martedì 19 giugno 2012

L'opera al cinema ( XVIII )

Michael Nyman è un compositore inglese diventato famoso negli anni ’90 per una serie di colonne sonore importanti, soprattutto quelle dei film di Peter Greenaway. Molte sue composizioni sono entrate a far parte della nostra vita, in spot pubblicitari, sigle e stacchetti tv, suonerie telefoniche.
Un successo meritato, però una cosa va detta: Nyman segue la tecnica del “campionamento”, prende frammenti e sequenze da compositori importanti, le rielabora leggermente, e le fa ripetere dalla sua orchestra. E’ la tecnica che usano normalmente i disk jockey, la differenza è che Nyman scrive per orchestra e che sceglie per i suoi campionamenti non le canzoni e i jingles, ma composizioni di Mozart, di Henry Purcell, e di altri ancora. In particolare, di Henry Purcell (1659-1695) Nyman sceglie e ripete all’infinito (o quasi) la “scena del gelo” dal King Arthur. Al tempo di Purcell, in Inghilterra non si facevano opere liriche vere e proprie, ma teatro con musica: un genere detto comunemente “mask”, e che permetteva ampia libertà nella scelta dei testi e delle musiche. Questa assoluta libertà testuale permetteva a Purcell di inserire nella storia di Re Artù e del Mago Merlino una scena in cui l’Amore (Cupido) sconfigge il Gelo Invernale. Il Gelo, “the Cold Genius” è interpretato da un cantante: Michael Nyman toglie la voce del cantante, ma per il resto la musica è assolutamente identica. Un procedimento legittimo e accettabile, i diritti d’autore sono scaduti da qualche secolo e il risultato è piacevolissimo, il problema è che nei titoli di testa dei film di Greenaway il nome di Henry Purcell (o di Mozart) non appare: c’è scritto soltanto “musica di Michael Nyman”.
Henry Purcell è anche l’autore della musica che si ascolta all’inizio di “Arancia meccanica” di Stanley Kubrick. Si tratta di una musica d’occasione per la quale spero che Purcell sia stato ben pagato: “Music for the funerals of the Queen Mary”. A questo tema, molto bello, viene interpolata la sequenza antichissima e sempre impressionante del “Dies irae” un brano del quale non si conosce l’autore e che fu trascritto per la prima volta da Tommaso da Celano, un frate che fu discepolo e biografo di san Francesco d’Assisi.
Di tutto questo, non troverete traccia nei titoli di testa di “Arancia meccanica” (in quelli di coda per fortuna sì): c’è scritto solo “musica di Walter Carlos”, un musicista che si può considerare come uno dei fratelli maggiori di Michael Nyman.
Capita spesso: il film comincia con una musica di Verdi, di Mahler, di Vivaldi, ma sui titoli di testa – magari proprio nel momento culminante e più riconoscibile – c’è scritto “Musica di “, e non è quasi mai l’autore della musica che si sta ascoltando. Ecco un’altra cosa antipatica che ho dovuto constatare troppo spesso.
Mi è capitato di recente anche con Danny North, ottimo musicista che però in “L’onore dei Prizzi” di John Huston mette il suo nome su musiche che sono invece di Puccini, soprattutto il Gianni Schicchi, e di Rossini (La gazza ladra). E’ un peccato che gli si può perdonare, perché l’antologia di musiche operistiche da lui compilata è molto ben fatto e anche molto originale. Dal Gianni Schicchi, Danny North prende infatti due momenti che spettano al protagonista, e non l’aria “O mio babbino caro” come invece hanno fatto in molti. North dimostra così di conoscere bene l’opera di Puccini: è il momento in cui Gianni Schicchi dice “in testa la mantellina, sul viso la pettorina” per nascondere il suo volto e per falsificare un testamento, e si adatta perfettamente al soggetto del film. Rimane però il fastidio di vedere l’opera lirica abbinata ancora una volta ai mafiosi, dubito molto che sia stato così, richiederebbe molta competenza e finezza. Un po’ troppa, per un killer della mafia e i suoi datori di lavoro. Nel film c’è perfino un grande ritratto di Toscanini al ricevimento solenne di casa Prizzi, e non mi sembrava il caso. Molta ignoranza, insomma: vedo più adatte alla mafia le canzoni di Sinatra o di Sanremo, sicuramente, e oggi probabilmente i rappers o Albano e Laura Pausini. Da Huston mi aspettavo qualcosa di meglio, si vede che questo film (non da buttar via) va considerato come puramente alimentare, Huston grandissimo regista e vero autore era però sempre pieno di debiti e metà dei suoi film ha questa motivazione; Danny North era un suo abituale collaboratore, con all’attivo molte belle colonne sonore.
“O mio babbino caro”, l’aria che spetta alla figlia di Gianni Schicchi, pur nell’ambito della commedia è in realtà un’aria drammatica dove si arriva a parlare perfino di “buttarsi in Arno”; la melodia è tra le più belle di Puccini (mica roba da poco, quindi) e la si può ascoltare in molti film, tra i quali il più famoso è sicuramente “Camera con vista” di James Ivory, che si svolge proprio a Firenze e nel quale fa quasi da tema conduttore.
Un pessimo uso dell’opera l’ho trovato anche in “Harem suaré” del turco-italiano Ferzan Ozpetek, dove l’opera lirica si ascolta nel palazzo del Sultano: proprio all’inizio del film vediamo il Sultano che cambia il finale della Traviata secondo l’umore. Più avanti si ascolta anche un po’ di Casta Diva, ma la presenza dell’opera lirica in questo film è un po’ troppo confusa e accidentale per interessare davvero. La musica di Verdi e di Bellini finisce per diventare un elemento di arredo, nel film di Ozpetek, e la si ascolta poco e male.
Continuando la mia piccola ricerca sui cantanti d’opera nel film, sempre con l’aiuto di www.imdb.com , ho prese in esame tre grandissime interpreti alle quali sono molto affezionato: Mirella Freni, Frederica von Stade, Teresa Berganza.
Purtroppo, con Mirella Freni niente film: solo registrazioni di concerti e d’opera (per fortuna, tante). L’unica prova da attrice di Mirella Freni rimane dunque la Madama Butterfly di Jean Pierre Ponnelle (1974) che è un vero film, sul tipo del Flauto Magico di Ingmar Bergman, e non una ripresa in teatro; la Freni è bravissima e molto credibile anche nei primi piani, il film merita di essere visto ancora oggi.
Frederica von Stade, cantante americana bellissima e dalla voce solare di mezzosoprano, è uno dei miei ricordi indelebili: Cherubino nelle Nozze di Figaro di Mozart, diretta da Riccardo Muti, anno 1981. Le mezze voci e le finezze interpretative della von Stade, con l’accompagnamento di un Muti in stato di grazia, non sono cose che si dimenticano. Purtroppo anche per Frederica von Stade vale lo stesso discorso fatto con Mirella Freni: nessun film come attrice, solo registrazioni d’opera e di concerto; secondo www.imdb.com appare però in una serie tv del 2003 intitolata Imagine, della quale non so niente di niente.
Teresa Berganza, oltre alla Zerlina nel “Don Giovanni" con la regia di Losey, ha girato qualche film in Spagna, in anni recenti. Sono titoli che non mi dicono molto, ma li trascrivo ugualmente:
Octavia (2002)
Buen viaje excelencia 2003
Dispersion de la luz 2006 Javier Aguirre
Cuéntame 2007 tv serie
La vida en rojo 2008
Ci sono anche due curiosità: la Berganza appare anche in “The reckoning – Istinti criminali” del 2003 regia di Paul McGuigan, protagonista Willem Dafoe, e in “Grimm” (2003) di Alex van Warmerdam, dove interreta la madre, che non va confuso con il film sui fratelli Grimm realizzato da Terry Gilliam più o meno nello stesso periodo.
Chiudo questa serie di “L’opera al cinema” con un’aria da camera, che viene eseguita in “Gertrud” di Dreyer (1964). La metto qui non perché abbia un’attinenza precisa con l’opera lirica, ma perché è bellissima e mi permette di rendere omaggio a due grandi autori: testo di Heinrich Heine, musica di Robert Schumann, numero 7 da “Dichterliebe”.
Ich grolle nicht, und wenn das Herz auch bricht,
Ewig verlor'nes Lieb ! Ich grolle nicht.
Wie du auch strahlst in Diamantenpracht,
Es fällt kein Strahl in deines Herzens Nacht.
Das weiß ich längst.
Ich grolle nicht, und wenn das Herz auch bricht,
Ich sah dich ja im Traume,
Und sah die Nacht in deines Herzens Raume,
Und sah die Schlang', die dir am Herzen frißt,
Ich sah, mein Lieb, wie sehr du elend bist.
Io non serbo rancore, anche se il cuore mi si spezza - amore perduto per sempre! Io non serbo rancore. Anche se tu splendessi nella luce del diamante, nella notte del tuo cuore non cadrebbe un raggio - questo lo so da tempo.
Io non serbo rancore, anche se il cuore mi si spezza. Ti ho visto in sogno,e ho visto la notte nel tuo cuore; ho visto il serpente che ti divora il cuore, ho visto, amore mio, quanto soffri.
La foto con la veletta musicale è del fotografo Eisenstaedt, anno 1937; nelle altre immagini, Frederica von Stade alla Scala nel 1981, Cherubino nelle Nozze di Figaro, con Samuel Ramey; tre foto di Teresa Berganza (da copertine di dischi, programmi della Scala, eccetera); infine, immagini dal film "Gertrud" di Dreyer.

lunedì 18 giugno 2012

L'opera al cinema ( XVII )

Comincia con l’aria di Mimì dalla Bohème di Puccini un film per la tv girato da Mario Monicelli nel 1986, tratto da un racconto di Achille Campanile: siamo in teatro, nel secondo atto la cantante si ritrova afona e siccome non è presente la sostituta viene interrotta la rappresentazione. Succede così che uno degli spettatori (Galeazzo Benti) torni a casa un po’ troppo presto, sorprendendo un ladro nel suo appartamento. Dato che siamo in un racconto di Campanile, l’incontro è abbastanza surreale; i due finiscono col fare amicizia, e già che ci sono il ladro (Carlo Giuffré) racconta al padrone di casa una storia a cui ha assistito, proprio in quello stesso appartamento. La storia è già riassunta nel titolo: “La moglie ingenua e il marito malato”. E’ qui che comincia il film vero e proprio, che è molto breve (meno di un’ora) e che ha molti ottimi interpreti oltre ai due che ho citato.
Dai titoli di testa apprendo che a cantare “Mi chiamano Mimì” è il soprano Anna Tammaro, che appare tondetta proprio come si immaginano le cantanti d’opera quelli che non conoscono l’opera; il tenore (ne ascoltiamo pochissime battute) si chiama Carlo Di Giacomo.
Un’aria da camera di Donizetti viene eseguita per intero, in un salotto e davanti a un Edmond Dantès molto annoiato, nel “Conte di Montecristo” tv girato nel 1966 per la Rai, con la regia di Edmo Fenoglio (forse la penultima puntata, sesta o settima). Purtroppo, la esegue un attore e non un cantante; l’interpretazione è dilettantesca e molto scarsa, ma nel copione a Dantès tocca dire “che bella voce”. L’aria è comunque molto bella, chissà se esiste cantata da Schipa. Non ho registrato quella puntata (andata in onda di recente su Rai Storia), anche perché pensavo di poter recuperare facilmente quest’aria; invece su http://www.lieder.org/ (un sito di musica e poesia che consiglio a tutti) ho scoperto che Donizetti ne ha scritte moltissime, anche con titoli molto simili, ed è quindi impossibile rintracciarla senza riascoltare, peccato.
Visto che ho citato Tito Schipa (del quale mi sono già occupato), vado avanti con la mia indagine occupandomi dei tenori. Ho già parlato di Luciano Pavarotti, quindi adesso tocca ad altri tre grandi suoi contemporanei: Kraus, Carreras, Domingo.
Alfredo Kraus, classe 1926, è stato amatissimo dagli appassionati d’opera e anch’io ho avuto la fortuna di ascoltarlo molte volte. E’ stato considerato l’erede di Tito Schipa, e in effetti la voce era molto simile; la vera differenza stava forse nel fatto che Schipa era più grande come interprete. Di Kraus non si sono mai occupate le cronache leggere e neppure i telegiornali, di persona era piuttosto riservato, di conseguenza la sua fama non è mai uscita dal giro degli appassionati d’opera: ma la sua classe era cristallina, l’interprete straordinario, è stato uno dei grandissimi del Novecento. Kraus era spagnolo, nativo delle Canarie, Alfredo Kraus Trujillo era il suo nome completo; data l’eleganza della figura ci si aspetterebbe qualcosa di più, al cinema, invece su www.imdb.com ho trovato di Kraus solo un film biografico sul tenore Gayarre, girato in Spagna nel 1959 (tra i personaggi c’è anche Adelina Patti, siamo a fine ‘800), un altro titolo come “El vagabundo y la estrella” del 1960, con poche indicazioni (può darsi che sia una zarzuela, l’operetta spagnola). Alfredo Kraus somiglia moltissimo ad Anton Walbrook, attore protagonista di grandi film degli anni ’40 e ’50 come “Scarpette rosse” di Powell e Pressburger e La Ronde di Max Ophuls. Ne metto qui due foto, sono quasi gemelli e vi sfido a indovinare chi è l'uno e chi è l'altro.
Poco interessante anche la carriera cinematografica di Placido Domingo e di Josè Carreras: a parte le registrazioni in teatro e di concerti, c’è pochissimo.
Domingo ha interpretato da protagonista il film che Jean Pierre Ponnelle trasse dalla Madama Butterfly di Puccini (un film vero, come il Don Giovanni di Losey), insieme a Mirella Freni, ed è presente in un episodio del Bill Cosby Show del 1989: la serie tv molto vista anche da noi, con il titolo “I Robinson” (mi sembra che Domingo sia apparso anche nei Simpson, ma come cartone animato...)
Josè Carreras lo si trova solo in un film tv americano che si intitola “Top Kids” del 1991, dove interpreta Enrico Caruso; il regista si chiama Michael Pfleger e nel cast c’è anche Niki Lauda: direi che è qualcosa da vedere assolutamente, così a occhio ci manca solo Topolino.
Franco Corelli, altro grandissimo tenore, aveva anche un fisico notevole, da decatleta; al cinema lo troviamo però solo in un film nel 1957 per la regia di Sergio Corbucci, “Non c’è pace per chi ama” (o anche “Suprema confessione”, ha due titoli) protagonisti Anna Maria Ferrero, Massimo Serato, Andrea Checchi (si direbbe una comparsata come ospite), e in un telefilm tedesco nel 1982, sempre non da protagonista
Carlo Bergonzi appare come attore solo in Il giovane Toscanini di Zeffirelli (1988) dove interpreta Bertini: di più non so dire, perché evito con cura i film di Zeffirelli successivi a La bisbetica domata.
Molto più divertente e discontinua, in linea con il personaggio, la biografia cinematografica di Giuseppe Di Stefano:
Canto per te 1953 Marino Girolami ci sono Carlo Campanini e Ave Ninchi, da protagonista, probabilmente un film su misura “stile Gigli”
La cobarde 1953 film messicano di Julio Bracho, con Irasema Dilian (di questo film non so niente di niente)
Meucci 1970 Daniele D’Anza, protagonista Paolo Stoppa (Meucci lavorava nei teatri)
Lo zio di Brooklyn 1995 di Ciprì e Maresco (uno dei due boss Nano)
Due grandi tenori americani: Richard Tucker appare in “Song of surrender” di Mitchell Leisen (titolo italiano “La colpa della signora Hunt”, 1949), Jan Peerce conta otto film e apparizioni tv tra 1938 e 1969. Something in the wind con Deanna Durbin e Donald O’Connor 1947, interpreta un poliziotto; altri film Parata di splendore, eccetera
Su Aureliano Pertile, niente di niente: ed è un peccato. Pèrtile, padovano, 1885-1952, è uno di quei cantanti per i quali farei volentieri un viaggio con la macchina del tempo. I suoi dischi sono molti, per nostra fortuna, ma è difficile capire come risuonasse la sua voce in teatro. Per chi non l’avesse mai ascoltato, la voce di Pertile (così come quella di Peerce, o di Bergonzi) non era bellissima di timbro, ma era comunque formidabile. A molti faceva storcere il naso, ed in effetti il primo impatto non è piacevolissimo – soprattutto se si è abituati a timbri di voce come quelli di Carreras, Di Stefano, Pavarotti, ma basta andare avanti nell’ascolto e si rimane incantati dalla forza e dalla bravura di Pertile, sia tecnica che come interprete.
Nella scelta delle immagini, mi sono divertito molto con Placido Domingo (soprattutto in versione cartoon, irresistibile); poi ci sono Alfredo Kraus col suo "gemello" Anton Walbrook, la giostra da "La Ronde" di Max Ophuls, Domingo in concerto con Waltraud Meier, e infine Aureliano Pertile e ancora Domingo in versione spot.
(continua)

sabato 16 giugno 2012

L'opera al cinema ( XVI )

In “Fantasma d’amore”, un film del 1982 per la regia di Dino Risi, c’è una breve sequenza con una cantante che somiglia a Cathy Berberian; nei titoli di testa però il nome della Berberian non c’è, e non ho trovato sul web nessuna indicazione che dia credito alla mia ipotesi. Mi sono incuriosito e sono andato a cercare un po’ di foto; ho scoperto che Cathy Berberian è sempre molto diversa da se stessa, ed è davvero una cosa curiosa. Metto dunque un po’ di sue foto un po’ per il piacere di rivederla ma anche per puro divertimento, non si direbbe che sia sempre la stessa donna.
A favore della mia ipotesi, un neo sullo zigomo; contro la mia ipotesi, il fatto che la cantante del film di Risi non sia proprio in forma. Quest’ultimo fatto si spiegherebbe bene considerando due fatti: l’aria d’opera che canta è fuori dal suo repertorio, e soprattutto, e purtroppo, Cathy Berberian era ormai al termine della carriera, e in quel 1982 non aveva più molto da vivere. L’aria che viene accennata è di Verdi, da “La forza del destino”, le parole vengono dal recitativo “invan la pace sperò quest’alma”; adattissime al soggetto dell’ottimo Mino Milani (il titolo del film spiega molte cose). I protagonisti sono Marcello Mastroianni e Romy Schneider, ed è n film che mi è piaciuto molto, detto per inciso; questa sequenza operistica è molto breve, è a circa 35 minuti dall’inizio e si svolge non in un teatro ma nel salone di una grande casa privata.
Cathy Berberian, americana di origini armene, moglie di Luciano Berio negli anni ’60, è stata una cantante importante; non era dotata di una grande voce ma sapeva cantare molto bene, ed è ancora oggi molto apprezzata per la sua intelligenza e per la sua finezza di interprete. Sono rimasti leggendari i suoi concerti, con titoli del tipo “Da Monteverdi ai Beatles” (da intendersi alla lettera: con i Beatles eseguiti come se fossero Haendel), e sono ancora oggi da brividi, per la bellezza e per l’interpretazione, la sua Messaggera e la sua Speranza nell’Orfeo di Monteverdi in disco, direttore Harnoncourt.
Di Cathy Berberian esistono molti filmati, concerti e interviste, tra i quali ricordo soprattutto una divertente versione di “Façade” di William Walton per la tv svizzera. L’unico vero film della Berberian è “La vita è un romanzo”, 1983, regia di Alain Resnais; un film che però non vedo da moltissimi anni.
In “La vita è un romanzo” di Alain Resnais possiamo vedere, oltre alla Berberian, anche Ruggero Raimondi: dopo il “Don Giovanni” mozartiano con Losey le porte del cinema sembravano aperte per il basso bolognese, che sarebbe stato (per esempio) un magnifico cattivo nei film fantasy o in quelli di James Bond o di Schwarzenegger, o magari in un Batman; ma Raimondi ha preferito continuare la carriera di cantante d’opera (ancora oggi è richiestissimo e ben pagato) e francamente non so dargli torto.
I film di Ruggero Raimondi come attore, da http://www.imdb.com/
Le sanglot des anges, film di 90 minuti per la tv francese 2008 (protagonista)
I colori del diavolo 1997 regia di Alain Jessua
La vita è un romanzo 1983 regia di Alain Resnais con Gassman, Ardant, Geraldine Chaplin, Sabine Azema
La truite 1982 regia di Joseph Losey dove è un ospite, protagoniste Moreau e Huppert
Il film dal Don Giovanni di Mozart, regia di Joseph Losey, è del 1979; fu distribuito nei cinema ed ebbe grande successo, ne ho parlato qui in un post a parte. Di Raimondi esistono ovviamente molte registrazioni operistiche.
Nel film di Losey, Raimondi era Don Giovanni e Leporello era il belga Josè Van Dam, all’anagrafe Joseph van Damme, che ha al suo attivo un film da protagonista: “Il maestro di musica”, anno 1988, regia di Gérard Corbiau. Van Dam vi interpreta la parte del titolo, lui è molto bravo ma il film non è memorabile.
Continuando a ragionare sui grandi cantanti nel registro grave, il basso Cesare Siepi non ha nessun film come attore al suo attivo, solo registrazioni operistiche. Di Plinio Clabassi, un ottimo basso che negli anni ’50 e ’60 fu un comprimario e oggi sarebbe sicuramente una star internazionale, ricordo di aver visto in tv “L’ajo nell’imbarazzo”, un’opera breve di Donizetti; il film è del 1964 e dalla qualità dell’immagine si direbbe un vero film per il cinema e non una delle numerose riprese tv della Rai di quel periodo.
Il grande basso-baritono tedesco Hans Hotter, sempre secondo www.imdb.com , ha al suo attivo tre film come attore, oltre a qualche registrazione di opere liriche. I film sono questi:
Seine beste Rolle, del 1944
Brüderlein Fein (Vienna 1800) del 1940
Mutterliebe (L’amore più forte) del 1939
Non conosco nessuno di questi tre film; in “Brüderlein Fein”, che si direbbe una ricostruzione storica della Vienna primo ‘800, Hotter interpreta il ruolo dello scrittore Nikolas Lenau, e nella lista dei personaggi ho trovato altri scrittori di quel tempo, per esempio Grillparzer.
Alla voce di Hans Hotter sono molto affezionato, continuo ad ascoltare le sue incisioni dei lieder di Schubert (quelle con Gerald Moore al pianoforte) che sono per me un punto di riferimento irrinunciabile, e sono perfino riuscito a vederlo e ascoltarlo dal vivo alla Scala, molti anni fa, come “Sprecher” nel Flauto Magico di Mozart, direttore Wolfgang Sawallisch. Hotter era già molto anziano, eravamo alla fine degli anni ’80.
(continua)

venerdì 15 giugno 2012

L'opera al cinema ( XV )

L’amico Paolo Bullo http://amfortas.wordpress.com/  mi manda un link che riguarda il grande tenore Sergej Lemesev, nel commento del 12 aprile scorso:
Volevo segnalarti un film in cui compare da protagonista il grande Serghei Lemeshev. http://www.youtube.com/watch?v=8Quh0c3ZqSk&feature=watch-now-button&wide=1  
In effetti, la filmografia sovietica presenta molte sequenze d’opera interessanti, e meriterebbe una ricerca approfondita che però io al momento non sono in grado di fare, anche per la difficoltà nel reperire il materiale. In casi come questi, sarebbe di grande aiuto uno sponsor molto generoso; e in ogni caso servirebbe un’enorme quantità di tempo per visionare tutto il materiale...Peccato, mi sarebbe piaciuto farlo; per oggi mi limito a una piccola ricerca su Lemeshev.
Sergej Lemeshev (1902-77) secondo http://www.imdb.com/  ha girato 4 film da attore, tutti di ambiente operistico:
Muzikalnaya istoria (1941)
Demon (opera di Anton Rubinstein, da Lermontov, con Irina Arkhipova) 1960, tv
Dubrovskij, da Puskin 1961 tv
Mozart y Salieri, 1967, opera di Rimskij-Korsakov da un dramma di Pushkin.
Ovviamente, pensando alla musica e al cinema dell’ex URSS i primi nomi che vengono in mente sono quelli di Eisenstein e di Prokofiev, che hanno realizzato insieme capolavori come “Alexander Nevskij” e “Ivan il Terribile”; qui non ne ho ancora parlato perché esistono ottimi libri e articoli in proposito, sia dal punto di vista del cinema che da quello della musica. Insomma, Eisenstein e Prokofiev li darei per conosciuti, almeno qui penso di poterlo fare. Purtroppo, fuori di qui imperversano le stupidaggini di Paolo Villaggio, e io sono stanco ormai di combattere la stupidità e l’ignoranza; in fin dei conti, non spettava nemmeno a me farlo e se ci ho provato è stato solo perchè chi doveva essere in prima linea se ne è fregato o magari è passato direttamente al nemico. Molte volte, quasi sempre, questo passaggio al nemico è perfino avvenuto gratis.
A questo proposito, parlando cioè di stupidità e di barbarie, la citazione d’obbligo è per i tartari nella Cattedrale, da “Andrej Rubliov” di Tarkovskij: il mio post è già qui in archivio da molto tempo, uno dei primi che ho scritto. Dieci anni fa era materia urgente, ma ormai la Cattedrale è stata devastata e distrutta e non resta che prenderne atto.
Andrej Tarkovskij nei suoi film non ha dedicato molto spazio all’opera lirica, che certo conosceva molto bene; nei suoi film la musica è infatti grande protagonista. In tutti i film di Tarkovskij ha enorme importanza Johann Sebastian Bach, ma si ascoltano anche Verdi (il Dies irae, in “Sacrificio”), Beethoven, Purcell, Pergolesi. Eduard Artemev ha composto musiche molto belle per “Solaris”, “Stalker”, “Lo specchio”. In “L’infanzia di Ivan” si ascolta per qualche istante la voce di Fiodor Scialiapin, da un disco: una canzone russa.
Scialiapin è stato memorabile interprete, come attore, per il “Don Chisciotte” diretto da Pabst (un film di cui ho già parlato qui per esteso), e appare anche in altri due film:
Aufruhr des Blutes (1929, cecoslovacchia) regia Victor Trivas
Zar Ivan Vasilievich Grosny (1915, Russia: Ivan il Terribile) di A. Ivanovic Gai
Uno dei suoi figli, Feodor Chaliapine jr, è stato un attore caratterista (1905-1992) presente in molti film americani e anche italiani; io me lo ricordo solo come uno dei frati di “Il nome della rosa” , del 1986.
Continuando la ricerca su altri grandi bassi operistici, dopo Petri, Pinza, Scialiapin, Rossi Lemeni ho pensato a due grandi cantanti italo-bulgari: Boris Christoff, che però possiamo rivedere solo in interviste e in alcune registrazioni d’opera, e a Nicolai Ghiaurov, per il quale vale lo stesso discorso ma con moltissime registrazioni d’opera, per nostra fortuna.
Nei film di Sergej Paradzhanov degli anni ’50 c’è molta musica, quasi sempre canzoni popolari russe e ucraine. L’opera lirica è il soggetto portante di “Rapsodia ucraina” del 1961, un film che racconta di una cantante d’opera che alla fine della guerra, dopo molte sofferenze, riesce a vincere un concorso in Francia. La storia non è vera ma è molto verosimile; il film è piuttosto convenzionale ma molto piacevole. Va detto, per chi non conosce Paradzhanov, che il grande regista armeno-ucraino cambierà radicalmente il suo stile di autore poco dopo questo film, dal 1964. I film di Paradzhanov dal 1964 in poi sembrano girati da una persona diversa, rispetto a quelli precedenti: a partire da “Le ombre degli avi dimenticati”, e passando per “Sayat Nova – Il colore del melograno” e via via tutti i suoi film successivi, Paradzhanov (il cui cognome vero è Parajanian) si ricorderà delle sue origini armene e delle sue origini e tradizioni. E’ a questi film che Paradzhanov deve la sua fama e la sua grandezza; a me però non dispiacciono nemmeno i suoi inizi, si tratta di film lineari, eleganti, ben fatti e ben recitati, piacevoli e mai banali.
In “Rapsodia ucraina” la cantante si chiama Oksana Marshenko: la sua voce è di Eugenia Miroshnicenko, il suo volto è quello dell’attrice Olga Reus-Petrenko. Pensavo che fosse una cantante vera, ma forse mi confondevo con un documentario di Paradzhanov del 1957 su un’attrice vera, che si chiamava Natalia Ushvij.
Molto bello, di Paradzhanov, anche il documentario “Dumka” (1957), su un importante coro ucraino; il regista si mette completamente al servizio della musica, e si ascoltano molte canzoni. Non è richiesto un intervento come autore e Paradzhanov è molto bravo nel fare quello che gli è richiesto: segnalo questo film perché oggi, nelle medesime circostanze, si realizzano spesso pastrocchi insopportabili.
Le immagini, oltre ai nomi citati, vengono da Rapsodia ucraina e da Dumka di Paradzhanov, dall’Alexander Nevskij di Prokofiev e Eisenstein. I tartari nella Cattedrale di Vladimir sono in “Andrej Rubliov” di Tarkovskij.
(continua)

martedì 12 giugno 2012

L'opera al cinema ( XIV )

Tra i cantanti d’opera al cinema, quelli che sono andati più vicini ad una vera carriera da attore sono certamente questi tre: Anna Moffo, Mario Petri e Lily Pons. Non è un certo un caso: bravura personale a parte, si tratta di due donne molto belle e di un uomo dal fisico eccezionale: il basso-baritono Mario Petri, oltre ad essere stato per molti anni uno dei cantanti di fiducia di Herbert von Karajan, reggeva alla grande il confronto anche con tutti gli Ercole e i Maciste del nostro cinema mitologico.
Anna Moffo (1932-2006) secondo http://www.imdb.com/  ha al suo attivo venti film, dal 1956 (Nannetta nel Falstaff) fino al 1975. Americana di origini italiane, è stata una grandissima cantante, soprano, tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60. A fine carriera le furono offerte diverse occasioni nel cinema. Molte delle sue interpretazioni indicate su Internet Movie Data Base sono registrazioni di opere liriche o concerti, ma i film veri con ruoli di attrice non sono stati pochi. Per la Moffo il primo ruolo non operistico è del 1960: “La battaglia di Austerlitz” , con regia di Abel Gance. Abel Gance, francese, è stato uno dei primi grandi registi nella storia del cinema, famoso soprattutto per il kolossal “Napoleon” del 1925, ma con una carriera lunghissima e di grande successo, con film come “La tour de Nesle” del 1952. Nel film su Austerlitz, ad Anna Moffo spetta la parte di Giuseppina Grassini, una cantante importante vissuta fra il 1773 e il 1850 che fu una delle conquiste di Napoleone Bonaparte.
Nel 1965 Anna Moffo è protagonista di “Menage all’italiana” con Ugo Tognazzi. La regia è di Franco Indovina, uno dei nostri migliori registi, purtroppo morto molto giovane. Indovina è rimasto famoso, al di fuori del cinema, per la sua relazione con la bellissima Soraya, moglie separata dello scià di Persia.
Nel 1969 arriva “The adventures”, regia di Lewis Gilbert, dove la Moffo ha un ruolo di fianco accanto a protagonisti come Candice Bergen, Charles Aznavour, Ernest Borgnine, Delia Boccardo, Olivia de Havilland, Fernando Rey.
Nel 1970 Anna Moffo gira tre film: Una storia d’amore (regia di Michele Lupo), La ragazza di nome Giulio (regia di Tonino Valerii, protagonista Silvia Dionisio) e soprattutto “Il Divorzio”, regia di Romolo Guerrieri, dove è protagonista con Vittorio Gassman. Nel film, Gassman è suo marito: come al solito, va in cerca di avventure con ragazze molto più giovani, ma non è sicuro che lasciare una moglie così bella sia proprio conveniente. In questo film la Moffo è molto elegante e recita molto bene, e non sapendo di chi si tratti viene da chiedersi chi è questa attrice così bella e brava, che recita alla pari con un mostro di bravura come Gassman. Vedendo questo film, tutt’altro che memorabile, dispiace che ad Anna Moffo non siano arrivati ruoli migliori.
Sempre del 1970 è “Concerto per pistola solista” regia di Michele Lupo, con Gastone Moschin; l’ultimo film della Moffo è del 1975, una versione di “La belle Helene” di Offenbach per la tv tedesca.
Mario Petri (1922-1985, umbro, vero nome Mario Pezzetta) ha al suo attivo una carriera notevole come cantante d’opera: i grandi ruoli mozartiani con Karajan, un centratissimo Mustafà rossiniano nell’Italiana in Algeri in disco diretta da Giulini, ruoli da protagonista in tutti i più grandi teatri del mondo. La voce non è forse bellissima di timbro, ma l’interprete è eccellente e di grande personalità. Il basso umbro a fine carriera inizia un’intensa attività cinematografica: diciotto film tra il 1960 e il 1965, poi basta. Il fisico da atleta, possente e muscoloso, viene impiegato dal cinema italiano nei film mitologici e d’azione allora in gran voga: Ercole, Achille, D’Artagnan, tartari, capitani di ventura, Sandokan, Zorro, Giulio Cesare... Mario Petri è di volta in volta protagonista o cattivo da combattere; il più famoso è probabilmente “Totò contro il Pirata Nero”, che passa spesso in tv, dove Petri è per l’appunto il terribile Pirata Nero: Totò gli arriva poco sopra la cintura, e le arrabbiature di Petri contro il comico napoletano sono memorabili.
L’elenco completo dei titoli (preso da wikipedia) è molto divertente:
1960 - La regina dei tartari
1961 - Drakut il vendicatore
1961 - La schiava di Roma
1961 - Capitani di ventura
1961 - Ercole alla conquista di Atlantide
1962 - Giulio Cesare contro i pirati
1962 - L'ira di Achille, regia di Marino Girolami
1962 - Il capitano di ferro
1962 - Il colpo segreto di d'Artagnan
1963 - Il boia di Venezia
1963 - Il segno di Zorro, regia di Mario Caiano
1963 - Goliath (noto anche come L'eroe di Babilonia), regia di Siro Marcellini
1964 - Totò contro il pirata nero
1964 - Sansone e il tesoro degli Incas, regia di Piero Pierotti
1964 - Sandokan alla riscossa, regia di Luigi Capuano
1964 - Sandokan contro il leopardo di Sarawak, regia di Luigi Capuano
1964 - Ercole contro i tiranni di Babilonia, regia di Domenico Paolella
1965 - Golia alla conquista di Bagdad, regia di Domenico Paolella
Alice Josephine Pons, 1898-1976, in arte Lily Pons, francese di nascita, fu per molti anni una delle star del Metropolitan, e divenne famosissima in America. Aveva voce piccola ma molto bella, nitida, con agilità e acuti formidabili; oltre a questo, era molto bella e non poteva passare inosservata nel cinema di Hollywood. A suo merito bisogna anche aggiungere che Lily Pons fu un’antifascista molto attiva, e in USA ebbe un ruolo importante per perorare la causa di De Gaulle, che era capo della Resistenza (De Gaulle era un uomo di destra, ma fu capo della Resistenza: anche da noi molti uomini di destra parteciparono alla Resistenza, sarà il caso di ricordarlo ai distratti)
Sempre il sito www.imdb.com riporta per Lily Pons questi titoli come attrice:
- I dream too much (Notte di carnevale, 1935 regia John Cromwell con Henry Fonda, Lucille Ball, Mischa Auer)
- That girl from Paris (La ragazza di Parigi 1936 regia Leigh Jason con Jack Oakie, Gene Raymond)
- Hitting a new high ( Una donna in gabbia, 1937 regia di Raoul Walsh, con E.E. Horton, Jack Oakie, John Howard)
- Carnegie Hall (Sinfonie eterne 1947) regia di E.G. Ulmer dove Lily Pons interpreta se stessa. Nel film, che purtroppo non ho mai visto, compaiono anche Bruno Walter, Gregor Piatigorsky, Rise Stevens, Artur Rodzinsky, Artur Rubinstein, Jan Peerce, Ezio Pinza, Jascha Heifetz, Leopold Stokowski, Leonard Rose. Gli attori intorno a cui ruota il film sono Marsha Hunt e William Prince.
- Four star review, tv serie 1950, episodi da un’ora per la tv, con attori famosi
Di questi film sono riuscito a vederne addirittura tre su quattro, grazie a Raitre:
Hitting a new high ( Una donna in gabbia, 1937 Raoul Walsh, EE Horton, Jack Oakie, John Howard) Divertente il film di Lily Pons del 1937, quello con EE Horton e Jack Oakie-Benzino Napaloni dove lei fa la bird-girl. Film “con il cervello di un uccellino” scrive imdb, ed è proprio vero; però la Pons anche vicina ai quarant’anni sembra ancora una diciottenne, può permettersi gli hot pants e scollature notevoli (chi se lo aspettava). Meno belli i due precedenti, quello del 1935 con Henry Fonda e quello del 1936 dove Horton non c’era. Meritevoli di lode gli addestratori degli animali: in Hitting a new high il leone fa davvero l’attore (vedere per credere) e gli uccellini non volano via dal dito di Lily, recitano magnificamente anche loro. Film visti per pura curiosità, una piacevolissima sorpresa; la Pons era davvero straordinaria, l’unico appunto che le si può muovere è che canta tutto allo stesso modo, l’aria del passerottino e la scena della follia dalla Lucia di Lammermoor diventano praticamente uguali... (febbraio 2006)
Aggiungo qualche nota esplicativa a questi miei vecchi appunti: “Hitting a new high” è la storia di un tizio che durante una vacanza (o un naufragio?) trova su un’isola lontana una fanciulla che canta come un usignolo: lei si chiama “Oogahunga”, the bird-girl, e verrà ribattezzata Suzette per farne una star in America. Dato il soggetto, è anche un’occasione per mostrare Lily Pons in abiti molto ridotti, e direi che ne valeva la pena. Jack Oakie è un comico americano all’epoca molto famoso, che si ricorda oggi più che altro per il ruolo di “similduce” nel Grande Dittatore di Charlie Chaplin; Edward Everett Horton è un attore brillante di cui sono da sempre un grande ammiratore, immancabile in molti film di quegli anni, con Frank Capra, o magari al fianco di Fred Astaire in “Cappello a cilindro”.
Nelle immagini: Anna Moffo e Vittorio Gassman in "Il divorzio"; Mario Petri con Herbert von Karajan e con Totò; Lily Pons sulla copertina di Time, con il grande regista Raoul Walsh (benda sull'occhio) ed Edward Everett Horton; sempre Lily Pons con Horton e Jack Oakie; due poster diversi dello stesso film di Lily Pons.
(continua)