giovedì 21 ottobre 2010

Stalker ( I )

Stalker (id) (1979) Regia: Andrej Tarkovskij. Dal racconto «Picnic sul ciglio della strada» di Arkadij e Boris Strugackij. Sceneggiatura: Arkadij e Boris Strugackij. Versi di Fjodor Tjutcev e Arsenij Tarkovskij. Fotografia: Aleksandr Knjazinskij. Musica: Eduard Artemev (e brani dal Bolero di Ravel e dalla Nona sinfonia di Beethoven). Interpreti: Aleksandr Kajdanovskij (lo Stalker), Anatolij Solonicyn (lo scrittore), Nikolaj Grinko (lo scienziato), Alisa Frejndlich (la moglie dello Stalker), Natasha Abramova (la figlia), F. Jurna, E. Kostin, R. Rendi; produzione: Mosfil'm (Secondo Gruppo Artistico); direttore della produzione: L. Tarkovskaja; durata: 161'

Il punto di partenza di “Stalker” è questo: «Il 30 giugno 1908 la città di San Pietroburgo scampò per puro caso alla distruzione totale. L'esplosione provocata da un meteorite, fra quelle più potenti verificatesi a memoria d'uomo. Alle 7,17 di quel giorno, nel cielo sopra il fiume Tunguska Podkamennaja, nella Siberia centrale, si disintegrò un asteroide (secondo alcuni, fu invece un frammento ghiacciato d'una cometa) che liberò un'energia equivalente a quella di una bomba all'idrogeno e che devastò oltre duemila kmq di foreste. Poiché l'evento si verificò alla latitudine di circa 60°, la stessa di San Pietroburgo, fu la differenza di longitudine, di circa 4 fusi orari, a salvare la città. Solo 4 ore più tardi, e la città sarebbe stata centrata in pieno.» Da questo fatto di cronaca due scrittori di fantascienza russi, i fratelli Strugackij, trassero un racconto intitolato “Picnic sul ciglio della strada”, dove però il meteorite (o quello che era) è solo un pretesto e passa in secondo piano rispetto alla Zona dove è caduto, recintata e presidiata da militari. Nella Zona accadono cose strane, o almeno così si dice.
“Stalker” è una parola inglese, viene dal verbo “to stalk” che ha tra i suoi significati “inseguire furtivamente la selvaggina”. “Stalker” è colui che introduce persone dentro la Zona. Un fuorilegge, quasi un bracconiere o un contrabbandiere; quando le autorità individuano uno Stalker lo mettono in prigione, come è appena accaduto al protagonista del film. Ma i curiosi sono molti e il lavoro è ben retribuito, perciò vale la pena di rischiare. E fare da Stalker non è un lavoro per tutti, chi fa lo Stalker ne rimane per sempre segnato.
Nel 1979 Andrej Tarkovskij prende in mano il soggetto e ne trae un capolavoro assoluto, dove la fantascienza (come già in “Solaris”, sette anni prima) passa in secondo piano, e il meteorite di Tunguska è solo un’eco lontana. I protagonisti sono tre, uno Stalker e i due uomini che gli si affidano. Niente nomi, qui i nomi veri non servono: subito all’inizio lo Stalker decide che uno è lo Scrittore e l’altro, uno scienziato, il Professore. Ma è la Zona la protagonista assoluta.
Che cosa è la Zona? Lo spiega lo Stalker stesso, al minuto 59.
« La Zona è forse un sistema molto complesso di trabocchetti, e sono tutti mortali. Non so cosa succeda qui in assenza dell’uomo, ma appena arriva qualcuno tutto si comincia a muovere, le vecchie trappole scompaiono e ne appaiono di nuove, posti prima sicuri diventano impraticabili, e il cammino si fa ora semplice e facile ora intricato fino all’inverosimile. E’ la Zona...forse ad alcuni può sembrare capricciosa, ma in ogni momento è proprio come l’abbiamo creata noi, come il nostro stato d’animo. Non vi nascondo che vi sono stati casi in cui la gente è dovuta tornare indietro a mani vuote. Alcuni sono anche morti proprio sulla porta della Stanza; ma quello che succede non dipende dalla Zona, dipende da noi.
- Fa passare i buoni, e ai cattivi taglia la testa?
- No... non lo so... a me sembra che faccia passare solo quelli che non hanno più nessuna speranza...non i cattivi o i buoni ma...gli infelici. Ma anche il più infelice morirebbe subito se non si comportasse come si deve. (rivolgendosi allo scrittore) A lei è andata bene, io l’avevo avvertita, potevo anche non farlo!
- (Il Professore) Sapete cosa vi dico? Io mi fermo qui. Mi siedo e aspetto che voi torniate, magari felici. Ho da mangiare, da bere, non mi manca niente; mi fermo qui.
- E’ impossibile. (...) Non si torna indietro per la strada fatta all’andata.»
Sembra un discorso complicato, ma basta cambiare “la Zona” con “la Vita”, e tutto diventa più semplice.
Lo Stalker è figura complessa, non facilmente decifrabile, composta di più aspetti. Riesco a dargli una forma, una figura definitiva, solo con il sincretismo: l’unione panica degli elementi religiosi dell’animismo e del cristianesimo, l’amore e l’attenzione verso il prossimo e la Natura, messi alla pari; e la sofferenza per chi non capisce la bellezza del Creato, e dell’arte umana.
La prima cosa che vediamo fare allo Stalker, appena entrato nella Zona, è di lasciare da soli i due compagni e andare a immergersi nell’erba. E’ una scena breve, che ha il suo esatto corrispondente nella scena della festa pagana dell’Andrej Rubliov (il capolavoro di Tarkovski, girato nel 1966), e che troverà la sua formulazione completa in “Sacrificio”, il testamento finale del grande regista russo. Lo Stalker fa parte della Zona, della Natura. Gli crea sofferenza, ma la ama profondamente e non può vivere senza la Zona. E’ per questo che ci ritorna sempre, e che vi porta delle persone: spera sempre che qualcuno capisca, ma fino all’ultimo – fino alla Stanza - non sa mai esattamente se chi si è portato dietro è all’altezza del Mistero.
E’ lo stalker che sceglie chi far entrare nella Zona, entra solo “chi ne ha bisogno”: è per questo che fa entrare lo scrittore, anche se ha bevuto molto, e il professore, ateo e materialista.
Lo Stalker è Tarkovskij stesso, la Zona è l’arte, il bello, il profondo (un concetto simile, molto ben mascherato è anche nel “Toro” di Mazzacurati, un bel film italiano del 1994). E’ qualcosa che pochi possono capire, e che porta con sè una maledizione che fa segnare a dito chi cerca il Bello come diverso e pericoloso (come Andrej Rubliov, che davanti alla violenza e al disprezzo per l’Arte rinuncia a dipingere, e come Tarkovskij che viveva una situazione simile in URSS).
Una lettura politica di “Stalker” è questa: la libertà è dentro la Zona, e per raggiungerla bisogna varcare “al contrario” il filo spinato. Lo dice il regista francese Chris Marker in un suo documentario su Tarkovskij ed è suggestivo, ma restringe troppo il campo: un punto di vista così limitato non si addice a Tarkovskij, che pure col regime sovietico passò i suoi guai. Tarkovskij ha qualcosa del profeta, e i profeti non si occupano quasi mai del presente; io guarderei piuttosto al Confine come qualcosa da attraversare, come l’acqua, come un'altra riva da raggiungere tramite una trasgressione. E’ un concetto ben presente in Tarkovskij, fin dal suo primo film, “L’infanzia di Ivan”. Come per il bambino Ivan, che vive a ridosso del fronte, in “Stalker” ci sono echi di guerra per tutto il film. Una guerra c’è stata, carri armati abbandonati e militari morti nelle jeep segnano il percorso dei tre esploratori, soprattutto all’inizio; un po’ ovunque, rovine e desolazione.
Ancora dal documentario di Marker, prendo due riflessioni suggestive riguardo alle immagini di “Stalker” (e di tutto Tarkovskij): lo sguardo dall’alto, che è quello del Cristo Pantocratore nelle icone russe; e che in Andrej Rubliov (il pittore) è già compreso Malevic.
Per muoversi nella Zona, lo Stalker getta i dadi: si tratta di bulloni legati ad un nastro di tessuto, sono diversi da quelli del Mahabharata, ma è pur sempre un lancio di dadi, qualcosa di casuale, che indica la strada da prendere. Gettando quei dadi, o tirando un sasso, si può capire se la Zona in quel punto è stabile, se in quel punto si può camminare o se succederà qualcosa di pericoloso.
Nel finale lo Stalker ha molto del prete, ma prima, per tutto il film, ha altre figure e nel finale è l’artista. La costante di queste varie figure è una sola, la sofferenza. Sul volto dell’attore che impersona lo Stalker la sofferenza (per non veder condiviso ciò che ha visto e ciò che vive, ma non solo) è il tratto distintivo. Non ricordo altri film con Kajdanovskij come attore, ma certo il film senza di lui, senza il suo volto e il suo fisico, non sarebbe stato possibile.
Lo Scrittore e il Professore sono il laico (l’ateo) e il positivista (riduzionista). Li interpretano due fedeli compagni di viaggio di Tarkovskij: lo Scrittore è Anatolj Solonitsin, che fu Andrej Rubliov e lo scienziato Sartorius in “Solaris”. Il Professore è Nikolaj Grinko, un attore più anziano, alto e asciutto.
Solonitsin è lo scettico, il positivista, come fu per Sartorius in Solaris e come è qui con il suo scrittore alla moda, non un Tolstoj o un Dostoevskij ma il tipo che ama la bella vita e che piace alle donne. Però stavolta è il Professore, il fisico, a voler distruggere la Stanza (l’Oceano di Solaris); ma questo lo scopriremo solo alla fine. Forse lo Stalker è il prete (il sacerdote) contro il materialismo, la Fede contro il razionalismo; ma anche questa è una lettura troppo riduttiva.
Il film è anche un’interrogazione sull’ateismo e sull’irrazionalità della fede (irrazionale, come nel finale con la bambina “telecinetica”). Non mi pare che Tarkovskij dia risposte: anche qui, come nel Libro di Giobbe, ci sono solo domande, e lunghi discorsi che prendono il posto di risposte che non sappiamo dare.
Verso la fine del film, Tarkovski dà voce alla moglie dello Stalker, che si rivolge direttamente a noi guardando in macchina, in una sequenza che sorprende perché sembra stilisticamente avere poco a che fare con il resto del film. E’, con ogni evidenza, la moglie di Tarkovskij. La moglie dell’artista, dell’uomo che sparisce, che tace per lungo tempo, perso nella Zona dei suoi pensieri, chiuso come Jung e come Mann nella sua Stanza (“il papà non si può disturbare, sta lavorando” come raccontano i loro figli), tra i suoi libri, o lontano, all’aperto, in cerca della sua solitudine, e delle Aure nascoste.
Vivere con uno stalker è una sofferenza, ci dice la donna; glielo avevano detto, ma lei lo ha sposato lo stesso e non se ne è pentita. Anche se la sofferenza è arrivata e continua, è pur sempre la sua vita, e lei continua ad amare la vita, e suo marito, e sua figlia.

12 commenti:

angela ha detto...

Sono ignorante, quanto al cinema, però i tuoi post su Tarkovskij mi piacciono "a prescindere" come si dice, dalla conoscenza: ci metti una passione particolare, quando li scrivi. Comunque, mi sono procurata il dvd del film :)

Giuliano ha detto...

beh, spero che dopo non mi tirerai degli accidenti!
:-)
Tarkovskij è molto ma molto difficile, anche se molto affascinante. Non so se lo sai, ma teorizzava apertamente che fare cinema significava dire quello che si aveva da dire, a prescindere dall'audience: un vero sovversivo - oggi più che allora in URSS...

Marisa ha detto...

Cercherò di unirmi a questi bellissimi post facendo un pò da "controcanto" e tenendo comunque presente che tutto quello che ci viene da dire su Tarkovskij è solo frutto delle nostre suggestioni e della risonanza che opere così profonde e misteriose ci evocano e ci riattivano. Non è mai una vera interpretazione e soprattutto una "riduzione" a un già noto e già conosciuto, cosa che dovrebbe essere vera per ogni autentica opera d'arte.
Certo "La Zona", come tu dici ha a che fare con la Vita; ma cerchiamo di farci guidare dallo Stalker per tentare di precisare meglio di quali aspetti della vita la zona è lo scenario e la custode. Perchè si può vivere senza andare mai nella "Zona" ed anzi tutto sembra scoraggiare dall'andarci, tanto che diventa una avventura quasi cladestina e molto pericolosa, anche se la posta in gioco è alta, ma anche questa è così ambigua che lo scienziato ad un certo punto vorrebbe rinunciare. Persino il "Maestro"(diventato Porcospino), dopo la rivelazione avuta dall'incontro con la Stanza dei desideri, non ha retto e si è suicidato. Anche Oscar Wilde avvertiva della pericolosità di vedere esauditi i propri desideri...
Inoltre che la "Zona" abbia a che fare con l'arte è vero, ma anche questo è parziale e rischia di sviarci, perchè non tutti quelli che ci vanno sono artisti e non tutti gli artisti ne sono "degni".
Di sicuro c'entra un certo modo di concepire la "Bellezza" e la "Conoscenza"; ma come?
Rilke avverte:"Perchè il bello non è che il tremendo al suo inizio, noi lo possiamo reggere ancora, lo ammiriamo anche tanto, perch'esso calmo, sdegna distruggerci."(1° elegia duinese)
Quindi non possiamo ridurlo ad un fatto estetico, come forse lo scrittore si illudeva, nè ad una conoscenza scientifica che può portare al premio Nobel, come viene ventilato dallo scienziato "Professore".
Sappiamo che c'è stato un "trauma", quasi una catastrofe e che la zona è stata recintata e non ci si può andare armati...Sono indizi importanti.
Alludono forse a quella "zona" traumatizzata della nostra personalità, che cerchiamo di circoscrivere e rimuovere o che vorremmo affrontare con grinta e rabbia (le armi), ma che invece si lascia esplorare solo a certe condizioni, per esempio quando siamo veramente disperati e disponibili, quando non abbiamo più nulla da perdere?

Giuliano ha detto...

Sono sempre più convinto che abbia ragione Tonino Guerra quando paragona l'opera di Tarkovskij alla Divina Commedia.
C'è una grande complessità e un grande fascino, non si finisce mai di trovare nuovi significati e ognuno vi porta le sue esperienze, come accade con Dante dal 1200 in qua.
(Tonino Guerra lo diceva per Nostalghia, io allargo il discorso a tutto Tarkovskij...)

Marisa ha detto...

Sicuramente il riferimento a Dante è quello più pertinente e il viaggio attraverso gli Inferi fino "a riveder le stelle" è lo stesso che percorre Tarcovskij attraverso tutte le sue opere, capitolo per capitolo, film per film. Si inizia con una caduta rovinosa, un sentirsi perso e confuso e, per ritrovare l'uscita bisogna fare un percorso tortuoso, altro, dove non vorremmo andare e dove non siamo noi a decidere l'itinerario. Per Dante la guida, lo Stalker è Virgilio e spesso anche lui si tirerebbe volentieri indietro. Quante volte "il cor non si spaura" o cade "come corpo morto cade"?...
Ma, non si può tornare indietro per la stessa via di prima e bisogna affidarsi ai lanci (intuizioni?) che lo Stalker tira.

Giuliano ha detto...

Ti confesso una cosa (che ho già scritto più volte, tra l'altro): dopo aver visto Tarkovskij e Bergman, è difficile appassionarsi al cinema horror e di fantasmi.
Questi non sono horror, ne sono lontanissimi: ma quante volte sono stati copiati i movimenti di macchina di Tarkovskij? Sembra sempre che ci sia qualcuno, o qualcosa, che ci osserva dal di fuori. Probabilmente, Qualcuno.

Molto bella la tua intuizione sui lanci...Una delle cose più strane che mi sia capitato di vedere al cinema, questi lanci dello Stalker: fanno pensare anche ai dadi, e all'i-Ching, più intuizioni che profezie.

Marisa ha detto...

Il riferimento all'I Ching è molto giusto: lo si consulta infatti non per curiosità, ma solo in gravi momenti critici o davanti a una scelta difficile e particolarmente impegnativa. Si chiama "libro dei mutamenti" proprio perchè allude ad una svolta, una trasformazione e, secondo Jung ,funziona come da amplificatore, nel senso cioè che esplicita quello che si sta già preparando nelle profondità dell'inconscio e che può essere captato dal lancio delle monete o dei bastoncini. La funzione dell'intuizione è proprio questa: captare il processo allo stadio potenziale, un fiuto per tutto quello che è ancora in gestazione. Non c'è nessun trucco e nessuna magia: solo una grande attenzione per i "segni" e una grande umiltà. Non quello che vuole l'io, ma quello che vuole la Vita o il Sè. "Sia fatta la Tua volontà". Mi sembra che nei lanci dello Stalker ci sia proprio la rinuncia ad una pretesa volontaristca e un "affidarsi" allo Spirito, che "soffia dove vuole".

Giuliano ha detto...

Giovanni 3, Gesù a Nicodemo...
(questa lo so, ma ho dovuto cercare su che Vangelo era)

Marisa ha detto...

Sì, Giovanni, il discepolo più mistico e misterioso, il più visionario, a cui si attribuisce persino "L'Apocalisse"...E per rimanere in tema religioso riprenderei la suggestiva icona del Cristo Pantocrator, di cui parli e che vediamo nel tuo post. Qui, nella zona è sott'acqua, parzialmente coperta da monetine votive, come si usa per la Fontana di Trevi.
Non è un dettaglio da poco. Se la Zona è la nostra parte trumatizzata e quella con cui non siamo più in contatto, l'icona sommersa allude allora ai nostri sentimenti religiosi più alti (l'importanza di questa Icona è indubbia)che abbiamo rimosso, accontentandoci (quando c'è) di una religiosità di facciata, superficiale e conformista, di comodo e superstiziosa?

Giuliano ha detto...

Ho messo quest'immagine del Cristo proprio per identificarla, quindi ti ringrazio. Il documentario di Chris Marker è importante perché contiene - oltre ad immagini rare, come Tarkovskij attore nel suo primissimo film - molte indicazioni a cui non sarei mai arrivato.

L'acqua limpida dei film di Tarkovskij si meriterebbe un saggio tutto per sè...

Anonimo ha detto...

ciao giuliano. mi chiamo giorgio.
...e perche i suoni nei film di tarkovskij?
il suono dell'acqua...

Giuliano ha detto...

Tarkovskij lo spiega bene nei suoi libri e nelle sue interviste: chi abita in città si è abituato a considerare la pioggia come un disturbo, ma così non è. Quando piove come nei film di Tarkovskij, questa pioggia quieta e regolare, è come musica - e scusa per la mia sintesi, prima o poi andrò a recuperare le parole precise di Tarkovskij.