solo Il silenzio ma anche L'uovo del serpente. La perdita del partner si muove come un'ombra anche nel Rito.
A voler guardare in profondità, credo di poter dire che il motivo della città proviene originariamente da un racconto di Sigfrid Siwertz. Nella raccolta Il circolo del 1907 ci sono alcuni racconti che si svolgono a Berlino. Uno di essi, che s'intitola La tenebrosa dea della vittoria, deve aver colpito fortemente la mia giovane coscienza. Quel racconto diventò lo stimolo a un sogno ricorrente: mi trovo in una grande città straniera. Sono in cammino verso una parte della città dove c'è il proibito. Non si tratta soltanto di loschi quartieri di piacere, ma di peggio. Là sono le stesse leggi della realtà e le regole della vita sociale ad essere abolite. Tutto può succedere e tutto succede. Ho fatto questo sogno più e più volte. La cosa irritante era che io ero in cammino verso il proibito, ma non ci arrivavo mai. Mi capitava sempre di svegliarmi o di cambiare sogno.
All'inizio degli anni Cinquanta scrissi una pièce radiofonica che intitolai La città. Là c'è l'atmosfera di una guerra che si avvicina, o è finita da poco, manifestata in un modo diverso che nel Silenzio. La città è costruita su un terreno perforato e minato al di sotto. Le case crollano, si aprono voragini e le strade si spaccano. La pièce narra di un uomo che arriva in questa città straniera ma, a un tempo, misteriosamente ben nota. Ha molto a che fare con l'allontanamento da moglie e bambini e con i miei perpetui fallimenti sia sul piano personale che sul piano artistico.
Se scavo ulteriormente per cercare l'origine della città straniera, raggiungo le mie prime esperienze di Stoccolma. All'età di dieci anni cominciai a vagabondare. Spesso la meta era il passaggio di Birger Jarl, che per me era pieno di magia, con le sue vetrine da guardare e il suo piccolo cinematografo, Maxim. Là, per venticinque soldi, si poteva entrare di nascosto a vedere film vietati ai minorenni e anche salire su, nella cabina di proiezione, dal vecchio frocio. Nelle vetrine erano esposti busti e pompette uterine, protesi e stampati leggermente pornografici.
 Quando oggi rivedo Il silenzio, devo ammettere che in alcune parti risente di una certa letterarietà.
Si tratta, in primo luogo, dell'intesa tra le sorelle. Il dialogo conclusivo e un po' timoroso tra Anna e Ester è anche superfluo. Per il resto non ho alcuna recriminazione da fare. Posso vedere dei dettagli che avremmo potuto fare meglio, se avessimo avuto più soldi e più tempo: parte delle scene di strada, la sequenza del varietà e così via. Ma facemmo il possibile per rendere le scene comprensibili. Talvolta può essere un vantaggio non avere troppo denaro.
Lo stile dell'immagine in Come in uno specchio e in Luci d'inverno è austero, per non dire casto. Un agente di distribuzione americano domandò con voce disperata: «Ingmar, why don't you move your camera anymore?». Nel Silenzio, Sven e io avevamo deciso di essere spudoratamente impudichi. Là c'era una lussuria cinematografica che ancora ricordo con gioia. Era semplicemente divertente, in modo pazzesco, fare Il silenzio. Inoltre, le attrìci erano dotate, disciplinate e quasi sempre di buon umore. Che Il silenzio, in certo qual senso, sia diventato la loro disgrazia, questa è un'altra storia. Il film fece sì che i loro nomi divenissero internazionalmente noti. E l'estero, come al solito, si degnò di fraintendere la peculiarità del loro talento.
(Ingmar Bergman, da “Immagini” ed. Garzanti 1992)

sabato 25 giugno 2011

L'infedele

L’infedele (Trolösa, 2000). Regia di Liv Ullmann. Scritto da Ingmar Bergman. Fotografia: Jörgen Persson. Montaggio: Sylvia Ingemarsson. Musica: Mozart (Il flauto magico), Bruckner (Sinfonia n.5), Brahms (Quartetto op.60), Böltz (Le baccanti). Con Lena Endre (Marianne Vogler), Erland Josephson (l’autore - Bergman), Krister Henriksson (David), Thomas Hanzon (Markus), Michelle Gylemo (Isabelle, figlia di Marianne e Markus), Juni Dahr (Margareta, amante di Markus), Philip Zanden (l’avvocato Martin Goldman), Thérèse Brunnander (Petra Holst), Marie Richardson (l’avvocato Anna Berg). In teatro: Stina Ekblad (Eva), Johan Rabaeus (Johan), Jan-Olof Strandberg (Axel), Björn Granath (Gustav), Gertrud Stenung (Martha), Åsa Lindström (suggeritore), Tomas Glaving (studente). Durata: 2h30’

“L’infedele” è un soggetto di Ingmar Bergman affidato alla regia di Liv Ullmann: non è la prima volta che Bergman cede sue sceneggiature ad altri registi, dato che Bergman inizia a lavorare per il cinema proprio come sceneggiatore, proseguendo poi a passare suoi soggetti ad altri registi ancora negli anni ’50 e ’60. In anni più recenti, e per ricordare solo alcuni titoli, “Con le migliori intenzioni” (1992) ha la regia di Bille August, “Il figlio della domenica” (sempre del 1992) è affidato alla regia di Daniel Bergman, uno dei figli di Ingmar. “Conversazioni private” del 1996 aveva la regia già affidata a Liv Ullmann; ma i film su soggetto e sceneggiatura di Bergman affidati ad altri sono molti, ed elencarli tutti sarebbe troppo lungo.
Protagonista è ancora una volta Erland Josephson, amico di vecchia data di Bergman, qui utilizzato come alter ego: nella sua sceneggiatura il personaggio si chiama proprio “Bergman”, e in un’intervista d’epoca Bergman dice ridendo che lo avrebbe volentieri interpretato lui, ma che Liv Ullmann si è opposta dicendo che “come attore sei proprio un cane, meglio chiamare Erland”. E, ovviamente, Erland (Josephson) recita benissimo la parte dell’Autore, Liv Ullmann gli dedica molti primi piani, e a tratti si rimane incantati a guardarlo.
L’inizio del film è molto bello: la situazione è quasi la stessa usata da Pirandello nei Sei personaggi, o magari da Palazzeschi in Perelà l’uomo di fumo: il personaggio che si materializza davanti all’Autore, discutendo con lui del suo carattere e della sua storia personale, con autonomia propria e con molta commozione. Il personaggio è una donna sui quarant’anni, interpretata da Lena Endre; è un’attrice di teatro e si chiama Marianne. Un altro rimando obbligato è a Strindberg, “Il sogno”, ma nel finale Marianne appare come una vera e propria Musa ispiratrice: il personaggio ha finito il suo percorso ma la Musa promette che tornerà, lei e l’Autore si salutano per rivedersi ancora.
Il resto del film non è che mi abbia molto appassionato, ho trovato il soggetto poco interessante ma può essere una mia colpa; questo è comunque il riassunto che ho trovato su wikipedia: «Una donna, creata dall'immaginazione e dalla vita di un anziano scrittore di nome Bergman (interpretato da Erland Josephson), gli racconta la propria storia.Marianne è una quarantenne, attrice di teatro, molto bella, sposata con un direttore di orchestra, Markus. Nasce una relazione amorosa con il loro comune amico regista David. Prima sembra una semplice avventura senza importanza, poi diventa una vicenda dalle conseguenze gravi che porta al divorzio e ad un doloroso conflitto per l’affidamento della loro figlia Isabelle. Markus approfitta un'ultima volta di Marianne, seducendola con la prospettiva di riavere la figlia. Poi, si toglie la vita, dopo aver cercato di convincere la bambina a seguirlo nell'estremo viaggio. Abbandonata da David, che sarà lacerato dal rimorso per il resto della vita, anche Marianne risulta essere morta per annegamento. Per quanto tutti i personaggi sono inventati, e senza riferimenti temporali, vi è un vago riferimento con le esperienze di vita vissuta da Ingmar Bergman.»
All’inizio del film c’è anche una didascalia scritta da Bergma, molto enfatica e pomposa (un po’ troppo): «Nessuna forma di fallimento comune, né malattia o rovina finanziaria, né sfortuna professionale, provoca un’eco tanto crudele e profonda nell’inconscio quanto il divorzio. Tocca direttamente l’origine dell’angoscia e la risveglia, con un colpo solo penetra fin dove arriva la vita.»
Il film inizia con un carillon che suona “Ein Mädchen oder Weibchen”, una delle arie di Papageno nel Flauto Magico di Mozart, che ascolteremo molto nel corso del film. Più avanti, al minuto 41 circa, un altro carillon suona sempre un brano dal Flauto Magico, che stavolta è la musica del glockenspiel nella scena dell’incantamento di Monostato, quando Papageno e Pamina cercano di fuggire dal palazzo di Sarastro.
Su questa musica vediamo Erland Josephson sulla riva del mare, tra gli alberi, ed è forte l’impressione di rivedere Sacrificio di Tarkovskij, sembra quasi che il protagonista di quel film (lo stesso Josephson) sia tornato a casa, e che questo ne sia il seguito. Ma “L’infedele” è tutt’altra cosa dal film di Tarkovskij, come vedremo presto.
Erland Josephson, l’Autore, è poi alla sua scrivania e apre un cassetto con delle foto, quasi come farà Liv Ullmann in “Sarabanda” due anni dopo. Qui appare il personaggio di Marianne, “Marianne Vogler, la famosa attrice” (vedi “Il volto”, il mago Vogler...) sposata con Markus, direttore d’orchestra; dapprima è solo una voce, poi quando l’Autore ne ha fatto la descrizione la vediamo comparire.
«Parliamo di David», le dice l’Autore, e si comincia la narrazione.
David è un regista di teatro, molto amico del marito di Marianne. Al minuto 15, David è in crisi dopo la separazione dalla moglie e Marianne lo consola, ma ancora senza far l’amore con lui; nel ricordare questo momento dice all’Autore che per la prima volta lo aveva guardato come una persona realmente esistente. A questo proposito, interroga l’Autore:
Marianne: Perdonami la domanda stupida, è ancora un gioco?
L’Autore: Perché stiamo giocando? E’ un diversivo prima della morte, nello spazio oscuro del tempo che rimane. Le cose accadono solo perché il tempo stringe, un’attrazione, un vortice che ti attira, le emozioni dimenticate che cominciano a riaffiorare...Sto cercando la risposta a domande che tanto tempo fa ho dimenticato di fare (...) chiederò a Marianne di aiutarmi, e così giochiamo con domande sempre più pressanti e troviamo difficile fermarci.
Marianne: Non capisco esattamente di cosa stai parlando, ma immagino cosa intendi dire: che dobbiamo continuare.
L’Autore: Sì.
Marianne: E allora facciamolo, anche se questa parte non mi piace molto. La domanda è: che si fa, adesso?
L’Autore: La lettera di David. (Marianne comincia a leggere la lettera)
Il soggetto, dopo un ottimo inizio, finisce però per diventare qualcosa tra Beautiful (l’ambientazione tra gente ricca e famosa, le belle case e i bei vestiti) e il racconto di un fatto di cronaca nera. Lo si guarda volentieri perché è ben fatto e ben recitato, ma alla fine non rimane dentro molto, e parlando di Ingmar Bergman questo è un vero peccato.
Bergman nei suoi film migliori non è mai così esplicito nel mostrare i sentimenti, forse il soggetto andava completato e rifinito ma non ci è riuscito e ha preferito affidarlo ad altri, anche per toglierselo di torno (capita, lo spiegava bene anche Italo Calvino, in molti casi la pubblicazione di un libro è anche un modo di considerare concluso un percorso che in realtà non era affatto concluso ma si era fatto troppo lungo o troppo complicato, spesso inutilmente complicato). Devo dire che non apprezzo affatto i particolari troppo espliciti nei rapporti sessuali, Bergman ha spesso questa tentazione “pornografica” (vedi anche “Persona”, il racconto di Bibi Andersson), che però nei suoi film è quasi sempre fuori posto. Si tratta comunque di poca cosa, soprattutto in rapporto a quello che si viene a sapere nel finale, e cioè che la bambina si è salvata per poco.
Ottima la regia di Liv Ullmann, bellissimo l’uso della luce, una luce chiara e nitida, magnifici e molto confortevoli gli arredi, ottimi gli attori
Alcune note sparse: 1) David parla di fallimento, cosa che lo apparenta col personaggio interpretato da Max von Sydow in “Passione”. 2) Isabelle, figlia di Markus e Marianne, che a Marianne appare così legata al padre da sembrare a lei estranea e misteriosa, è la protagonista occulta del film, o forse così vorrebbe essere, i litigi fra gli adulti passano su di lei, lei assiste ai litigi e cerca di nascondersi. Forse stava qui il vero interesse del soggetto, che probabilmente andava trattato come in “Il silenzio”, dove il bambino è al centro della narrazione anche se l’azione del film non passa attraverso di lui. 3) Un po’ goffi e vagamente fastidiosi gli accenni a persone realmente esistenti nell’ambito del cinema e dello spettacolo, Toscan du Plantier, Isaac Stern, Tullio Pineda, Gerard Corbiau; goffa e di maniera anche la rappresentazione del direttore d’orchestra, roba da spot pubblicitario. 4) Nel finale, come accade spesso in Pirandello, la verità che avevamo appresa verrà messa in discussione: Marianne scoprirà che Markus aveva un’amante da vent’anni, ma lei non se ne era mai accorta. Magdalena è l’amante di Markus, ed è interpretata da un’attrice che non conoscevo, si chiama Juni Dahr e mi è piaciuta moltissimo, anche più di Lena Endre. 5) Nella versione italiana Omero Antonutti doppia Josephson, Roberta Greganti doppia Lena Endre.
Il rischio con soggetti come questo è di far passare per degli idioti i protagonisti, che in effetti si comportano come tre idioti, rovinando la loro vita e quella degli altri. E’ un rischio che viene superato grazie all’ottima regia e all’ottima prova degli attori, ma forse sta qui il motivo della delusione che si prova alla fine della vicenda; e va comunque detto che anche noi nelle nostre vite quotidiane ci comportiamo spesso come idioti, e che quindi il film va considerato, da questo punto di vista, molto realistico. Mentre scrivo, tra l’altro, sono appena accaduti due tristissimi fatti di cronaca ancora più cupi di questo raccontato nel film: non sarà né la prima né l’ultima volta, purtroppo.
A risollevare il tutto c’è però un ottimo finale, con il saluto tra Marianne e l’Autore, e con il carillon di Papageno come all’inizio, il mare e l’orizzonte lontano in cui perdersi.
Nel corso del film vediamo frammenti di opere realizzate in teatro: la sequenza più lunga è dedicata a una tragicomica rappresentazione di “Il sogno” di Strindberg, dove in mezzo a un bel campionario di attori nevrotici e superficiali diventa difficile riconoscere nella protagonista (la figlia di Indra) Stina Ekblad, cioè il misterioso e androgino Ismael di “Fanny e Alexander”.
Nel finale, Marianne è protagonista di “Le baccanti” di Euripide, in un allestimento stavolta molto suggestivo del quale vediamo pochi istanti.
Altri titoli citati o accennati nel corso del film: Ostrovskij, “La sposa senza dote” e Botho Strauss, “Die Widmung” (la Dedica).
Le musiche:
Mozart, Il flauto magico (al carillon), due arie di Papageno
Anton Bruckner: finale della Sinfonia n.5
Johannes Brahms: quartetto op.60 il terzo tempo
Daniel Börtz (svedese, 1943): musica per Le Baccanti di Euripide