martedì 19 ottobre 2010

Sacrificio ( XI )

Offret (Sacrificio, 1986). Scritto e diretto da Andrej Tarkovskij. Fotografia: Sven Nykvist. Musica: Johann Sebastian Bach (“Erbarme dich” dalla Passione secondo Matteo, e il Preludio BWV 539), musica strumentale giapponese (flauto Shuso Watazumido), richiami tradizionali dei pastori svedesi. Montaggio: Andrej Tarkovskij, Michal Leszczylowski. Scene costumi: Anna Asp, Inger Pehrsson. Interpreti: Erland Josephson (Alexander), Tommy Kjellquist (il bambino), Gudrun Gisladottir (Maria), Allan Edwall (Otto), Susan Fleetwood (Adelaide), Valérie Mairesse (Julia), Sven Wollter (Viktor), Filippa Franzen (Marta), Per Kàllman e Tommy Nordhal (infermieri). Durata: 145 minuti.
Sulle note del flauto, in dissolvenza, lasciamo Maria che torna a casa; ritroviamo Alexander nella sua stanza, a letto. La stanza d’albergo di Nostalghia rifatta qui quasi uguale, ma senza le finestre sullo sfondo; ce ne è una, ma laterale.
Alexander non si è ancora reso conto di cosa è successo.
Arriva Otto e chiede il permesso di entrare.
Otto: (indica la parete) : Cos’è quello?
Alexander: Che cosa?
Otto: Quelle figure, là sul muro: che cosa sono? Non riesco a distinguerle, c’è sopra quel vetro e sono terribilmente scure...
Alexander: E’ l’Adorazione dei Magi, di Leonardo. Una riproduzione, si capisce.
Otto: Lo trovo terribilmente sinistro.... ho sempre provato un gran terrore davanti a Leonardo.


Questo è un passaggio affascinante ma oscuro: “preferisco Piero della Francesca”, dirà più avanti Otto, tornando sull’argomento. L’Adorazione dei Magi, cioè l’Epifania, la manifestazione della divinità ma anche la Befana – quindi una festa che ha visto sovrapporsi stregoneria e sciamanesimo a temi sacri, l’antica religione e quella nuova: la semplice presenza di questo dipinto di Leonardo può servire come punto di partenza per mille riflessioni. La "confusione" fra il cristianesimo e l’animismo-paganesimo, quindi fra i riti ancestrali e quelli moderni, è uno dei temi portanti nell’opera di Tarkovskij: una delle sue sequenze più belle in assoluto, in “Andrej Rubliov” (1966), è appunto l’incontro del monaco Andrej con una festa pagana.
Sull’Epifania come manifestazione della divinità (che è il significato letterale della parola) ha scritto pagine molto belle monsignor Ravasi, ma questo tema porterebbe via molto spazio e preferisco tornare al film.

Siamo a 49’ circa dall’inizio, e davanti al Leonardo sembra di assistere una replica in breve della scena del casolare di “Nostalghia”: ma stavolta i “matti” sono due, e non c’è nessun poeta in esilio. Otto non è Domenico, e Alexander non è il poeta di Nostalghia: siamo piuttosto dalle parti del “Re Lear” di Shakespeare, il vecchio Re in disarmo e il suo buffone, l’unico che è disposto a capirlo e a stargli vicino, il matto e il Re soli nella tempesta.
Lear: Dost thou call me fool, boy?
Fool: All thy other titles thou hast given away, that thou wast born with.
(William Shakespeare, Re Lear, atto primo scena quarta)
Un altro rimando shakespeariano è certamente da vedersi anche in “La Tempesta”, per via dell’isola, delle voci, degli spiriti, della magia...

Quando Otto si allontana, Alexander vede la sua immagine riflessa che si sovrappone all’Adorazione dei Magi. Poi ferma il nastro con la musica del flauto, e scende.
Di sotto la tv accesa dà la notizia. Forse è un capo di Stato che parla, ha la voce affranta, chiede “ordine contro questo caos” e buon senso; una base missilistica, testate nucleari, “conseguenze molto tragiche”, “ognuno di voi deve restare dove si trova”, “siamo stati costretti”, uno scenario molto simile a quello descritto da Kubrick nel “dottor Stranamore”, ma qui non c’è spazio per il buonumore, tutti ascoltano la tv impietriti.
Solo Alexander non ha ancora capito cos’è successo, si aspetterebbe la cena come tutte le sere; ma ben presto si rende conto dell’accaduto.
“Tutto sotto controllo militare, per la vostra sicurezza” dice ancora la voce in tv; poi finiscono di colpo le trasmissioni.
Qui ha inizio la crisi di Adelaide, e qui c’è un’altra battuta “strana”, da parte di Alexander. La battuta che non ci si aspetterebbe: « Tutta la vita ho aspettato questo...»
Otto si accorge che Adelaide non sta bene e fa per accostarla, ma Adelaide lo respinge con spavento: - Non mi toccare!
E scappa via, buttandosi poi per terra: «Voi uomini, perché non fate qualcosa? Fate qualcosa!»
Follia e disperazione, una scena simile a quella di Marisa Berenson in “Barry Lyndon” ma molto più lunga e disperata. Viktor si avvicina ad Adelaide, l’abbraccia; Marta si dimostra anche un’ottima infermiera, preparando la siringa per l’iniezione con il tranquillante (forse era già lì per quello?).
Droghe e alcool contro l’angoscia sono il soggetto di questa scena: il medico Viktor inietta un tranquillante alle due donne, Alexander preferisce il liquore.
- E’ proprio necessario? – chiede Julia davanti all’iniezione.
- Dopo tutto sarà più facile – le risponde Viktor
Alexander è nella stanza, ma sta in disparte e non interviene: eppure è sua moglie quella che sta male. E’ invece Viktor a occuparsi di tutto, va anche al piano di sopra dal bambino. Alexander, sempre in disparte, parla con Otto e gli offre del liquore che Otto rifiuta (“magari più tardi”), poi esce nella notte. Otto verifica il telefono: “non funziona più, è morto”.

Passa del tempo. Adelaide si risveglia lentamente.
Adelaide: Mio Dio, perché facciamo sempre il contrario di quello che vogliamo? Io ho amato solo un uomo, e ne ho sposato un altro...perché? (...)Otto le offre da bere, lei rifiuta ma con cortesia e simpatia, atteggiamento ben diverso da quello mostrato precedentemente. Poi continua:
Adelaide: Ora forse ho capito...semplicemente, non vogliamo dipendere da nessun altro. Quando due persone si amano, non lo fanno allo stesso modo; ce ne è una che è più forte e una che è più debole, e quella più debole è sempre quella che ama senza calcolo, senza riserve.(continua)

11 commenti:

Marisa ha detto...

L'Adorazione dei Magi di Leonardo era già apparsa all'inizio, addirittura nei titoli del film, mi pare, ed ora è posta al centro: Otto la trova inquietante e dice di preferire Piero Della Francesca, che a sua volta, col "La Madonna del parto" aveva aperto "Nostalghia". Certo la solidità volumetrica e terrena di Piero rassicura, mentre con lo sfumato di Leonardo siamo più vicini all'Angelo di Rilke e alla sua affermazione che "Il bello non è che il tremendo al suo inzio", perchè accenna ad un senso del mistero che trascenderà sempre ogni possibile comprensione razionale.
Epifania=manifestazione. Qui il divino si manifesta come il Bambino, il "nuovo" davanti al quale si inchina e rende omaggio il "vecchio" impersonato da Magi. E come sono vecchi questi di Leonardo! I doni che portano sono altamente simbolici: oro, simbolo della regalità, ma soprattutto la pura Luce divina che scende e si diffonde irradiando nel creato (vedi il commento di Candida sulle icone),incenso che invece sale dalla terra al cielo come quintessenza della preghiera e devozione umana, mirra come accenno all'amarezza e al dolore del sacrificio inevitabile alla trasformazione...
E che cos'è la Befana se non la "vecchia" che porta i doni ai bambini e poi deve essere bruciata, cioè sacrificata perchè il nuovo cresca? Che l'epifania sia posta all'inizio dell'anno completa il ciclo del passaggio dall'anno vecchio al nuovo iniziato col "Natale" appunto, Solstizio d'inverno che è sempre stato al centro di riti.

Giuliano ha detto...

Ecco, ai "roghi" di fine inverno, la "giubiana" e cose simili (ogni paese gli dà un nome diverso) non avevo ancora pensato.
Forse perché è un rito che non mi piace, quelle colonne alte di fuoco mi sono sembrate molto lugubri e pericolose, fin da quand'ero bambino non ho mai capito cosa ci trovassero di bello e di divertente, mi evocavano immagini di pericolo e di spreco.
Poi, da adulto, ho letto e mi sono informato di quello che ne dicevano De Martino, Zolla, quelli che avevano studiato questi riti, e ho capito il significato; ma ancora oggi le colonne di fuoco mi fanno solo spavento.

Questo è proprio il finale del film, e hai fatto bene a sottolineare questo punto.

Marisa ha detto...

Mi fermerei un attimo su due immagini del post: quelle in cui il volto di Alexander viene riflesso: prima dal vetro del quadro e poi da uno specchio vicino ad un apparecchio che sembra una radio, perchè, come hai notato, questo del rispecchiamento è uno dei motivi ricorrenti e dominanti in Tarkovskij, non solo nel film che ne porta persino il nome ("Lo specchio), ma già da "L'infanzia di Ivan", che si apre col sogno in cui il volto della madre appare riflesso nell'acqua.
La conoscenza attraverso il rispecchiamento e la riflessione è fondamentale per lo sviluppo della coscienza e chiama in causa ricordi, sogni e riflessioni... (guarda caso questo è proprio il titolo dell'autobiogrfia di Jung)
Attraverso il vetro del quadro mi sembra di vedere come Alexander cominci a sovrapporsi al "bambino" in braccio alla Madre in modo ancora confuso e premonitore, mentre nello specchio vicino all'apparecchio vediamo un volto molto teso e preoccupato, un volto adulto sconvolto dalla paura.

Adelaide. Vedi che a volte le "crisi isteriche" fanno bene? Dopo la terapia ( sedazione e abbraccio di Victor) è non solo molto più calma, ma mostra un livello di coscienza più maturo e meno egocentrico. Comincia a dirsi qualche verità...

Marta. Mostra la sua vera funzione. E' proprio come la Marta del Vangelo: solerte, attenta ai bisogni di tutti, molto efficiente sul piano pratico.

Giuliano ha detto...

E' un registratore a nastri, di quelli belli, professionali...
:-)
Oggi sembra obsoleto, lo so: ma erano apparecchi da sogno, all'epoca del film.

Questa scena è molto simile a quella di Nostalghia, quando il volto di Josephson è riflesso nello specchio dell'armadio (ma è Jankovskij che vi si specchia...).

Sugli specchi in Tarkovskij c'è materiale per un anno! E' una delle idee per quando avrò finito con "Sacrificio". (Idem per i libri d'arte)

Giuliano ha detto...

Su Tarkovskij ha messo un bel filmato anche l'amico (o amica?) Snaporaz, il link è qui a fianco. Però nel titolo c'era scritto solo A.T., forse vi è sfuggito.

Chiedo scusa a Snaporaz se non metto bene i link e i commenti, ma io non sono molto bravo con internet, tante cose le devo ancora imparare: il suo sito è molto bello, da vedere.

Marisa ha detto...

Perchè ti sembra una battuta strana quella di Alexander."tutta la vita ho aspettato questo?
Se ci pensi bene proprio a questo Tarkovskij ci aveva preparato. Nel colloquio iniziale tra Alexander ed Otto Si parla di come in fondo si passa tutta la vita in attesa di qualcosa...ed è Otto che, come uno psicoanalista, induce Alexander ad ammetterlo ( perchè sei tetro? è come se aspettassi sempre qualcosa...) e poi confessa che anche per lui è così: ha vissuto tutta la vita in fondo come in una sala d'aspetto di una stazione ferroviaria...
La situazione è simile al Beckett di "aspettando Godot", che so essere un tuo cavallo di battaglia, solo che la profonda religiosità di Tarkovskij qui saprà trovare una soluzione e, soprattutto, riconoscere il momento quando arriva veramente.

Giuliano ha detto...

E' vero, è una battuta molto beckettiana e non ci avevo pensato, perché qui il contesto è molto diverso (siamo dentro a qualcosa che somiglia a Cechov, per arredi e costumi... Con la scenografia di Stalker era più facile arrivarci).
Mi sembra strana perché, a questo punto, è come se Alexander avesse aspettato per tutta la sua vita la fine, la catastrofe, la distruzione. Forse è un concetto molto orientale anche questo, cercare il termine della ruota delle trasformazioni.

Marisa ha detto...

Sì, gli orientali sono più allenati ed attenti di noi per quel che riguarda l'attesa e il destino. Noi siamo ansiosi, abbiamo sempre paura che "qualcosa di male possa accadere" e prendiamo mille stupide precauzioni per esorcizzare e paralizzare la vita. Tutta la frenesia occidentale è mossa da una continua agitazione: il bisogno di "fare sempre qualcosa" pur che "niente cambi varamente"...Pensa all'attuale frenesia perchè non venga la vecchiaia, la morte...
In oriente l'attesa è la calma consapevolezza del Karma che deve compiersi e della ruota della vita che deve girare e si può aspettare seduti a meditare, cercando di intervenire il meno possibile, per non ostacolare e danneggiare troppo la vita con le nostre inconsulte iniziative egoistiche. Anche nei nostri monasteri il ritmo tra preghiera e lavoro ( Maria e Marta) era scandito con armonia, ma soprattutto il lavoro, il fare era un fare non egoistico, ma a vantaggio di tutta la comunità.
Tarkovskij si è espresso molto chiaramente in questo senso.

Giuliano ha detto...

Penso che Tarkovskij descriva proprio quest'ansia di cui parli, e che è evidente in tutta la sua opera: in Stalker è uno dei temi principali.
Abbiamo perso le nostre millenarie certezze, e oggi giriamo spesso a vuoto: pensa al matrimonio, che senso ha oggi? Per secoli, dietro al matrimonio c'era anche una casa, un lavoro da mandare avanti. Oggi siamo del tutto spaesati, che senso ha oggi un matrimonio? E' una delle domande che non vogliamo porci, ed è anche la domanda che si pongono i protagonisti di "Sacrificio".

Snaporaz ha detto...

Tarkomentary: http://snaporaz.posterous.com/2010-05-05-about-at

Giuliano ha detto...

Tarkovskij in documentario http://snaporaz.posterous.com/2010-05-05-about-at

Thank you Snaporaz!