- Georges Méliès (1997), documentario di Jacques Mény. Consulenza di Jacques Malthete. Produzione La Sept-Arte-Sodaperaga-Mikros Image. Trasmesso dalla TSI nel 1998.
- Tutto Méliès, 175 cortometraggi in cofanetto da 5 dvd. editore Morris Casini & Partners www.casinieditore.com
Va detto subito: i film di Georges Mèliès sono ormai quel che sono, i paragoni con l’oggi non hanno molto senso e questi film hanno interesse quasi soltanto storico. Detto questo, però (che è una considerazione molto banale, ma è meglio dirla perché, si sa, non si sa mai: visti i tempi che stiamo vivendo, a volte si danno troppe cose per scontate, anche le più semplici), a me piace molto il cinema di Méliès, mi piace la sua voglia di giocare e di cercare cose nuove, mi piace la sua originalità, e anche le sue gags e le sue trovate sono ancora molto superiori alla media di quello che vediamo sia in tv che al cinema. Insomma, non è sempre vero che il progresso sia automatico, andando avanti con gli anni: a volte si torna anche indietro. La tecnologia migliora continuamente, questo sì: ma ciò non significa necessariamente che ci sia anche un progresso. Eppure, oggi dovrebbe essere tutto semplicissimo: una volta Godard disse (cito a memoria) che “il cinema esisterà veramente quando si potrà girare un film come si scrive un libro, al costo di una penna e di un quaderno”. Ecco, ormai ci siamo: staremo a vedere. In questo caso, nel caso qualcuno volesse cominciare, Méliès tornerà subito utile e attualissimo.
Cercando un erede odierno di Méliès, mi viene da pensare soprattutto a Tim Burton: che con lui condivide il particolare umorismo, il gusto del macabro, la tecnica dello stop motion, le teste staccate dal corpo, le smorfie: films come Beetlejuice, Mars Attacks, The night before Christmas...
Penso anche al polacco Zbig, alle plastiline di Nick Park e di Marcenaro, a Terry Gilliam, a Karel Zeman. Ecco, pensandoci bene è davvero un peccato che Méliès, nel suo momento di crisi, non abbia pensato di dedicarsi definitivamente al cinema d’animazione: ma in quel 1913 i tempi non erano ancora maturi per i cartoons come li intendiamo oggi. Vent’anni dopo, all’inizio del boom Disney, il buon Méliès era ormai completamente fuori dal gioco.
Ma forse il rimando vero, guardando i film più riusciti di Méliès, è a Tom e Jerry, a Bugs Bunny a ai cartoons della Warner: sia per la durata (intorno ai cinque minuti) che per le gags e le trovate finali che chiudono sempre bene la storia. Nei film brevi di Méliès le gags sono sempre ben costruite, e c’è quasi sempre un finale ben pensato e simpatico.
Non si pensi a rappresentazioni ingenue: in Méliès c’è già tutto il cinema che verrà, caso mai ad essere artigianale, ingenua, approssimativa, è la tecnologia ancora agli inizi. E’ difficile dire cosa ne pensassero veramente gli spettatori dell’epoca, meno smaliziati di oggi; molte cose sembrano già scritte pensando ai bambini ma non si può esserne certi, ormai ne abbiamo viste troppe e può darsi che questi trucchi facessero davvero impressione, più che far sorridere. La recitazione è quasi sempre di qualità scarsa, scolastica o casalinga; l’unico professionista è lui, Méliès, molto disinvolto e che avrebbe meritato qualcosa di più come attore, anche in anni seguenti. Questa della recitazione improvvisata è un vero peccato, perché in quegli anni circolavano attori leggendari: si era a Parigi, tra l’altro, e quindi si poteva fare di meglio. Ma forse i veri attori avrebbero chiesto compensi importanti, e Méliès non poteva permetterselo.
E non deve stupire l’altissima presenza di diavoli e di fantasmi: oltre a essere un ottimo pretesto per apparizioni e prodigi, e anche di gags comiche, siamo nell’epoca dello spiritismo, della scoperta delle droghe allucinogene, della psicoanalisi, dei raggi x, del positivismo e del ballo excelsior. Il nostro Carducci, premio Nobel nel 1905, scrisse persino un’ode al diavolo; e una delle nostre più famose squadre di calcio, nata proprio in questi anni, ha per simbolo un parente stretto del personaggio preferito di Méliès. E comunque il diavolo esce spesso sconfitto, nei film di Méliès: in un paio di casi è addirittura la Madonna in persona a ridimensionarlo (“Le diable geant ou Le miracle de la Madone”, 1901). Ma, in ogni caso, con Méliès è meglio lasciar perdere i discorsi seri: stiamo solo giocando, il suo diavolo è un diavolo da teatro dei burattini, o da teatro dell’Opera (il “Faust” di Gounod, popolarissimo, o “La dannazione di Faust” di Berlioz, o il “Mefistofele” di Arrigo Boito...).
Fare un inventario dei diavoli di Méliès è un’impresa pressoché impossibile: diavoli, fantasmi, “presenze” giustificano benissimo trucchi e sparizioni e riapparizioni, dunque... Gli scheletri danzanti sono un po’ ovunque, la donna ragno appare nel Munchhausen. Gli scheletri in battaglia, tormentone di molti horror e fantasy, Méliès li usa già nel 1905, per “Il Palazzo delle Mille e Una Notte”. Impagabili le rane giganti, come in “La fata Carabosse”; molto buffi i serpentoni, e le scimmie (numerose) sono come in “Odissea nello spazio” di Kubrick. C’è un bel drago-camaleonte nel “Cavaliere delle Nevi” del 1912, dove il diavolaccio di Méliès è alla sua ultima apparizione. Al Polo Nord, sempre nel 1912, Méliès colloca un megamostro decisamente bruttino: ma si tratta del penultimo anno di attività, un film non suo ma realizzato su commissione dalla Pathé, ex rivale.
Questo piccolo elenco non l’ho fatto per caso, ma perché sono le cose che piacciono ancora oggi, e che hanno sempre portato la gente al botteghino. Basti pensare al finale di “Les quatrecents farces du diable", 1906, per trovare influssi evidenti su “Fantasia” di Disney: la corsa spettrale con una carrozza fantasma trainata da un cavallo ridotto a uno scheletro – quante volte abbiamo visto una sequenza simile a questa realizzata nel 1906?
Può sembrare un paradosso, ma c’è stata una sensibile riduzione del nostro immaginario, rispetto all’800 e ai secoli passati. Se ci fate caso, e soprattutto se siete appassionati di horror e di zombies, o magari di fantasy, i mostri del cinema ormai si somigliano tutti. Non era così nel passato, e se andiamo a prendere i bestiari medievali, o magari le descrizioni dei mostri in Plinio, ci rendiamo conto che non è possibile paragonarli alle creature di fantascienza e ai mostri tutti uguali (“replicanti” nel senso letterale della parola) delle playstation e dei film di fantasy.
Dietro questi filmini apparentemente risibili di Méliès c’era la mitologia classica, l’Odissea, la scoperta dell’Egitto e dell’induismo... E’ un fenomeno, questo della mancanza di un vero immaginario personale (ognuno di noi ha, o dovrebbe avere, ricordi personalissimi) che si vede ogni giorno: nei blogs e nelle riviste di cinema gente a corto di idee ripete da sempre una piccola giostra con sempre le stesse facce e gli stessi corpi a girare, Marilyn, Presley, l’impermeabile di Bogart, Casablanca, tutto è già stato detto e non se ne può più. Quest’inverno un attore di successo del cinema italiano si è presentato con un film dove la protagonista è una sosia di Marilyn Monroe: quando si dice non aver più idee, intendo cose come questa. Il cinema è enorme, si può pescare in un immaginario infinito, non si può sempre stare solo a far girare in tondo quelle quattro idee... Forse è davvero arrivato il momento di togliere il cinema, e la tv, e il web, dalle mani dei mercanti e dei pubblicitari, e renderli a chi ha davvero voglia di fare e di rischiare, e di divertirsi: così come fece il mago Georges Méliès in anni ormai lontani.
(continua)
Fotogrammi da “Quattro teste fastidiose” (Un homme de tête, 1898), L'uomo orchestra (L’homme orchestre, 1900), La danza del fuoco (La danse du feu, 1899, colorato a mano sul negativo dallo staff di Méliès)
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