mercoledì 27 ottobre 2010

Moby Dick: il carpentiere

MOBY DICK (1956) Regia: John Huston. Tratto dal romanzo “Moby Dick, or the Whale” di Herman Melville. Sceneggiatura: Ray Bradbury, John Huston. Fotografia: Oswald Morris. Effetti speciali: Gus Lohman e Cecil Ford, Ralph Briont per la balena. Scenografia: Ralph Brinton, Hilda Fox. Costumi: Elizabeth Haffenden. Musica: Philip Stainton. Consigliere tecnico per la caccia alla balena: Robert Clarke. Interpreti: Gregory Peck (capitano Achab), Orson Welles (padre Mapple), Richard Basehart (Ismaele), Friedrich von Ledebur (Queequeg), Leo Genn (Starbuck), Harry Andrews (Stubb), Seamus Kelly (Flask), Tom Clegg (Tashtego), Edric Connor (Daggoo), Noel Purcel (il carpentiere), Bernard Miles (l'uomo di Man), Mervyn Johns (Peleg), Philip Stainton (Bildad), Joseph Tomelty (Peter Coffin), Royal Dano (Elia), Tamba Alleney (Pip), James Robertson Justice (il capitano Boomer), Francis De Wolff (il capitano Gardiner), Ted Howard (Blacksmith). Durata: 116'.
“Moby Dick” non è solo la storia del capitano Achab e della balena bianca: i personaggi sono molti, e sarebbe un errore considerarli come secondari. Melville “infligge” ai suoi lettori molti e lunghissimi capitoli sulla vita di bordo, su lavoro quotidiano dei marinai e sulle loro singole persone, con descrizioni così vive e precise che sembra di averli davanti e di poterci parlare, marinai e ufficiali del Pequod. Non sono capitoli messi lì per caso, o per allungare la narrazione: sono capitoli fondamentali, e chi li salta per arrivare subito alla fine non capirà mai “Moby Dick”. Anche la nostra vita è fatta così, lunghi periodi in cui sembra non accadere nulla, e poi d’improvviso appare la Balena.
Quelli dedicati al lavoro sono i capitoli di “Moby Dick” che leggo più volentieri, e che ho più volte riletto in questi lunghi anni.
Nel suo film del 1956, John Huston tiene conto di questa caratteristica del libro di Herman Melville e, pur nei limiti di tempo a cui è costretto dalla forma cinematografica, dà ampio spazio a marinai e ufficiali del Pequod, e al loro lavoro quotidiano. I due che seguiamo di più sono Ismaele, narratore della storia, e il suo amico Queequeg; ma i personaggi importanti sono molti e provo a darne conto qui.
Comincio dal carpentiere, per il quale Huston ha scelto un attore dalla faccia che non si dimentica: una scelta perfetta. Lo vediamo fin dall’inizio, nella taverna, ancora prima di sapere chi è e cosa farà nel film. (l’attore si chiama Noel Purcell, irlandese, 1900-1985, moltissimi film all'attivo).
Melville descrive il carpentiere del Pequod nel capitolo CVII del libro; poco prima spiega il motivo della lunga e misteriosa assenza di Achab all’inizio del libro: la gamba d’avorio si era spezzata, provocandogli una ferita come quella di Amfortas (nel Parsifal) che però si poteva guarire, senza l’aiuto del Graal ma con molta pazienza.
Giunti a questo punto del libro, ormai in vista del combattimento finale, la protesi di Achab ha bisogno di essere rifatta; e Achab si rivolge al suo carpentiere.
Moby Dick, cap.CVI – La gamba di Achab
(...) Ma comunque stiano le cose, e sia o no che l'invisibile e ambiguo sinodo dell'aria o i vendicativi principi e potentati del fuoco abbiano avuto a che fare con l'uomo Achab, a ogni buon conto egli ricorse a solidi mezzi pratici per risolvere il problema presente della gamba: chiamò il carpentiere..
E quando quel funzionario gli fu davanti, gli ordinò di mettersi senza perdere tempo a fare un'altra gamba, e incaricò gli ufficiali di fornirgli tutte le travi e i perni di avorio mascellare (di capodoglio) che finora erano stati accumulati nel viaggio: tra questi si doveva scegliere accuratamente il materiale più robusto e più fine. Fatto questo, il carpentiere ebbe l'ordine di ultimare la gamba quella stessa notte, e di provvederne tutti gli accessori, senza curarsi di quelli appartenenti alla gamba screditata ancora in uso. Inoltre si ordinò di portare fuori in coperta, dal suo ozio temporaneo nella stiva, la fucina di bordo, e per affrettare la cosa, fu comandato al fabbro di cominciare subito a fucinare gli aggeggi in ferro che potevano servire.

Moby Dick, cap.CVII - Il carpentiere
Siedi come un sultano fra le lune di Saturno, e prendi l'uomo da solo, con molta astrazione: ti sembrerà un prodigio, una magnificenza, una sciagura. Ma, sempre da lassù, prendi l'umanità in massa, e ti sembrerà per lo più una marmaglia di duplicati superflui, sia contemporanei che ereditari. Ma umilissimo com'era, e ben lontano dal fornire un esempio di alta astrazione umana, il carpentiere del Pequod non era un duplicato: e perciò si avanza in persona su questa scena.
Come tutti i carpentieri di mare, e più specialmente quelli che appartengono a navi baleniere, egli era ugualmente versato, in certo qual modo empirico e spontaneo, in parecchi mestieri e arti collaterali alla sua; perchè il carpentiere persegue l'antico e ramoso tronco di tutte quelle numerose arti che hanno più o meno a che fare col legno come materiale ausiliario. Ma oltre a essere acconcio esempio di questa osservazione generica, questo carpentiere del Pequod era straordinariamente bravo in quelle mille bisogne meccaniche e senza nome, che saltano fuori di continuo su una grossa nave, in un viaggio di tre o quattro anni su mari incivili e remoti. Per non parlare della sua abilità nelle mansioni ordinarie, come riparare lance sfondate e pezzi spaccati d'alberatura, ridare forma alle pale di remi mal forgiati, inserire nel ponte occhi di bue o nuove caviglie nelle tavole laterali, e altri svariati lavori più direttamente connessi alla sua specialità, egli era inoltre decisamente esperto a imbastire ogni sorta di aggeggi, i più diversi e contrari, sia utili che capricciosi.
L'unica grande scena su cui recitava tante diverse parti era il suo banco da lavoro: un lungo tavolo rozzo e pesante fornito di varie morse di grandezze diverse, di ferro e di legno. Sempre, tranne quando c'eran balene alle fiancate, questo banco era saldamente legato per traverso contro il dorso della raffineria.
C'è una caviglia di manovra troppo grossa per entrare facilmente nel suo buco? Il mastro d'ascia la caccia in una delle sue morse sempre pronte, e in un baleno te la lima. Un uccello di terra dalle piume curiose sbatte sperduto sul ponte e viene acchiappato? Con ben limate bacchette d'osso di balena franca e traversini d'avorio di capodoglio, il mastro gli fa una gabbia che pare una pagoda. Un rematore si sloga un polso: il carpentiere gli intruglia una lozione lenitiva. Stubb aveva una gran voglia di avere stelle vermiglie pitturate sulla pala di tutti i suoi remi: quello gli avvita i remi nella gran morsa di legno, e con bella simmetria gli fornisce la costellazione. Viene il capriccio a qualcuno di portare orecchini d'osso di pescecane: il maestro gli buca le orecchie. Un altro ha il mal di denti: quello tira fuori le tenaglie, e sbattendo una mano sul banco gli ordina di mettersi seduto; ma il poveraccio scalcia in modo incontrollabile nel bel mezzo dell'operazione: allora il carpentiere gira il manico della morsa di legno, e gli dice di ficcarci dentro la mascella, se vuole che gli cavi il dente.
Così questo carpentiere sapeva fare di tutto, ed era indifferente e privo di rispetto per tutto. I denti li considerava pezzetti d'avorio; le teste, nient'altro che bozzelli di gabbia; e gli uomini stessi li prendeva sottogamba, come argani. Ma l'essere così versatile in un campo così vasto, dimostrando perfino un suo talento vivace, poteva far pensare che in costui ci fosse un'intelligenza non comune. Invece non era esattamente così. Che anzi per nulla quest'uomo spiccava di più che per una certa, come dire, ottusità impersonale; e dico impersonale perchè essa sfumava talmente nell'infinità delle cose attorno, da sembrare parte di quell'ottusità generale che ravvisiamo in tutto il mondo visibile, il mondo che agisce senza pace in modi innumerevoli eppure continua in eterno a restare impassibile, e vi ignora anche se scavate fondamenta di cattedrali. Eppure questa sua ottusità quasi orrida, che implicava anche, era chiaro, una infinita mancanza di cuore, quest'ottusità era a volte stranamente screziata d'un vecchio e asmatico senso d'arguzia, zoppicante e antidiluviano, non privo ogni tanto di una certa bigia spiritosaggine, quale avrebbe potuto servire ad ammazzare il tempo durante il quarto notturno sul barbuto castello dell'arca di Noè. Era forse perchè quel vecchio carpentiere aveva vagabondato tutta la vita, e il suo lungo rollare non solo non gli aveva fatto crescere muschio addosso, ma gli aveva raschiato via anche le più piccole cose che potevano all'origine aderire al suo esterno? Quell'uomo era una nuda astrazione, un numero integrale senza frazioni; incompromesso come un neonato, viveva senza un premeditato rapporto con questo o quell'altro mondo. Avreste quasi potuto dire che la sua strana intransigenza implicava una sorta di idiozia, perchè nei suoi numerosi mestieri egli non pareva tanto lavorare di ragione o d'istinto, o semplicemente perchè vi era stato istruito, o per una qualsiasi mistura uguale o disuguale di tutte queste cose, ma semplicemente per una sorta di processo muto e sordo, spontaneo, letterale. Era un puro manipolatore; il suo cervello, se mai ne aveva avuto, doveva essergli fluito da gran tempo dentro i muscoli delle dita. Era come uno di quegli aggeggi di Sheffield, multum in parvo, irragionevoli ma sempre utilissimi, che assumono l'aspetto, sebbene un po' gonfiato, di un comune coltello da tasca, e invece contengono non solo lame di varia grandezza ma cacciaviti, cavaturaccioli, pinzette, lesine, penne, regoli, lime da unghie e scalpelli. Quindi, se ti superiori volevano usare il carpentiere come cacciavite, non avevano che da aprire quel suo lato e la vite era a posto; se come pinzette, bastava prenderlo per le gambe ed ecco fatto.
Ma come s'è accennato, questo carpentiere onnistrumentale, questo mastro d’ascia ad apri e chiudi, non era dopo tutto una mera macchina automatica. Se non aveva dentro un'anima ordinaria, aveva un sottile qualcosa che in qualche modo anomalo ne faceva le funzioni. Che cosa fosse, essenza di mercurio o qualche goccia di carbonato d’ammonio, nessuno può dirlo. Però c'era, e c’era stata per sessant'anni o più. Ed era proprio questo, questo suo inspiegabile e pronto principio vitale, era
questo che per la maggior parte del tempo lo faceva parlare da solo, ma come una semplice ruota irragionevole che anch’essa va parlando tra sè col suo ronzio. O meglio, il suo corpo era una garitta, e lui dentro di guardia, a fare un eterno soliloquio per tenersi sveglio.
Moby Dick, cap.CVIII - Achab e il carpentiere.
IL PONTE, PRIMO QUARTO DI NOTTE
(Il carpentiere è in piedi davanti al banco, e alla luce di due lanterne lima svelto il travicello d'avorio per la gamba incastrato nella morsa. Lastre d’avorio, cinghie di cuoio, cuscinetti, viti e vari strumenti di ogni genere sono sparsi sul banco. Verso prua si vede la fiamma rossa della fucina, dove il fabbro è al lavoro.)
«Maledetta la lima e maledetto l'osso! Questo che dovrebbe essere molle è duro, e quella che dovrebbe essere dura è tenera. E’ il destino di noi che limiamo vecchie tibie e mascelle. Proviamone un altro. Be', questo va meglio (starnuta) Oilà... questa polvere d'osso è boh! è (starnuta)... sì, è... (starnuta)... per l'anima, non mi lascia parlare! Ecco che ci busca un vecchio a lavorare su legno morto. Segate un albero vivo e non mangerete questa polvere; amputate un osso vivo e non ne mangerete (starnuta). Avanti, su, vecchia Rogna, qua, una mano, finiamola questa ghiera e questa vite per la fibbia: in un minuto ci sono. Fortuna ora (starnuta) che non c’è da fare una giuntura di ginocchio: sarebbe un po' complicato. Ma un semplice stinco, via, è come fare pertiche da luppolo; solo gli vorrei dare una buona rifinitura. Tempo ci vuole, tempo; se solo avessi tempo, gli potrei scodellare una gamba (starnuta) che meglio non s'è mai vista a fare inchini a una dama in un salotto. Quelle gambe e quei polpacci di capretto che ho visto nelle vetrine non sarebbero neanche da paragonare. S'inzuppano d'acqua, quelle, e prendono i reumatismi, è logico (starnuta), e allora bisogna curarle a forza di lavaggi e lozioni, come fossero gambe vere. Ecco fatto; e ora prima di segarla debbo chiamare Sua Grazia il vecchio Mogol e vedere se va bene di lunghezza; troppo corta, credo, se mai. Ah! sento il suo calcagno. Siamo fortunati. Eccolo che arriva, lui o qualcun altro, non c'è dubbio.»

Achab (facendosi avanti).
(Durante la scena che segue, il carpentiere continua a intervalli a starnutire.)
«Be', fabbricante di carne umana!»
«Proprio a buon punto, signore. Se il capitano permette, ora segno la lunghezza. Fatemi prendere la misura, signore.»
«Misurato per una gamba, eh? Be', non è la prima volta. Avanti: mettici un dito sopra. Bella morsa che hai, carpentiere; fammi sentire la stretta. Ecco, ecco: pìzzica mica male.»
«Rompe le ossa, capitano. Attenzione, attenzione!»
«Niente paura, mi piace una bella strizzata; mi piace in questo mondo viscido sentire qualcosa che tiene, vecchio mio. Che fa Prometeo lì in fondo? Il falegname, dico: che sta facendo?»
« Sta fucinando la vite per la fibbia, credo.»
« Ho capito. Siete in società: lui fornisce i muscoli. E che bella fiamma che fa! »
«Sissignore; per questi lavori di fino ha bisogno di calore bianco.»
«Eh, sicuro. Ora mi pare molto significativo che quel vecchio greco, Prometeo, che come dicono fece gli uomini, sia stato un fabbro e li abbia animati col fuoco. Perchè ciò che è fatto nel fuoco deve giustamente appartenere al fuoco, e così l'inferno è probabile. Come vola la fuliggine! Dev'essere l'avanzo col quale quel greco fece gli africani. Carpentiere, quando ha finito con la fibbia, digli di fare un paio di scapole d'acciaio; qui a bordo c'è un ambulante con un fardello che lo schiaccia. »
«Come, signore? »
«Aspetta: mentre che c'è, voglio ordinare a Prometeo un uomo completo, di un modello desiderabile. Prima di tutto alto cinquanta piedi senza scarpe; poi, cassa toracica modellata sulla Galleria del Tamigi; gambe con radici, per starsene fermo in un posto; braccia con tre piedi di polso; niente cuore, fronte di bronzo, e circa un quarto di jugero di ottimo cervello: e, vediamo, ordinerò degli occhi per vederci al di fuori? No, ci metto un osteriggio in cima alla testa, per illuminare l'interno. Ecco, prendi l'ordinazione e sbrigati.»
«Ma di che sta parlando e a chi, vorrei sapere. Debbo restare qui impalato?» (a parte)
« E’ architettura scadente fare una cupola cieca. Come questa mia. No, no, debbo metterci una lanterna. »
«Come, come? Si tratta di questo? Ne ho qui due di lanterne, signore; a me basta una sola.»
«Ehi, perchè mi cacci in faccia quell'acchiappaladri? Puntare una luce è peggio che puntare un paio di pistole.» «Pensavo, signore, che parlaste al carpentiere.»
«Al carpentiere? Ma allora... no, no. È un mestiere molto pulito e dirò estremamente signorile questo che fai, carpentiere; o preferisci lavorare l'argilla? »
«L'argilla, signore? L'argilla? Ma l'argilla è fango, e la lasciamo agli sterratori, signore.»
«Quest'uomo è un empio! Ma perchè starnuti?»
«L'osso è piuttosto polveroso, signore.»
«E allora capisci a volo; e quando crepi non seppellirti mai sotto il naso dei vivi.»
«Come? Oh! Ah! Ma sicuro. Sicuro! Questa è buona! »
«Sta' a sentire, carpentiere. Immagino che tu ti consideri un buon artigiano che lavora con ogni regola d'arte, no? Be', allora, confessa che non farà proprio onore alla tua opera se, quando mi metto questa gamba che fai, me ne dovessi sentire un'altra allo stesso identico posto: voglio dire, maestro, la vecchia gamba che ho perso, quella di carne e ossa. Non mi potresti sbarazzare di quel vecchio Adamo?»
«Sul serio, capitano, adesso comincio a capirci qualcosa. Sicuro, ho sentito cose curiose a questo proposito, signore: che un uomo disalberato non perde mai completamente il senso del suo tronco vecchio, anzi qualche volta lo sente ancora che gli prude. Posso domandare senza offesa se è proprio così, capitano?»
«È così, amico. Guarda, metti la tua gamba qui al posto dov'era la mia; così, ora, non c'è che una sola gamba visibile all'occhio, ma due alla mia anima. Dove tu senti formicolare la vita, lì, esattamente lì e non un millimetro più in lì, la sento anch'io. Ti pare un indovinello?»
«Io lo chiamerei umilmente un rompicapo, signore.»
«Allora senti. Come puoi sapere se qualche essere vivo, intero e pensante non si trovi, invisibile e autonomo, esattamente dove stai tu ora; sicuro, e ci si trovi tuo malgrado? Forse che nelle tue ore più solitarie non temi che qualcuno ti stia vicino a origliare? Aspetta, non rispondere! E se io sento ancora il bruciore della mia gamba stritolata, anche se ormai si è dissolta da tanto tempo perchè allora non puoi tu, carpentiere, sentire per sempre le pene ardenti dell'inferno, anche senza un corpo? Ah!»
«Dio ci liberi! Davvero, signore, se siamo a questo punto, debbo rifare i miei calcoli. Credo che ho dimenticato di riportare una piccola cifra, signore.»
«Attento. Gli stupidi non dovrebbero mai accettare delle premesse. Quanto ci vuole per finire la gamba?»
«Forse un'ora, capitano.»
«Dacci sotto, allora, e portamela. (si volta per andarsene.) Oh vita! Eccomi qua, superbo come un dio greco, eppure debitore a questo sciocco di un osso su cui reggermi! Maledetti questi reciproci debiti umani che non possono fare a meno di libri mastri. Vorrei essere libero come l'aria, e invece sono segnato nei registri di tutto il mondo. Sono così ricco, che avrei potuto controbattere ogni offerta dei Pretoriani più ricchi all'asta dell'impero romano, che era l'asta del mondo; eppure sono debitore anche della carne della lingua con cui mi vanto. Perdio! Prenderò un crogiolo e mi ci butterò dentro, per dissolvermi in una piccola concisa vertebra. Davvero.»
Il carpentiere (rimettendosi al lavoro).
«Bene, bene! Stubb lo conosce meglio di tutti, e Stubb dice sempre che è strambo; non dice altro che questa piccola adatta parola, strambo; è strambo, dice Stubb; è strambo, strambo, strambo, e continua a intronare le orecchie del signor Starbuck senza sosta: strambo, signore, strambo, strambissimo. Ed ecco la sua gamba! Sicuro, ora che ci penso, ecco la sua compagna dì letto: ha per moglie un pezzo di mascella di balena! Ed è la sua gamba: ci starà sopra. Cos'era quella storia, di un'unica gamba che sta in tre posti, e di tutti e tre i posti che stanno in un unico inferno... come diavolo era? Oh! Non mi meraviglia che mi guardasse con tanto disprezzo! Certe volte anch'io ho delle strane idee, dicono; ma è cosa soltanto casuale. E poi un vecchietto corto e piccolo come me non deve mai mettersi in testa di passare a guado acque profonde con certi capitani alti, che paiono aironi. L'acqua ti dà un buffetto sotto il mento in un battibaleno, tutti cominciano a gridare alle scialuppe di salvataggio. Ed ecco la gamba dell'airone! Lunga e snella, sicuro! Ora, per tanta gente un paio di gambe dura tutta una vita, e dev'essere perchè le usano con riguardo, come una vecchia signora dal cuore tenero usa i suoi vecchi e grassocci cavalli da tiro. Ma Achab, eh, quello è uno che va forte. Guarda un po', una gamba l'ha fatta fuori, l'altra l'ha storpiata per sempre, e ora consuma gambe d'osso a cataste: Ehi tu, Nerofumo, sbrigati con queste viti. Cerchiamo di finire prima che quello del Giudizio venga a chiamare con la tromba tutte le gambe, vere e false, come fanno i birrai che vanno in giro a raccogliere i vecchi barili di birra per tornare a riempirli. Che gamba, questa! Pare una vera gamba viva, limata fino al torsolo; domani ci starà sopra, e di lassù misurerà le altezze. Oibò! Quasi dimenticavo la lavagnetta ovale, d'avorio levigato, dove calcola la latitudine. Così, ecco: e ora scalpello, lima e cartavetrata! »

3 commenti:

giacy.nta ha detto...

"Eppure questa sua ottusità quasi orrida, che implicava anche, era chiaro, una infinita mancanza di cuore, quest'ottusità era a volte stranamente screziata d'un vecchio e asmatico senso d'arguzia, zoppicante e antidiluviano, non privo ogni tanto di una certa bigia spiritosaggine, quale avrebbe potuto servire ad ammazzare il tempo durante il quarto notturno sul barbuto castello dell'arca di Noè"

e poi "Ed era proprio questo, questo suo inspiegabile e pronto principio vitale, era
questo che per la maggior parte del tempo lo faceva parlare da solo, ma come una semplice ruota irragionevole che anch’essa va parlando tra sè col suo ronzio. O meglio, il suo corpo era una garitta, e lui dentro di guardia, a fare un eterno soliloquio per tenersi sveglio."

quasi un Knouk di Beckett...

Giuliano ha detto...

sì, è vero; chissà se Beckett si interessava a Melville - gli americani lo studiano a scuola, a Dublino non so.
sull'altro blog ho messo un commento ai capitoli sulla lavorazione del grasso di balena, nella sezione del Piccolo Chimico.

giacy.nta ha detto...

Si,( per chi mi prendi? ) naturalmente ho già visto... ( l'ambra grigia...incredibile! ):)
Ciao!