Offret (Sacrificio, 1986). Scritto e diretto da Andrej Tarkovskij. Fotografia: Sven Nykvist. Musica: Johann Sebastian Bach (“Erbarme dich” dalla Passione secondo Matteo, e il Preludio BWV 539), musica strumentale giapponese (flauto Shuso Watazumido), richiami tradizionali dei pastori svedesi. Montaggio: Andrej Tarkovskij, Michal Leszczylowski. Scene costumi: Anna Asp, Inger Pehrsson. Interpreti: Erland Josephson (Alexander), Tommy Kjellquist (il bambino), Gudrun Gisladottir (Maria), Allan Edwall (Otto), Susan Fleetwood (Adelaide), Valérie Mairesse (Julia), Sven Wollter (Viktor), Filippa Franzen (Marta), Per Kàllman e Tommy Nordhal (infermieri). Durata: 145 minuti.
Nel racconto che ho messo qui la volta scorsa, e che riporta la prima stesura di “Sacrificio”, si vedeva il protagonista del film fare discorsi filosofici complicati davanti a suo figlio, un bambino sui cinque anni. Però Tarkovskij era una persona di buon senso: nella versione definitiva, cioè nel film come lo vediamo oggi, rimane solo la storia più semplice, quella dell’albero secco che torna a fiorire; e il bambino gioca con l’acqua, con i sassi, con la sabbia. Si sa che ai bambini piace giocare, quando li si porta in giardino, soprattutto quando sono di quest’età: Tarkovskij era un padre affettuoso e queste cose le sapeva.
E dunque nel film, diversamente da quello che fa nel suo racconto, Tarkovskij affiderà i discorsi teologici e filosofici al dialogo successivo di Alexander con un nuovo personaggio, che vediamo arrivare in bicicletta alla fine di questa prima scena. Ma prima, nel dialogo tra il padre e il bambino, Tarkovskij inserisce una battuta di volgarità inaspettata, quando fa un esempio di quel gesto da compiere ogni giorno come se fosse un rituale.
E’ una cosa curiosa, direi sgradevole, una nota stonata sulla quale conviene fermarsi a ragionare: sarebbe bastato poco per toglierla dal film, e invece è rimasta. Direi che serve forse per riportarci con i piedi per terra; è un metodo che il grande regista russo usa spesso, nei suoi film. Nelle scene fondamentali di “Nostalghia” e di “Sacrificio”, per esempio, vediamo circolare molti alcolici: grossi bicchieri, bottiglie intere svuotate. Qualcosa di simile accade anche in “Stalker” e in “Solaris”, dove gli attori protagonisti sono sempre un po’ spelacchiati e stazzonati. Penso che sia un modo per prendere le distanze da quello che si sta dicendo: mostrandoci i suoi protagonisti un po’ brilli o mentre fanno paralleli un tantino volgari, Tarkovskij ci sta probabilmente dicendo che i discorsi “alti” sono una bella cosa, ma che dobbiamo pur vivere dentro questo mondo. E, soprattutto, che nessuno è perfetto, e che non ci sta affatto chiedendo di prendere a modello i suoi personaggi. Va ricordato che Tarkovskij ci ha lasciato alcune interviste decisamente curiose, da questo punto di vista; ma sulle interviste a Tarkovskij conto di ritornare più avanti. Qui il grande regista russo ci sta soltanto dicendo che lui non è il nostro maestro, e che se cercate un maestro di vita, una guida spirituale, un guru, è meglio che andiate da un’altra parte; e che forse faremmo meglio ancora a guardare dentro noi stessi, e dentro gli occhi del nostro prossimo.
Il nuovo personaggio, il terzo dopo Alexander e il bambino, è il postino Otto. A dire il vero, come apprenderemo in seguito, Otto è uno studioso, un insegnante di storia che ha scelto di fare il postino su quest’isola perchè questo mestiere gli consente di essere meno coinvolto dal mondo. E’ molto amico di Alexander e si immagina che con lui ci sia una consuetudine di discorsi quotidiani; ha una bicicletta “antica”, da campagna, solida e robusta, e una grossa borsa di cuoio anch’essa di antica e solida fattura.
Otto (l’attore è Allan Edwall, svedese, del giro di Ingmar Bergman) è un personaggio positivo, o almeno così appare; ma ha un aspetto leggermente inquietante. C’è qualcosa che non torna, in Otto; qualcosa di sgradevole che è difficile da spiegare: ma su questo suo aspetto torneremo più avanti. Per come si presenta, sembra quasi un personaggio dei fumetti, di quelli degli anni ’20 o ’30, magari Fortunello (Happy Hooligan) o un comico del cinema muto. Sembra che indossi delle ghette o sandali con calze bianche, ma forse si tratta di scarpe dalla foggia particolare: in ogni caso, qualcosa di decisamente inusuale e anacronistico.
Il postino potrebbe essere visto come un messaggero, quindi un angelo: l’etimologia è la stessa. Ma, come angelo, Otto appare piuttosto strano.
Otto: (...) Tutti noi certamente aspettiamo qualcosa...Prendi me, per esempio. Tutta la vita non ho fatto altro che aspettare qualcosa. E tutta la vita, infatti, l’ho vissuta come... come se fossi dentro una stazione ferroviaria. E ho sempre avuto la sensazione che tutto ciò che mi è capitato non fosse la vita vera, ma solo l’attesa della vita vera; una lunga attesa di qualcosa di reale, di qualcosa di importante...
Otto porta un telegramma ad Alexander: sono gli auguri per il compleanno, ma nel telegramma ci sono riferimenti al principe Myskin, quindi all’Idiota di Dostoevskij: tema tutt’altro che secondario, ma questo è l’unico momento in cui se ne fa cenno esplicitamente.
Nel dialogo con Otto, Alexander dice di “non avere alcun rapporto con Dio”; Otto lo invita a non essere tetro, a non essere smanioso e a non affliggersi avanti tempo: è una libera citazione dalla Bibbia.
Non essere troppo scrupoloso
né saggio oltre misura.
Perchè vuoi rovinarti?
Non essere troppo malvagio
e non essere stolto.
Perchè vuoi morire innanzi tempo?
(Ecclesiaste-Qoélet 7, 16-17, edizione CEI – Conferenza Episcopale Italiana)
Otto definisce Nietzsche “quel nano famoso, quello gobbo, quello che fa svenire Zarathustra”, fingendo di non ricordarsene il nome; Alexander gli rimprovera questa sua approssimazione. Otto si scusa: conosce poco Nietzsche, ma deve ammettere che lo interessa. Si parla di tante cose: Otto e Alexander fanno scorrere in pochi minuti il discorso sulla “rotazione eterna”, l’essere in attesa di qualcosa, il perdere la speranza, la morte e la rinascita, la vita che ricomincia “sempre ugualmente disperata”, una replica dello stesso spettacolo che noi non possiamo ricordare e che per questo ci sembra sempre nuova.Otto conclude dicendo che però se lui fosse stato il Creatore avrebbe fatto tutto alla stessa maniera. Alexander lo rimprovera una seconda volta: queste sono storie vecchie, già sentite più volte, non sono certo farina del suo sacco. “Ma tu credi veramente al demiurgo?” “E’stato dato e così sarà dato, anche a te.”
Alexander: (...) il peccato è tutto ciò che non è necessario; allora tutta la nostra società è fondata sul peccato. (...) c’è uno squilibrio fra spiritualità e materialità (...)Sono discorsi sui quali passo velocemente: in parte perchè è Tarkovskij stesso a farlo, e soprattutto perché io non sono all’altezza di affrontare questi temi (lo confesso: non solo non ho letto Nietzsche, ma non mi ero nemmeno mai chiesto quanto fosse alto di statura).
Mentre i due adulti discutono di filosofia e di aldilà, il bambino fa un piccolo scherzo a Otto: lega la sua bici ad un arbusto. Si tratta di una corda molto lenta, Otto si ferma e cade ma senza farsi male; nel rialzarsi fa delle smorfie buffe e il bambino ne ride con suo padre.
Il bambino ha un cappello leggero che sembra un casco coloniale, sempre calato sugli occhi. Il viso del bambino si vedrà due volte, nel film: quando si fa male cadendo, e nel letto, addormentato, dopo la bomba. E’ un bambino normalissimo, un po’ impacciato come attore, un bambino qualsiasi.
- In principio era il Verbo, - gli dice suo padre a conclusione della scena – ma tu sei muto come un pesce, come un salmone.Il bambino ride; la battuta serve anche per introdurre due nuovi personaggi, uno dei quali è il medico che ha operato il bambino alla gola, un amico di famiglia. Il medico visiterà il bambino, la guarigione completa è vicina e presto l’ometto tornerà a parlare.
4 commenti:
Sono perfettamente d'accordo con l'importanza del "postino" Otto. E' il vero interlocutore di Alexader, il suo "Angelo" mediatore, in tutti i sensi. Non solo infatti gli recapita, nell'isola sperduta dove l'illustre attore e scrittore si è rifugiato, i messaggi che ancora gli arrivano dal mondo, ma si fa interprete di messaggi spirituali e, cosa che vedremo più avanti, dell'informazione fondamentale per la risoluzione finale. E' un pò il ruolo, anche se più profondo e complesso, che Pasolini assegna a Ninetto Davoli, il suo "angelo ridarello".
Sul "mutismo" del bambino vorrei aggiungere che anche questo silenzio è molto eloquente e simbolico. Intanto fa da controaltare all'eccesso di discorsi importanti e problematici degli adulti e l'allusione al salmone poi mi fa venire in mente l'importanza del "Salmone della conoscenza" nella mitologia irlandese. Essere "muto come un pesce" e per di più un salmone quindi è segno di profonda saggezza, quella saggezza che è propria delle creature della Natura più vicine al loro Creatore. Quindi anche ai Bambini, i quali, come dice Alce Nero (un famoso medicin-man dei Sioux) sono appena usciti dalle mani del Grande Spirito.
Brava! questa del salmone è stata davvero un'ottima pesca. Sapevo che c'era sotto qualche tema mitologico, ma non c'ero arrivato. Sul mutismo del bambino si potrebbero dire tante cose: per adesso ricordo solo che alla fine del film (e di tutta l'opera di Tarkovskij) si sente la voce del bambino, che chiede: « In principio era il Verbo: perché, papà?»
Sulle prime parole del bambino, dopo tanto silenzio, che interpellano il padre proprio sul Verbo, cioè la parola creatrice, il "FIAT" cito un pensiero del cardinale C.M.Martini:"Se in principio c'era la Parola e dalla Parola di Dio, venuta tra noi, è cominciata ad avverarsi la nostra redenzione, è chiaro che, da parte nostra, all'inizio della storia personale di salvezza,ci deve essere il silenzio: il silenzio cha ascolta, che accoglie, che si lascia animare. Certo, alla Parola che si manifesta dovranno poi corrispondere le nostre parole di gratitudine, di adorazione, di supplica, ma prima c'è il silenzio".(Lettere pastorali 1980-81)
Solo dopo tanto silenzio quindi il bambino può legittimamente chiedere del Verbo.
Grazie per aver citato il cardinal Martini!
Se la Chiesa avesse avuto uno come lui per capo, dopo Giovanni XXIII, gli scandali emersi oggi sarebbero già cose del passato. Invece, quando non si vogliono affrontare i problemi, prima o poi i problemi saltano fuori.
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