Offret (Sacrificio, 1986). Scritto e diretto da Andrej Tarkovskij. Fotografia: Sven Nykvist. Musica: Johann Sebastian Bach (“Erbarme dich” dalla Passione secondo Matteo, e il Preludio BWV 539), musica strumentale giapponese (flauto Shuso Watazumido), richiami tradizionali dei pastori svedesi. Montaggio: Andrej Tarkovskij, Michal Leszczylowski. Scene costumi: Anna Asp, Inger Pehrsson. Interpreti: Erland Josephson (Alexander), Tommy Kjellquist (il bambino), Gudrun Gisladottir (Maria), Allan Edwall (Otto), Susan Fleetwood (Adelaide), Valérie Mairesse (Julia), Sven Wollter (Viktor), Filippa Franzen (Marta), Per Kàllman e Tommy Nordhal (infermieri). Durata: 145 minuti.
Nel quarto post sono emersi alcuni particolari che vanno sottolineati: il richiamo all’Amleto, “words, words, words”, e la citazione di alcune poesie del padre di Tarkovskij, molto esplicita anche se solo accennata.
La frase di Amleto è nel dramma di Shakespeare, atto secondo scena seconda: Polonio trova Amleto intento a leggere, e dopo una serie di domande e osservazioni gli chiede cosa sta leggendo: “Parole, parole, parole.” risponde Amleto. Amleto sa che a Polonio non interessa niente di quello che lui legge e pensa, Polonio è stato mandato dal re e vuole solo informazioni.
Ma in questo monologo Tarkovskij riprende molti altri temi dall’Amleto: se si rilegge il grande monologo “To be or not to be”, atto terzo scena prima, si troveranno molte somiglianze; e quasi una citazione letterale vi è per “the pale cast of thought” e per “I’m ill of that thinking”, o “the native hue of resolution”, ma soprattutto questo:
This time is out of joint. O cursed spite,
That ever I was born to set it right.
(William Shakespeare, Hamlet, finale atto primo)
Per le poesie di Arsenij Tarkovskij, rimando a “Lo specchio”, dove le ho trascritte; qui ne porto solo una:
L'uomo ha un corpo solo,
solo come la solitudine.
L'anima è stanca
di questo involucro senza connessure,
fatto d'orecchi e d'occhi,
quattro soldi di grandezza
e di pelle, cicatrice su cicatrice,
tirata sulle ossa.
Dalla cornea vola dunque via
nel pozzo spalancato del cielo,
sulla ruota di ghiaccio,
sulle ali d'un uccello,
e sente dalle inferriate
della sua vivente prigione
il sussurrare dei boschi e dei campi,
il rombo dei sette mari.
Senza corpo l'anima si vergogna,
come un corpo svestito.
Né pensieri né azione né progetti né scritti,
un enigma senza soluzione.
Chi ritorna sui suoi passi
dopo aver ballato sul palco
dove nessuno ballò?
E sogno io un'anima diversa,
in una nuova veste,
che arde passando dal timore alla speranza
come fiamma che s'alimenta nell'alcool,
priva d'ombra,
che vaghi per la terra
lasciando a suo ricordo, sul tavolo,
un lillà.
Corri, bambino,
non piangere sulla misera Euridice.
Con la tua piccola asta,
per le vie del mondo,
sospingi ancora il tuo cerchio di rame.
Anche se udibile
solo per un piccolo quarto,
in risposta ad ogni tuo passo,
allegra ed asciutta,
la Terra ti mormora nelle orecchie.
( Arsenij Tarkovskij , citata in Lo specchio, di Andrej Arsenevic Tarkovskij )
“Sacrificio” ottenne, oltre a vari altri premi importanti, il “premio ecumenico” per la sua denuncia dei danni all’ambiente e alla società (più o meno). Questo discorso, del rispetto dovuto all’ambiente che ci circonda, era già stato trattato in tutti i film di Tarkovskij, in forma più o meno velata; ed è affrontato apertamente dal personaggio di Domenico (sempre Erland Josephson) in “Nostalghia”.
“Sacrificio” è però un film complesso e oscuro: affronta un tema che percorre tutta l’opera di Tarkovskij, che è probabilmente quello affrontato per esteso già nella scena della “festa pagana” in “Andrej Rublev”, dove al cristianesimo si accostano le religioni ancestrali, si parla di sciamanesimo, e di salvezza; e il giovane monaco orotodosso si trova davanti, molto spaventato ma rapito e affascinato, una parte nascosta della sua anima. Direi che per Tarkovskij, pur in ambito cristiano, non è azzardato parlare di sincretismo; ma bisogna ricordare che Tarkovskij stesso, nel suo libro “Scolpire il tempo”, prende nette distanze dallo spiritismo e dai suoi adepti. E non può essere che così, la riflessione di Tarkovskij è molto profonda, ed è una ricerca dolorosa che non ammette scorciatoie.
Tarkovskij aveva avuto un infarto, subito dopo “Stalker”, ma a questo tempo stava bene, o così pareva. La malattia che lo avrebbe portato alla morte si manifestò apertamente solo alla fine delle riprese di “Sacrificio”, e Tarkovskij fu costretto ad affidare il montaggio del film ai suoi collaboratori, con i quali rimase in stretto contatto. Tarkovskij vide il suo ultimo film completo solo in ospedale, montato secondo le sue istruzioni. La dedica finale è a suo figlio; e la scena dell’incontro in ospedale fra Tarkovskij, Sven Nykvyst e l’aiuto regista Michal Leszczylowski, con la proiezione completa di “Sacrificio” nella camera d’ospedale, si può vedere in “Una giornata di Andrej Arsenevic”, girato dal documentarista francese Chris Marker. Nykvyst, con Tarkovskij già molto malato, discute dei colori; e Tarkovskij scherza sul suo aiuto regista polacco, dimostrando di essere ancora in ottime condizioni di spirito.
2 commenti:
Sì, il riferimento all'Amleto è importante e spiega, secondo me, anche la scelta di Alexander, e forse anche di Otto, di vivere come eremiti sull'isola. Nel "parole,parole,parole..."io ci vedo infatti non solo la presa in giro di Polonio, che sicuramente non è all'altezza delle letture del principe e non gli interessano, ma anche e soprattutto il disgusto per le chiacchiere a vuoto della gente e la loro ipocrisia. Da qui sia l'isolamento di Amleto, sia l'amarezza e la fuga di Alexander. Mettendola sul ridere mi viene in mente Moretti di "Vedo gente, faccio cose..." a cui potremmo aggiungere: dico parole...
Nell'Amleto il punto è quello, la scena è fatta così; poi si sa che quello che Shakespeare fa dire ad Amleto non finisce mai di stupire, e torna sempre in mente.
Ci vedo anche un po' di autoironia da parte di Tarkovskij, soprattutto nel finale di questo monologo.
Posta un commento