sabato 19 dicembre 2009

Il milione

Le million (1931) Regia: René Clair; soggetto, sceneggiatura e dialoghi: René Clair (dalla commedia omonima di Georges Berr e Guillemaud); fotografia: Georges Périnal e Georges Raulet; musica: Armand Bernard, Philippe Parès e Georges Van Parys; interpreti: Annabella (Béatrice), René Lefèvre (Michel), Vanda Gréville (Vanda), Paul Olivier (Crochard), Louis Allibert (Prosper), Constantin Stroesco (Sopranelli), Odette Talazac (la cantante), Raymond Cordy (l'autista), André Michaud (il macellaio), Jane Pierson e Pitouto (due creditori); durata: 90'

“Il milione” è un film di una felicità assoluta. Avevo già usato queste parole parlando di “Sotto i tetti di Parigi”, il suo film gemello, e non posso che ripetermi: del resto, questo è lo stile di René Clair, e René Clair è la felicità trasposta nel cinema, anche quando affronta argomenti drammatici.
Ma qui siamo nel campo del comico, del brillante: la storia è quella famosa, tante volte raccontata, del biglietto della lotteria perduto e ritrovato, e dei mille modi in cui passa di mano prima di tornare al suo legittimo proprietario. La differenza con “Sotto i tetti di Parigi” (i due film sono stati girati uno di seguito all’altro, a tratti con le stesse scenografie) è che l’altro film era una storia d’amore, dolce e un po’ malinconica; invece “Il milione” (un milione di fiorini, perchè è una lotteria olandese: “quanto fa un milione di fiorini?” “fa tanti milioni!”) è una storia divertente e brillante, che comprende anche l’amore ma che si basa più sulla follia e sul nonsense.
All’inizio, c’è una folla gaudente che fa baccano in una soffitta, a notte fonda. Due vicini si arrampicano sui tetti (i tetti di Parigi) e si sporgono da un abbaino per chiedere come mai si fa festa a quest’ora. Sotto, nell’appartamento, c’è una piccola folla: buttano su una bottiglia di champagne (presa al volo) e dicono: se avete tempo, ve lo speghiamo – ma ci vorrà un po’.
E la storia comincia così: con il pittore Michel, in una soffitta da Bohème, che cerca di baciare la sua modella. Ma i due vengono continuamente interrotti: sono i debitori di Michel che bussano alla porta, il macellaio, il lattaio, l’affitto... Alla fine la ragazza (si chiama Wanda) si stufa e se ne va; Michel la rincorre sul pianerottolo ma viene colto in flagrante dalla sua fidanzata, che abita lì di fronte. Che disastro di giornata: ma ecco che arriva l’amico Prosper, scultore: insieme hanno comperato due biglietti della lotteria, e uno di quei biglietti ha vinto UN MILIONE! La rivelazione avviene in mezzo alla piccola folla che conosciamo, e i creditori si rabboniscono e diventano subito amiconi, ognuno di loro fa a gara a portare qualcosa a Michel. Ma dov’è il biglietto? Semplice, è nella vecchia giacca di Michel, che ha lasciato nella casa della fidanzata. Ma la ragazza ha dato la giacca a un vecchio che si era rifugiato nella sua stanza...
Il vecchio non era un vecchio, era il pericoloso malvivente mascherato La Tulipe, a capo di una banda di ladri (è una evidente caricatura del dottor Mabuse di Fritz Lang, un film quasi contemporaneo), la giacca gli serviva per travestirsi e sfuggire alla polizia. Il bandito ha base in un negozio di abiti usati, dove si reca un famoso tenore italiano (“Ambrosio Sopranelli”) che ha la fissazione di scegliersi da solo gli abiti di scena. Quella giacca gli piace moltissimo, quanto costa? La prende e la indossa subito, è perfetta per la recita di stasera – l’ultima a Parigi, domani parte per l’America...
Insomma, un bel casino: al quale vanno aggiunti Prosper (che cerca di ritornare in possesso del biglietto, aiutato da Wanda) e i poliziotti, che rincorrono La Tulipe. Il quale La Tulipe, che non è un fesso, sospetta qualcosa e scatena i suoi alla ricerca della giacca.
Inutile star qui a spiegare tutto, il lieto fine è scontato e poi il finale lo abbiamo visto all’inizio: ma la sorpresa c’è lo stesso. Il pezzo forte del film è la corsa per la città, e su e giù per le scale, di tutti gli attori: come nella migliore tradizione del teatro brillante francese (Clair aveva già all’attivo un film sul “Cappello di paglia di Firenze” di Labiche, dove al posto del biglietto della lotteria c’è proprio quel cappello) ; ma il vero cuore del “Milione” sta nelle scene girate nel teatro d’opera, giustificate dall’attaccamento dimostrato dal tenore verso quella benedetta giacca vecchia. La parodia dell’opera lirica è fantastica, una delle migliori mai realizzate, da mettere alla pari con quella (diversissima) dei fratelli Marx in “Una notte all’Opera”: e si vede bene che chi l’ha concepita è un appassionato competente e non uno che passava di lì per caso, come capita purtroppo spesso di vedere quando al cinema o in tv cercano di fare una parodia della lirica.
Anche qui, come sarà per i Marx qualche anno dopo, l’azione si svolge proprio sul palcoscenico, durante la rappresentazione dell’opera, per ben tre atti intervalli compresi, protagonista assoluta la vecchia giacca di Michel. L’opera “campionata” non è indicata nei titoli di testa, e sembrerebbe qualcosa di inventato, ma si tratta probabilmente di un adattamento del Sigurd di Ernest Reyer: non un copiare puro e semplice, ma un riprendere temi musicali e orchestrazione, molto fine. Sigurd è Sigfrido, ma la musica di Reyer, un compositore francese nato a Marsiglia nel 1823, è quanto di più lontano da Wagner si possa immaginare. Il Sigfrido francese ha una musica molto più intima e sfumata, simile a Massenet (che, del resto, alle orecchie dei francesi dell’epoca passava per wagneriano). Nel film, con le parole cambiate, diventa una specie di Cavalleria Rusticana, con un duello all’ultimo sangue fra due grassoni (a colpi di coltello) che ha esiti esilaranti. Il tenore, quando compera la giacca (ci tiene moltissimo, anche se verrà rimproverato dal direttore di scena) farnetica di un “atto della bohème”, che serve solo per giustificare la scena della giacca e che non ha nessuna relazione con Puccini. Il Sigurd è difficile da ascoltare, mi ci sono imbattuto anni fa alla radio (allestimento del 1993, Festival di Montpellier) e ci ho messo un po’per capire come mai quella musica non mi risultava nuova. Penso che Reyer non sia stato citato nei titoli per motivi di copyright; e il tenore del film ricorda molto (nell’aspetto fisico) Chris Merritt, protagonista di quel repechage moderno.
Sono molto piacevoli anche le canzoni, ed è divertente capirne qualche frase: come quando il protagonista, perplesso, viene portato via dalla polizia e su un suo pensoso primo piano parte la musica: “Michel Michel que va tu faire?” (rima con millionaire) La scena si ripeterà più avanti col suo amico-rivale: “Prosper Prosper que va tu faire?” (la metrica è identica). “Dividiamo?” aveva proposto all’inizio Michel, quando ancora non si sapeva quale dei due biglietti era quello vincente: ma Prosper si era opposto, ah no, non si divide di certo...
Ed è molto fine la scena in cui i due innamorati (Béatrice e Michel) si riappacificano nascosti dietro la scenografia durante l’interminabile duetto d’amore (lungo quasi come quello del Tristano), dimentichi di tutto, tra un nugolo di persone che li tengono d’occhio, mentre tenore e soprano (entrambi decisamente ingombranti) cantano “Siamo qui soli, o mia amata / mio amato, da soli, nella foresta sperduti ...”
Tra i tanti caratteristi, scelgo il taxista (un anticipo del Tati di “Giorno di festa”); ma non dimentico Annabella (nome d'arte di Suzanne Georgette Charpentier, 1909-1996) che interpreta Béatrice e che è una delle ragazze più belle e più simpatiche che mi sia mai capitato di vedere al cinema. E non posso sorvolare sulla partita a rugby improvvisata sul palcoscenico, tra guardie e ladri, per il possesso della povera giacca appallottolata: un pezzo forte della storia del cinema.
Dimenticavo: siamo nel 1931, all’inizio del sonoro; ma basta far passare i primi cinque minuti e poi ci si dimentica di graffi e rigature, e il film è come se fosse stato girato ieri, anzi ancora più fresco.

4 commenti:

Ermione ha detto...

Hai proprio ragione Giuliano, questo film è davvero felicità assoluta. Una gioia per gli occhi e per la mente, un film aggraziato, fine, ironico, divertentissimo. E che attori prodigiosi!

Giuliano ha detto...

Sì, è molto bello e alla fine fa anche stare bene, meglio di una medicina!
Pensare che era già un film "vecchio" anche per me quand'ero piccolo...Ci sono film che sono già vecchi prima di uscire, ma ormai ad avere un minimo di pazienza siamo rimasti in pochi. Penso che la maggior parte degli spettatori cambi canale appena vede un film in bianco e nero, magari anche solo Woody Allen, ed è una cosa ben triste.

Ermione ha detto...

E' triste per il cinema in sé. Mi ricordo che quando ero piccola storcevo il naso a un film in b/n, guardavo le locandine e se vedevo i colori ero tutta contenta, diversa,emte sentivo che mancava qualcosa. Ma avevo sei o sette anni, ero appunto una bambina; oggi il pubblico, o almeno la maggior parte della gente che guarda un film, si comporta allo stesso modo, dategli effetti speciali e 3D, magari un po' di sesso che non guasta mai, e siamo a cavallo.
Discorsi da vecchi?...

Giuliano ha detto...

Me lo chiedo spesso, perché è un discorso da fare. Poi vedo un film ambientato nella Francia del '700 dove c'è un esperto di arti marziali giapponesi che è un indiano d'America (il soggetto era la Belva del Givaudan, il titolo preciso non lo ricordo), e tiro un sospiro, ma non di sollievo.
Sul 3D, tutto bene: però ho letto un'intervista a James Cameron sul nuovissimo "Avatar": ok per gli effetti speciali, ma la storia mi sembra il remake di Roger Rabbit... (vedremo!)