venerdì 31 dicembre 2010

Orizzonte perduto ( I )

LOST HORIZON (ORIZZONTE PERDUTO, 1937) Regia di Frank Capra. Tratto dal romanzo di James Hilton. Sceneggiatura di Robert Riskin. Fotografia: Joseph Walker (riprese aeree: Elmer Dyer); Scenografia: Stephen Goosson; montaggio: Gene Havlick, Gene Milford; costumi: Ernst Dryden; Musiche originali di Dimitri Tiomkin; i bambini cantano "Wiegenlied (Brahms), Op. 49, No. 4" e una canzone tradizionale cinese; Edward Everett Horton canta "Here we go gathering nuts in may" (canzone tradizionale per bambini)
Interpreti: Ronald Colman (Robert Conway), John Howard (George Conway), Jane Wyatt (Sondra), Edward Everett Horton (Alexander P.Lovett), Thomas Mitchell (Henry Barnard), H.B. Warner (Chang), Sam Jaffe (il grande Lama), Margo (Maria), Isabel Jewell (Gloria Stone). Durata: 132'.

“Orizzonte perduto” e il mito di ShangriLa sono stati una mia grande passione fin da quand’ero bambino: e non solo per me, sia ben chiaro, perché è una storia che non può non colpire e toccare ognuno di noi nel profondo. Il film di Frank Capra passava spesso in tv, e anche nei cinema di terza visione, insieme a qualche remake recente ma poco riuscito; e sempre con ottimo successo.
Frank Capra ha il dono raro di saper raccontare. Non è una dote concessa a tutti, e parecchi registi e scrittori, anche importanti, da “raccontatori” non se la cavano molto bene. Capra sa raccontare una storia come pochi altri sono riusciti a fare, sa essere piacevole e leggero anche quando la situazione è drammatica, e c’è soprattutto una scena di questo film che rimane dentro, durissima e indimenticabile: è verso la fine, e riguarda la giovane russa in fuga da ShangriLa. Ma di più non scrivo, perché può darsi che qualcuno non abbia mai visto il film e non è giusto rovinare la visione.
Il film è tratto da un romanzo di James Hilton che ebbe grande successo negli anni ’30 e che fu subito tradotto in film. Il romanzo di Hilton non è da sottovalutare: è fuori catalogo da parecchi anni e io sono riuscito a leggerlo solo di recente, ed è stata una sorpresa in positivo – ma di questo parlerò più avanti. Per ora basterà dire che Capra e il suo sceneggiatore Riskin ne hanno tratto una versione ad uso cinematografico e spettacolare, ma abbastanza fedele e molto ben fatta, e che si sofferma – necessariamente, verrebbe da dire, dato che si tratta di un film hollywoodiano – più sul privato dei personaggi che sul messaggio pacifista di Hilton. Lo scrittore era passato attraverso gli orrori della Grande Guerra e non avrebbe voluto vederne un’altra, ma purtroppo nel 1937 era già in arrivo. Si può ancora aggiungere che, sempre sull’argomento della guerra e dell’orrore che ne rimane nei reduci, James Hilton ci ha lasciato un altro romanzo molto bello, “Prigionieri del passato”. Ma di questo parlerò nei prossimi post: per oggi mi soffermo un po’ sul mito di Shangri-La, che è l’argomento di “Orizzonte perduto”.
Prima dell’avvento di internet era difficile trovare notizie aggiornate e affidabili, non solo su ShangriLa ma un po’ su tutto; avevo comunque scoperto che questo mito esiste davvero, che il nome corretto è ShambaLa e che ci sono molte leggende, non solo in ambiente orientale, su un mondo sotterraneo molto più civile del nostro. La storia di Agarthi, per esempio: ma anche tutto il culto mitraico, gran parte della mitologia greca, Atlantide, eccetera.
Sono notizie rimaste per decenni nel mondo del favoloso e dell’esoterico: il Tibet e la regione himalayana furono terre inesplorate fino a quasi cent’anni fa; e le prime notizie sulla grande cultura indiana e buddista arrivano in Europa molto tardi, a partire da metà Ottocento (Richard Wagner ne fa ampio uso nel Parsifal, ed è uno dei primi a capirne il senso). Le prime notizie certe sul Tibet arrivarono da Pundit Nain Singh, che nel 1865 riuscì a varcarne i confini come spia dell’impero britannico, travestito da monaco buddhista. Il Pundit (o Pandit, secondo altre grafie) era in realtà induista di nascita, quindi il suo travestimento fu molto abile e durò per molti mesi; rischiava la vita, perché le norme tibetane sulle spie erano severissime, ma giunse fino a Lhasa e vi incontrò il Dalai Lama, che all’epoca era poco più che un bambino. La storia di Pundit Nain Singh, che ha un posto di grande rilievo nella National Geographic Society, è molto bella e avventurosa, ed è strano che nessuno vi abbia dedicato un film.
L’interesse britannico per il Tibet era considerevole, perché si trattava di zone di confine e di passaggio, così come per l’Afghanistan narrato da Kipling; temendo di farsi precedere dai russi, e basandosi sui rilievi fatti da Nain Singh, fu finanziata la spedizione del colonnello Francis Younghusband, che portò alla conquista di Lhasa e al controllo britannico del Tibet nel 1903-1904. La spedizione di Younghusband viene ricordata anche per il massacro dell’esercito tibetano, armato di archi e frecce: qualcosa di davvero spaventoso e tutt’altro che glorioso, così come è raccontato dalle cronache dell’epoca. Va detto che la storia del Tibet e dell’esplorazione di Younghusband non ha solo risvolti negativi, e pare che la responsabilità del massacro non sia da attribuirsi a lui ma al generale inglese che guidava l’esercito.
E’ da metà Ottocento, più o meno l’epoca vittoriana, che da noi arrivano le prime traduzioni dei testi sacri induisti e buddisti, e orientali in genere: compresa la traduzione delle Mille e Una Notte fatta dall’esploratore Richard Burton. Negli stessi anni in cui viene girato il film, 1937, si svolge un’importante spedizione italiana, guidata dall’orientalista Giuseppe Tucci e con il giovane Fosco Maraini a fare da fotografo ufficiale: le foto di Maraini del Tibet nel 1937, e in spedizioni seguenti, sono bellissime e sono state più volte ripubblicate.
Questo è ciò che riporta wikipedia su Shangri-La (il nome fittizio scelto da James Hilton) e su Shamba-La (il nome vero corrispondente al mito originario):
da www.wikipedia.it_
Shangri-La è il nome di un luogo immaginario descritto nel romanzo Orizzonte perduto, scritto da James Hilton nel 1933. L'idea giunse a James Hilton dalle letture delle memorie dei gesuiti che avevano soggiornato in Tibet e che erano venuti a conoscenza delle tradizioni legate al Kalachakra Tantra in cui si descrive un mitico regno di Shambhala. Nel romanzo di Hilton si parla di un luogo racchiuso nell'estremità occidentale dell'Himalaya nel quale si vedevano meravigliosi paesaggi, e dove il tempo si era quasi fermato, in un ambiente di pace e tranquillità. Shangri-La era organizzato come una comunità lama perfetta, professante però, non il buddhismo ma il Cristianesimo nestoriano. Dalla comunità erano bandite, non a norma di legge ma per convinzione comune, tutta una serie di umane debolezze (odio, invidia, avidità, insolenza, avarizia, ira, adulterio, adulazione e via discorrendo), facendone un eden materiale e spirituale in cui l'occupazione degli abitanti era quella di produrre cibo nella misura strettamente necessaria al sostentamento e trascorrere il resto della giornata nell'evoluzione della conoscenza interiore della scienza e nella produzione di opere d'arte. Il successo di questo romanzo nella società dell'epoca diede origine al mito: così sognatori, avventurieri ed esploratori provarono a trovare questo paradiso perduto.
L'onda orientalista dell'Occidente fu ispirata dal mito, e così il nome di Shangri-La è stato utilizzato non solo da gruppi musicali e teosofi, ma anche da molti luoghi di villeggiatura in Asia e perfino in America. Il luogo geografico più simile, e che probabilmente ha ispirato James Hilton, è il territorio tibetano di Diqing. Parecchie regioni, mosse da interessi turistici, sostengono di essere la regione geografica descritta da Hilton e di essere così il mitico luogo ispiratore della misteriosa Shangri-La.
Nel libro, l'autore cita il territorio a nord del Ladakh, oggi noto come "Aksai Chin", comprendente la catena del Kun Lun e l'altopiano delle Soda Plains, quindi una regione tra le più inospitali del pianeta e delle meno abitate, presso l'attuale confine indo-cinese, ricco di vette alte tra i 5.000 ed i 7.000 m. Nel 2001 il governo cinese ha dichiarato Zhongdian, nella regione di Yunnan, che confina col Tibet, la vera Shangri-La. Nelle vicinanza c'è il monastero di Hong Po Si, dove vivono una sessantina di monaci e cinque lama.
Nelle tradizioni buddhiste del Kalachakra, Shambhala (in tibetano bde 'byung) è un termine sanscrito che significa "luogo di pace/tranquillità/felicità". Si dice che lo stesso Buddha abbia insegnato il Kalachakra su richiesta del re Suchandra di Shambhala: i suoi insegnamenti sarebbero conservati là. Shambhala sarebbe una società dove tutti gli abitanti sono illuminati, con al centro una capitale chiamata Kalapa. La tradizione narra che questa terra nascosta non è raggiungibile se non da iniziati o individui dediti alla resurrezione spirituale dell'umanità. Il suo centro è la celebre torre di Giada, posta in una antica città (Kalapa) riscaldata da acqua calda proveniente da ruscelli sotterranei, dove il vapore generato formando vaste nubi, impedisce di scorgere la città stessa dall'alto. Vari gruppi di esploratori recatisi in Himalaya hanno confermato di aver allestito campi nei pressi di sorgenti calde in cui si alimentava una ricca vegetazione in contrasto con le zone brulle e ghiacciate circostanti. Oltre che dai tibetani anche russi, cinesi e indiani tramandano tradizioni simili con altri nomi sull'esistenza di una dimora di uomini e donne perfetti che vivono in costante presenza di energie di un altro mondo. Per quanto riguarda l'occidente è molto interessante la testimonianza che agli inizi del I secolo ne fornisce Apollonio di Tiana nel corso del suo viaggio in India come riportato nella sua biografia "Vita di Apollonio di Tiana" di Flavio Filostrato. In base a questi resoconti apprendiamo che Apollonio si intrattenne per diversi mesi in un paese trans-himalayano dove venne in contatto con "uomini estremamente saggi che hanno il dono della preconoscenza" e dai quali rimase particolarmente colpito per i traguardi scientifici e mentali dei suoi abitanti a tal punto che si limitò ad annuire quando il loro re gli disse "Chiedici quel che vuoi, poiché ti trovi tra persone che sanno tutto".
Una concezione alternativa associa Shambhala con l'impero di Sriwijaya dove il maestro buddhista Atisha fu allievo di Dharmakirti da cui ricevette l'iniziazione del Kalachakra. Secondo la leggenda nella città vi dimorerebbe il re del mondo, il quale ha controllo sul destino dell'umanità. (...)
Il Kalachakra (in sanscrito Kalacakra) per la verità non è un rito buddhista, bensì una dottrina relativa al Kâlavada, il quale a sua volta costituisce uno dei principali punti di vista della dottrina induista. Vedi al riguardo soprattutto il Mahabharata. Dall'induismo esso è stato trasmesso al buddhismo, presso cui è divenuto una delle principali scuole iniziatico-rituali (Kalachakra Yana).
Si può aggiungere ancora qualche notizia su Agarthi, che nel film non è citata ma che è un mito strettamente collegato:
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Agarthi (detto anche Aghartta o Agartha o Agharti, "l'inaccessibile") è un regno leggendario che si troverebbe all'interno della Terra, descritto nelle opere dello scrittore Willis George Emerson (1856-1918). La favolosa Agarthi è legata alla teoria della Terra cava ed è un soggetto popolare nell'esoterismo. Agarthi è uno dei nomi più comuni usati per definire una civiltà nascosta all'interno dell'Asia centrale. Nel tantra Kalachakra del buddhismo tibetano viene descritto un regno simile, col nome di Shambhala. Nelle interpretazioni moderne, vi è una identificazione tra Shambhala e Agarthi. È un regno separato da una cintura di alte montagne e suddiviso in otto parti che formano come un fiore a otto petali in cui vi sono settantasei regni. Kalapa è la capitale di Shambhala-Agartha in cui ha sede il palazzo del sacerdote-re e questo regno è situato in India e coincidente col monte Meru o Polo Nord prima dello spostamento dell'asse terrestre, centro del mondo e terra originaria dell'umanità. Sarebbe situata in India nello stato di Orissa o vicino Benares. Il suo primo capo fu Suchandra, il capo attuale è Anirudda e il prossimo sarà Drag-po chor lo chan o Rudra chakrin, il corrucciato con la ruota. Secondo la profezia il Mahdi della tradizione islamica, discendente di Maometto, che viene definito l' "ottavo" dopo Adamo, Noé, Abramo, Mosé, Gesù, Mani e Maometto, ingaggerà la guerra mondiale per il dominio planetario e instaurerà un impero mondiale. Così facendo si scontrerà con Shambhala e il suo sacerdote-re Rudra chakrin. Questi lo spazzerà via con l'aiuto delle forze soprannaturali e inizierà l'età dell'oro. Il Kalachakra tantra profetizza una guerra tra Shambhala e la Mecca e parla del pericolo per il buddhismo costituito dall'islam. Ma la battaglia finale avverrà in Iran tra Kalki e il leader musulmano.
Dato che è improbabile che esistano ancora siti inesplorati (o addrittura regni sotterranei) probabilmente Shambhala non è che Sambhal situata nell' Uttar pradesh. Questo lo afferma il Kalki purana.[senza fonte] Il Kulika o Kalki che la governa nascerà là e poi si trasferirà a Mathura da dove guiderà una rivoluzione spirituale e un governo mondiale.
La fortuna occidentale di Agarthi nasce con Ossendowsky ("Bestie, uomini e dei"), Alexandre Saint-Yves d'Alveydre ("Missione dell' India") e Guénon ("Il re del mondo"). Il terzo non fa che reinterpretare le idee dei primi due. Il primo era un viaggiatore che riferisce dei suoi tragitti in asia mentre l' altro è un occultista che pretende di avere avuto rivelazioni da un "maestro". Tutto ciò ha poco a che fare con la Shambhala tibetana e indù sopra descritta ed è anche la fonte della storia del "regno sotterraneo" estranea ai testi orientali. Una delle prime fonti del mito dei regni sotterranei è Il Dio fumoso (The Smokey God or A Voyage to the Inner World, 1908), di Willis George Emerson, pretesa autobiografia di un marinaio norvegese chiamato Olaf Jansen. Emerson racconta di come Jansen abbia navigato all'interno della Terra attraverso un'apertura presso il Polo Nord. Per due anni sarebbe vissuto con gli abitanti di questo regno il cui mondo sarebbe illuminato da un "Sole centrale fumoso". Il padre sarebbe rimasto ucciso durante il ritorno, il figlio ricoverato come pazzo. Il resoconto sarebbe stato dato dal figlio, che dopo la dimissione dal sanatorio si sarebbe stabilito in California, e che novantenne avrebbe deciso di rendere pubblica la vicenda. Malgrado nel racconto di Emerson non si faccia il nome di Agarthi, esso vi è stato associato in opere successive. Shambhala "la Minore", una delle colonie di Agarthi, era la sede del governo del regno. Mentre Shambhala consiste in un continente interno, le altre colonie satelliti sono degli agglomerati più piccoli situati all'interno della crosta terrestre o dentro le montagne. I cataclismi e le guerre avvenute sulla superficie spinsero il popolo di Agarthi a stabilirsi sottoterra.
Il leggendario paradiso di Shambala ha varie analogie con altri luoghi mitici, come la Terra Proibita, la Terra delle Acque Candide, la Terra degli Spiriti Raggianti, la Terra del Fuoco Vivente, la Terra degli Dei Viventi, la Terra delle Meraviglie. Gli indù parlano di Aryavartha, terra d'origine dei Veda; i Cinesi di Hsi Tien, il Paradiso Occidentale di Hsi Wang Mu, la Madre Regale dell'Ovest; La setta cristiana russa dei vecchi credenti la chiamava Belovodye e i Kirghizi Janaidar.
Il racconto di Emerson è considerato una delle prime fonti della credenza sulle civiltà sotterranee.
L'esistenza di Agarthi è stata considerata seriamente da numerosi europei, come, ad esempio per citarne alcuni, i seguaci della teosofia di Madame Blavatsky, la veggente fondatrice della Società Teosofica Internazionale, che sosteneva di essere in contatto telepatico con gli antichi "Maestri della Fratellanza Bianca", i sopravvissuti di una razza eletta vissuta tra Tibet e Nepal, i quali si sarebbero rifugiati in seguito a una spaventosa catastrofe nelle viscere della terra, dove avrebbero fondato la mitica Agarthi. Dalle dottrine esoteriche della Blavatsky trasse ispirazione, tra gli altri, anche la Società Thule, la società segreta di estrema destra che costituì il nucleo originale del Partito nazista di Hitler, benché non abbiano mai avuto le due organizzazioni né un contatto né un sodalizio reciproco.
Una definizione del termine ShangriLa viene data anche da James Hilton, e forse è utile riportarla:
....Allora Conway si rivolse ai compagni: « Mi spiace comunicarvi che quest'uomo mi ha detto molto poco, in confronto con quello che vorremmo sapere noi. Mi ha detto solo che ci troviamo nel Tibet, il che è ovvio. Non ha dato nessuna spiegazione del perché ci ha condotti qui, ma pare conoscesse la località. Parlava un dialetto cinese che non capisco molto bene, ma credo abbia parlato di un monastero di lama che dovrebbe trovarsi qui vicino, verso la valle, a quanto ho capito; lì troveremo cibo e riparo. Ha detto che si chiama Shangri-La. “La” in tibetano vuol dire valico. Ha insistito molto perché ci andassimo. »
(James Hilton, Orizzonte perduto, pag.49 ed. Garzanti 1973)
Altri punti di riferimento importanti, per “Orizzonte perduto”, sono le molte leggende riguardo alla fonte della giovinezza, antiche come l’uomo e presenti in ogni cultura; o magari la teoria della relatività, che nel 1937 era cosa recentissima (Einstein pubblica le sue teorie fra il 1905 e il 1916, e riceve il Nobel – non per la relatività ma per gli studi sull’effetto fotoelettrico - nel 1921).
Di chiacchiere su Agarthi, Shambhala e ShangriLa, insomma, se ne sono fatte molte. Io preferirei soffermarmi su un altro aspetto: il mondo prima della nascita, al riparo e al caldo, e quello che troviamo fuori, molto bello e ricco ma anche gelido e pieno di asperità, e di gente che (come vediamo bene nel film, nel finale) è pronta a tradirti anche senza un tornaconto diretto.
(continua)

Orizzonte perduto ( II )

LOST HORIZON (ORIZZONTE PERDUTO, 1937) Regia di Frank Capra. Tratto dal romanzo di James Hilton. Sceneggiatura di Robert Riskin. Fotografia: Joseph Walker (riprese aeree: Elmer Dyer); Scenografia: Stephen Goosson; montaggio: Gene Havlick, Gene Milford; costumi: Ernst Dryden; Musiche originali di Dimitri Tiomkin; i bambini cantano "Wiegenlied (Brahms), Op. 49, No. 4" e una canzone tradizionale cinese; Edward Everett Horton canta "Here we go gathering nuts in may" (canzone tradizionale per bambini)
Interpreti: Ronald Colman (Robert Conway), John Howard (George Conway), Jane Wyatt (Sondra), Edward Everett Horton (Alexander P.Lovett), Thomas Mitchell (Henry Barnard), H.B. Warner (Chang), Sam Jaffe (il grande Lama), Margo (Maria), Isabel Jewell (Gloria Stone). Durata: 132'.

“Orizzonte perduto” di Frank Capra comincia come un film d’azione, con sequenze mozzafiato: siamo in Oriente, negli anni 30, nelle colonie inglesi tra Baskul e Peshawar, in tempo di guerre e d’insurrezioni. In un aeroporto, un ufficiale inglese sta organizzando l’evacuazione dei “bianchi”: e con molta efficienza, nonostante il terrore che regna. Quegli aerei sono per i presenti l’unica occasione di salvezza, ma non c’è posto per tutti. L’ufficiale sale sull’ultimo aereo disponibile; con lui suo fratello (anche lui ufficiale) e poche altre persone raccattate nell’aeroporto all’ultimo momento. Quando tutto sembra tranquillo, l’aereo è già in volo da un po’ e si comincia pensare al ritorno verso casa, uno dei passeggeri si accorge che il pilota sta andando nella direzione sbagliata: non verso il mare, ma verso le grandi montagne dell’Himalaya. L’aereo è stato dirottato: un pilota misterioso, dai tratti mongolici, lo sta portando verso una destinazione ignota. Il dirottatore ha un aspetto minaccioso, non gli si può parlare, mostra una pistola; ma non sembra avere davvero cattive intenzioni. L’aereo fa uno scalo per il rifornimento di benzina, durante il quale ai rapiti è proibito scendere dall’aereo: e tutto funziona con grande efficienza, anche se in una landa desolata e a forza di braccia e di taniche di benzina, e poi si riparte subito, ancora più in alto.
Infine l’aereo atterra, in condizioni terrificanti: siamo proprio in mezzo alle vette più alte, tra le nevi perenni, in uno spazio angusto. Nell’atterraggio il pilota muore, e nessuno dei rapiti può più sapere che cosa è successo. Ora sono soli, sperduti tra le nevi dell’Himalaya: cosa fare?
Quasi non sembra un film di Frank Capra. I primi venti minuti sono tutti azione, che ancora oggi fanno la loro bella impressione: è il film che racconta il mito di Shangri-La, tratto dal bestseller dello scrittore inglese James Hilton. Non racconto come va avanti, perché sarebbe un delitto privarvi del piacere della visione di questo film: che ormai è fuori dal giro da parecchi anni, anche se ne sono stati tentati dei remake molto deludenti (che spero vi siano sfuggiti). L’originale è questo, e rimane inimitabile perché la mano del grande Frank Capra si fa sentire, anche in un tema per lui inusuale. Ma, forse, non così inusuale: in fondo, anche in “La vita è meravigliosa” l’elemento del soprannaturale e del tempo sospeso è ben presente – e forse i due film non sono così diversi l’uno dall’altro.
Nel romanzo di James Hilton l’inizio è molto diverso: un prologo che si svolge all’ambasciata inglese, dove viene introdotto il personaggio di Robert Conway, il protagonista sia del libro che del film. Conway è un abile funzionario dell’impero britannico, molto stimato, che ha frequentato le migliori scuole ed è ben introdotto nei migliori ambienti; nonostante questo non ha fatto la carriera che da lui ci si sarebbe aspettati. Ma è comunque una persona famosa e rispettata nell’ambiente diplomatico, che ha dato ampie prove di grande valore. Nel prologo Conway non c’è, ma si parla molto di lui: dato per scomparso durante l’evacuazione di Baskul, era stato ritrovato dopo molto tempo, nella regione himalayana, in condizioni fisiche estreme e quasi senza memoria.
All’ambasciata si ricostruisce la sua storia misteriosa: uno dei presenti ha parlato con Conway, dice che gli sembrava perfettamente guarito e pronto a ritornare in servizio, ma poi è scomparso misteriosamente un’altra volta. Dove è andato Conway? Quale è la sua storia?
Il funzionario, Lord Rutherford, ha raccolto le confidenze di Conway e quando rimane da solo con il narratore (una persona di cui si fida) comincia a raccontare: è una storia che non può lasciare indifferenti.
Negli extra allegati al dvd ufficiale si spiega che Capra girò questo inizio, molto fedele al libro, del quale ci sono rimaste anche le immagini; ma poi optò per quello che vediamo oggi, molto più spettacolare. Direi che Capra aveva ragione, il risultato è molto buono. In generale, si può dire che Capra pensa in modo prettamente cinematografico, mentre Hilton ragiona da scrittore: entrambi i metodi sono ottimi. Il romanzo di Hilton è molto più ragionato e pensato, Capra va direttamente a rivolgersi alle nostre emozioni: da un bel libro è nato un bel film, e non era una cosa scontata.

Nel film, Conway è interpretato da Ronald Colman, che negli anni ‘30 era una vera star e oggi è invece quasi completamente dimenticato. L’interpretazione è buona, oggi risultano però decisamente fuori moda i vestiti e anche i baffetti appena accennati, che fanno sembrare Colman molto più vecchio della sua età: ma allora i baffi appena accennati erano di gran moda (li porterà anche Clark Gable), ed è sempre utile far notare quanto le mode diventino ridicole appena smettono di essere di moda. Comunque sia, l’interprete è ottimo e dei baffetti di Colman ci si dimentica subito; quello che invece colpisce, visto da oggi, in epoca di Bertolaso e di supereroi in tuta mimetica fosforescente e riflettente, è che un tempo l’emergenza veniva gestita veramente da persone che badavano più che altro a lavorare sodo senza curarsi troppo di farsi vedere. Insomma, il Conway di Ronald Colman non è un personaggio inventato, e la sua efficienza, anche in giacca e cravatta, è degna di lode ancora oggi.
Nel romanzo, Robert Conway è descritto così:
...Ho notato spesso che chi aveva conosciuto Conway anche solo fugacemente, ne serbava poi un ricordo vivissimo. Da ragazzo era stato senz'altro un tipo notevole e in me, che lo avevo conosciuto all'età in cui si adorano gli eroi, il suo ricordo è rimasto sempre romanticamente impresso. Era un bel ragazzo, alto e bravo non solo negli sport, ma si portava via anche tutti gli altri premi scolastici. Un professore un po' sentimentale una volta definì «gloriose» le sue imprese e di lì nacque il suo soprannome, Glory. Era forse l'unico che potesse sopravvivere a un nomignolo così impegnativo. Ricordo che alla cerimonia di chiusura dell'anno scolastico, aveva fatto il suo discorso in greco; nelle recite poi era sempre il più bravo. Aveva in sé qualcosa di elisabettiano: la facile versatilità, l'aspetto gradevole, o la brillante combinazione di entrambe queste qualità, fisiche e intellettuali. Al giorno d'oggi, la nostra civiltà produce raramente uomini del genere.
Esternai a Rutherford questa impressione e lui mi rispose : « Sì, è vero, e noi oggi usiamo un termine spregiativo per indicare queste persone : dilettanti. Immagino che molti lo giudicassero così, Conway. La gente come Wyland, per esempio. A me Wyland non piace molto. Non posso sopportare i tipi come lui, con tutta la loro perfezione e la loro presunzione. E quella tipica mentalità burocratica, hai notato? E quel suo modo di esprimersi, “farsi un punto d'onore”, “divulgare i segreti di scuola“, come se l'Impero fosse la terza liceo! ...»
(James Hilton, Orizzonte perduto, pag.10 ed. Garzanti 1973)


Conway non era poi tanto sicuro di essere davvero una persona molto coraggiosa. Aveva chiuso gli occhi perché era stanchissimo, ma non dormiva. Sentiva tutti i movimenti dell'aereo e aveva ascoltato, per quanto combattuto da sentimenti diversi, l'elogio che Mallinson faceva di lui. Fu proprio allora che nacquero i suoi dubbi : riconobbe la morsa allo stomaco che era la sua reazione normale a riflessioni inquietanti. Sapeva, per esperienza personale, di non essere uno di quelli che amano il pericolo per il pericolo. Ne apprezzava a volte l'aspetto esaltante come antidoto all'ignavia, ma non gli andava affatto l'idea di rischiare la pelle. Dodici anni prima, durante la guerra, era arrivato a odiare i pericoli della trincea e aveva più volte evitato la morte rifiutandosi di compiere eroismi inutili. Anche la sua medaglia se l'era guadagnata non tanto per il coraggio fisico, quanto per una sorta di capacità di resistenza faticosamente conquistata. Dalla guerra in poi, ogni volta che s'era trovato davanti al pericolo, lo aveva affrontato con crescente avversione, a meno che non promettesse particolari brividi ed emozioni. Teneva ancora gli occhi chiusi. Le parole di Mallinson lo avevano commosso, ma anche un po' spaventato. Era destino che nella vita scambiassero sempre la sua serenità per coraggio, mentre si trattava in realtà di qualcosa di molto più spassionato e molto meno virile. Erano tutti quanti in una situazione maledettamente preoccupante e lungi dal sentirsi pieno di coraggio, Conway provava soprattutto una profonda ripugnanza per qualunque pericolo la sorte serbasse loro.
(James Hilton, Orizzonte perduto, pag.29 ed. Garzanti 1973)


Si sentiva ancora stanchissimo. Inoltre per natura era incline a quella che la gente potrebbe definire pigrizia, anche se non si trattava esattamente di questo. Nessuno sapeva, all'occorrenza, lavorare più duramente di lui e pochi, meglio di lui, sapevano addossarsi delle responsabilità. Ma non era certo un fanatico dell'attivismo e la responsabilità gratuita non gli piaceva. Attivismo e responsabilità facevano parte del suo lavoro e lui se la cavava benissimo, ma era sempre pronto a cedere il passo a chiunque facesse altrettanto o meglio. Era questa, senza dubbio, la ragione per cui la sua carriera non risultò brillante come prometteva di esserlo. Non era così ambizioso da scavalcare gli altri o da ostentare un'attività frenetica quando in realtà non c'era niente da fare. I suoi dispacci erano laconici, al limite della cortesia e la sua calma, nei momenti d'emergenza, benché fosse motivo d'ammirazione, era tuttavia sospetta d'essere troppo genuina. All'autorità piace avere la sensazione che l'uomo si impone uno sforzo e che la sua apparente nonchalance è solo una maschera che nasconde un corredo di ben controllate emozioni. Di Conway si era a volte sospettato che la sua flemma fosse troppo autentica e che qualunque cosa accadesse, lui se ne infischiasse altamente. Ma anche qui, come per la pigrizia, si trattava di un'interpretazione arbitraria. In realtà la gente non capiva una cosa di una semplicità sconcertante : e cioè che Conway amava la quiete, la contemplazione e la solitudine.
(James Hilton, Orizzonte perduto, pag.33 ed. Garzanti 1973)
Di quest’inizio cinematografico, rimane da dire che Baskul oggi è in Iran, e non in Cina: lontana dal confine, più vicina all’Afghanistan o al Turkmenistan. Può darsi che si tratti di un errore voluto, o di un’altra Baskul (la Baskul del film appare abitata da cinesi autentici), o che sia un luogo di fantasia, così come faceva Salgari che dava nomi veri a posti inventati; del resto la cosa non ha una grande importanza, perché Baskul la dimentichiamo subito, è solo un punto di partenza, un aeroporto di fortuna da dove parte l’aereo con i nostri cinque protagonisti. Su internet ci sono anche dei tentativi di ricostruzione di questo volo: ne porto qui una mappa per chi volesse divertirsi. (dal sito http://www.boloji.com/  dove il dr.Amitabh Mitra ha scritto una dettagliata spiegazione, in inglese)
(continua)

Orizzonte perduto ( III )

LOST HORIZON (ORIZZONTE PERDUTO, 1937) Regia di Frank Capra. Tratto dal romanzo di James Hilton. Sceneggiatura di Robert Riskin. Fotografia: Joseph Walker (riprese aeree: Elmer Dyer); Scenografia: Stephen Goosson; montaggio: Gene Havlick, Gene Milford; costumi: Ernst Dryden; Musiche originali di Dimitri Tiomkin; i bambini cantano "Wiegenlied (Brahms), Op. 49, No. 4" e una canzone tradizionale cinese; Edward Everett Horton canta "Here we go gathering nuts in may" (canzone tradizionale per bambini)
Interpreti: Ronald Colman (Robert Conway), John Howard (George Conway), Jane Wyatt (Sondra), Edward Everett Horton (Alexander P.Lovett), Thomas Mitchell (Henry Barnard), H.B. Warner (Chang), Sam Jaffe (il grande Lama), Margo (Maria), Isabel Jewell (Gloria Stone). Durata: 132'.

La principale differenza fra il libro di Hilton e il film di Capra è nei personaggi che affiancano Robert Conway nel suo viaggio verso ShangriLa. La prima differenza è nel numero: nel libro sono quattro le persone a bordo dell’aereo che parte da Baskul; nel film sono cinque.
Subito dopo Conway, come importanza, c’è il personaggio del giovane Mallinson, addetto d’ambasciata e stretto collaboratore del protagonista. Capra ne mantiene il carattere originale, ma opera un cambiamento importante: lo fa diventare il fratello minore di Conway. Un’ottima idea, che funziona benissimo per tutto il film. George Conway è interpretato da John Howard, un attore che ha avuto una carriera lunghissima interpretando moltissimi film ma che non ha lasciato una gran traccia nel nostro immaginario.
Mallinson che a volte, in mancanza di meglio, veniva ad ascoltare la musica, la trovava sconcertante. «Non riesco a capire cosa faccia qui, - aveva detto più di una volta a Conway – Questa faccenda dei lama andrà benissimo per un vecchio come Chang, ma che attrattiva può avere per una ragazza? Chissà da quanto tempo si trova qui...»
«Me lo chiedo anch’io, ma è una di quelle cose che non siamo tenuti a sapere.»
«Tu pensi che a lei piaccia star qui? (...) sembra assolutamente priva di sentimenti: una bambolina d’avorio più che un essere umano.» (...)
Conway sorrise. «Se ci pensi bene, Mallinson, ti convincerai che non è vero. Dopotutto, la tua bambolina d’avorio ha buone maniere, buon gusto nel vestire, è carina, ha un bel tocco sul clavicembalo, e non si muove per la stanza come se stesse giocando a hockey. In Europa, per quel che mi ricordo, ci sono moltissime donne che mancano di queste virtù.»
« Sei tremendamente cinico, Conway, in materia di donne. »
Conway era abituato a sentirsi fare quell'accusa. In realtà durante la sua carriera non aveva avuto molto a che fare con l'altro sesso e, durante le poche vacanze nelle stazioni climatiche indiane, gli era stato facile sostenere questa sua reputazione di cinico. Per la verità aveva avuto delle piacevolissime relazioni con donne che sarebbero state felici di sposarlo, se lui glielo avesse chiesto... ma lui non l'aveva mai fatto. Una volta era quasi arrivato al punto di annunciare il fidanzamento sul Morning Post, ma la ragazza non voleva vivere a Pekino e lui non voleva vivere a Tunbridge Wells, reciproche incompatibilità che si rivelarono insormontabili. La sua esperienza in materia di donne era fatta di tentativi inconcludenti e presentava molte lacune. Ciò nonostante, non era un cinico.
Rise e disse: « Ho trentasette anni e tu ne hai ventiquattro, ecco tutto. »
(James Hilton, Orizzonte perduto, pag.99 ed. Garzanti 1973)
Il terzo passeggero si chiama Barnard ed è interpretato da uno dei più grandi caratteristi di Hollywood, Thomas Mitchell: anche per Mitchell una carriera lunga e gloriosa, ma stavolta si tratta di un volto che non si dimentica (basterà ricordare il suo medico ubriaco in “Ombre rosse” di John Ford, qualche anno dopo). Il personaggio di Barnard è praticamente identico tra film e libro: si può svelare senza nuocere troppo alla trama (lo veniamo a sapere molto presto) che si tratta di un truffatore ad altissimi livelli, ricercato in tutto il mondo per un crac finanziario che ha lasciato molte persone sul lastrico. Ma Barnard è anche una persona di grandi capacità, come vedremo nel corso del film.
A fianco di Barnard, nel libro, c’è un solo personaggio: una missionaria protestante che si chiama Miss Brinklow, e che nel film non c’è. Miss Brinklow, un personaggio serio ma leggermente caricaturale, serve a Hilton per introdurre il discorso sulla religione, che in “Orizzonte perduto” è importante e che bisognerà affrontare in un prossimo post; il tema religioso viene comunque affrontato da Capra, che però qui sostituisce la volitiva e appassionata Miss Brinklow con due personaggi più adatti al cinema. Si tratta di una giovane donna, interpretata da Isabel Jewell, che è quasi sicuramente una prostituta e che vediamo seriamente malata (forse ai polmoni), e di uno scienziato, un paleontologo, cioè un personaggio creato su misura per il grande attore comico Edward Everett Horton. Della qual cosa sono molto contento, perchè sono un grande fan di E.E. Horton e lo vedo sempre volentieri: per nostra fortuna, Horton è onnipresente nei film di quel periodo, magari a fianco di Fred Astaire (in “Cappello a cilindro”) o nelle commedie di Lubitsch, e fa sempre più o meno lo stesso personaggio ma lo si vede sempre con gran piacere.
Qui duetta spesso con Thomas Mitchell, e il loro compito è quello di alleggerire la tensione sempre presente nel film: sono due grandi attori e lo fanno benissimo.
...Era tipico di Conway lasciare che gli altri si svegliassero da soli e quasi non rispondere alle loro esclamazioni di stupore. Ma quando più tardi Barnard gli chiese la sua opinione, Conway parlò con l'eloquenza distaccata di un professore che delucida un problema. Disse che secondo lui si trovavano ancora in India. Che da parecchie ore volavano in direzione est, a quota troppo alta però per poter vedere qualcosa, ma probabilmente la rotta seguiva il letto di un fiume che scorreva da est a ovest. « Purtroppo devo basarmi unicamente sulla memoria, ma credo si tratti dell'alta valle dell'Indo. Se così fosse, dovremmo trovarci in una zona straordinaria, e come potete vedere, è straordinaria davvero. »
« Quindi lei sa dove ci troviamo? » lo interruppe Barnard.
« Be', non sono mai stato da queste parti, ma non mi sorprenderebbe se quelle montagne fossero i Nanga Parbat, dove perse la vita Mummery. Struttura e posizione collimerebbero con quel che ne ho sentito dire. »
« Lei è alpinista? »
« Sì, da ragazzo ero abbastanza bravo. Naturalmente le solite ascensioni svizzere, niente di più. »
Mallinson intervenne stizzito: « Sarebbe più utile discutere dove stiamo andando. Perdio, vorrei proprio che qualcuno me lo dicesse! »
« A me sembra che ci stiamo dirigendo verso quella catena di monti laggiù, » disse Barnard. « Lei che ne pensa, Conway? Mi scusi se la chiamo così, ma visto che dovremo dividere la stessa sorte, è inutile fare complimenti. »
A Conway pareva del tutto naturale che lo sì chiamasse per nome e trovò le scuse di Barnard assolutamente superflue. « Certo, » acconsentì; poi aggiunse: « Penso sia la catena del Karakorum. Ci sono parecchi valichi, chissà se il nostro uomo intende superarli. »
« Il nostro uomo? » esclamò Mallinson. « Vorrai dire il nostro pazzo. Credo che a questo punto si debba accantonare l'ipotesi del rapimento. Ormai siamo ben lontani dalla zona di frontiera, qui intorno non vive nessuna tribù. L'unica spiegazione plausibile è che questo tipo sia un pazzo furioso. Chi altri, se non un pazzo, volerebbe su questi luoghi? »
« Eppure solo un pilota eccezionale lo potrebbe fare, » ribatté Barnard. « Non sono mai stato un asso in geografia, ma so che queste sono le montagne più alte del globo e superarle sarà davvero un'impresa fuori del comune. »
« Se Dio lo vorrà, » intervenne inaspettatamente la signorina Brinklow.
Conway non espresse la sua opinione. Volontà di Dio o pazzia d'uomo, erano due alternative possibili, se proprio si voleva giustificare ogni cosa. O al contrario, la volontà dell'uomo e la follia di Dio, pensò Conway (...)
(James Hilton, Orizzonte perduto, pag.38 ed. Garzanti 1973)
(continua)

Orizzonte perduto ( IV )

LOST HORIZON (ORIZZONTE PERDUTO, 1937) Regia di Frank Capra. Tratto dal romanzo di James Hilton. Sceneggiatura di Robert Riskin. Fotografia: Joseph Walker (riprese aeree: Elmer Dyer); Scenografia: Stephen Goosson; montaggio: Gene Havlick, Gene Milford; costumi: Ernst Dryden; Musiche originali di Dimitri Tiomkin; i bambini cantano "Wiegenlied (Brahms), Op. 49, No. 4" e una canzone tradizionale cinese; Edward Everett Horton canta "Here we go gathering nuts in may" (canzone tradizionale per bambini)
Interpreti: Ronald Colman (Robert Conway), John Howard (George Conway), Jane Wyatt (Sondra), Edward Everett Horton (Alexander P.Lovett), Thomas Mitchell (Henry Barnard), H.B. Warner (Chang), Sam Jaffe (il grande Lama), Margo (Maria), Isabel Jewell (Gloria Stone). Durata: 132'.

Una volta giunti a ShangriLa, Conway e i suoi compagni d’avventura si trovano spesso a discutere con Mr.Chang, gentilissimo ed enigmatico. Appare subito evidente che dietro a Chang c’è qualcuno, ma chi?
Frank Capra affida la parte di Chang a uno dei suoi fedelissimi, l’attore H.B. Warner: che come cinese è altamente improbabile, ma come attore è ottimo e rende benissimo il suo personaggio, come meglio non si poteva fare. D’altronde, come già sa chi conosce bene la storia di “Orizzonte perduto”, il fatto che Chang sia veramente cinese non ha molta importanza.
Nel libro, Chang ha una bella conversazione con Miss Brinklow: ma nel film Miss Brinklow non c’è, e dunque le questioni filosofiche Chang le affronterà quasi soltanto con Conway.
Miss Brinklow: « Prima di tutto in quanti siete e di che nazionalità siete? »
Evidentemente la sua mente metodica continuava a funzionare secondo gli schemi professionali della missione di Baskul. Chang rispose: « I lama veri e propri sono circa cinquanta, poi ci sono alcuni altri che, come me, non hanno ancora raggiunto la completa iniziazione. Ci arriveremo a tempo debito, spero. Sino a quel momento siamo lama solo per metà, postulanti, direste voi. Quanto alle nostre origini razziali, tra di noi ci sono rappresentanti delle più svariate nazionalità, benché naturalmente cinesi e tibetani costituiscano la maggioranza. »
La signorina Brinklow non mancava mai di trarre delle conclusioni, sia pure sbagliate. « Capisco. Allora è proprio un monastero indigeno. Il lama vostro capo è cinese o tibetano? »
«No. »
« Ci sono degli inglesi? »
« Parecchi. »
« Santo cielo, questo mi sembra molto importante. » La signorina Brinklow si interruppe solo per prender fiato, poi continuò: « E adesso, mi dica in cosa credete. »
Conway si appoggiò allo schienale in divertita attesa. Gli era sempre piaciuto assistere allo scontro di mentalità opposte. E la precipitosa ingenuità della signorina Brinklow applicata alla filosofia lama prometteva di essere davvero divertente. D'altra parte, non voleva che il loro ospite si spaventasse.
«È una domanda piuttosto impegnativa, » disse cercando di temporeggiare.
Ma la signorina Brinklow non intendeva assolutamente temporeggiare. Il vino che sugli altri aveva avuto un effetto sedativo, l'aveva invece tutta ringalluzzita. « Naturalmente, » disse con magnanimità, « io credo nella vera religione, ma sono di vedute abbastanza larghe per ammettere che altri, cioè gli stranieri, siano spesso in buona fede. E certo non mi aspetto che in un monastero condividano le mie idee. »
Questa sua concessione provocò un cortese inchino da parte di Chang. « E perché no, signora? » rispose in quel suo inglese fiorito ed elegante. « Dobbiamo forse ritenere che se una religione è la vera, tutte le altre sono assolutamente false? »
« Be', mi sembra ovvio, no? »
Conway intervenne di nuovo. « Credo che sarebbe meglio non metterci a far discussioni. Ma condivido la curiosità della signorina Brinklow nei riguardi di questa eccezionale comunità. »
Chang rispose lentamente e poco più che in un bisbiglio: « Se dovessi sintetizzare la nostra regola in poche parole, caro signore, direi che noi crediamo soprattutto nella moderazione. Inculchiamo la virtù di evitare gli eccessi di ogni genere, compreso, se mi permette il paradosso, l'eccesso di virtù. Nella vallata che lei ha visto e nella quale vivono parecchie migliaia di persone sotto il controllo del nostro ordine, abbiamo notato che questo principio conduce a un notevole grado di felicità. Governiamo con moderata severità e di conseguenza ci basta una moderata obbedienza. Credo di poter affermare che la nostra gente è moderatamente sobria, moderatamente casta e moderatamente onesta. »
Conway sorrise. Gli parve molto ben espresso, oltre che particolarmente consono al suo temperamento. « Mi sembra di capire. Suppongo che gli uomini che abbiamo incontrato stamani appartengano alla vostra gente. »
« Sì. Spero non abbiate avuto nessuna difficoltà con loro, durante il viaggio. »
« Oh, no, affatto. Comunque ho notato con piacere che il loro passo era più che moderatamente sicuro. Ma lei ha precisato però che la regola della moderazione si riferisce a loro : devo dedurne che non si riferisce alla vostra comunità? »
Chang si limitò a scuotere la testa. « Mi dispiace, signore, che lei abbia toccato un argomento sul quale non posso discutere. Posso solo aggiungere che la nostra comunità ha molte fedi e usanze diverse, ma che la maggior parte di noi è moderatamente eretica. Mi dispiace molto di non poterle dire di più per il momento. »
« La prego, non deve scusarsi. Mi lascia comunque con un argomento di piacevolissima meditazione. »
(James Hilton, Orizzonte perduto, pag.68 ed. Garzanti 1973)
- Cosa fanno i lama? – continuò impeterrita Mrs. Brinklow.
- Signora, si dedicano alla contemplazione e alla ricerca della saggezza.
- Ma questo non è fare qualcosa.
- E dunque, signora, non fanno nulla.
- E’ appunto quello che pensavo.
(James Hilton, Orizzonte perduto, pag.86 ed. Garzanti 1973)

Mallinson tacque, poi d'improvviso gli chiese: « A proposito, che età pensi che abbia Chang? »
« Un'età qualsiasi, » rispose Conway leggermente, « tra i quarantanove e i centoquarantanove. »
Questa informazione tuttavia era meno credibile di molte altre fornite ai nuovi arrivati. Il fatto che la loro curiosità restasse a volte insoddisfatta, finiva col mettere in ombra la cospicua quantità di dati che Chang era sempre disposto a fornire. Non c'erano segreti, ad esempio, sugli usi e i costumi della popolazione della valle, e Conway, che vi si interessava, durante le lunghe conversazioni con Chang avrebbe potuto raccogliere materiale per una tesi di laurea. Come studioso di politica, Conway si interessava soprattutto alla forma di governo della popolazione della valle : all'esame, sembrava una specie di autocrazia piuttosto libera ed elastica esercitata dal monastero con una benevolenza quasi distratta. Il sistema doveva funzionare molto bene, e ne aveva sempre maggiore conferma ogni volta che scendeva in quel fertile paradiso. Conway si stupiva di non trovare alla base di quel sistema una legge e un ordine prestabilito; a quanto pareva, non c'erano né soldati né polizia, eppure doveva pur esserci qualche provvedimento per i delinquenti. Quando ne parlò a Chang, questi rispose che i delitti erano rarissimi, un po' perché venivano considerati tali solo fatti molto gravi, e un po' perché ognuno poteva godersi a sufficienza ciò che ragionevolmente desiderava. Come estremo rimedio, i monaci del monastero potevano espellere il colpevole dalla vallata : questa punizione però, che veniva considerata estrema ed atroce, era stata applicata molto raramente. Ma il fattore principale del governo di Luna Blu, continuava Chang, era l'insegnamento delle buone maniere, in modo che gli abitanti sentissero che certe cose « non si dovevano fare » e che facendole si sarebbero degradati. « Anche voi inglesi, » disse Chang, « nelle scuole cercate di inculcare questo sentimento, ma temo non nei confronti delle stesse cose. Gli abitanti della nostra valle, per esempio, sentono che non bisogna essere inospitali con gli stranieri, litigare con acrimonia, o lottare per rivaleggiare con altri. L'idea di divertirsi con la vostra cosiddetta guerra simulata sul campo da gioco, sembrerebbe loro assolutamente barbarica, anzi la riterrebbero un indegno incoraggiamento di tutti gli istinti più bassi. »
Conway chiese se non ci fossero mai liti a proposito di donne.
« Solo molto raramente, perché non è considerato educato prendersi una donna desiderata da un altro. »
« Ma supponiamo che qualcuno la desiderasse al punto di infischiarsene della buona educazione. »
« In tal caso, signore, sarebbe buona educazione da parte dell'altro concedergliela e da parte della donna mostrarsi condiscendente. Lei non può credere, Conway, quanti problemi si possono appianare con un po' di cortesia. »
Durante le sue visite, Conway scoprì negli abitanti della valle uno spirito di buona volontà e di accomodamento tanto più apprezzabili in quanto fra tutte le arti quella del governare è la più lontana dalla perfezione. Se ne complimentò con Chang, che gli rispose: « Vede, noi crediamo che per governare bene, bisogna evitare di governare troppo. »
« E non avete un'organizzazione democratica, votazioni, eccetera? »
« No di certo. La nostra gente si scandalizzerebbe se dovesse dichiarare che una politica è giusta e un'altra completamente sbagliata! »
Conway sorrise. Questo modo di vedere le cose gli era stranamente simpatico. (...)
(James Hilton, Orizzonte perduto, pag.101 ed. Garzanti 1973)


Chang: - Vede, signor Conway, noi crediamo che per governare bene si debba evitare di governare troppo.
(James Hilton, Orizzonte perduto, pag.101 ed. Garzanti 1973)
Che è un rimando preciso all’I-Ching: se si governa bene, non c’è bisogno di troppe leggi. A pensarci bene, fatte le dovute proporzioni, è la stessa cosa che ci ha lasciato detto Gesù nel Vangelo: che dieci Comandamenti sono già troppi, basta un Comandamento solo, che li contiene tutti: “ama il tuo prossimo”.
Il resto viene da sè, o dovrebbe venire...
(continua)

Orizzonte perduto ( V )

LOST HORIZON (ORIZZONTE PERDUTO, 1937) Regia di Frank Capra. Tratto dal romanzo di James Hilton. Sceneggiatura di Robert Riskin. Fotografia: Joseph Walker (riprese aeree: Elmer Dyer); Scenografia: Stephen Goosson; montaggio: Gene Havlick, Gene Milford; costumi: Ernst Dryden; Musiche originali di Dimitri Tiomkin; i bambini cantano "Wiegenlied (Brahms), Op. 49, No. 4" e una canzone tradizionale cinese; Edward Everett Horton canta "Here we go gathering nuts in may" (canzone tradizionale per bambini)
Interpreti: Ronald Colman (Robert Conway), John Howard (George Conway), Jane Wyatt (Sondra), Edward Everett Horton (Alexander P.Lovett), Thomas Mitchell (Henry Barnard), H.B. Warner (Chang), Sam Jaffe (il grande Lama), Margo (Maria), Isabel Jewell (Gloria Stone). Durata: 132'.

La vera religione di ShangriLa, però, pare essere una specie di sincretismo: dove l’unica cosa davvero sconveniente è il fanatismo e dove le certezze sono sempre da provare quotidianamente. Una religione molto pragmatica, dove esistono saldi princìpi morali e dove si crede nel trascendente, ma dove prima di tutto viene il rispetto per il prossimo: l’amore è forse chiedere troppo, il rispetto reciproco è una meta più alla nostra portata.
Fondamentale, per capire cosa ci sta dicendo James Hilton, è il suo riferimento costante all’esperienza di guerra, che sarà alla base anche di “Prigionieri del passato”, un altro bel libro dove addirittura si comincia da una clinica dove è stato ricoverato il protagonista: una clinica per malattie mentali, perché la Guerra provoca soprattutto questo, nei reduci. Ancora oggi, i resoconti sulle devastazioni psichiche provocate dalla guerra in Iraq o in Afghanistan, o in Ruanda, sono terrificanti: ma non se ne parla. In questo territorio, una ferita fisica o una mutilazione sono più presentabili; anche per questo ho apprezzato i libri di James Hilton, e non è un caso che nella biblioteca di ShangriLa ci sia posto anche per “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Erich Maria Remarque, un libro avvincente e un grande classico del pacifismo.
Hilton nacque nel 1900, quindi non fece in tempo a partecipare alla Grande Guerra (da noi, l’ultima leva mandata al fronte fu quella dei “Ragazzi del ‘99”), ma era abbastanza adulto per ricordarsela bene, e per vedere cos’era successo ad amici, parenti, vicini di casa. Oggi abbiamo vissuto sessant’anni senza guerre, per merito di quelle generazioni che della guerra ne avevano abbastanza; ma le persone di quella generazione, i nati negli anni ’20, sono sempre di meno; e sempre di più sono (e saranno) i capi di governo e i leader politici che non si ricordano di cos’è la guerra. In questo contesto, con il ritorno potente di ideologie strettamente legate alla guerra, leggere le profezie contenute in “Orizzonte perduto”, in “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Remarque, o in “E Johnny prese il fucile” di Dalton Trumbo, tutti scritti nell’intervallo fra le due guerre mondiali, fa molta impressione. Oggi, anno 2010, non c’è più posto per la mistica religiosa, per la grande cultura, per la tradizione e per i classici; ed è tornato il tempo di San Benedetto, quelli in cui il sapere veniva preservato nei monasteri per poter essere tramandato, mentre nel presente i barbari distruggono tutto, e deridono la conoscenza.
Fondamentali in “Orizzonte perduto” sono i capitoli in cui parla l’Alto Lama, che riporto in parte qui sotto: con una sorpresa, l’Alto Lama non è buddhista e non è nemmeno un orientale. Ci sono echi dell’esperienza seicentesca di padre Matteo Ricci, nel capo della comunità di ShangriLa: credo che Hilton ne conoscesse la storia, perchè nel libro c’è un accenno chiaro ai gesuiti che fondarono le prime missioni cristiane in Cina.
Nel film di Capra, l’Alto Lama è interpretato da Sam Jaffe, vecchio e glorioso caratterista; l’incontro di Conway con il Lama oggi può sembrare un po’ ingenuo e rudimentale, ma a guardarlo meglio sembra il finale di “2001 Odissea nello Spazio” : un vecchio piccolo e rugoso, in una strana stanza...Le porte d’ingresso esagonali, così come molti altri dettagli di scene e costumi, rimandano ancora più direttamente al film di Kubrick, che sicuramente conosceva sia il libro che il film.
« ... come molte erbe della nostra vallata, questo tè è unico e prezioso. Lo si dovrebbe bere molto lentamente... non solo con affetto e riguardo, ma anche per trarne il massimo piacere. Questo è un famoso insegnamento che ci viene da Kou Kai Tchou, che visse una quindicina di secoli or sono. Esitava sempre quando stava per giungere al midollo dolcissimo della canna da zucchero perché, diceva, “voglio arrivare gradatamente alla regione delle delizie”. Ha mai studiato i grandi classici cinesi? »
Conway rispose che ne conosceva appena qualcuno. Sapeva che quella conversazione allusiva sarebbe continuata, secondo l'etichetta, finché le tazzine da tè non fossero state portate via, ma non si sentiva per niente irritato, nonostante l'impaziente desiderio di ascoltare la storia di Shangri-La. Senz'altro doveva esserci in lui una buona dose della riluttante sensibilità di Kou Kai Tchou. Finalmente venne dato il segnale, sempre nello stesso modo misterioso, il servo entrò, poi di nuovo uscì e senza più nessun preambolo il Grande Lama cominciò :
« Forse lei conosce, Conway, nelle grandi linee, la storia del Tibet. Chang mi ha detto che lei ha fatto ampio uso della nostra biblioteca e sono certo che ha studiato i pochi ma interessantissimi annali di queste regioni. Saprà comunque che il cristianesimo nestoriano era assai diffuso in Asia durante il Medioevo e che anche dopo la sua effettiva decadenza, ne rimase vivo per molto tempo il ricordo. Nel diciassettesimo secolo il cristianesimo rifiorì, per impulso diretto di Roma, mediante l'opera di quegli eroici missionari gesuiti i cui viaggi, se mi è permesso dirlo, sono una lettura
assai più interessante che non i viaggi di San Paolo. A poco a poco la chiesa consolidò il suo dominio su un'estensione immensa e particolarmente importante è il fatto, di cui oggi gli europei non si rendono conto, che per ben trentotto anni vi sia stata una missione cristiana a Lhasa. Non fu però da Lhasa, ma da Pekino, che nel 1719 quattro frati cappuccini partirono in cerca delle vestigia della fede nestoriana che potevano essere sopravvissute nell'interno della regione.
« Viaggiarono per molti mesi verso sudovest, dalle parti di Lankao e del lago di Koko-Nor, affrontando difficoltà che lei può ben immaginare. Tre di loro morirono durante il viaggio e il quarto non era molto lontano dal seguirne la sorte quando per caso mise piede nella gola rocciosa che ancor oggi rappresenta l'unica via d'accesso alla vallata della Luna Blu. Qui, con sua grande gioia e sorpresa, trovò una popolazione ricca e ospitale che si affrettò a dimostrargli ciò che io ho sempre considerato la nostra tradizione più antica : l'ospitalità agli stranieri. Ben presto il cappuccino recuperò la salute e cominciò a predicare la sua fede. Gli abitanti della vallata erano buddisti, ma lo ascoltavano volentieri ed egli ebbe un certo successo. Sulla cima di questa montagna esisteva già un antico monastero, ma era in tale stato di sfacelo fisico e morale che il cappuccino, non appena vide aumentare il suo gregge, pensò di erigere su quello stesso splendido luogo un monastero cristiano. Sotto la sua sorveglianza la vecchia costruzione venne riparata e in gran parte ricostruita ed egli stesso venne a vivere qui nel 1731. Aveva allora cinquantatré anni.
« Permetta che le dica qualcosa di più su quest'uomo. Si chiamava Perrault, ed era nato nel Lussemburgo. Prima di diventare missionario in Estremo Oriente, aveva studiato a Parigi, a Bologna e in altre università : insomma era uno studioso. (...)
(James Hilton, Orizzonte perduto, pag.117 e seguenti ed.Garzanti 1973)
« Ma gli anni passavano ed era naturale che ai propositi orgogliosi se ne sostituissero a poco a poco altri più tranquilli. In fondo l'emulazione è una virtù giovanile e Perrault, all'epoca in cui il monastero venne terminato, era già carico d'anni. Deve tener presente che da un punto di vista strettamente gerarchico Perrault non aveva agito molto regolarmente,- anche se bisogna certamente accordare una certa autonomia a una persona i cui superiori ecclesiastici si trovano a una distanza misurabile in anni più che in chilometri. Ma con la gente della vallata e con i monaci non c'erano malintesi; lo amavano e lo obbedivano e man mano che passavano gli anni, giunsero perfino a venerarlo. Di tanto in tanto era sua abitudine mandare dei rapporti al vescovo di Pekino, ma spesso questi messaggi non giungevano nemmeno a destinazione, e siccome se ne dedusse che i messaggeri morissero per le asprezze del viaggio, Perrault divenne sempre più restio a mettere a repentaglio la loro vita e, verso la metà del secolo, smise del tutto questa consuetudine. Tuttavia qualcuna delle sue prime lettere deve essere arrivata e deve essere stato sollevato qualche dubbio circa la regolarità delle sue imprese, perché nell'anno 1769 giunse uno straniero che recava una lettera scritta dodici anni prima, nella quale si richiamava Perrault a Roma. Se l'ordine gli fosse giunto senza ritardo, Perrault avrebbe avuto più di settant'anni; invece ne aveva ottantanove. Era impensabile che affrontasse il viaggio attraverso le montagne e 1'altipiano : non avrebbe retto alle violente tempeste e ai tremendi rigori di quella zona selvaggia. Mandò quindi una cortese risposta spiegando la situazione, ma non c'è traccia che il suo messaggio sia mai riuscito a valicare la barriera montagnosa delle grandi catene. Così Perrault rimase a Shangri-La, non proprio sfidando l'ordine dei suoi superiori, ma solo perché gli era fisicamente impossibile adempierlo. Del resto era un uomo molto vecchio e la morte avrebbe ben presto messo fine alla sua vita e alle sue irregolarità. (...)
(James Hilton, Orizzonte perduto, pag.117 e seguenti ed.Garzanti 1973)


« Nel frattempo, come lei può ben immaginare, molti discepoli morirono e siccome pochi vennero a rimpiazzarli, il numero degli abitanti di Shangri-La sotto la guida del vecchio cappuccino diminuì costantemente. Da più di ottanta che erano all'inizio, si sono ridotti a una ventina, poi a una dozzina, e quasi tutti vecchissimi. La vita di Perrault ormai era soltanto una serena e tranquilla attesa della fine. Era troppo vecchio per ammalarsi o per essere insoddisfatto; solo il sonno eterno poteva reclamarlo, e Perrault non lo temeva. La buona gente della vallata gli procurava cibo e abiti; la sua biblioteca lo teneva occupato. Era diventato piuttosto fragile, ma gli restava sempre energia sufficiente per poter compiere i riti più importanti del suo ufficio; il resto delle sue tranquille giornate lo passava con i libri, con i suoi ricordi, e le dolci estasi della droga. La sua mente era rimasta straordinariamente lucida, al punto che s'era persino dedicato allo studio di certe pratiche mistiche che gli indiani chiamano yoga e che si basano su vari metodi speciali di respirazione. Per un uomo della sua età un'impresa del genere poteva sembrare rischiosa e infatti poco dopo, nel memorabile anno 1789, nella vallata si sparse la notizia che Perrault stava morendo. Giaceva in questa stanza, mio caro Conway, e dalla finestra scorgeva un biancore indistinto, che era tutto ciò che le sue pupille quasi spente potevano cogliere del Karakal; ma sapeva vedere anche con la mente e immaginava quel contorno limpido e netto su cui aveva gettato lo sguardo per la prima volta mezzo secolo prima. E rivedeva, come in uno strano corteo, anche tutte le sue passate esperienze, gli anni in cui aveva vagato per il deserto e l'altipiano, le affollate città occidentali, il clangore e lo scintillio delle truppe di Marlborough. La sua mente si era ridotta a una calma nivea; era pronto a morire, desideroso e felice di morire. Riunì intorno a sé gli amici e i servi e disse addio a tutti, poi chiese d'essere lasciato solo. In quella solitudine, con il corpo che sprofondava e l'anima che s'innalzava alla beatitudine, aveva sperato di esalare l'ultimo respiro... ma non fu così. Giacque per molte settimane immobile e senza parlare, poi cominciò a riprendersi. Aveva cento e otto anni.»
(James Hilton, Orizzonte perduto, pag.117 e seguenti ed.Garzanti 1973)


Conway annuì. Dopo un attimo di silenzio, disse: « Ma qual è lo scopo ultimo di tutto questo? »
« Figliolo, il modo con cui mi ha rivolto la domanda mi piace infinitamente. Nel corso della mia lunga esperienza non mi è mai stata posta con tanta calma. La mia rivelazione è stata accolta in tutti i modi possibili e immaginabili: con indignazione, spavento, furia, incredulità, isterismo, ma mai, fino a questa notte, con interesse e basta. Comunque il suo atteggiamento mi è molto gradito. Oggi lei è interessato, domani si sentirà impegnato. Un giorno forse potrò chiedere la sua dedizione. »
« Questo è più di quanto possa promettere. »
« Anche il suo dubbio mi piace... è la base di una fede profonda e ragionata... Ma non stiamo a discutere. Lei è interessato e questo è già molto. La sola cosa che ancora voglio chiederle è di non svelare ai suoi tre compagni tutto ciò che le ho raccontato. »
Conway tacque. (...)
« Tuttavia le traccerò una prospettiva piacevolissima : lunghe ore tranquille durante le quali lei contemplerà il tramonto del solo come gli uomini del mondo esterno ascoltano l'orologio che batte le ore, e con preoccupazione assai minore. Gli anni trascorreranno e lei passerà dalle gioie dei sensi a regni più austeri ma non per questo di minor soddisfazione; forse perderà il vigore dei muscoli e l'appetito, ma altre cose la ripagheranno; raggiungerà la calma e la profondità, la maturità e la saggezza e il limpido incanto della memoria. E soprattutto avrà tempo, quel raro, prezioso dono che i paesi occidentali hanno perso per averlo troppo perseguito. Rifletta un momento. Lei avrà tempo di leggere, non le capiterà più di dover saltare le pagine per guadagnare qualche minuto, o di dover rinunciare a uno studio per timore che la impegni troppo. So che lei ama la musica, qui ci sono partiture e strumenti e tempo, un tempo illimitato, per gustarne appieno il sapido sapore. Inoltre lei è quel che si dice un uomo di buona compagnia : non l'attira il pensiero di sagge, serene amicizie, un lungo amichevole commercio dello spirito dal quale la morte non la potrà strappare con la fretta consueta? O se è la solitudine che lei preferisce, perché non servirsi dei nostri silenziosi padiglioni per arricchire il piacere dei pensieri solitari...? »
La voce fece una pausa che Conway non cercò di riempire.
« Lei non dice nulla, mio caro Conway. Perdoni la mia eloquenza, io appartengo a un'epoca e ad un paese che non hanno mai considerato un male la prolissità. O forse lei pensa a sua moglie, dei genitori, dei bambini lasciati dietro di sé? O forse si tratta di ambizioni? Mi creda, anche se all'inizio il dolore può essere acuto, tra una decina d'anni non ne sentirà più nemmeno l'ombra. Benché, a quanto leggo nella sua mente, lei non abbia preoccupazioni del genere.»
Conway fu colpito dall'esattezza di quella diagnosi.
« È così, » rispose. « Non sono sposato, ho pochi amici e nessuna ambizione. »
« Nessuna ambizione? Come ha fatto a sfuggire a questa diffusissima malattia? »
Per la prima volta Conway si accorse che stava veramente prendendo parte alla conversazione. Disse: « Ho sempre pensato che nella mia professione una buona parte di ciò che viene considerato il successo fosse in realtà qualcosa di molto spiacevole. Inoltre richiedeva uno sforzo sempre maggiore di quello ch'ero disposto a compiere. Facevo parte del servizio consolare... un posto assolutamente di second'ordine, ma a me bastava. »
« Eppure il suo spirito rimaneva estraneo. »
« Il mio spirito, il mio cuore e una buona metà delle mie energie. Sono per natura piuttosto pigro. »
Le rughe si fecero più profonde e intricate sul viso del vecchio, finché Conway capì che il Grande Lama stava sorridendo. « La pigrizia nel fare cose stupide può essere una grande virtù, » riprese a sussurrare la voce. (...)
(James Hilton, Orizzonte perduto, pag.117 e seguenti ed.Garzanti 1973)
Conway tacque un poco, poi rispose: « Mi ha profondamente impressionato il racconto del passato, ma per essere sincero, quello che mi ha detto del futuro mi interessa solo in senso astratto. Non mi va di guardare così lontano. Certo mi dispiacerebbe dover lasciare Shangri-La domani o la prossima settimana, o forse anche l'anno venturo, ma non so prevedere come la penserò a cento anni. Sento di poter affrontare questo futuro, come qualsiasi altro futuro, ma perché mi ci appassioni, dovrebbe avere uno scopo. Mi sono chiesto spesso se la vita abbia uno scopo, e se non l'ha, una vita lunghissima deve essere ancora più inutile. »
« Mio caro amico, le tradizioni di questo monastero, buddiste o cristiane, danno molta sicurezza. »
« Può darsi. Ma ho bisogno di una ragione più precisa per invidiare i centenari. »
« Una ragione c'è, e molto precisa. È tutta la ragione di questa colonia di stranieri portati dal caso a vivere oltre i limiti dei loro anni. Non è un esperimento ozioso, un semplice capriccio. Abbiamo un sogno e una visione. La visione apparve per la prima volta al vecchio Perrault mentre giaceva moribondo in questa stanza nell'anno 1789. Come le ho raccontato, in quel momento il vecchio ripensava alla sua lunga vita e gli parve che tutte le cose piacevoli fossero passeggere e caduche e che la guerra, la libidine e la brutalità un giorno le avrebbero travolte senza lasciarne più traccia nel mondo. Ricordava cose viste con gli occhi ed altre ne immaginava con la mente; vide le nazioni farsi più forti, non in saggezza ma per volgari passioni e per volontà di distruggere; vide il potere delle loro macchine moltiplicarsi, fino al punto che un solo uomo armato avrebbe potuto combattere con un'intera armata del Gran Monarca. E capì che non appena avessero sparso la rovina per terra e per mare, si sarebbero rivolti all'aria... Può forse dire che questa visione sia falsa? »
« Verissima. »
« Ma non era tutto. Egli previde che un giorno gli uomini, trionfando nella tecnica dell'omicidio, si sarebbero così fortemente accaniti contro il mondo che tutte le cose preziose sarebbero state in pericolo, che libri, quadri, musiche, tutti i tesori accumulati in due millenni, piccoli, delicati, indifesi, sarebbero andati perduti, come i libri di Livio, o distrutti, come gli inglesi distrussero il Palazzo d'Estate di Pekino. »
«Sono del vostro parere. »
«D'accordo. Ma cosa contano contro il ferro e l'acciaio le opinioni degli uomini ragionevoli? Mi creda, quella visione del vecchio Perrault si avvererà. Per questo, mio caro, io sono qui, per questo lei è qui, per questo preghiamo di sopravvivere alla catastrofe definitiva che da ogni parte ci minaccia. »
« Sopravvivere? »
« C'è una probabilità. Tutto sarà passato, prima che lei diventi vecchio come me. »
« E lei crede che Shangri-La si salverà? »
«Forse. Non ci possiamo aspettare misericordia, ma abbiamo la debole speranza che ci trascurino. Resteremo qui con i nostri libri, la nostra musica, le nostre meditazioni, conservando le fragili eleganze di un'età morente, alla ricerca di una saggezza di cui gli uomini avranno bisogno quando si sarà spento il fuoco delle loro passioni. Abbiamo tutti un retaggio da amare e da tramandare. Fino a quel momento, godiamo come possiamo. »
«E poi? »
« Poi, figliolo, quando i forti si saranno divorati a vicenda, allora forse si compirà finalmente l'etica cristiana e i deboli avranno in eredità la terra. »
(James Hilton, Orizzonte perduto, pag.117 e seguenti ed.Garzanti 1973)

Di nuovo Conway cercò di rispondere ma senza riuscirvi, finché un lampo vivido rischiarò l'ombra e lo spinse ad esclamare: « La tempesta... la tempesta di cui lei parla... »
« Sarà una tempesta, figlio mio, di cui il mondo non ha mai visto l'uguale. Non ci sarà salvezza con le armi, né aiuto dalle autorità, né risposta nella scienza. Infurierà finché ogni fiore di cultura non verrà calpestato e tutte le cose umane non verranno ridotte a un caos enorme. (...) »
Conway rispose: « No, credo che lei abbia ragione. Uno sconquasso simile accadde già una volta e poi venne l'età oscura. »
« Il paragone non è esatto. Perché quell'età oscura non fu proprio così buia... era piena di baluginanti lanterne e anche se la luce se ne era andata completamente dall'Europa, c'erano altri bagliori, dalla Cina al Perù, ai quali avrebbe potuto riattizzarsi. Ma l'età oscura che verrà coprirà di un unico drappo funebre il mondo intero; non ci saranno né rifugi né santuari, se non quelli troppo segreti o troppo umili per essere scoperti o notati. E ShangriLa può sperare di essere uno di questi. Il pilota che porterà i suoi carichi di morte verso le grandi città, non passerà sopra di noi e anche se per caso dovesse, non sprecherà una bomba per noi. »
(James Hilton, Orizzonte perduto, pag.117 e seguenti ed.Garzanti 1973)

(continua)