domenica 24 ottobre 2010

Un'intervista a Tarkovskij ( II )

ANDREJ TARKOVSKIJIntervista raccolta a Londra da Irena Brežnà (pubblicata da “Frigidaire” , circa 1982)
(segue dal post precedente)
- Cos'è che considera come il suo Paese?
- Il proprio paese è dove si è nati e cresciuti, quello alla cui cultura e alle cui radici siamo legati. Sono stato un po' di tempo negli USA. che mi hanno sbalordito: una terra senza radici. E’ cosí evidente questa mancanza che lo rende così dinamico da un lato, così libero da pregiudizi e così privo di spiritualità dall'altro. La gente comincia una nuova vita in un nuovo posto e taglia ogni legame col passato: anche questo è un tema assai fertile. Proprio in America ho trovato una conferma a quanto dicevo in Nostalghia. E’ così incredibilmente duro vivere una vita di questo tipo perché quando uno esce fuori dal processo della storia cominciano tutti i problemi: è questo che vuoi dire il film. Come possiamo vivere una vita piena e regolare quando si tagliano i legami con le proprie radici? In russo la parola “nostalghia” equivale a malattia, una malattia pericolosa e mortale.
- L'idea di tagliare con tutto è però molto seducente.
- Seducente? Forse.
- Vuol dire anche un'occasione.
- No, nessuna occasione.
- Nessuna?
- Nessuna. Cosí non ci si presenta nessuna occasione, Irena.
- Neanche occasioni per soluzioni individuali?
- E’ semplicemente una delle altre cose per cui gli uomini non sono ancora pronti.
- Credo che nel nostro secolo cresca lo spirito nomade, si mescolino sempre di piú le razze. La tendenza all'emigrazione aumenta e forse tra qualche secolo riusciremo e vincere la nostalgia.
- Ciò dovrebbe succedere col tempo. Ma il problema è piú profondo. E probabilmente lei sarà d'accordo se dico che è assai strano che il mondo sia diviso in due sfere di influenza. Strano perché non è stato l'uomo a crearlo e l'uomo non ha nessun diritto di spartirselo. Ha solo il diritto di viverci e crescervi spiritualmente, non può dividere la terra col filo spinato e difendere i confini con le bombe atomiche. E’ un'attività disumana: da questa situazione nascono gli altri problemi, nostalgia, civilizzazione, confronto. Inevitabilmente, perché la vita che facciamo non è umana. Nostalghia è un film sul problema di come vivere, come trovare un accordo in un mondo diviso. Può succedere solo se si fanno sacrifici da ambedue le parti. Chi non sa fare sacrifici non può aspettarsi niente.
- E lei sa sacrificarsi?
- Difficile dirlo. Ne sono incapace come gli altri, ma spero di diventare capace. Lo devo sperare perché se muoio senza aver dimostrato a me stesso che so farlo sarà un brutto affare.
- E come ci riuscirà?.
- Come? Non so. Sforzandomi violentemente di vivere come io penso si dovrebbe vivere. Ma la mia professione mi è di impaccio. Non sono sicuro che quello che faccio sia veramente necessario né di come dovrei portarla avanti questa professione.
- Cose le piacerebbe fare?- Qualche volta nel mio lavoro cinematografico mi colpisce il senso del ridicolo. Ed è veramente un lavoro ridicolo, ci sono cose tanto piú importanti. Come si fa ad affrontarle e a trovare se stessi in queste quando l'arte offre una via d'uscita positiva e avanzata? Questo è il problema. Questo è quello che uno insegna agli altri, ma di fronte al quale è impreparato egli stesso, questo è quello che mi tortura. Ma forse sono pensieri tipicamente russi, anche Tolstoj si tormentava per problemi simili, problemi che lo hanno reso infelice tutta la vita.
- Come si riflettono nei suoi film i vari stadi del suo sviluppo personale?
- Indubbiamente mi riflette nei miei film, ma se poi questi mostrino un qualche sviluppo non sta a me giudicarlo. Per parte mia non potrei mai fare un film senza portarci dentro la mia personalità.- Se paragono i suoi vari lavori ho l'impressione che lei tenda verso un modello ascetico.- E’ vero. Mi piacerebbe essere così. Credo che il mio ultimo film sia riuscito a esprimere tutto in modo semplice, non in modo così complicato come i precedenti, ma non si riesce mai ad accontentare voi spettatori. Qualsiasi cosa facciamo sorgono sempre migliaia di domande e così non sono piú sicuro di niente.

- Lei pensa mai agli spettatori?
- No, come avrei potuto? Cosa rappresentano per me? Devo insegnare loro qualcosa? Ho qualche mezzo per sapere cosa pensa John Smith a Londra o Vasil Ivanov a Mosca? Davvero dovrei essere un ipocrita a dichiarare di conoscere i pensieri, il mondo interiore di un'altra persona. Se voglio creare qualcosa posso farlo solo col mio linguaggio, trattando il pubblico come un partner a pari livello. Se ho qualche problema penso che anche il pubblico lo abbia e cerco di usare il mio film per fare chiarezza per me e per gli spettatori. Non sono né piú intelligente, né piú stupido, la mia dignità è ugualmente vulnerabile. Niente di piú facile che fare un film con lo sguardo rivolto alle tasche degli spettatori, ma non è la mia vocazione...
- Come ci si sente a lavorare creativamente in un paese straniero, in un'atmosfera straniera, avendo a che fare con gente la cui mentalità è, dopotutto, lontana dalla propria?
- Ho fatto Nostalghia all'estero. Credo che in realtà non ci sia differenza.
- Il regista cecoslovacco Milos Forman è emigrato e gira film in America dal 1968. Una volta ha detto che ad oriente subite pressioni ideologiche e ad occidente un artista viene ostacolato dalle pressioni economiche. Che ne dice?
- Sì, sento forti pressioni economiche qui. Ma sono incapace di creare soggetti per film secondo i desideri di qualcun altro...

- Davvero le riesce di evitare ogni compromesso?
- Non penso di poter barcamenarmi con i compromessi o accettarne nei miei film. Per questo non fa differenza il luogo dove lavoro. Se qualcuno mi dà ordini so che non potrò portarli a termine, non riesco a ricavare niente da qualcosa che non sia un'idea mia. Incontro così naturalmente grossi ostacoli.- Suo padre, Arsenj Tarkovsky, è un poeta famoso in Russia, il suo mezzo di espressione, la poesia, é al di fuori del tempo, mentre il suo, lo schermo, è piú vulnerabile di fronte al passare degli anni. Che effetto le fa questa vicinanza con qualcuno che ha lo stesso nome?- Nessuno. Perché sono d'accordo con lei: in arte non c'è distinzione tra rami inferiori e rami superiori, l'unica cosa che importa è la qualità. C'è buona e cattiva poesia, come ci sono buoni e cattivi films...
- Mi sembra che lei lavori con i simboli. In Solaris il protagonista torna alla casa paterna sotto la pioggia, una pioggia cosí forte che, entrando in casa, bagna suo padre. Questa pioggia vuole significare la casa, le memorie che sono state come cancellate via con l'acqua?- Il simbolismo e un meccanismo rischioso, e io gli sono ostile. Mi sembra che i simboli rendano un concetto piú angusto proprio col loro star lì per essere decifrati. Una rappresentazione artistica non può essere decifrata, come non lo può essere il mondo in cui viviamo. La pioggia in Solaris non è un simbolo, è proprio pioggia, che acquista maggiore importanza per il protagonista in quel momento particolare. Non simboleggia niente, esprime qualcosa. La pioggia è una rappresentazione artistica. Il concetto di "simbolo” porta troppa confusione per i miei gusti.
- Quali sono i suoi piani per il futuro immediato? Resterá in occidente per il momento?
- Sì, ma non so dove. Mi preparo al mio nuovo film, adesso. Farò un film su Amleto. L’Accademia del film svedese, la stessa che ha finanziato Bergman, sta mettendo insieme i soldi.
- Significa che lei andrà in Svezia?
- Non necessariamente: il mio sogno è solo di fare un film su Amleto.
- Sa già come affronterà l'argomento?
- In linea generale, ma non vorrei parlarne. E’ troppo presto. Soprattutto voglio fare questo film, poi forse un altro. Devo ancora scrivere la sceneggiatura per Amleto, per questo resterò in occidente almeno tre anni.
- Senza mai tornare in URSS?- No. Voglio finire il mio Amleto prima di tornarci.
- Lo girerà in inglese?
- Dovrà essere in inglese.
- Ha già pensato a qualche attore in particolare ?
- No, non ci ho ancora pensato.
- E perché proprio un film su Amleto?
- Perché Amleto si occupa del principale di tutti i problemi, la questione piú incalzante e decisiva, dalla cui risposta dipende se l'umanità debba sopravvivere o suicidarsi. Devo trovare il mio personale approccio al soggetto, una forma diversa, un diverso tipo di dramma.


Questa intervista, realizzata subito dopo la fine di “Nostalghia”, fu pubblicata in Italia dal mensile “Frigidaire”: ed è ben strano, perché – come forse qualcuno si ricorda – “Frigidaire” era una rivista di fumetti alternativi (vi pubblicavano Pazienza, Scozzari, Liberatore, e tanti altri) e di collocazione politica e filosofica piuttosto lontani dal cinema di Tarkovskij; eppure queste cose avvenivano normalmente, negli anni ’70 e ’80. Alla redazione di “Frigidaire” si accorsero di avere tra le mani qualcosa di interessante, e lo pubblicarono: tutto qui, e può sembrare strano solo in tempi come quelli che stiamo vivendo oggi, in cui la scuola tutta berlusconiana della pubblicità e del marketing ha insegnato a privilegiare altri valori e a disprezzare la qualità rispetto all’audience. Il testo viene da antiche fotocopie, e per questo non so datarlo con precisione; lo pubblico solo in parte perché penso che ci sia ancora qualche copyright da rispettare, e spero che l’intervista venga presto rimessa in commercio così da essere liberamente consultabile.
Per commentare il testo, ho scelto i volti delle donne che si vedono nei film di Andrej Tarkovskij: penso che esprimano meglio delle parole il suo vero pensiero.
(Le immagini di questo post vengono tutte da "Lo specchio")

2 commenti:

giacy.nta ha detto...

Letta tutta d'un fiato...
Si sta benissimo qui.
Ti ringrazio!

p.s.

"credo che uno sviluppo spirituale non avrebbe reso gli uomini cosí squilibrati come ha fatto quello intellettuale, perché la spiritualità include l'idea di armonia"

L'ho sempre pensato anch'io

Giuliano ha detto...

Peccato che poi il film su Amleto non lo abbia fatto! Come diceva Gadda, Amleto non è affatto tormentato dal dubbio: sa benissimo cosa deve fare, ma sa anche cosa succederebbe se cominciasse ad agire.