martedì 19 ottobre 2010

Sacrificio ( IV )

Offret (Sacrificio, 1986). Scritto e diretto da Andrej Tarkovskij. Fotografia: Sven Nykvist. Musica: Johann Sebastian Bach (“Erbarme dich” dalla Passione secondo Matteo, e il Preludio BWV 539), musica strumentale giapponese (flauto Shuso Watazumido), richiami tradizionali dei pastori svedesi. Montaggio: Andrej Tarkovskij, Michal Leszczylowski. Scene costumi: Anna Asp, Inger Pehrsson. Interpreti: Erland Josephson (Alexander), Tommy Kjellquist (il bambino), Gudrun Gisladottir (Maria), Allan Edwall (Otto), Susan Fleetwood (Adelaide), Valérie Mairesse (Julia), Sven Wollter (Viktor), Filippa Franzen (Marta), Per Kàllman e Tommy Nordhal (infermieri). Durata: 145 minuti.
Quando Otto si allontana, Tarkovskij introduce due nuovi personaggi, che arrivano insieme a bordo di un’automobile: un uomo e una donna. L’uomo si chiama Viktor, è un medico: è lui che ha operato alla gola il bambino, ed è anche un amico di famiglia. Con lui c’è Adelaide, moglie di Alexander. I due attori sono Susan Fleetwood (scozzese, 1944-1995), e Sven Wolter (svedese, 1934): entrambi hanno moltissimi film al loro attivo prima e dopo “Sacrificio”, ma confesso di non conoscerli affatto.
Questa degli attori “secondari” in “Sacrificio” è stata sempre per me una grande fatica, uno dei problemi più grossi nell’affrontare il film. Se i quattro personaggi principali – Alexander, Otto, Maria, il bambino – sono ben delineati e ben riconoscibili fin dall’inizio, questi altri personaggi mi sono sempre sembrati opachi e fumosi, quasi un magma indistinto, qualcosa di lontano e di sfocato. Penso che non sia solo un caso o una mia impressione, e che sia Alexander stesso a vederli così. Sia ben chiaro: nel corso del film, e osservando bene cosa succede, si riesce a dare una fisionomia a tutti e a capire i loro caratteri; ma ad una prima visione non è facilissimo riuscire a capire chi sono queste persone e in che rapporto sono fra di loro. Ma su questo aspetto tornerò più avanti.
Per adesso, dopo circa un quarto d’ora dall’inizio, troviamo il medico Viktor che visita il bambino, tra i due genitori, ancora in mezzo al bosco. Non è una vera e propria visita come si farebbe in studio, ma basta per capire che tutto sta andando bene, e che presto il bambino potrà ricominciare a parlare.
Non sembrerebbe, ma Viktor è anche lui uno strano tipo, che fa discorsi filosofici, come Otto e come Alexander. Si chiede se il bambino non abbia sofferto, nel dover stare in silenzio per tutto questo tempo; e continua così: «...dover socializzare è un grosso peso, non tutti lo sopportano.» E aggiunge una battuta su Gandhi, che “un giorno alla settimana non parlava con nessuno”.
- E perché? – gli chiede Adelaide.
- Probabilmente perché era stufo della gente. – conclude Viktor.

Adelaide è la moglie di Alexander, ma non si direbbe. Si direbbe piuttosto la moglie di Viktor, ed è un’altra indicazione su quanto Alexander si sia isolato: non a caso, la prima battuta di Viktor, nel film, esprime preoccupazione per lui, per Alexander – e non per il bambino che è stato operato. Alexander si perde spesso nei suoi monologhi, e la cosa preoccupa sia il medico di famiglia che la moglie.
Si tratta di due genitori non giovani, e il bambino è molto piccolo. Alexander è sui sessant’anni, Adelaide sui quaranta: l’attenzione di Alexander è tutta per il bambino.
Una situazione simile è descritta in un romanzo che ho appena finito di rileggere, “Il signore di Ballantrae” di Robert Louis Stevenson. Ne riporto un estratto, che rende bene l’idea di cosa succede nel film e il rapporto tra padre e figlio (nel libro di Stevenson il narratore è Mr. Mackellar, economo e amministratore della famiglia): «(...) Non so trovare espressioni adeguate per descrivere l'asservimento del mio padrone nei confronti del figliolo. Si perdeva di continuo in quell'unico pensiero: affari, amici, moglie, eran tutti ugualmente dimenticati, o ricordati soltanto con uno sforzo penoso, come chi debba farsi forza per ingoiare una tisana disgustosa. Ciò era più evidente nei riguardi della moglie. Da quando avevo conosciuto Lord Durrisdeer, ella era stata l'oggetto dei suoi pensieri e la calamita dei suoi occhi; ed ora era quasi ignorata. L'ho visto farsi sulla soglia di una stanza, guardarsi attorno e passare accanto alla signora senza badarle più che se fosse stata un cane vicino al fuoco. Era il figlio che cercava, e la signora lo sapeva bene. L'ho sentito rivolgerle la parola in tono così brusco, che il cuore mi avrebbe spinto a intervenire. La causa era sempre la stessa: che cioè ella aveva in qualche modo contrariato il bambino. Senza dubbio, la signora subiva ora il suo giudizio. Senza dubbio le sorti s'eran capovolte per lei, come soltanto può accadere per volere della Provvidenza. A lei ch'era rimasta insensibile per tanti anni ad ogni segno di tenerezza, toccava ora d'essere negletta; ma bisogna dire ch'ella aveva il merito , di saper accettar di buonagrazia la nuova condizione. Ne risultò una situazione strana: e cioè che una volta di più avevamo in casa due partiti e che questa volta io tenevo per la signora. Non che si fosse affievolito in me l'amore che portavo al mio padrone. Ma, innanzi tutto, egli aveva meno bisogno della mia compagnia. (...) »
(Robert Louis Stevenson, Il signore di Ballantrae, capitolo VI)
A questo punto, i due che erano arrivati in auto ripartono verso la casa di Alexander, dove si terrà la festa per il compleanno; il padre e il bambino torneranno a casa a piedi, attraverso il bosco, con calma.
Prima dell’incontro con Viktor e Adelaide, appena lasciato il postino, i due stavano già camminando da soli e Alexander aveva iniziato uno dei suoi monologhi, interrotto solo dall’arrivo dell’automobile:
Alexander (sorridente): Ma guarda un po’, bambino mio: ci siamo perduti. E ora, quale sarà la strada giusta? (qui cambia tono, e parla tra sè) Eh, anche l’umanità è sulla strada sbagliata, una strada pericolosa. Ma, tanto, è inutile parlarne.Qui arrivano in auto Viktor e Adelaide, e il monologo si interrompe: per tutto il tempo di queste parole, Viktor e il bambino erano fuori scena, le immagini mostravano il bosco e le piante.
Dopo la ripartenza di Viktor e Adelaide, Alexander si siede sotto una pianta e tira a sè il bambino; gli racconta la storia di come lui e la mamma trovarono questa casa, la casa dove lui è nato, e di come la comperarono. E’ una storia che sembra una favola, un racconto mitico; per un po’ il bambino ascolta, poi si stanca e si allontana per giocare, come fanno tutti i bambini in queste circostanze. A dire il vero, suo padre lo ha un po’ spaventato evocando la morte: “questa è la casa in cui starò fino alla mia morte”, aveva detto Alexander. Da qui in avanti, un po’ alla volta, il bambino si allontana e Alexander rimane da solo, seduto sotto una pianta. Il monologo è questo:
Alexander: (...) Non aver paura, bambino mio, non esiste la morte: esiste la paura della morte. (a questo punto, si ascolta per la prima volta nel film il canto tradizionale svedese, un richiamo dei pastori, che avrà parte importante nel film). L’uomo si è sempre difeso, sempre. Si è difeso dagli altri uomini, dalla natura...ha costantemente violentato la Natura. il risultato è una civiltà fondata sulla forza, la sopraffazione, la paura, la dipendenza. Tutto ciò che il nostro progresso tecnico ci ha portato è un po’ di comodità, un più alto standard...e strumenti di violenza per mantenere il potere. Siamo come selvaggi. usiamo il microscopio come un manganello. No, anzi, peggio: i selvaggi hanno più spiritualità. Appena facciamo una scoperta scientifica importante, noi la poniamo al servizio del male; e quanto allo standard di vita, una volta un saggio disse che il peccato è tutto ciò che non è necessario. Se questo è vero, allora tutta la nostra civiltà è fondata sul peccato, sul non necessario: dall’inizio alla fine. Ci siamo creati una spaventosa disarmonia, uno squilibrio per così dire, tra il nostro sviluppo materiale e quello spirituale. La nostra cultura è inadeguata. La nostra civiltà è fondamentalmente sbagliata, figlio mio. Tu mi dirai che gli uomini dovrebbero studiare il problema, e trovare tutti insieme una soluzione...Certo, si potrebbe fare se non fosse tardi: ma è già troppo tardi... Dio, sono così stanco di queste chiacchiere! “Words, words, words...” Ora hai capito che cosa voleva dire Amleto? Era stanco di tutti i ciarlatani, e lo sono anch’io. Ma perché dico queste cose? Se solo qualcuno smettesse una volta tanto di parlare, e incominciasse a fare qualcosa! O almeno cercasse di farlo...A questo punto, Alexander si accorge che il bambino non c’è. Si è allontanato, e siccome non lo vede subito si preoccupa molto. Torna il canto tradizionale svedese; si sente volare un uccello.
Il bambino non era lontano, vuole giocare e salta addosso al papà, che non se lo aspettava; Alexander ha una reazione violenta e il bambino finisce per terra, facendosi male. Non molto, ma adesso esce un po’ di sangue.
Poca cosa, ma questo scatto di violenza improvvisa, e il sangue sul labbro del bambino, fanno star male Alexander. Ascoltiamo un tuono; il canto antico svedese non è più in sottofondo e sale a protagonista; c’è la prima visione dell’Apocalisse.
Ma poi tutto tornerà a posto, nella sequenza successiva vedremo Alexander a casa, tranquillo, mentre sfoglia un libro in compagnia delle persone che gli sono care e che sono venute a festeggiarlo.

6 commenti:

Marisa ha detto...

Sì, Alexander è piuttosto staccato dalla moglie. Non che non le voglia bene, ma è staccato, come uno che ha già preso congedo. E questo, con tutte le sue riflessioni filosifiche sulla morte è già un indizio. Indubbiamente è molto più vicino al bambino, a cui sta passando le consegne. Infatti io, più che un attaccamento morboso di un padre già vecchio per l'ultimo figlio, come potrebbe sembrare, in questo rapporto vedo soprattutto il profondo legame verso il"nuovo", quello che dovrà crescere, il non ancora amareggiato e deluso dalla vita: la Speranza insomma. Mi viene in mente Alce Nero (uno degli ultimi veri sciamani degli indiani d'America), che in tarda età preferiva stare con i bambini a raccontare loro della vita della tribù; perchè-diceva-noi siamo simili,più vicini degli altri al Grande Spirito, in quanto io sto per ritornarci e loro ne sono appena venuti.

Giuliano ha detto...

E' certamente come spieghi tu; ho voluto mettere questo brano di Stevenson perchè mi era piaciuta la coincidenza (che è tutta mia personale!) di averlo letto mentre guardavo il film di Tarkovskij. Posso aggiungere che il "Ballantrae" è contemporaneo al "Jekyll", sono stati scritti uno di seguito all'altro. Anche questo tema, cioè la natura umana non monolitica come siamo soliti pensare, scorre sottotraccia in Tarkovskij: come la stanza dei desideri in Stalker.

Ho letto Alce Nero, è un libro molto bello. Dovrei riprenderlo in mano, hai fatto bene a ricordarmelo.

Marisa ha detto...

Altra associazione con Alce Nero: l'alberello secco al centro della Nazione, che deve rifiorire. Non è un dettaglio da poco perchè proprio grazie a queste "coincidenze" Jung ha formulato la sua ipotesi dell'inconscio collettivo. Ci sono infatti immagini e temi mitologici presenti in ogni tempo e in ogni cultura, anche se non sono venuti in contatto tra loro e si attivano quando c'è in qualche modo bisogno di essi. Alce Nero ha fatto il sogno dell'alberello che doveva rifiorire a soli 9 anni, quando il suo popolo era già quasi distrutto dai bianchi ed ha dedicato, come ricorderai, tutta la vita a cercare di salvare la sua gente e far rifiorire l'albero, proprio come il giovane monaco e, come vedremo, comincerà a fare il bambino.

Giuliano ha detto...

L'albero è al centro di quasi tutte le culture, ma qui mi puoi insegnare tante cose e mi fermo. Ma ci torno sopra nelle prossime puntate, con il frassino del mondo, le mele di Freia...Mi sto ancora facendo un bel po' di domande.

Marisa ha detto...

Sì, sull'albero e i suoi innumerevoli significati, a partire da quello della conoscenza posta al centro del Paradiso terrestre all'oroscopo celtico basato sugli alberi, bisognerebbe aprire un blog a parte. Se lo fai ti seguo...
Qui ci fermiamo ai significati che sono funzionali alla comprensione del film, che ha già di suo tanti altri elementi simbolici che finiremmo per perderci.
Tra i vari significati, mi sembra (anche considerando la notevole somiglianza con Alce Nero) che qui si debba sottolineare l'abero come elemento verticale che collega Terra(da cui prende il nutrimento) e Cielo verso cui tende. Quando c'è disarmonia tra gli elementi l'albero soffre e tende a morire. La disarmonia di cui parla il film ed anche Alce Nero è la disarmonia causata dall'uomo con il suo egoismo e la sua sopraffazione e distruzione dell'ambiente. Non è per questa denuncia accorata che Tarcovskij ha ricevuto il premio Ecumenico?
L'albero può rifiorire solo se qualcuno col suo sacrificio (ma su questo significato difficile torneremo più avanti), come il monaco che in silenzio dedica tre anni della sua vita ad innaffiarlo (riportare pon pazienza e dedizione l'elemento vitale a rifertilizzare la Terra devastata), ristabisce l'armonia tra Cielo e Terra, cioè tra l'uomo e Dio, tra il Sacro e il profano.

Giuliano ha detto...

Era un tema molto sentito da Tarkovskij, ma che trova del tutto indifferenti la maggior parte delle persone. Sull'altro blog ho scritto un post sul vero rapporto fra automobili ed ecologia, e temo che sia piaciuto a pochissimi. D'altra parte, è così. Tarkovskij era abituato agli ampi spazi, invece ho scoperto che ci sono persone, e molte, a cui la linea dell'orizzonte fa schifo (mi si passi la parola, ma è così) e non vedono l'ora di nasconderla con grattacieli e svincoli autostradali e ponti della TAV.