domenica 24 ottobre 2010

Andrej Rubliov: il giullare


Andrej Rublev (id., 1966) Regia: Andrej Tarkovskij; soggetto e sceneggiatura: Andrej Tarkovskij, Andrej Michalkov-Koncalovskij; fotografia (BN e Sovcolor, Scope): Vadim Jusov; musica: Vjaceslav Ovcìnnikov; suono: I. Zelenkova; montaggio: L. Fejginova, T. Egoryceva, 0. gevkunenko; scenografia: Evgenij Cernjaev (con la collaborazione di I. Novoderezkin, S. Voronkov); costumi: L. Novi, M. Abar-Baranovskaja; trucco: V. Rudina, M. Aljautdinov, S. Barsukov; inter,~Anatolij Solonicyn (Andrej Rublév), Ivan Lapikov (Kirill), Nikolaj Grin'ko (Dag Cérnyj), Nikolaj Sergeev (Feofan Grek), Irma Raus [Tarkovskaja] (la scema), Nikolaj Burljaev (Boriska), Jurij Nazarov (il Gran Principe e il Principe Minore), Roland Bykov (il saltimbanco), Jurij Nikulin (Patrikej), Michail Kononov (Fomka), Stepan Krylov (il fonditore di campane), Sos Sarkisjan (Cristo), Bolot Bej'senaliev (il chan tartaro), N. Grabbe, B. Matysik, A. Obuchov, Volodja Titov, N. Glazkov, K. Aleksandrov, S. Bardin, I. Bykov, G. Borisovskij, V. Vasil'ev, Z. Vorkul', A. Titov, V. Volkov, l. Mirosnicenko, T. Ogorodnikova; produzione: Mosfil'm (Gruppo Artistico degli Scrittori e Cineasti); direttore della produzione: T. Ogorodnikova; durata: 190'; data di lavorazione: 1966; prima uscita: 1969 (Festival di Cannes), 1971 (Urss); distribuzione italiana: Ceiad Columbia.
Uno delle prime sequenze di "Andrej Rubliov", il film dedicato al grande pittore russo, è dedicata all'incontro con un giullare. I tre monaci, uno dei quali è il giovane Andrej, sono in viaggio verso la nuova chiesa che dovranno affrescare; ma comincia a piovere e trovano riparo in un cascinale dove c'è molta gente. Il monaco più anziano vede molto male questi canti e queste battute, ma il giullare, sia pur controvoglia, si esibisce ed è molto bravo, la gente si diverte. Riporto questa scena così come la racconta Tarkovskij stesso nel libro su Andrej Rubliov, edito da Garzanti nel 1992. Nel film c'è una differenza molto significativa rispetto a questo testo: i soldati del principe sfasciano la cetra invece di limitarsi a sequestrarla. Non c'è posto per l'arte, e tanto meno per la satira, in questo mondo di soldati. Poco dopo, seguirà una delle scene più terribili del film, l'accecamento dei pittori, sempre da parte delle guardie, alla quale Andrej Rubliov assiste impotente. Ma questa è la scena dedicata al giullare: il "gusli" è una specie di cetra, o forse un salterio, e "braga" è una delle tante varianti della birra. E il giullare non viene ucciso, come crede Andrej: lo ritroveremo nel finale, vent'anni dopo, nella scena della fusione della campana.
(...) Ed ecco il villaggio. A ridosso dell'ultima isba c'è una costruzione d'argilla, per metà rimessa e per metà casa; a una parete imbiancata sono appesi finimenti, falci, rastrelli e forconi. In mezzo alla stamberga un omino piccolo e gracile con una testa sproporzionatamente grande sta in piedi sulle mani e agitando le gambe in aria grida come un porcellino. La camicia gli scivola giù, coprendogli la faccia e rivelando un ventre sporco e gonfio. Lungo le pareti, sul fieno e su una panca, sono seduti alcuni contadini. Vicino alla panca c'è un secchio di braga, con un mestolo. I contadini ridono rumorosamente, battono le mani, gridano. Scorgendo i monaci, tutti si zittiscono. Il giullare cade a terra, si rimette in piedi, si risistema frettolosamente la camicia e guarda con aria spaventata i nuovi arrivati. Uno dei contadini, evidentemente il padrone, si alza in piedi. "Che cosa vi serve?", chiede a voce bassa dopo qualche istante. "Con questa pioggia... Vogliamo solo aspettare che smetta", risponde Daniil. (...)
Il giullare prende dalla panca il suo sacco e comincia a prepararsi: vi ripone il tamburello e tutto il suo povero armamentario. Sembra spaventato, non guarda nessuno, respira pesantemente e dal suo lungo naso gobbo cadono dense gocce di sudore.
"Ma dove vai?", gli chiede qualcuno sconcertato.
"Devo partire", risponde il giullare tossendo e guardando i monaci di sottecchi, "grazie per la vostra benevolenza, addio".
I monaci siedono sotto la finestrella e mangiano qualche provvista che hanno sistemato su uno straccio, senza far caso a nessuno. "Ma cosa vuoi fare? Aspetta"; un contadino rosso e ridente si getta sul giullare impaurito, cercando di dissipare l'atmosfera densa di sospetti e di diffidenza. "Su, dai, bevi ancora!", e gli porge il mestolo pieno di braga. Il giullare guarda con aria interrogativa il padrone che, superando l'incertezza, lo incoraggia con affettata indifferenza: "Dai, dai, bevi!", e si siede sulla panca insieme agli altri. Il giullare prende il mestolo colmo e beve, docile e allegro. "E adesso, su, daccapo!", grida con entusiasmo il buontempone dai capelli rossi e tutti si preparano di nuovo allo spettacolo.
Il giullare si pulisce le labbra; sorride timidamente, estrae dal sacco il tamburello e si mette al centro della stanza. Aspetta che tutti tacciano, dà un colpo brusco al tamburello e con voce alta e penetrante comincia a cantare la storia di un caprone a cui hanno tagliato la barba e il suo dispiacere per l'infelice animale, costretto per la vergogna a nascondersi nel bosco. Il ritmo della canzone continua ad aumentare, le parole prima si trasformano in uno scioglilingua, poi perdono ogni significato per suonare come uno scongiuro. L'effetto è così contagioso che i contadini cominciano a battere il tempo e non riescono a trattenere le risate, perché il giullare fa delle facce così espressive e salta e zoppica in modo così buffo, imitando il caprone, che il senso della canzone è chiaro anche senza parole. La danza continua ad accelerare, il giullare agita senza sosta il tamburello, battendolo ora sulle ginocchia, ora sulla fronte, ora estraendone un suono continuo e sempre più forte.
Il giullare salta per la stamberga come un caprone, e i contadini che battono le mani ridendo fragorosamente, le pareti da cui pendono collari, redini e falci, la finestrella oltre la quale si intravedono fiumi di pioggia, i tre monaci nell'angolo, il giullare stesso, con la sua sventolante camicia di tela, che senza sosta riversa tutt'intorno suoni e allegria, tutto si confonde in un folle e irresistibile carosello. Ecco che il giullare salta sulle ginocchia di un contadino, e da lì sulla panca, e dalla panca, con una piroetta nell'aria, ricade a terra, afferra una manciata di fieno, se la mette in testa e, tra le risa degli spettatori, si mette a strisciare imitando il lupo, poi all'improvviso smette di gridare, la sua voce si spegne in un mormorio indecifrabile e fa tintinnare nervosamente il tamburello con un effetto di tensione e di mistero, finché, con un grido, salta, si abbassa i pantaloni e, mentre gli spettatori entusiasti esplodono in una risata omerica, mostra a tutti il suo sedere magro e bianco. E' il momento culminante. Alla fine il giullare balza sulle mani e, agitando le gambe, grida a squarciagola come un porcellino. Poi, stanco, fradicio di sudore, si alza lentamente, si avvicina alla porta e, spalancatala con un calcio, scende per la scaletta, si sfila la camicia dalla testa, offre alla pioggia la sua schiena ossuta e rimane qualche minuto immobile, lo sguardo fisso al cielo grigio e piovoso. (...)
Andrej guarda la schiena pallida del giullare, le sue scapole sporgenti sferzate dalla pioggia, il collo magro, infantile, la nuca, e aspetta a lungo, impaziente, che si giri. Alla fine il giullare si rimette la camicia e torna sotto la tettoia. Quando rientra nella capanna è irriconoscibile: sembra invecchiato di dieci anni, è curvo come un vecchio e si guarda intorno con occhi stanchi e tristi.
Andrej incontra il suo sguardo e capisce che adesso il giullare è lontano, perso nei suoi pensieri e terribilmente solo in questo vasto mondo. "Sì... Dio ci ha dato il pope e il diavolo il giullare" , mormora Kirill.
Ormai non più al centro dell'attenzione, il giullare si siede sul fieno, vicino al suo sacco. Per qualche minuto se ne sta in silenzio, con gli occhi a terra, poi estrae dal sacco il gusli, si accomoda meglio sul pavimento e comincia a cantare, toccando le corde che vibrano come un lamento.
I contadini, che già lo avevano completamente dimenticato, interrompono le loro chiacchiere e si mettono ad ascoltarlo. Il giullare, fissando Andrej con sguardo assente e malinconico, canta un'antica e bellissima canzone. Le sue parole ingenue, semplici, la rendono ancora più triste e più pura. Il giullare canta per se stesso e forse per tutti coloro che hanno nel cuore una pena come la sua, o ancora più grande. Il suo sguardo è fisso e insistente, come lo sguardo di chi sa leggere il pensiero, e Andrej abbassa gli occhi. I contadini ascoltano rapiti quella canzone meravigliosa. Kirill osserva pieno di disapprovazione il giullare, i contadini incantati, Daniil e Andrej, anch'essi rapiti dal canto, poi si alza e in silenzio esce sotto la pioggia. La voce del giullare è smorzata, leggermente rauca. La canzone si confonde con il rumore della pioggia diventando così ancora più triste. (...)Il giullare tocca con cautela le corde del gusli - prova alcuni accordi e stringe i morsetti. Si sente risuonare una corda, poi una seconda, una terza... È bello ascoltare questa musica monotona e un po' stridula.
D'un tratto la porta si spalanca con un tonfo e sulla soglia compaiono alcuni guerrieri. Il primo è un vero campione della stirpe russa, enorme, dalle spalle larghissime e dagli occhi grigi e carezzevoli. Cala un silenzio di morte. Qualcuno, nel sonno, si rivolta nel fieno e geme a voce alta. Seduto in terra, il giullare rivolge uno sguardo interrogativo ai nuovi arrivati. Il padrone è talmente confuso che non si alza nemmeno ad accogliere gli uomini del principe e continua a sedere in silenzio sulla panca, guardandosi i palmi incalliti. Il primo guerriero chiama con un gesto il giullare. Questi appoggia il gusli e si dirige lentamente verso la porta, ripulendosi i pantaloni dal fieno e rivolgendo ai suoi mortali nemici uno sguardo interrogativo e sorridente. Il biondo gigante dagli occhi grigi fa un passo incontro al giullare, lo prende con una mano per la collottola e con l'altra per i pantaloni, lo solleva con facilità sopra la sua testa e lo scaglia contro il muro. Il giullare sbatte contro il muro bianco emettendo un rantolo, poi ricade a terra e rimane lì, con il volto verso il muro, stringendo i pugni come chi ha un gran freddo. Sopra di lui cadono rumorosamente un forcone, un rastrello di legno e una pesante ruota di carro.
Il giullare giace immobile. Due guerrieri lo prendono per le gambe e lo trascinano in mezzo alla strada. Il gigante guarda significativamente il padrone, raccoglie da terra il gusli e esce seguendo i suoi compagni. (...)
( Andrej Tarkovskij, " Andrej Rublëv", edito da Garzanti nel 1992, pag.18)

6 commenti:

Marisa ha detto...

L'episodio del piccolo giullare così crudelmente sopraffatto è il primo della serie di soprusi e violenze a cui assisteremo e le considerazioni che hai fatto sul mondo dei soldati (quindi del potere retto dalla forza), dove non c'è spazio per l'arte e tanto meno per la satira, sono sacrosante. Ma c'è dell'altro e di peggio,secondo me, perchè spesso anche i potenti tollerano i giullari, come più volte hai notato. Chi non tollera realmente il giullare come espressione di gioia di vivere e di libertà di pensiero è soprattutto Kirill, il monaco invidioso e malevolo che nel suo fanatismo lo accusa di essere una creatura del "diavolo" ed è questo tipo di intransigenza, camuffata di idealismi religiosi, che è più pericolosa ed aizza la mano armata del potere. Lo vedremo alla fine, ormai sconfitto e pentito, che rivelerà che è stato lui a denunciare il piccolo ed innocuo giullare e farlo "punire".
L'invidia ha di questi frutti: proietta fuori sui più deboli la propria rabbia e si nasconde dietro un muro di moralismo e rispettabilità cercando di far sentire gli altri in colpa. Vedremo che Kirill accuserà persino Rubliov di essere vanitoso e solo interessato alla gloria...

Che belle le scene degli sguardi di Andrej, così intensi e carichi di compassione e simpatia!
Visto che è il primo episodio (i tre monaci hanno appena lasciato il loro convento ed Andrej è così giovane), mi viene da pensare (non conosco per niente della sua vita oltre quello che appare in questo film) che fino ad ora Andrej è praticamente vissuto protetto nel monastero e non conosce ancora il mondo e le sue cattiverie.
E' molto docile e buono di natura ed ha una ingenua propensione ad amare gli altri vedendone gli aspetti positivi. Non sospetta mimimamente di Kirill non conoscendo la natura dell'invidia e guarda per la prima volta attraverso il giullare un modo diverso di essere. Ne è affascinato e prova pietà quando lo vede maltrattato, ma non sa contrastare Kirill nella sua affermazione che nell'opera del giullare vede il diavolo, anche se non sembra d'accordo.

Giuliano ha detto...

Trovo questo attore fantastico: i cambiamenti di espressione del giullare, in questa scena, sono cose da grandissimo attore. Qui ho messo una foto dove sembra di colpo diventato vecchissimo, ma è solo un attimo. (Una performance molto simile, e anche più grande, la fa Margarita Terechova in "Lo specchio").
Quanto a Solonitsin, sai già che Tarkovskij lo avrebbe voluto protagonista sia in Sacrificio che in Nostalghia, e che fu molto colpito dalla sua morte prematura. In quei due film Tarkovskij ha poi avuto degli attori favolosi, ma con Solonitsin sarebbe tutto stato perfetto.
(e anche Grinko...)
Concordo con tutto quello che dici: si può essere giullari al servizio del potente, come Forattini, per esempio, oppure passare serissimi guai. Per esempio, mi rattrista sempre quando leggo che il tal politico è contento dell'imitazione che gli fa un attore... Se è contento, se chiede l'originale, c'è qualcosa che non va.

Marisa ha detto...

Io trovo che è stato meglio così. Non che Solonitsin sia morto precocemente voglio dire, ma che Tarkovskij abbia utilizzato altri attori come volto per ruoli nuovi.
Il volto e soprattutto lo sguardo di Solonitsin rimangono così immortalati e legati all'immagine di Andrej Rubliov e, pur avendolo ancora a disposizione, ( secondo me guidato da un istinto infallibile ), in Stalker e in Solaris non gli affida più il ruolo del protagonista, ma lo utilizza in altro modo, quasi rendendolo irriconoscibile. Solo nella scena in cui si mette in testa la corona di spine (in Stalker) ritroviamo lo stesso sguardo pensoso, mite ed addolorato di Andrej.
Trovo poi perfetta la scelta di affidare ad Oleg Jankovskij il ruolo del padre in "Lo specchio" e il ruolo del poeta in "Nostalghia" (evidenzia così la profoda continuità sotterranea tra padre e figlio), così come trovo perfetta la scelta di Erland Josephson per Domenico di "Nostalghia" e per Alexander di "Sacrificio" (anche qui la continuità tra il folle e l'uomo disposto al sacrificio viene esaltata dallo stesso volto).

Giuliano ha detto...

Con Bergman capita la stessa cosa: attori e attrici sembrano sempre bellissimi, profondi, pieni di fascino... So che parlando di cinema ci sono tanti che storcono il naso quando si dà importanza ai registi: la risposta è scontata, scontatissima: beh, dipende dal regista!
La cosa opposta capita quasi sempre con Kubrick e con Fellini, che quasi sempre "usano" attori sconosciuti, e sarebbe un bel discorso da aprire.

(Hai visto l'immagine che ho messo in apertura? questi due bambini sono favolosi, non sono mica stati in tanti a saper cogliere degli sguardi così...)

Marisa ha detto...

Sì, ho notato e mi hanno fatto tornare in mente i bambini che assistono al "Flauto magico" di Bergman. Lo stesso sguardo incantato...

Giuliano ha detto...

Ho raccolto molti fotogrammi come questi, penso che tornerò a pubblicarli qui
:-)