mercoledì 20 ottobre 2010

Nostalghia ( VI )

Nostalghìa (1983). Regia di Andrej Tarkovskij; soggetto e sceneggiatura: Andrej Tarkovskij, Tonino Guerra; fotografia: Giuseppe Lanci; musica: Giuseppe Verdi (messa di Requiem) , Ludwig van Beethoven (finale nona sinfonia), musica tradizionale russa, musica antica cinese. Scenografia: Andrea Crisanti; costumi: Lina Nerli Taviani. Interpreti: Oleg Jankovskij (Andrej Gorchakov), Erland Josephson [voce di Sergio Fiorentini] (Domenico), Domiziana Giordano [voce di Lia Tanzi] (Eugenia), Patrizia Terreno (moglie di Gorchakov), Milena Vukotic (donna nella piscina di Bagno Vignoni), Laura De Marchi, Delia Boccardo (moglie di Domenico), Raffaele Di Mario, Rate Furlan, Livio Galassi, Elena Magoia, Piero Vida. durata: 130'.
Tarkovskij ci mette sempre davanti degli enigmi, qualcosa di irrisolto che sta a noi cercare, in una ricerca continua che dura tutta la vita. Ad ogni visione dei suoi film, col passare del tempo, appaiono sempre nuovi dettagli: come capita con i grandi libri, con la grande pittura e con la grande musica. E’ il suo fascino, una sua particolarità che me lo fa amare molto e che mi ha spinto a rivedere i suoi film molte volte. E’ più forte di me, ogni tanto devo tirar fuori “Solaris” e “Stalker” e “Lo specchio” e guardarli dal principio alla fine: magari passa un anno o anche due, ma ringrazio la tecnologia che oggi ci consente di farlo anche in casa nostra, con calma, come già si faceva da secoli con i libri.
Ma va anche detto che non è un autore facile da seguire, e che non fa molto per farsi seguire e capire: Tarkovskij è completamente fuori dalle logiche commerciali. Se noi vogliamo seguirlo, lui è molto disponibile; ma se cominciamo a essere impazienti, o se ci aspettiamo da lui cose diverse, l’atteggiamento di Tarkovskij diventa subito quello dello Stalker all’inizio del film omonimo: un’occhiata di traverso, e non c’è bisogno di aggiungere altro. Nella Zona, come spiega bene lo Stalker andando avanti nel film, possono entrare tutti, ma bisogna aver bisogno di entrarci.

Della lista dei film che amo rivedere, “Nostalghia” non fa parte. Ogni volta è una lotta con me stesso, perché mi ricordo ancora della prima volta che l’ho visto, al cinema, seduto in sala per più di due ore, una sofferenza interrotta da sequenze che mi lasciavano incantato e mi costringevano a rimanere. E ogni volta è così, ancora oggi: ma è una sofferenza che ripaga, perché è un film ricchissimo.
Ho già detto all’inizio che “Nostalghia” non è facile da guardare, e che non lo considero come un film riuscito. Un film criptico, difficile, pieno di messaggi in codice, ma con sequenze di enorme bellezza e fascino. Manca di un ritmo interno, non vuole andare nè avanti né indietro né in nessuna altra direzione. E’ un film che non voleva essere fatto, un bambino che non voleva nascere e che vive suo malgrado una vita che non gli piace ma che pure ha dei lati piacevoli. E’ il film di chi è stato tirato giù dal letto di malavoglia, come Oleg Jankovskij a Bagno Vignoni, nella sequenza dopo il sogno: così di malavoglia che non si accorge nemmeno che sono le sette del mattino, e non mezzogiorno come credeva.
Confesso che alcune scene non le ho mai capite bene: in particolare, quelle con Eugenia a Roma che telefona a Gorchakov. A cosa si riferisce Tarkovskij? Si direbbe che venga passata una mazzetta di nascosto, e c’è un primo piano insistito su un signore che non si è mai visto prima e che non so identificare. Ipotizzo una qualche ironia riguardi ai finanziamenti e alla produzione del film, ma se qualcuno me lo spiega sono più contento.
Probabilmente, “Nostalghia” è una fase di passaggio per arrivare a “Sacrificio”, e forse a qualche altro capolavoro che non è arrivato, perché Tarkovskij non ha fatto in tempo a concludere il suo percorso. Direi inoltre che Tarkovskij in “Nostalghia” ha commesso alcuni errori, che riguardano soprattutto la scelta degli attori.
Il primo errore (sempre a mio parere, sia ben chiaro) riguarda Domiziana Giordano, o meglio il suo personaggio: per giustificarne la presenza, al di là dell’episodio iniziale (la Madonna del Parto richiede una presenza femminile importante) si prova ad inventare una storia d’amore improbabile tra lei e il poeta russo, una storia che non sta in piedi e che infatti verrà abbandonata a metà film. E’ una storia che ha le sue giustificazioni narrative: per contrasto, mostra che Gorchakov (ancora abbastanza giovane ma più vecchio di lei, malato di cuore e lontano dalla sua famiglia) è ormai fuori da questo mondo, ed è molto stupito quando si rende conto che la ragazza (assunta come guida ed interprete) si stava interessando a lui in senso non soltanto professionale. Quando torna in albergo dopo il lungo colloquio con Domenico, Gorchakov trova la ragazza che lo attende nella sua camera, seduta sul suo letto, con il pretesto di asciugarsi i capelli perché dall’altra parte lo scaldabagno era rotto. Lui si siede sul letto, vicinissimo, e le dice : “Guarda, Domenico mi ha dato questo”. E le mostra un mozzicone di candela. Noi sappiamo cosa significa quella candela, Eugenia no. Lo sguardo di Eugenia è eloquente. E’ delusa e arrabbiata, non ce la fa più e sbotta contro quest’uomo, “così noioso che è meglio andarci a letto, si fa meno fatica che a parlargli”.
Ma lui è già vecchio, o almeno così si sente: sente di aver finito il suo percorso, indipendentemente dall’età. Sappiamo che ha tre figli, uno ancora piccolo. Un pensiero ce lo ha fatto, con una ragazza così bella è inevitabile; Eugenia è anche entrata nei suoi sogni ma ormai Andrej è davvero fuori da questo mondo. Tramite Domenico, sta per entrare in una dimensione non più terrena. “I’m time grown old”, dice a Yudhishtira il Ragazzo che non conosce la morte, nel Mahabharata di Peter Brook...

Domiziana Giordano è una bellissima ragazza e ha una presenza notevole, ma è destinata a deludere chi conosce le donne protagoniste degli altri film di Tarkovskij. Non è un’attrice vera come le altre dei film precedenti, e non riesce a dare spessore al suo personaggio: sappiamo che molto spesso è la personalità di un attore a rendere credibile un personaggio. Anche gli abiti di Domiziana sono troppo belli, troppo elaborati per le scarpinate nelle campagne toscane, con quei tacchi alti su cui rischia sempre d’inciampare.
Una curiosità è che Tarkovskij aveva visto una foto di Ombretta Colli e voleva lei, ma poi di persona non gli è più piaciuta. Gli è invece piaciuta moltissimo la Giordano, che aveva poco più di vent’anni e aveva fatto solo una piccola parte in “Amici miei”. Tarkovskij era entusiasta della sua scelta, come noi tutti del resto (Eugenia mi ha aiutato molto a guardare il film fino alla fine, la prima volta): “(...) Sullo schermo il viso di Domiziana sprigiona una luce particolare, per il contrasto della pelle chiara sotto la cascata dei riccioli fulvi, tizianeschi. Ma anche al naturale, senza il filtro della pellicola, lascia il segno su chi la incontra. C’è non so quale contrasto fra la freschezza dei suoi lineamenti e la torpidità del suo sguardo. Gli occhi verde-azzurro, perennemente socchiusi, sono come protetti dalla tendina arcuata delle ciglia color tabacco: temi che si appisoli da un momento all’altro. « Il volto di Domiziana – ha detto un giorno Tarkovskij – è un trafficato cielo di primavera: nel giro di attimi può passare dal tormento al giubilo, dalla lacrima allo sberleffo. In un certo senso, il suo viso non ha età: la mattina, quando scende al bar, sembra una ragazza sulla via della scuola; la sera, una donna navigata e piena di misteri.» ( Corriere della Sera-7, giugno 1990, articolo di Nantas Salvalaggio su Domiziana Giordano)
Un altro errore è forse la scelta di far interpretare la moglie del poeta a un’attrice di per sè eccellente (Patrizia Terreno) ma troppo giovane e soprattutto troppo mediterranea per interpretare la parte di una russa. Patrizia Terreno (che vediamo solo nelle sequenze di sogno e di visione) è bravissima ed emozionante, ma capire che è la moglie del poeta russo è davvero un’impresa improba, e io non ci sarei mai arrivato se non l’avessi trovato scritto in un libro, nell’elenco degli interpreti. Mi dispiace molto di non aver più rivisto Patrizia Terreno in altri film: in questa sequenza è straordinaria, ma così va il mondo (e ormai sappiamo anche perché c'è chi fa carriera e chi no, al di là della bravura personale).

Mi lascia molto perplesso anche la scelta dei due ruoli principali. Forse bisognava invertire le parti: Jankovskij, con la sua espressione fissa per quasi tutto il film, sarebbe stato un “pazzo” più credibile; Josephson, con la sua faccia da uomo buono e sensibile, sarebbe stato più credibile come poeta, sia pur distaccato dal mondo. Direi che anche la voce del doppiatore Sergio Fiorentini (peraltro bravissimo anche lui) è poco adatta a Domenico, soprattutto nella scena di Roma. Ma penso che Jankovskij pecchi per eccesso di professionalità: rappresenta Tarkovskij così come il regista gli ha detto di fare, così come lui si vede o voleva farsi vedere nel film, proprio con quell’espressione lì, distante e antipatico, scorbutico e scostante, arido. Forse Tarkovskij voleva evitare che noi ci interessassimo troppo, emotivamente, al personaggio: non è la storia di Gorchakov che è raccontata in Nostalghia, non era questa l’intenzione dell’autore. Potendo, forse in molte scene avrebbe affidato la parte di Gorchakov a un burattino di legno.

Se andiamo al finale di “Stalker”, e ascoltiamo il discorso della moglie, uno sguardo che va diritto in macchina, verso di noi, troviamo con ogni evidenza un ritratto dell’Autore che corrisponde molto al protagonista di “Nostalghia”. Tarkovskij si vede così, e forse pensa che la moglie e i figli lo vedano così: duro, freddo, distante: uno che c’è ma è come se non ci fosse. Antipatico, in una parola: così come appare Oleg Jankovskij in questo film. In realtà, nelle foto di famiglia vediamo Andrej Tarkovskij attaccatissimo alla moglie e ai figli, e probabilmente era solo un uomo molto riservato, e quando ne parlano i suoi collaboratori (le interviste sono sul dvd) si vede subito che era un uomo a cui voler bene; ma rappresentarsi così è molto utile per spingere lo spettatore a capire meglio le cose importanti, quelle che ci voleva indicare l’autore. Non la storia d’amore, non la “nostalgia”, ma tutto il resto.
Per gli appassionati di football che non hanno visto il film, dirò che Oleg Jankovskij mantiene quasi sempre la stessa fissità in volto e la stessa carica di simpatia ed estroversione che caratterizzano l’allenatore Zdenek Zeman, al quale somiglia molto anche fisicamente: si converrà che non è il massimo della vita. In realtà, Oleg Jankovskij è un attore ricco di humour e un eccellente clown beckettiano, qua e là ricorda spesso Buster Keaton. Quando Tarkovskij lo lascia libero di improvvisare (capita un paio di volte: nella scena della chiesa sommersa e nel finale, i tre percorsi con la candela accesa) ha spesso momenti buffi, attimi in cui sembra guardare in macchina verso di noi, in cerca di comprensione, come Keaton e come Oliver Hardy. Nel finale, le sue traversate della piscina di Bagno Vignoni sembrano proprio un’appendice ad “Aspettando Godot”. E qui forse Godot arriva: un soffio, un alito, qualcosa. Non proprio Godot in carne ed ossa, ma quasi; non si rimane a mani vuote, ridicoli e disperati come in Stalker.

5 commenti:

Marisa ha detto...

Dopo il colloquio con Domenico Gorchakov ha chiuso definitivamente la possibilità di un'avventura erotica ed Eugenia, che ha abbandonato il ruolo di interprete ("parlaci da solo,tanto un pò d'italiano lo conosci") se ne va offesa e delusa nel suo amor proprio.
La ritroviamo che telefona da Roma mentre sta per partire con il suo uomo(quindi gratificata come donna) per l'India (viaggio iniziatico?) per dire che Domenico è a Roma ed ha organizzato una manifestazione di matti e chiede se lui ha fatto quello che aveva chiesto.
Recupera quindi il suo vero ruolo originario di mediatrice, e proprio con questo riattiva e dà impulso alla vicenda. Subito dopo infatti Gorchakov torna indietro a Bagno Vignoni per effettuare il rito della candela.
La persona presente nella stanza di Roma durante la telefonata ed intenta a mangiare in giacca bianca su una tavola ben apparecchiata rappresenta, secondo me, la coscienza borghese completamente indifferente ed estranea alle vicende e ai valori dell'interiorità. Anche oggi "la bella gente" pensa solo a mangiare.

Marisa ha detto...

Scusa, rivedendo il fotogramma mi accorgo che il signore seduto a tavola non ha la giacca bianca,ma è bianca la tovaglia,naturalmente. Il senso rimane lo stesso. Aggiungerei solo che l'indifferenza si estende anche al destino della Terra e al suo degrado,oltre naturalmente alla condizione degli emarginati(poveri,pazzi...) visto che la telefonata riguarda Domenico.

Giuliano ha detto...

Questa di Eugenia "che riprende la sua funzione di mediatrice" è molto bella.
Io invece leggo la partenza per l'India come qualcosa di fatuo, una ricerca di se stessi più da turista che per un vero interesse; ma su queste mie impressioni pesa molto la carriera successiva di Domiziana Giordano.
Sta di fatto che in quella scena vediamo proprio "passare una mazzetta"... Tarkovskij non poteva fare un contrasto più netto con la spiritualità e la filosofia.

Marisa ha detto...

Non so niente della vita di Domiziana Giordano e questo mi aiuta a vederla solo come personaggio di Tarkovskij:Eugenia , Angelo mediatore ma ancora troppo donna per lasciare il poeta libero di occuparsi solo del proprio destino.
In fondo è l'ultima tentazione, come nell'interessante film di Scorsese "L'ultima tentazione di Cristo" il Diavolo prende le sembianze di Angelo innocente per portare Gesù(e qui è meglio utilizzare il nome umano e non il Cristo) a vivere quell'amore umano che aveva sempre rifiutato a vantaggio della sua missione divina.

Giuliano ha detto...

Anch'io non so niente della vita di Domiziana Giordano! Mi riferivo alla carriera come attrice, compresa l'ultima comparsata di un paio d'anni fa in un reality show.
L'impressione che mi fece in quel 1982 era stata fortissima, all'epoca avevo un'amica con quegli occhi e quel viso, e alta come lei (ma era magrissima) e non potevo non farci caso. Oltretutto, io e la Giordano siamo quasi coetanei.