Offret (Sacrificio, 1986). Scritto e diretto da Andrej Tarkovskij. Fotografia: Sven Nykvist. Musica: Johann Sebastian Bach (“Erbarme dich” dalla Passione secondo Matteo, e il Preludio BWV 539), musica strumentale giapponese (flauto Shuso Watazumido), richiami tradizionali dei pastori svedesi. Montaggio: Andrej Tarkovskij, Michal Leszczylowski. Scene costumi: Anna Asp, Inger Pehrsson.
Interpreti: Erland Josephson (Alexander), Tommy Kjellquist (il bambino), Gudrun Gisladottir (Maria), Allan Edwall (Otto), Susan Fleetwood (Adelaide), Valérie Mairesse (Julia), Sven Wollter (Viktor), Filippa Franzen (Marta), Per Kàllman e Tommy Nordhal (infermieri). Durata: 145 minuti.
All’inizio del film vediamo un uomo e un bambino intenti a piantare un albero. A prima vista si direbbe che l’uomo è il nonno del bambino, ma non è così: sono padre e figlio.
Per spiegare chi sono e cosa sta succedendo forse è meglio dare la parola a Tarkovskij stesso, che ha scritto per esteso tutto il soggetto (come già fece per “Andrej Rubliov”, edito in volume da Garzanti), facendo però alcune piccole modifiche nel momento di girare il film.
Il racconto fu pubblicato dal Corriere della Sera poco dopo la scomparsa di Tarkovskij, nel 1987; non so se sia mai stato pubblicato in volume. L’uomo, che si chiama Alexander ed è interpretato da Erland Josephson, è uno scrittore che è stato un grande attore di teatro; il bambino è suo figlio, un bambino giunto quando più non lo si aspettava e amatissimo dal padre. Nel racconto il bambino è chiamato “piccolo”, nel film “ometto”, non so bene quale sia la parola russa scelta da Tarkovskij ma è certamente un vezzeggiativo di quelli che si usano spesso con i bambini; e c’è sicuramente molto altro significato nell’indicare come “piccolo uomo” questo bambino. Un bambino che, per il momento, non può parlare: ha appena subìto un’operazione alla gola. Ma non c’è da preoccuparsi, il decorso post operatorio sta andando molto bene. E’ suo padre che parla, e gli racconta una storia.
La passeggiata
di Andrej Tarkovskij, dal Corriere della sera 21.1.1987Il signor Alexander, abbracciato a Piccolo che gli si era sistemato sulle ginocchia, sedeva sul ciglio di un dirupo roccioso non lontano da dove la strada faceva una curva. Sotto i loro piedi, come uno specchio velato, si stendeva immobile l'acqua del golfo. Piccolo aveva appena subito una lieve operazione alle corde vocali e i medici gli avevano proibito di parlare. Il collo strettamente bendato gli conferiva un'aria molto infelice.
Il padre continuava un racconto evidentemente iniziato durante la passeggiata:
«Sicché io e mamma siamo scesi dalla macchina proprio qui, - si guardò attorno - sì, proprio qui vicino. E ci siamo avviati a piedi. Per farla breve, ci eravamo persi. Poi cominciò a piovere: quella pioggia minuta, sai, uggiosa, autunnale. Che ti guasta l'umore, ti fa litigare per niente. Arrivammo alla curva, laggiù, dove c'è quel pino storto; e proprio in quel momento apparve il sole, la pioggerella cessò e come s'illuminò ogni cosa! E all'improvviso provai una tale pena di non essere io, intendo io e tua madre, di non essere noi ad abitare in quella casa, lì, sotto i pini! Perché meglio di quel posto non c'era niente, non ci poteva essere niente. Era così bello! E sembrava che a vivere lì si potesse restare felici, senza desiderare altro, fino alla morte ... ».
Piccolo lanciò un'occhiata a suo padre.
«Cosa c'è? Ma no, non aver paura! Non aver paura, bambino! La morte non esiste. C'è la paura della morte, è vero, ed è anche una faccenda motto brutta e vergognosa, che spesso induce molti a fare cose che non dovrebbero fare... Ma pensa come tutto sarebbe diverso se smettessimo di temere la morte, eh? O meglio, di temere la paura della morte? Anche se gli scienziati ritengono che questa paura sia necessaria. Come mezzo di difesa, o qualcosa del genere... Beh, come il dolore fisico, che ci avverte del pericolo. Non credo, non sono d'accordo... Benché né i bambini né i pazzi temano la morte, come ebbe a dire Seneca. A proposito, la conclusione dei suo pensiero non è affatto male: “E vergogna a coloro che la ragione non rende altrettanto sereni” . Come i bambini, intendeva».
Piccolo tirò suo padre per la manica.
«Ah... sì, mi sono un po' distratto. Beh, tua madre e io stavamo dunque lì storditi da tanta bellezza e non potevamo strapparcene... il silenzio, la pace di quel luogo! Sapevamo ormai che quella casa era stata creata proprio per noi. Sicché... Poi venimmo a sapere che era in vendita. La casa era piuttosto malandata e non costava molto. E su due piedi decidemmo di comprarla, senza pensarci un solo istante. Di fronte ai miracoli... E tu sei nato qui. Ami questa casa? Ami la tua casa, figlio?»
Piccolo assentì con aria d'importanza. Poi si alzò e si portò al margine opposto della piazzuola. In basso riluceva fiocamente la superficie caliginosa del golfo. C'era silenzio e l'aria immota sembrava aver congelato il movimento degli alberi e delle rare nuvole nebbiose all'orizzonte.
Il signor Alexander si alzò a sua volta e, raccolto da terra un ramo secco e contorto, ne conficcò la grossa estremità in una fessura della roccia.
«Bello, vero?», disse rivolto al figlio. «Un ikebana! Magari come ikebana un po' troppo grande ... ».
Piccolo si avvicinò, si sedette sul talloni e cominciò a consolidare il ramo secco nella fessura con l'aiuto di sassi e zolle di terra. L'esile tronco nodoso sullo sfondo del mare luccicante nella nebbia era effettivamente molto bello. Piccolo sorrise.
«Sai, una volta, era molto tempo fa, il priore di un monastero - si chiamava Pamve - conficcò allo stesso modo un albero secco nella roccia e ordinò a un suo discepolo, il monaco Ioann Kolov, il monastero era ortodosso, gli ordinò dunque di annaffiare ogni giorno quell'albero finché non fosse tornato in vita».
Il signor Alexander sembrava molto serio.
«E per molti anni, ogni giorno, alla mattina, Ioann riempiva un secchio d'acqua e si metteva in cammino. Per portare sulla montagna il secchio d'acqua ci voleva tutto il giorno, dall'alba al tramonto. Ogni mattina Ioann si incamminava verso la montagna col suo secchio d'acqua, annaffiava quel tronco senza vita e la sera, già col buio, rientrava al monastero. E questo per tre anni interi. Finché un bel giorno andò come sempre sulla montagna e cosa vide? Il suo albero tutto ricoperto di fiori! ... ».
(Inizio di “Sacrificio” nel racconto di Andrej Tarkovskij, dal Corriere della sera 21.1.1987) (traduzione di Sergio Rapetti)
(fotografia da "Scolpire il tempo" di Andrej Tarkovskij, ed. UbuLibri)
4 commenti:
E qui Tarcovskij introduce due elementi importanti: l'alberello morto e la casa comprata per amore, che si era rivelata come una improvvisa illuminazione dopo un lungo vagabondaggio con la paura di "essersi persi", casa dove è nato il figlio amatissimo, il figlio dell'età matura, come Isacco per Abramo.
Temi, come vediamo, non casuali. L'alberello morto viene piantato mentre Alexander racconta al figlio l'episodio (mi verrebbe da dire Zen) del monaco che rimane fedele alla consegna del Maestro e ci porta nel cuore di una azione apparentemente assurda e stupida (secondo i canoni del pensiero razionale ed efficientistico tipico dell'occidente), ma che rivela la sua fecondità solo dopo tre anni di "fedeltà" alla parola del Maestro.
Sì, è un episodio che verrebbe da dire zen, o d'ambito buddista: invece è un monaco cristiano, ortodosso. Nel ricordo questo episodio lo rimuoviamo sempre, forse perché non siamo più abituati ad associare il cristianesimo a questi episodi. Eppure sono parte del Vangelo...Forse in ambito ortodosso sono stati più attenti, noi cattolici (per tacere dei protestanti) abbiamo completamente rimosso questo aspetto della nostra religione, che è rimasto solo nell'aspetto "basso" e quasi superstizioso della religiosità popolare.
(grazie per la cassetta!)
Vorrei sottolineare come la scelta di Erland Josephson come protagonista di "Sacrificio" dà già delle indicazioni precise sulle intenzioni di Tarcovskij e ci aiuta a leggerne la complessità. Questo formidabile attore era Domenico nel film percedente, Nostalghia, e questo va tenuto presente.
In "Nostalghia" il protagonista Gorchakov(il poeta) incontra il folle, il Visionario Domenico e in un sogno lo riconosce come suo "alter-ego", ma pur con questo riconoscimento i due aspetti della personalità rimangono separati. Qui, in Sacrificio, il fatto che il ruolo del protagonista sia stato affidato a Josephson indica, secondo me, che la scissione non esiste più e la sintesi tra parte razionale e parte "folle" è conclusa e il protagonista può agire con la piena consapevolezza di tutta la personalità.
Sì, ed è un peccato che non esista il dvd ufficiale di questo film: il doppiaggio italiano non è male, ma ascoltare la vera voce di Josephson e di Edwall sarebbe importante.
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