venerdì 22 ottobre 2010

Lo specchio ( I )

Zerkalo (Lo specchio, 1974) Regia: Andrej Tarkovskij; soggetto e sceneggiatura: Andrej Tarkovskij, Aleksandr Misharin; versi di Arsenij Tarkovskij letti da Innokentij Smoktunovskij (nella versione italiana da Romolo Valli); fotografia: (Sovcolor e BN): Georgij Rerberg; musica originale: Eduard Artem'ev e brani di J.S. Bach (Preludio corale BWV 614, Passione secondo San Matteo, Passione secondo San Giovanni), G.B. Pergolesi (Stabat Mater), Henry Purcell (da "The Indian Queen"); suono: Semion Litvinov; montaggio: L. Fejginova; scenografia: Nikolaj Dvigubskij; costumi: N. Fomina; trucco: V. Rudina; produzione: Mosfil'm (Quarto Gruppo Artistico); direttore della produzione: E. Vajsberg. Interpreti: Margarita Terechova (la madre/Natal'ja), Filipp Jankovskij (Aleksej a cinque anni), Oleg Jankovskij (il padre), Ignat Danilcev (Ignat/Aleksej a dodici anni), Anatolij Solonicyn (lo sconosciuto), Nikolaj Grin'ko (capo reparto della tipografia), Alla Demidova (Liza), Jurij Nazarov (l'istruttore militare), L. Tarkovskaja (la madre, da vecchia), T. Ogorodnikova, Jurij Sventikov, T. Revshetnikova, E. del Bosque, L. Correcher, A. Gutierrez, D. Garda, T. Pames, Teresa e Tat'jana del Bosque; durata: 105'
« Dalla stazione, la strada passava per Ignatieva, svoltava seguendo l’ansa della Gruna a un chilometro circa dalla cascina dove allora, prima della guerra, trascorrevamo tutte le estati; e insinuandosi in un fitto bosco di querce proseguiva oltre, verso Tomscinò. Di solito riconoscevamo i nostri solo quando li vedevamo apparire da dietro il grande cespuglio che si alzava in mezzo al prato: se dal cespuglio la persona si dirigeva verso casa, si trattava di papà; altrimenti non era papà. E un giorno papà non sarebbe più tornato.»
- Scusate, è questa la strada per Tomscinò?
- Non dovevate svoltare al cespuglio.
- Ah. E voi, perché...
- Perché cosa?
- Perché ve ne state lì seduta.
- Io vivo qui.
- Dove, sullo steccato?
- Ma cosa volete sapere, la strada per Tomscinò o dove vivo io?
Una donna è seduta su uno steccato, in aperta campagna. Da lontano, un uomo che passa la nota e le si avvicina; la donna è molto bella. L’uomo, che dice di essere un medico, tenta un approccio educato e gentile, chiede informazioni; infine le si siede accanto, ma lo steccato non regge il peso e si rompe. I due finiscono a terra, la donna si rialza subito e l’uomo ride. Poi anche l’uomo si rialza, si spolvera, sorride, riprende la sua strada e fa un cenno di saluto. Un’improvvisa folata di vento piega dolcemente l’erba del prato.
Questa è la scena iniziale (ma, prima dei titoli di testa, ad un ragazzo balbuziente viene insegnato “a non aver paura della sua voce”) di uno dei film più difficili e affascinanti che mi sia mai capitato di vedere. “Lo specchio”, girato subito dopo “Solaris”, è autobiografico e parla della madre di Tarkovskij, dei suoi genitori e nonni, dell’infanzia negli anni precedenti e seguenti alla Guerra. Nella scena dello steccato, nel dialogo tra la giovane donna e lo sconosciuto, si nomina Cechov; più avanti si leggerà un brano di Pushkin. Nella parte visiva, fondamentale in Tarkovskij (non è una banalità: la maggior parte dei film che vediamo si reggono sui dialoghi e potrebbero essere capiti anche senza guardare lo schermo) c’è il richiamo ai grandi pittori: Leonardo, Dürer, Monet, ma anche Brueghel e Bosch, e Giorgione con la Tempesta.
Protagonisti sono gli elementi atmosferici, il fuoco, l’acqua, il vento, la luce, gli elementi primordiali. I movimenti di macchina hanno una magia nascosta, il vento arriva nel momento esatto in cui ce ne è bisogno, un uccellino si posa sul berretto di un ragazzo e il ragazzo lo prende, un oggetto cade dal tavolo proprio quando la telecamera si ferma ad osservarlo, passato e presente si fondono, perfino un alone di vapore su un tavolo diventa importante. La comunione con la Natura, paganesimo e panteismo, una religione panica, sono sempre protagonisti nei film di Tarkovskij.
“Lo specchio” è composto di vari episodi, quadri apparentemente semplici che vanno a formare un disegno complesso, un arazzo magnifico leggibile solo a pochi e anche ad essi con grande difficoltà. I colori sono i colori dei sogni, colore pieno oppure altri colori mai visti prima; il bianco e nero non è mai quello classico, è piuttosto un grigio, un seppia, un verdastro, il colore dei sogni e dei ricordi. Tarkovskij infatti filma i sogni, e i ricordi.
I nostri ricordi sono così, specialmente quelli infantili: precisissimi su molti particolari, sui volti, i gesti; vaghi e sfumati su altri dettagli, a volte anche importanti per un osservatore esterno.
Il più delle volte, per ricostruire una situazione partendo da un ricordo non serve nemmeno rivolgersi a chi c’era (nostra madre, per esempio: come fa il protagonista del film pensando all’incendio visto da bambini), perché i ricordi sono sempre molto personali, a me sfugge qualcosa che tu invece hai visto e memorizzato – lo sanno bene i giudici e i poliziotti che tentano di ricostruire un avvenimento, spesso essere dentro ad un fatto, averlo vissuto, non aiuta a saperne di più. La memoria, la nostra percezione, ingrandisce alcune cose e sorvola su altre. Questo è uno degli aspetti per cui Tarkovskij colpisce, i nostri ricordi sono quasi tutti così. Nel commento al film che si può trovare sul dvd, il critico Grigorij Javlinskij dice che “Lo specchio” è un film dove ognuno di noi rivede la propria vita; e può sembrare strano, trattandosi di ricordi così personali, ma è proprio quello che succede. Tarkovskij ci ha dato un film che serve per vedere la nostra vita, così come uno specchio – un oggetto che a noi è estraneo - serve per vedere il nostro volto. “Ogni spettatore può rivedervi la propria vita, per questo è difficile parlarne”, conclude Javlinskij.
Ed è anche difficile spiegare “Lo specchio” punto per punto, c’è il rischio alto di dire stupidaggini, e poi è un lavoro che è già stato fatto. Questi sono ricordi veri, si riferiscono a fatti veramente successi nella famiglia dell’autore: ma spiegarli nel dettaglio serve a poco, molto meglio lasciar scorrere le immagini e ascoltare i versi di Arsenij Tarkovskij, padre del regista. Il film è pieno di poesia, da vedere e da ascoltare.

6 commenti:

Marisa ha detto...

Uno dei film più affascinanti e poetici, perciò meno interpretabili linearmente, pena la distruzione del fascino e di quella grazia che rendono quest'opera adatta alla sovrapposizione del nostro immaginario e delle nostre emozioni ,ma non "spiegabili". Bisognerebbe quindi vederlo e rivederlo, e poi lasciarlo stare...Ma come resistere al desiderio di continuare a farlo vivere ricamandoci sopra per conservarlo di più nella memoria, anche rischiando di alterarlo sovrapponendoci quello che ci evoca? E poi, a lasciarlo lì, tutto solo, senza dedicargli un pò dei nostri pensieri, mi sembrerebbe di abbandonarlo...
Rischiamo comunque di perderci cominciando dal titolo, già di per sè così accattivante ed enigmatico: "lo specchio". Specchio di cosa?; riflesso illusorio, elemento di vera conoscenza, artificio poetico, simbolo di trascendenza, trappola narcisistica...o altro ancora?
In tutti i film di Tarkovskij lo specchio è presente e spesso tutti i possibili significati si intersecano tra di loro e si sovrappongono. Bisognerebbe ad ogni presenza cercare nel contesto quello più pertinente.
In questo film mi sembra che lo specchio sia soprattutto strumento di ricongiungimento (rispecchiamento) tra presente e passato, continua sovrapposizione e perciò tentativo di ridare ordine e senso al filo di emozioni e ricordi...
Rilke ha dedicato versi memorabili allo specchio, come strumento di "conoscenza orfica". Per es.
"Specchi: nessuno ancora ha mai descritto
sapendo l'essere vostro nella vostra essenza.
Voi, come un setaccio di buchi fitto
voi, del tempo spazi interstiziali."(son. a Orfeo)
Vedremo cosa questi "spazi interstiziali" lasceranno passare...

Giuliano ha detto...

Come avrai notato, mi sono guardato bene dal raccontare il film... Ho messo solo il dialogo iniziale, e le poesie.
Questa sequenza iniziale è di una bellezza da lasciare senza fiato.

Marisa ha detto...

Nè lo farò io. Mi sono molto interrogata però sulla primissima scena: quella della dottoressa che con l'ipnosi libera il ragazzo dalla "paura di parlare"
Perchè è lì, visto oltretutto la completa diversità di stile e di luce da tutto il resto del film?
Alla fine mi sono risposta (e spero non sia una deformazione professionale)che prima di liberare le immagini in un film, che comumque è così autobiografico, bisognasse vincere una "paura", una inibizione ad esporsi al pubblico, sciogliere dei nodi emozionali che trattengono i vissuti...
Anche Freud all'inizio usava l'ipnosi. Poi si è accorto che erano meglio i sogni...

Una curiosità. Ho visto nell'elenco degli interpreti il nome Tarkovskaja per il ruolo della madre. Si tratta per caso della vera madre di Tarkovskij?

Giuliano ha detto...

So che esiste un libro molto bello, in italiano e pubblicato di recente, con le foto di Tarkovskij e della sua famiglia; però io non ce l'ho e non sono nemmeno molto informato sulle vicende della sua famiglia.
Mi pare di ricordare che abbia avuto due mogli, ed è molto probabile che qui si veda sua madre, ma non so essere più preciso.
Nel Rubliov, sempre non ricordo male, ha una parte anche la moglie di Tarkovskij.

Questa dell'ipnosi all'inizio si direbbe come un ricordo personale, o almeno io l'ho sempre interpretato così. Ma la tua ipotesi mi sembra corretta - chiedo scusa, ma ho letto i dettagli sullo Specchio parecchi anni fa, ho scoperto che mi impedivano una lettura più profonda del film e da allora ho deciso che avrei trattenuto solo quelli essenziali, come la faccenda del refuso su Stalin...
Anche la sequenza dei bambini e dell'addestramento militare ha sicuramente dietro un fatto preciso.

Marisa ha detto...

Ho qui davanti a me il libro con le foto della famiglia Tarkovskij. Sono state pubblicate nel 2oo7 (ed.della Meridiana) dal figlio Andrej. Sono molto belle e la somiglianza con alcune immagini del film, soprattutto per la luce e la scelta stessa degli interpreti è sorprendentemente simile.
Sì, la madre vecchia è proprio la vera madre di Tarkovskij. Mi viene in mente che Pasolini aveva affidato a sua madre la parte di Maria nella "Passione secondo Matteo" ed è una delle rare volte (forse l'unica?) in cui si vede una Madonna vecchia, una vera madre. Qui non è la Madonna, ma sappiamo quanto sia stata importante la madre, anche pensando alla separazione dei genitori.

Giuliano ha detto...

E' un libro molto bello, l'ho guardato sugli scaffali della libreria ma cerco sempre di resistere...Prima o poi lo porterò a casa anch'io (meglio prima che poi, se no sparisce dai cataloghi).
Invece ho sempre trovato deludenti le edizioni italiane delle poesie di Arsenij Tarkovskij. Sicuramente sono più corrette di quelle che si ascoltano nel film, ma nel film hanno una musicalità che non ho più trovato, ed è un peccato non conoscere il russo.