Ferro 3 (Bin-jip, 2004). Scritto e diretto da Kim Ki-duk. Fotografia di Seong-back Jang. Musica originale: Slvian. Con Seung-yeown Lee, Hee Jae (Hyun-kyoon Lee), Hyuk-ho Kwon, Jeong-ho Choi. Durata 90’
Farsi ombra, diventare invisibili: è possibile?
Impressionante e inquietante, “Ferro 3” di Kim Ki-duk racconta proprio questa storia. Un film sul diventare invisibili, sui fantasmi, sulla violenza e sulla fuga dalla violenza: « Difficile dire se il mondo in cui viviamo sia realtà o sogno» è la didascalia che chiude il film.
L’inizio di questo film può lasciare perplessi: un ragazzo, il protagonista del film, penetra in case momentaneamente disabitate e vi soggiorna per un po’. Lo fa più volte, sistematicamente: ma non è un ladro, e anzi la sua massima attenzione è nel non lasciare tracce, come se non volesse esistere. E’ così bravo, e così perfetto nel suo agire, che davvero le sue “vittime” tornano a casa e non si accorgono di niente: perché è impossibile accorgersene. Il ragazzo di regola fa queste cose: mangia, si lava, dorme (se è possibile), scatta delle fotografie con una macchina digitale, smonta e rimette in sesto orologi e bilance. Poi ripulisce tutto, cancella ogni traccia, e sparisce.
Quando la polizia lo prenderà, più avanti nel film, guardando le foto riuscirà a individuare le case in cui è entrato, ma tutti gli risponderanno che non c’è niente da denunciare, che è impossibile che qualcuno sia entrato, che tutto era in ordine. Insomma, la visita di un fantasma. Per essere sicuro che nella casa non ci sia nessuno, il ragazzo usa uno stratagemma tipico dei ladri: mette dei volantini pubblicitari sulle porte. Dove la gente va e viene, i volantini vengono tolti; dove non c’è nessuno (anche per un giorno solo) il volantino rimane e quindi la via è libera. Ogni tanto, bisogna scappare in fretta e furia; ma se la casa è grande c’è tempo di nascondersi, ed è questo che dà una svolta al film. Un marito molto violento picchia la moglie, giovane e bella; il ragazzo, che si era infilato nella loro casa, assiste al fatto e non riesce a trattenersi. L’arma con cui immobilizzerà il marito violento è una mazza da golf, il “ferro tre” del titolo: il protagonista è infatti un grande appassionato di golf, e si allena da solo quando può. E questo è un altro dei piccoli misteri del film: il ragazzo non è infatti uno sbandato, è molto colto ed elegante, e vediamo che i soldi non gli mancano – ma non per i furti, che non commette mai. All’inizio del film, lo vediamo arrivare su una grossa motocicletta, ed è con la moto che porterà via la giovane donna, via dal marito violento. Da qui in avanti, sarà insieme a lei che entrerà nelle case, due fantasmi invece di uno. La moto all’inizio me lo aveva reso antipatico (non mi sono mai piaciute le moto), ma ormai ho imparato ad aspettare. Kim è un maestro del cinema, e i suoi attori sono di una bravura tale da rasentare la perfezione assoluta; non solo i due protagonisti ma anche quelli che in teoria sarebbero comprimari. I due vengono presi dalla polizia, insieme, quando si attardano per un incidente: in una delle case da loro visitate c’è un cadavere, un uomo che viveva da solo e che è morto per cause naturali. Invece di fuggire lo accudiscono, lo mettono in ordine, gli fanno una sepoltura accuratissima, con autentica devozione. Quando arriverà la polizia, avvertita dai figli dell’uomo rientrati dopo molto tempo, si sospetterà il peggio: ma le indagini riveleranno le cause naturali della morte e una cerimonia funebre “che neanche un figlio avrebbe fatto con tanta cura”, secondo il resoconto della polizia. La donna viene restituita al marito, lui finisce in cella: perché la macchina fotografica ha registrato la sua attività, e il reato (e la sua reiterazione) è palese.
E’ in carcere, chiuso in cella, che il protagonista impara a diventare invisibile. Una tecnica lenta e lunga, come per le arti marziali; ma funziona. In queste scene, da antologia, fa da contrasto al protagonista un altro attore giovane meraviglioso, quello che interpreta la guardia alla cella, in carcere. Ma a questo punto smetto di raccontare, il film va visto fino in fondo e questo tentativo di riassunto era solo per cercare di aiutarvi ad arrivare fino in fondo: ne vale la pena, e il rischio è quello di rimanere incantati.
Se dal punto di vista visivo, e per i lunghi silenzi, Kim ricorda molto Antonioni, per il resto i rimandi d’obbligo sono a Kubrick . “Arancia Meccanica” per la violenza che il protagonista impara suo malgrado dagli altri: dal ricco, il marito della ragazza, e dal potere, i poliziotti. Una violenza che il protagonista del film rifiuta: nel finale potrebbe vendicarsi facilmente, ma non lo fa. “Shining” torna invece alla memoria per l’atmosfera, per i fantasmi, per il confine tra il non visto e il non visibile. “Clockwork” (l’arancia “a orologeria”, il titolo originale del libro di Anthony Burgess da cui Kubrick trasse il suo film) sono anche le bilance e gli orologi, e le serrature, che smonta. Mi ha molto colpito anche la forma di perfetta simmetria della narrazione, la stessa simmetria che troviamo in Kubrick, così come la perfezione in ogni minimo dettaglio, che fa pensare addirittura a Barry Lyndon. La cura per la manutenzione delle piante è un’altra costante del film: quando il protagonista entra nella casa è sempre meticoloso e pulito, smonta gli orologi e li rimonta alla perfezione, fa fotografie, mangia e poi ripulisce con cura; e annaffia le piante con dedizione, così come la coppia che ha il locale con giardino (buddhista?) dove lei va a dormire in una sequenza fatata. Molto belle le musiche originali, attori meravigliosi, e – per nostra fortuna, a differenza degli altri film di Kim Ki-duk, violenza quasi assente. Se non fosse per l’estrema tensione emotiva, ed erotica, questo è un film che potrebbe essere visto anche dai bambini; ed è ben strano, a pensarci. Ripensando “Ferro 3”, mentre scrivevo queste note, mi ha sorpreso molto l’affiorare di alcuni versi di grandi poeti del Novecento ai quali sono molto affezionato. Siccome l’annotazione è di molti anni fa, non riesco a risalire ai libri da cui sono tratti; ma i versi sono molto belli e vale la pena di rileggerli.
... mimetizzarsi, sparire, confondersi,
amalgamarsi al suolo,
farsi una vita di fronda
e mai ingiallire.
(Vittorio Sereni )
Tutti i luoghi che ho visto,
che ho visitato,
ora so - ne son certo:
non ci sono mai stato.
(Giorgio Caproni )
Farsi una vita di fronda, non esistere: sembra essere il desiderio costante di questo ragazzo. Non lasciare tracce; esistere ma senza essere visto, e interferire solo con la persona amata. Vedere “Ferro 3”, così come tutto il cinema di Kim Ki-duk, mi ha fatto pensare ad un vecchio numero della rivista “Segno Cinema”, dove si parlava del “non filmabile” nel cinema. Un “non filmabile” che è in primo luogo l’aldilà, ma anche tutto ciò che sfugge ai nostri cinque sensi ordinari, e che non sappiamo afferrare essendo noi troppo limitati per farlo. Ci sono autori che hanno dedicato la loro intera filmografia a questo tema, penso a Bergman e a Tarkovskij, ma anche a Sjöström o ad Ophuls ; ed altri che vi si sono dedicati a tratti, come Fellini.
La lista sarebbe lunga, ma qui mi fermo: e chiudo il post con la stessa frase che Kim porta in chiusura del film, e che ho già riportato all’inizio: « Difficile dire se il mondo in cui viviamo sia realtà o sogno».
8 commenti:
bellissimi il film e il tuo post. I segreti, anche, possono renderci invisibili ;)
Ange, Kim Kiduk è la riprova che si può ancora pensare in grande. Oltretutto, non mi sembra che faccia film costosi: chissà quanti sono i ragazzi di vent'anni che potrebbero fare film davvero belli e non ci riescono! E' questa la mia rabbia.
Ho un dubbio: lo stesso film girato da un giovane italiano avrebbe avuto lo stesso successo?
Accetto e rilancio: chi, uno di quelli che lavorano oggi? Non vedo nessun grande talento, solo tanti con un buon mestiere in mano.
(a dire il vero, mi basterebbe un Mastrocinque, un Mattoli, un Vanzina padre...razza estinta, anche questa.)
Bello questo post!
Buongiorno Rosa! Mi piace molto il lavoro di Kim Kiduk, ma è molto impegnativo.
E mi ha anche dato l'occasione di mettere on line qualche bel verso di poeti davvero grandi che rischiano di essere dimenticati...
molto bello questo post, sono assolutamente d'accordo con chi lo ha letto molto prima di me. Dici che solo pochi registi hanno saputo raccontare l'indicibile e, se ci penso, ma lo hai notato anche tu, la rinuncia al discorso, è ricorrente, quasi che le parole, le frasi fossero inutili ingombri, zavorre. Solo la poesia, e quelli che tu hai pubblicato sono versi bellissimi, può dare un'idea di come ci sia una realtà più vera che forse può essere chiamato sogno, dove, invisibili, andiamo dove vogliamo davvero:)
devo purtroppo dire, quattro anni dopo, che Kim si è decisamente perso per strada, i film più recenti sono bruttini o addirittura imbarazzanti. Penso che Kim sia in grosse difficoltà personali, speriamo tutti che ne esca presto...
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