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INTERPRETI: Famiglia Dalcò: Sterling Hayden (Leo Dalcò), Roberto Maccanti (Olmo da bambino), Gérard Depardieu (Olmo Dalcò), Maria Monti (Rosina Dalcò, madre di Olmo), Giacomo Rizzo (Rigoletto), Antonio Piovanelli (Turo), Paulo Branco (Orso), Liù Bosisio (Nella), Odoardo Dall’Aglio (Oreste), Patrizia De Clara (Stella), Anna Henkel (Anita, figlia di Olmo). ? (Montanaro) ? (Irma) ? (Leonida) Catherine Kosac (Rondine) Famiglia Berlinghieri: Burt Lancaster (Alfredo Berlinghieri il vecchio), Romolo Valli (Giovanni Berlinghieri), Paolo Pavesi (Alfredo da bambino) Robert De Niro (Alfredo Berlinghieri), Werner Bruhns (Ottavio Berlinghieri, zio di Alfredo jr), Francesca Bertini (la zia suora), Laura Betti (Regina), Tiziana Senatore (Regina da bambina), Anna Maria Gherardi (Eleonora, moglie di Giovanni), Ellen Schwiers (Amelia, sorella di Eleonora) E con: Stefania Sandrelli (Anita Foschi), Dominique Sanda (Ada Fiastri Paulhan), Donald Sutherland (Attila), Alida Valli (Signora Pioppi), Pietro Longari Ponzoni (signor Pioppi), Josè Quaglio (Aranzini), Stefania Casini (Neve, la ragazza epilettica), Pippo Campanini (don Tarcisio), Allen Midgette (il vagabondo), Salvatore Mureddu (capo delle guardie a cavallo) Doppiatori: Giuseppe Rinaldi (Lancaster), Renato Mori (Hayden), Claudio Volonté (Depardieu), Ferruccio Amendola (De Niro), Rita Savagnone (Dominique Sanda), Antonio Guidi (Sutherland) Durata totale (atto I e II): 315 minuti
“Novecento” ha una forma narrativa diversa da quella a cui siamo abituati al cinema. Non una narrazione lineare dei fatti, ma mediata dal ricordo: è come quando in casa si parla di fatti, persone, eventi, che vengono rievocati per frammenti, per immagini, spesso associati a cose piccole e ad eventi insignificanti; è l’emozione, l’inconscio, quello che governa l’affiorare dei ricordi, l’ordine d’importanza delle singole immagini e la loro durata e concatenazione. In quelle serate, in quei momenti tra persone che hanno ricordi in comune, funziona così: la narrazione non è mai lineare, magari si saltano avvenimenti importanti e ci si sofferma su cose piccole, si ride e ci si commuove, si rievoca chi non c’è più e spesso il rievocarlo più che il pianto fa affiorare una risata, perché era bello stare insieme a quella persona. Il problema, in questi casi, è per chi non c’era o per chi non si ricorda, o per chi sa quelle storie da fonti diverse e più mediate: in questo caso si noteranno le smagliature, i buchi e i salti nella narrazione, le inesattezze. Tutte cose giuste, ma così facendo si perde l’immediatezza e la bellezza, e anche la nitidezza dell’immagine vera, che sorge dal cuore. Quello che vediamo in “Novecento” è quasi certamente tutto vero, tutto realmente accaduto: posso immaginare le fonti di Bertolucci, fonti non scritte, racconti tramandati a voce e spesso non del tutto corrispondenti al vero; ma così è l’epica, così è il mito, così è il racconto popolare, così è la poesia: l’evocazione di un’aura, e non la semplice cronaca di un fatto. Così funziona la nostra memoria, così è “Novecento”, così è “Lo specchio” di Tarkovskij: film rari, eventi da non perdere, miracolosamente conservati da quell’arte fragile che è stato il cinema.
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Il punto di partenza è una storia molto semplice, uno spunto quasi banale: due bambini che nascono nello stesso giorno, all’inizio del Novecento; uno è figlio di contadini, l’altro è figlio del padrone. Crescono insieme, vivranno vite diverse ma rimarranno sempre amici.
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La prima scena si svolge nel 1945: è un salto avanti nella narrazione, queste prime sequenze vanno raccordate al finale del film, cioè al finale dell’atto secondo. La guerra è finita, ma un giovane partigiano viene ucciso da un soldato tedesco sbandato: niente di inventato, purtroppo sono fatti che succedono. Un romanzo famoso, “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Erich Maria Remarque, racconta di un fatto simile a questo successo alla fine della Grande Guerra: la guerra è ufficialmente finita, ma si spara ancora, spesso per paura, senza un vero motivo. Il soldato protagonista del libro di Remarque muore proprio alla fine della guerra, quando la guerra è finita: nel giorno in cui gli sparano, un bollettino militare recita il titolo del libro: “Niente di nuovo sul fronte occidentale”.
A questa immagine segue una scena piuttosto buffa, anche se c’è un fucile pronto a sparare: un ragazzo molto giovane chiede e ottiene dai partigiani un fucile. Con quel fucile va a prendere “il padrone”, che è Robert De Niro truccato e invecchiato così da sembrare un uomo di 45 anni (all’epoca del film l’attore era sui 25: nella realtà non sarebbe invecchiato così bene, De Niro ha messo su parecchi chili da quel tempo). La scena è buffa, perché il ragazzo (si chiama Leonida) è molto impacciato e “il padrone” si fa tranquillamente arrestare anche se potrebbe scappar via senza problemi: più che altro sta attento che nessuno si faccia del male, né lui né il ragazzo col fucile.
Insieme a questa sequenza che fa sorridere, ne vediamo subito un’altra molto cruenta: un uomo e una donna inseguiti dai contadini, armati di forconi. Sono soprattutto le donne ad essere molto arrabbiate con Attila (Donald Sutherland) e con sua moglie Regina (Laura Betti). Il perché lo sapremo più avanti, nel secondo atto di “Novecento”: posso garantire che la rabbia e la violenza sono più che giustificate, ma a questo punto non ne sappiamo ancora niente e la scena può fare impressione.
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Quando da bambino si andava dai nonni, era tutto un altro mondo. Quando i miei nonni e i miei zii di Parma venivano a trovarci, qui nel comasco, era tutto un altro mondo. A me dispiace molto di non essere diventato come loro, ma così è andata. La cosa veramente triste è che oggi anche i discendenti di quella gente così bella sono perfettamente uguali alla gente di Varese e di Milano, non è più un altro mondo. Quando si usciva dall’autostrada, ancora negli anni 70, l’uscita di Parma era a misura d’uomo; e salendo verso nord, verso Colorno, c’era una strada a due corsie che correva in mezzo ai campi. La strada era grande e ben fatta, i campi erano a distesa d’occhio, ovunque. La linea dell’orizzonte era infinita e si poteva vedere da ogni parte. Il paragone con quello che si vede oggi è devastante, il morbo del cemento e dell’asfalto è arrivato fin qui, e anche la luce è cambiata, anche la gente è cambiata.
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(continua)
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