sabato 30 ottobre 2010

Georges Méliès ( I )

- Georges Méliès (1997), documentario di Jacques Mény. Consulenza di Jacques Malthete. Produzione La Sept-Arte-Sodaperaga-Mikros Image. Trasmesso dalla TSI nel 1998.
- Tutto Méliès, 175 cortometraggi in cofanetto da 5 dvd. editore Morris Casini & Partners www.casinieditore.com

Georges Méliès negli anni ’90 era un prestigiatore di successo, con un suo teatro e ottimi spettacoli. Nella Parigi del 1895 si recò, in mezzo agli altri curiosi, ad assistere alle primissime proiezioni dei fratelli Lumière, quelle ormai leggendarie dove la gente si spaventava vedendo arrivare il treno, con la locomotiva sbuffante che sembrava proprio venirgli addosso. Ne uscì con la convinzione che si poteva fare di meglio, e che quel nuovo mezzo appena inventato, il cinematografo, era adattissimo al suo mestiere, e che di trucchi adesso ne poteva fare quanti ne voleva. Si costruì una macchina da presa e un proiettore (i Lumière non erano interessati a venderli, ma Méliès era anche un ottimo artigiano), attrezzò un capannone, e cominciò a lavorare.
Méliès è l’inventore dei trucchi cinematografici. Cominciò, secondo quanto racconta lui stesso, con un problema tecnico: mentre faceva una ripresa in place de l’Opéra, con quelle rudimentali prime macchine da ripresa, la manovella da girare a mano si inceppò. Riparato il danno, ricominciò il lavoro temendo di dover magari buttare via tutto il girato: invece l’interruzione aveva creato un effetto strano e divertente. Forse, solo a un prestigiatore poteva venire in mente di approfittare di queste inopinate sparizioni ed apparizioni: i fratelli Lumière, industriali, non avevano pensato ad applicazioni commerciali per la loro invenzione; e l’inventore Edison in America, che già produceva piccoli film che potevano essere visti da una sola persona alla volta, almeno per questa volta non era arrivato per primo.
Méliès continuò con il più classico dei classici, i fantasmi e le locande stregate e il diavolaccio che appare e scompare tra nuvole di fumo; tutti ottimi pretesti per far apparire e scomparire cose e persone, con effetti tra il magico e il comico. Da qui continuò con un vero crescendo di effetti speciali, realizzati in maniera artigianale ma sopraffina, con una pazienza da vero certosino, mettendo mascherine sull’obiettivo, avvolgendo e riavvolgendo più volte la pellicola a mano. Fu sempre sul punto di diventare ricco, e aprì perfino una succursale a New York; ma la storia del cinema avrebbe girato da un’altra parte, il cinema stava diventando adulto e per il bambino Méliès non c’era più spazio.

Méliès lavora a gran ritmo fino al 1909, poi si ferma. Riparte nel 1911, e girerà film fino al 1913, ma ormai sa che non può più reggere la concorrenza. Il suo capannone fu funestato da incendi (la celluloide, anzi l’acetato, con cui erano fatte le prime pellicole cinematografiche, era infiammabilissimo); gran parte della sua produzione è andata perduta in questo modo e molto materiale fu bruciato o distrutto dallo stesso Méliès in una crisi di sconforto.
Ma i suoi film si trovano ancora, ne sono rimasti molti e ogni tanto da una vecchia valigia o da una soffitta ne salta fuori uno, miracolosamente conservato in copie più o meno intatte. Non sono tutti capolavori, ma sono film che ancora oggi si guardano con piacere. Gli effetti speciali di Méliès, dopo più di cent’anni, non hanno niente da invidiare ad "Avatar", al “Signore degli anelli” o alla saga di “Guerre stellari”: l’unica differenza è nella tecnologia, non certo nella fantasia o nella bravura personale.
Il “Viaggio sulla Luna” è del 1902, non è il suo film migliore ma è certamente il più famoso: almeno un fotogramma l’abbiamo visto tutti, quello della Luna che riceve il missile-astronave in un occhio. E’ un tipico esempio dell’umorismo di Méliès, davvero bizzarro. Agli spazi siderali e all’astronomia Méliès si dedicherà molto, e sono tra i suoi film che rivedo più volentieri: la recitazione degli attori è quella che è, ma le smorfie e le facce buffe del Sole e della Luna in “Eclissi di Sole con la Luna piena” sono inarrivabili. “Il viaggio sulla Luna” è anche il primo vero kolossal nella storia del cinema: la lavorazione durò un mese, costò molto e rese molti soldi.
Già che ci sono, dico subito che Méliès è anche uno dei padri del cartone animato: gli esempi sono molti, in quasi tutti i suoi film; ma soprattutto ad avvicinarlo al cartoon è la durata (quasi tutti i suoi film, tranne appunto alcuni “kolossal” da un quarto d’ora circa, sono sui cinque minuti), le gags, la conclusione sempre ben studiata: come nei cartoons di Bugs Bunny, per l’appunto.
Méliès recita in quasi tutti i suoi film, e ha un’ottima presenza scenica. Gli altri attori sono quasi sempre molto improvvisati, si ha spesso l’impressione di una recita in famiglia e così era veramente: nei film recitano i suoi impiegati, il giardiniere, il personale di scena al suo teatro, attrezzisti e macchinisti, e le ragazze che gli facevano da assistenti nei suoi numeri d’illusionismo in teatro. Di persona (come attore), Méliès non è simpaticissimo, ma certamente è una sagoma. Come figura fisica, è della famiglia di Vincent Price e di Ciccio Ingrassia, ma è più piccolo e agile, brillante e scattante. Ci trovo anche qualcosa di David Niven, per l’eleganza; e mi piace anche perché non dà peso alla sua calvizie, che anzi usa con profitto.

In Méliès c’è già tutto il cinema, non solo gli effetti speciali. Nel repertorio dei suoi film troviamo per esempio l’attualità stile cinegiornale, come per i film sull’affaire Dreyfus del 1899, una storia che appassionò la Francia, in più puntate e molto ben girato, o “L’incoronazione di Edoardo VII” del 1902, e anche “l’entente cordiale” del 1904 , un accordo politico tra Inghilterra e Francia sulla spartizione delle colonie celebrato da Méliès in chiave comica con le lezioni di inglese ai poliziotti francesi (finisce tutto in balletto tra i flics e le insegnanti: il film è del 1908) . Fu pioniere, oltre che dell’horror, anche del catastrofico: Il Tunnel sotto la Manica, Viaggio nell’impossibile, Gli allegri scherzi di satana...Se vedete un treno in un film di Méliès, state sicuri che la catastrofe è in arrivo: ma è tutto uno scherzo, sia ben chiaro: senza morti né feriti.
Molte le favole e le riduzioni da romanzi famosi: Barbablu, Il piccolo spazzacamino, Rip van Winckle, La Fata Carabosse, e tanto altro ancora. Fu pioniere anche del remake, con due film su Cenerentola (1899 e 1912): come sarà anche in futuro, il remake è meno bello dell’originale. Nel catalogo dei film di Méliès c’è perfino una donna che si spoglia per fare il bagno: succede in “Dopo il ballo” (Aprés le bal, 1897). Considerando la data in cui fu girato, questo breve film è probabilmente da considerarsi come il più spinto di tutto l’Ottocento; viene il dubbio che l’autore avrebbe volentieri osato di più, ma a quei tempi – oltre ai problemi con la censura – non c’erano ancora luci e riflettori elettrici, si era costretti ad usare la luce naturale e a girare quasi all’aperto.

Forse Georges Méliès è davvero il simbolo dell’intera storia del cinema. Méliès piace ancora perché gioca, si diverte. Dilettantismo, passione e divertimento lo accomunano anche a noi bloggers, che come lui stiamo facendo prove su un mezzo ancora ai suoi inizi, in attesa che arrivino i colossi a mangiarsi tutta la torta.
(continua)

Fotogrammi da «Le roi du maquillage», 1904 e da « Les cartes viventes » del 1905.

Georges Méliès ( II )

- Georges Méliès (1997), documentario di Jacques Mény. Consulenza di Jacques Malthete. Produzione La Sept-Arte-Sodaperaga-Mikros Image. Trasmesso dalla TSI nel 1998.
- Tutto Méliès, 175 cortometraggi in cofanetto da 5 dvd. editore Morris Casini & Partners www.casinieditore.com

Va detto subito: i film di Georges Mèliès sono ormai quel che sono, i paragoni con l’oggi non hanno molto senso e questi film hanno interesse quasi soltanto storico. Detto questo, però (che è una considerazione molto banale, ma è meglio dirla perché, si sa, non si sa mai: visti i tempi che stiamo vivendo, a volte si danno troppe cose per scontate, anche le più semplici), a me piace molto il cinema di Méliès, mi piace la sua voglia di giocare e di cercare cose nuove, mi piace la sua originalità, e anche le sue gags e le sue trovate sono ancora molto superiori alla media di quello che vediamo sia in tv che al cinema. Insomma, non è sempre vero che il progresso sia automatico, andando avanti con gli anni: a volte si torna anche indietro. La tecnologia migliora continuamente, questo sì: ma ciò non significa necessariamente che ci sia anche un progresso. Eppure, oggi dovrebbe essere tutto semplicissimo: una volta Godard disse (cito a memoria) che “il cinema esisterà veramente quando si potrà girare un film come si scrive un libro, al costo di una penna e di un quaderno”. Ecco, ormai ci siamo: staremo a vedere. In questo caso, nel caso qualcuno volesse cominciare, Méliès tornerà subito utile e attualissimo.
Cercando un erede odierno di Méliès, mi viene da pensare soprattutto a Tim Burton: che con lui condivide il particolare umorismo, il gusto del macabro, la tecnica dello stop motion, le teste staccate dal corpo, le smorfie: films come Beetlejuice, Mars Attacks, The night before Christmas...
Penso anche al polacco Zbig, alle plastiline di Nick Park e di Marcenaro, a Terry Gilliam, a Karel Zeman. Ecco, pensandoci bene è davvero un peccato che Méliès, nel suo momento di crisi, non abbia pensato di dedicarsi definitivamente al cinema d’animazione: ma in quel 1913 i tempi non erano ancora maturi per i cartoons come li intendiamo oggi. Vent’anni dopo, all’inizio del boom Disney, il buon Méliès era ormai completamente fuori dal gioco.
Ma forse il rimando vero, guardando i film più riusciti di Méliès, è a Tom e Jerry, a Bugs Bunny a ai cartoons della Warner: sia per la durata (intorno ai cinque minuti) che per le gags e le trovate finali che chiudono sempre bene la storia. Nei film brevi di Méliès le gags sono sempre ben costruite, e c’è quasi sempre un finale ben pensato e simpatico.
Non si pensi a rappresentazioni ingenue: in Méliès c’è già tutto il cinema che verrà, caso mai ad essere artigianale, ingenua, approssimativa, è la tecnologia ancora agli inizi. E’ difficile dire cosa ne pensassero veramente gli spettatori dell’epoca, meno smaliziati di oggi; molte cose sembrano già scritte pensando ai bambini ma non si può esserne certi, ormai ne abbiamo viste troppe e può darsi che questi trucchi facessero davvero impressione, più che far sorridere. La recitazione è quasi sempre di qualità scarsa, scolastica o casalinga; l’unico professionista è lui, Méliès, molto disinvolto e che avrebbe meritato qualcosa di più come attore, anche in anni seguenti. Questa della recitazione improvvisata è un vero peccato, perché in quegli anni circolavano attori leggendari: si era a Parigi, tra l’altro, e quindi si poteva fare di meglio. Ma forse i veri attori avrebbero chiesto compensi importanti, e Méliès non poteva permetterselo.
E non deve stupire l’altissima presenza di diavoli e di fantasmi: oltre a essere un ottimo pretesto per apparizioni e prodigi, e anche di gags comiche, siamo nell’epoca dello spiritismo, della scoperta delle droghe allucinogene, della psicoanalisi, dei raggi x, del positivismo e del ballo excelsior. Il nostro Carducci, premio Nobel nel 1905, scrisse persino un’ode al diavolo; e una delle nostre più famose squadre di calcio, nata proprio in questi anni, ha per simbolo un parente stretto del personaggio preferito di Méliès. E comunque il diavolo esce spesso sconfitto, nei film di Méliès: in un paio di casi è addirittura la Madonna in persona a ridimensionarlo (“Le diable geant ou Le miracle de la Madone”, 1901). Ma, in ogni caso, con Méliès è meglio lasciar perdere i discorsi seri: stiamo solo giocando, il suo diavolo è un diavolo da teatro dei burattini, o da teatro dell’Opera (il “Faust” di Gounod, popolarissimo, o “La dannazione di Faust” di Berlioz, o il “Mefistofele” di Arrigo Boito...).
Fare un inventario dei diavoli di Méliès è un’impresa pressoché impossibile: diavoli, fantasmi, “presenze” giustificano benissimo trucchi e sparizioni e riapparizioni, dunque... Gli scheletri danzanti sono un po’ ovunque, la donna ragno appare nel Munchhausen. Gli scheletri in battaglia, tormentone di molti horror e fantasy, Méliès li usa già nel 1905, per “Il Palazzo delle Mille e Una Notte”. Impagabili le rane giganti, come in “La fata Carabosse”; molto buffi i serpentoni, e le scimmie (numerose) sono come in “Odissea nello spazio” di Kubrick. C’è un bel drago-camaleonte nel “Cavaliere delle Nevi” del 1912, dove il diavolaccio di Méliès è alla sua ultima apparizione. Al Polo Nord, sempre nel 1912, Méliès colloca un megamostro decisamente bruttino: ma si tratta del penultimo anno di attività, un film non suo ma realizzato su commissione dalla Pathé, ex rivale.
Questo piccolo elenco non l’ho fatto per caso, ma perché sono le cose che piacciono ancora oggi, e che hanno sempre portato la gente al botteghino. Basti pensare al finale di “Les quatrecents farces du diable", 1906, per trovare influssi evidenti su “Fantasia” di Disney: la corsa spettrale con una carrozza fantasma trainata da un cavallo ridotto a uno scheletro – quante volte abbiamo visto una sequenza simile a questa realizzata nel 1906?
Può sembrare un paradosso, ma c’è stata una sensibile riduzione del nostro immaginario, rispetto all’800 e ai secoli passati. Se ci fate caso, e soprattutto se siete appassionati di horror e di zombies, o magari di fantasy, i mostri del cinema ormai si somigliano tutti. Non era così nel passato, e se andiamo a prendere i bestiari medievali, o magari le descrizioni dei mostri in Plinio, ci rendiamo conto che non è possibile paragonarli alle creature di fantascienza e ai mostri tutti uguali (“replicanti” nel senso letterale della parola) delle playstation e dei film di fantasy.
Dietro questi filmini apparentemente risibili di Méliès c’era la mitologia classica, l’Odissea, la scoperta dell’Egitto e dell’induismo... E’ un fenomeno, questo della mancanza di un vero immaginario personale (ognuno di noi ha, o dovrebbe avere, ricordi personalissimi) che si vede ogni giorno: nei blogs e nelle riviste di cinema gente a corto di idee ripete da sempre una piccola giostra con sempre le stesse facce e gli stessi corpi a girare, Marilyn, Presley, l’impermeabile di Bogart, Casablanca, tutto è già stato detto e non se ne può più. Quest’inverno un attore di successo del cinema italiano si è presentato con un film dove la protagonista è una sosia di Marilyn Monroe: quando si dice non aver più idee, intendo cose come questa. Il cinema è enorme, si può pescare in un immaginario infinito, non si può sempre stare solo a far girare in tondo quelle quattro idee... Forse è davvero arrivato il momento di togliere il cinema, e la tv, e il web, dalle mani dei mercanti e dei pubblicitari, e renderli a chi ha davvero voglia di fare e di rischiare, e di divertirsi: così come fece il mago Georges Méliès in anni ormai lontani.
(continua)

Fotogrammi da “Quattro teste fastidiose” (Un homme de tête, 1898), L'uomo orchestra (L’homme orchestre, 1900), La danza del fuoco (La danse du feu, 1899, colorato a mano sul negativo dallo staff di Méliès)

Georges Méliès ( III )

- Georges Méliès (1997), documentario di Jacques Mény. Consulenza di Jacques Malthete. Produzione La Sept-Arte-Sodaperaga-Mikros Image. Trasmesso dalla TSI nel 1998.
- Tutto Méliès, 175 cortometraggi in cofanetto da 5 dvd. editore Morris Casini & Partners www.casinieditore.com

I film di Georges Méliès hanno date che sembrano improbabili: 1898, 1899... Viene voglia di leggerle due o tre volte per essere sicuri che siano giuste, e quando bisogna scriverle l'errore è sempre in agguato: che sia 1988, 1989? Invece non c’è niente di improbabile, le date sono proprio quelle lì, fine secolo XIX. Scorrere i titoli dei suoi film fa sorridere, perché ci si ritrova tutto quello che avrebbe interessato il cinema nel secolo successivo: film storici, favole, fantascienza, cinegiornali e docu-fiction, horrors, kolossals, cartoni animati, catastrofici... tutto quello che potete immaginare, tranne forse il western: ma solo perché Méliès era francese, di Parigi. Gli si può rimproverare di aver fatto poche riprese in esterni: l’avventurosissimo “Panorama dal tetto di un treno in corsa” del 1898 è una delle rare escursioni di Méliès fuori dal suo teatro di posa. Non appena la tecnica glielo consente, sperimenta anche il volto in primo piano: lo fa a fini comici, come per il primissimo piano del beone alla fine del film “Il vagabondo e il materassaio” (La cardeuse de matelas, 1906). Primissimi piani seguiranno anche per il Munchhausen (1911) e per il capitano Maloud in “Alla conquista del Polo” (1912); ma generalmente l’inquadratura è fissa, e l’obiettivo variabile viene usato quasi soltanto per i trucchi visivi, per far sembrare nani o giganti gli attori.
Prima dell’invenzione del cinema Méliès era già famoso come prestigiatore ed ilusionista, erede del grande Houdini del quale aveva rilevato il teatro: è dunque più che naturale ritrovare nei suoi film tutto l’armamentario degli oggetti e degli attrezzi del prestigiatore: dadi, ventagli, bauli, botole, carte da gioco, cilindri e conigli, oltre a oche e galline che dovevano essere facili da reperire in cortile. Troviamo anche molti costumi cinquecenteschi e settecenteschi, e molte danze, spesso eseguite da ballerine professioniste. Cosa diranno gli esperti di danza di questi balletti? A me sembrano poca cosa, Méliès pare usare i balletti come riempitivo, per allungare un po’ il film; e poi si sa che le ballerine hanno sempre avuto molto fascino.
Con l’aiuto di un bel documentario tramesso dalla TSI qualche anno fa, provo a ricostruire la sua storia e la sua carriera. Nel 1895 avviene la prima proiezione pubblica dei Lumière; tra il pubblico c’è anche Méliès. Nel 1896-97 Méliès comincia la sua avventura nel cinema, che finirà nel 1913, quando chiude e vende tutto. Come racconterà lui stesso, era esasperato dai creditori e brucerà personalmente tutto il materiale (foto e negativi compresi) che non avrebbe più saputo dove immagazzinare.
Da ragazzo, Georges Méliès vorrebbe fare l’Accademia di Belle Arti, ma i suoi genitori (il padre è un industriale nel ramo delle calzature) si oppongono. Lo mandano invece in Inghilterra, per imparare bene l’inglese. Nel 1884, giunto a Londra, il giovane Georges continua la sua passione per il teatro e va agli spettacoli dell’illusionista David Devant, col quale fa conoscenza. Devant lo prende in simpatia e gli insegna molti dei suoi trucchi.
Al suo ritorno a Parigi, Méliès perfeziona i trucchi imparati e ne aggiunge di nuovi; ma deve tenere i suoi spettacoli di nascosto perché il padre continua a ritenere il teatro un’occupazione non degna.
Nelle sue prime esibizioni, Georges Méliès si presenta quindi sotto il nome di Georges Mélus.
Quando il padre decide di ritirarsi dagli affari, divide la sua proprietà fra i tre figli. Georges vende la sua quota ai fratelli, e col ricavato compera, il 1 luglio 1888, il Teatro Robert Houdin, che terrà per più di trent’anni. Si tratta del teatro del famoso mago Houdini (Robert Houdin era il suo vero nome, “Houdini” fu scelto perché nell’800 i maghi più famosi erano italiani), un illusionista ancora oggi leggendario, di grande successo; il palcoscenico del teatro era stato costruito apposta per gli spettacoli di magia, con botole, nascondigli e pareti mobili. A quel tempo il “Robert Houdin” era in declino, ma Méliès lo sistema e lo riporta ai grandi successi.

Il suo primo spettacolo da proprietario del teatro sarà la “Stroubajka persiana”, una fantasia su temi orientali che verrà poi ripresa nei primi film di Méliès. Segue poi “Le farse della Luna”, che nei film diventerà “La Luna ad un metro” (1898), con Méliès nei panni di un astronomo e Jeanne Darcy, che sarà poi sua moglie, come protagonista. Grande successo hanno anche gli spettacoli di ombre cinesi e le proiezioni con la Lanterna Magica, due antenati del cinema. Con la Lanterna Magica era già possibile fare molti dei trucchi che poi resero popolari i film di Méliès, e le proiezioni erano altamente spettacolari. Oltre a questo, si potevano proiettavare vedute di viaggi, appositamente dipinte su vetro, che agli spettatori piacevano moltissimo: non era ancora tempo di documentari e i viaggi, prima dell’automobile, erano riservati a pochi avventurosi.
Gli esperti di illusionismo dicono che Georges Méliès è stato un mago famoso, non meno di Houdini, e che sarebbe stato ricordato alla pari con gli altri grandi maghi, ma la sua fama come illusionista è stata (comprensibilmente) oscurata dai suoi successi nel cinema.

Fotogrammi da “La lanterna magica” (La lanterne magique”1903) e da “Il viaggio attraverso l’impossibile” (Voyage a travers l’impossible, 1904)

Georges Méliès ( IV )

- Georges Méliès (1997), documentario di Jacques Mény. Consulenza di Jacques Malthete. Produzione La Sept-Arte-Sodaperaga-Mikros Image. Trasmesso dalla TSI nel 1998.
- Tutto Méliès, 175 cortometraggi in cofanetto da 5 dvd. editore Morris Casini & Partners www.casinieditore.com

Nel 1894 arriva anche a Parigi il cinetoscopio di Edison, un brevetto recentissimo che permette di registrare e riprodurre il movimento su pellicola cinematografica. Questi primi filmati sono ancora oggi disponibili, anche su youtube: per esempio i filmati di Anne Oakley che spara ai piattelli, e due gatti sul ring come pugili (Anne Oakley, che si esibiva nei circhi e nelle fiere, fu un personaggio famoso e ispirò il musical “Anna prendi il fucile”). Méliès corre a vederli e ne è entusiasta.
Il cinetoscopio di Edison però permette davvero di vedere immagini in movimento, ma ad una sola persona per volta. Chinandosi sopra una scatola di legno, si può vedere un breve filmato: è una novità assoluta ed ha un grande successo. La vera invenzione di Edison, quella che lo renderà ricco, sarà la pellicola perforata: un brevetto che è durato fino ad oggi, e che è stato soppiantato solo dalle nuove tecnologie digitali computerizzate, che non prevedono più l’uso della pellicola e il suo movimento meccanico.
Nel 1895 arriva l’invenzione dei fratelli Lumière, che permette alle immagini in movimento di “uscire dalla scatola” e di essere proiettate sullo schermo: la loro prima proiezione è un film che dura poco meno di un minuto, ma è un’invenzione clamorosa. Méliès viene a sapere dell’invenzione ancora prima degli altri, perchè Antoine Lumière, padre dei due fratelli, ha i suoi uffici nello stesso edificio del teatro Robert Houdin, e con Méliès si conoscono bene.
Esiste una registrazione del 1937, l’unica con la voce di Méliès, in cui Méliès rievoca il suo incontro con il padre dei Lumière, e l’inizio della sua avventura come regista e produttore di film. Méliès vi racconta che alla prima proiezione i Lumiere lasciarono di proposito ferma per un po’ di tempo la prima immagine del film (“L’uscita degli operai dalle officine Lumière”), al punto che il malumore cominciava a serpeggiare: proiezioni di immagini fisse se ne erano già viste in abbondanza. Ma poi, il miracolo.
Méliès chiede subito di noleggiare l’apparecchiatura per il suo teatro, ma i Lumière gli rispondono di no.Un no secco, motivato così: è un’invenzione scientifica, non un gioco per il teatro. Méliès racconta che anche lui, in quel momento, non sapeva cosa avrebbe fatto di preciso con quell’invenzione; ma qualcosa avrebbe trovato.
Comunque sia, Méliès è un ottimo meccanico e disegnatore; osserva tutto con attenzione e costruisce da solo la sua macchina per il cinematografo, adattando un proiettore inglese acquistato per l’occasione. La macchina da presa è uno scatolone di legno con un’enorme manovella da muovere a mano; è così rumorosa che Méliès la ribattezza “macinacaffè”.
Nel 1896 nasce il primo film di Méliès, “Una partita a carte”, girato nel giardino della casa di famiglia a Montreuil. Ne è protagonista lo stesso Méliès, con una paglietta in testa, con alcuni amici. Il film fu considerato perduto per molto tempo, ma ne esisteva una copia a Londra e quindi oggi è visibile. (continua)
Fotogrammi da “Il palazzo delle mille e una notte” (Le palais des milles et une nuit, 1905)

Georges Méliès ( V )


- Georges Méliès (1997), documentario di Jacques Mény. Consulenza di Jacques Malthete. Produzione La Sept-Arte-Sodaperaga-Mikros Image. Trasmesso dalla TSI nel 1998.
- Tutto Méliès, 175 cortometraggi in cofanetto da 5 dvd. editore Morris Casini & Partners www.casinieditore.com

Georges Méliès raccontò spesso come nacque il primo trucco cinematografico: stava girando in esterni, a Parigi in Place de l’Opéra, e la cinepresa si bloccò. Quando riparò il congegno, erano passati alcuni minuti: vedendo il film dopo lo sviluppo, d’improvviso cose e persone si erano mutate in altre cose e altre persone. Il cinema era appena nato, siamo nel 1895-96: i primi film sono soprattutto riprese dal vero, scene di vita comune, con qualche timido tentativo umoristico (“L’arroseur arrosè” dei Lumière) e drammatico.

Il pubblico però comincia presto a stancarsi delle riprese documentarie, e Méliès arriva nel momento giusto, girando film divertenti e spettacolari, con scenari e costumi fantastici, disegnati e progettati da solo. Le scenografie sono tutte all’aperto, perché all’epoca solo la luce naturale poteva garantire delle buone riprese; questo crea dei problemi quando il tempo è variabile, e bisogna correre a smontare e coprire, e mettere tutto al riparo. Da qui nasce l’esigenza di avere un teatro di posa, che costerà parecchio: ma gli affari vanno molto bene e per adesso non ci sono problemi. Altri pionieri del cinema, invece, continueranno a girare all’aperto, anche senza scenografie e palcoscenici: questo del girare solo in teatro sarà uno dei limiti principali del cinema di Méliès, limite che però si manifesterà solo qualche anno dopo. Per il momento, quello che fa Méliès al pubblico piace, e gli affari vanno a gonfie vele.

Nel 1897 Méliès costruisce a Montreuil il primo teatro di posa per il cinema. Occorreva proteggersi dalle intemperie: la produzione si stava facendo industriale, bisognava garantire sempre un certo numero di pellicole nuove e non si potevano più perdere giorni a causa del maltempo, come si era fatto fino ad allora.
Il teatro di posa, che verrà via via perfezionato negli anni successivi, ha un tetto fatto di pannelli di vetro, girevoli, montati su telai metallici: la luce viene dal tetto, e per proteggersi da ombre indesiderate i pannelli possono essere spostati e schermati con carta opaca. Ha le stesse dimensioni del Teatro Houdin, quello dove Méliès tiene i suoi apprezzati spettacoli come prestigiatore, e (dal 1898) una fossa sotto il palcoscenico che permette molti trucchi, come la scomparsa all’inferno del diavolo e di Faust (“Faust aux enfers”, 1903); è studiato per ricevere la luce dal mattino fino a mezzogiorno, la migliore. Di conseguenza, attori e tecnici devono alzarsi presto ed essere puntualissimi: il sole non aspetta.

Méliès vendeva i suoi film non alle sale cinematografiche, che non c’erano ancora, ma agli ambulanti delle fiere, che li portavano anche nei paesi più sperduti, per proiezioni improvvisate ma di grande successo. Nelle fiere, il cinema era abbinato alla presenza dell’imbonitore, che invitava la gente ad entrare e a tenere un contegno appropriato (si era al buio...). Dentro, oltre al proiezionista, c’era il pianista e quasi sempre si leggeva un testo che accompagnava il film e ne spiegava l’azione. Era Méliès stesso a stampare questi testi, che venivano venduti insieme al film.


Le trame dei film sono tutte inventate da Méliès, con disegni preparatori molto belli e precisi al millimetro (e con molte prove per gli attori) perché tutto doveva filare liscio durante le riprese. Per avere maggior precisione usava il metronomo, e alle volte un pianoforte, per dettare i tempi esatti durante le riprese; e gli attori recitavano come se fossero a teatro, parlando, per dare maggior credibilità alle loro azioni. “L’uomo orchestra” (L’homme orchestre, 1900), dove Méliès suona tutti gli strumenti, uno alla volta, è un esempio di questa precisione.
Méliès dipingeva spesso da solo gli scenari, quasi sempre in varie tonalità di grigio ma anche studiando i colori che rendevano meglio sulla pellicola. Gli attori all’inizio sono amici, operai, domestici e giardinieri, vicini di casa; poi arriveranno attori e ballerine vere, perché Méliès pagava bene. Méliès era molto attento anche alla sicurezza, e a che nessuno si facesse male durante le riprese: è lui stesso che tiene a precisarlo, perché i suoi film gli avevano dato fama di scavezzacollo.
Fotogrammi da “La dannazione di Faust” (Faust aux enfers, 1903).

Georges Méliès ( VI )

- Georges Méliès (1997), documentario di Jacques Mény. Consulenza di Jacques Malthete. Produzione La Sept-Arte-Sodaperaga-Mikros Image. Trasmesso dalla TSI nel 1998.
- Tutto Méliès, 175 cortometraggi in cofanetto da 5 dvd. editore Morris Casini & Partners www.casinieditore.com

Nel 1896, un anno dopo la prima proiezione dei Lumière, Georges Méliès gira “Le manoir du diable” 60 metri di pellicola, tutto in luce naturale. E’ il vero inizio della sua produzione a livello professionale.
Del 1903 è « Faust aux enfers » ; nello stesso anno “Le royaume des fees” : che stupisce perché ha molte scene sott’acqua, con pesci, sirene e palombari. Il trucco è questo: tra la cinepresa e gli attori Méliès mette un grande acquario con pesci vivi, e polipi e altri animali marini; l’effetto è ancora oggi sorprendente. Méliès metterà anche modellini di vascello in catini d’acqua, a simulare tempeste, ed è il primo a filmare battaglie marine che destano molto stupore, ma questa volta l’effetto che fa rivedere oggi quei modellini è davvero deludente.
Altri film molto impegnativi: “Deux cents milles sous les mers », 1907 ; « Giovanna d’Arco”, 1900.
“Il palazzo delle mille e una notte”, 1905; “L’inquilino diabolico” del 1907; “L’equilibrista impossibile” del 1902 (con quattro Méliès in scena a fare giochi d’equilibrio); “L’uomo orchestra” del 1900 (sette riavvolgimenti della pellicola per arrivare al risultato voluto); “Il melomane” del 1903, con Méliès che butta la sua stessa testa sul pentagramma: umorismo un po’ macabro, ma è uno dei suoi film che reggono meglio al passare del tempo, e stupisce ancora. Molti trucchi spettacolari erano già stati fatti con la lanterna magica, e l’umorista Grandville aveva già dato forme umane alle note musicali nei suoi disegni; Méliès unisce questi due aspetti e ne trae un piccolo capolavoro che avrà enorme successo.
Del 1902 è il famosissimo “Voyage dans la Lune” (ispirato a Verne ma anche a HG Wells, “I primi uomini sulla luna”), che è molto costoso (un mese di riprese, un vero kolossal) e all’inizio spaventa i compratori per il prezzo chiesto da Méliès per il noleggio. La casa produttrice di Méliès si chiama “Star film”; e le pellicole vengono vendute a metri, come i tessuti. Essendo la pellicola di “Viaggio sulla Luna” molto più lunga del normale, il prezzo veniva giudicato esorbitante: ma il film avrà grande successo e ripagherà abbondantemente i costi. A vederlo oggi, tolta la sequenza famosa del missile che arriva nell’occhio della Luna, non rimane molto di guardabile: divertente, ma il miglior Méliès (a mio parere) non è qui.
I trucchi di Méliès richiedono un montaggio elaborato, che sembra già fatto alla moviola; ma il lavoro era molto più complicato, roba da certosini. Per fare bene i trucchi, bisognava infatti tagliare e incollare la pellicola, perché era impossibile fermarsi e ripartire esattamente nel punto voluto. Méliès sovrappone le immagini sullo sfondo, con mascherine, e poi riavvolge la pellicola girando un’altra volta. Inoltre, le pellicole erano spesso colorate a mano, fotogramma per fotogramma, con infinita pazienza e precisione.
Méliès teneva a sottolineare di aver fatto tutti i generi cinematografici, non solo i trucchi; ed è verissimo. Girò anche degli spot pubblicitari: già con la lanterna magica, prima della nascita del cinema, si facevano degli spot che venivano proiettati per le vie di Parigi, sulle facciate dei palazzi e sulle vetrine dei negozi; ma la nuova invenzione apriva molte possibilità. Per esempio, in “Le nozze di Barbablù” (Barbe-bleu, 1901) durante il corteo nuziale sullo schermo passa un’enorme bottiglia di champagne, e la marca è ben leggibile sull’etichetta.
Fino al 1902-1903 Méliès è il re incontrastato del cinema, ma poi arrivano concorrenti e imitatori: soprattutto la Pathé e la Gaumont con registi come Gaston Velle e Ferdinand Zecca. Charles Pathé è un industriale, ha molto denaro da investire e scende in campo con molti mezzi: Zecca per Pathé gira sei o sette volte più film in un anno rispetto a quello che può fare Méliès.
Oltretutto, Méliès non era protetto negli USA, dove la pirateria cinematografica assume proporzioni enormi: le copie pirata americane si possono distinguere ancora oggi, perché spesso si usava duplicare raschiando via il marchio “Star” dalla pellicola, che Méliès badava di mettere sempre ben inquadrato nelle scenografie, il che genera uno sfarfallio caratteristico durante la visione del film.
Méliès decide di aprire una filiale a New York, e manda a dirigerla il fratello Gaston che deposita ufficialmente il marchio “Star” anche in America. In America andavano forte i nickelodeon, cinema a cui si poteva accedere con una monetina di nickel. A New York la “Star” di Méliès va a gonfie vele, ma Edison ha il brevetto sulla pellicola perforata e decide che vuole i diritti sui film proiettati con la sua pellicola, dunque su tutti i film; vince la causa in tribunale e dal 1907 tutto il cinema americano è nelle mani di Edison, che però stringe un buon accordo con Gaston Méliès e convince la “Star” a produrre molto di più.
Per stare dietro alla crescente richiesta, Georges Méliès a Parigi deve assumere un assistente, e soprattutto deve costruire un altro teatro di posa. Lo fa nel 1907, sempre nella tenuta di famiglia: dal 1908 entrerà in funzione a pieno ritmo, però Méliès per il nuovo teatro si è riempito di debiti e questo gli sarà fatale. Ma va anche detto che il nuovo ritmo di produzione mal si accorda con la qualità artigianale dei film di Méliès, che non riescono a rimanere al livello di invenzione e di fantasia degli inizi; presto il pubblico si stanca e comincia a preferire la concorrenza. Il 1901 è l’anno di “Storia di un crimine” girato da Zecca, che mescola realismo e storie sociali di attualità; Méliès è già costretto ad adeguarsi e a inseguire il nuovo gusto del pubblico. Oltretutto, Gaumont e Pathé girano in esterni, mescolandosi alla gente; e arrivano i primi attori famosi, magari comici, come Max Linder; e si girano film su tutto, anche sulla Passione di Cristo.
Un piccolo resoconto di cosa succede nel cinema in quegli anni: nel 1908, a Torino, Giovanni Pastrone gira il suo primo film; il suo kolossal “Cabiria” è del 1914. Mack Sennett, re delle comiche americane, gira il suo primo film nel 1911; Charlot arriva nel 1915. David W. Griffith gira il primo film del 1908; Intolerance è del 1916, Birth of a Nation è del 1915.
Nel 1909 si tiene a Parigi il Congresso mondiale dei produttori di film; Méliès ne viene eletto presidente. C’è una foto di gruppo di questo congresso, al fianco di Méliès ci sono George Eastman (della Kodak) e Gaumont, e tutti gli altri big mondiali. In questo congresso si prendono decisioni capitali: soprattutto si decide che lo standard per le pellicole sarà il 35 mm, con la pellicola perforata di Edison – lo standard che è ancora in uso, e che è stato soppiantato solo dal digitale computerizzato.
Méliès non è equipaggiato per il nuovo sistema. Il film che gira nel 1909, “L’inquilino diabolico”, può essere preso come emblema della sua situazione: nel film (molto divertente, interpretato da Méliès stesso) si vede il protagonista che butta tutto dalla finestra; lo farà anche Méliès, proiettori e cineprese compresi.
Nel 1909, la Star produce solo dieci film, nel 1910 niente. Saranno solo sei i film del 1911: sei film commissionati a Méliès da Pathé, ex concorrente, e che non avranno successo. Nella primavera del 1913 Méliès interompe per sempre le produzioni: l’ultimo film è “Il viaggio della famiglia Bourrichon” (Le voyage de la famille Bourrichon, 1913).
Nel 1923 vende tutto e lascia Montreuil. Lo studio diventerà un deposito, e verrà demolito poco dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Dal 1925 al 1932 Méliès apre un negozio di giocattoli e dolciumi nella stazione di Montparnasse, con la seconda moglie. Fa una vita modesta, e molti lo credono morto; ma poi un giornalista lo riconosce e inizia una campagna stampa a suo favore.
Nel 1932 la mutua del cinema acquista il castello di Orly, e propone a Méliès di abitarvi; Méliès vi si trasferisce e vivrà lì fino alla morte, nel 1938.
Nel castello, Méliès riceve molte visite e scrive i suoi ricordi. Nel 1933 recita in uno spot per una marca di sigarette, sfruttando la sua abilità di prestigiatore: lo spot si può vedere in “Le violon d’Ingres” di Jacques Brunius.
Il numero preciso di film di Méliès si aggira intorno a 1500, in gran parte distrutti (molti da Méliès stesso, in un momento di delusione). Il sito www.imdb.com ne riporta 552, e porta “Un petit diable” del 1896 come primo titolo.
Sulla vita di Méliès è stato girato nel 1953 il film “Le grand Méliès” di Georges Franju; e il mondo di Méliès e il suo modo di girare sono ben ricostruiti in “Il silenzio è d’oro” di René Clair (1947), una commedia con protagonisti d’invenzione dove però Clair si è avvalso dei collaboratori di Méliès per la ricostruzione del teatro di posa, e dove il protagonista (interpretato da Maurice Chevalier) è un regista del 1907, evidentemente ispirato a Méliès. René Clair iniziò a girare film (come attore) già nel 1920: per molti versi il mondo di Méliès era anche il suo mondo.
Fotogrammi da “Eclissi di sole nella luna piena” (Eclipse de soleil en plein lune, 1907)