martedì 8 dicembre 2009

Entr'acte


Entr’acte (t.l.: Intermezzo) Regia: René Clair, 1924. Soggetto e sceneggiatura: Francis Picabia, René Clair. Fotografia: Jimmy Berliet. Aiuto registi: Georges Lacombe, R. Caillaud. Musica: Erik Satie (versione sonorizzata del 1968 con la direzione di Henri Sauguet). Interpreti: Jean Börlin (prestigiatore / cacciatore tirolese), Francis Picabia (uomo che carica il cannone), Erik Satie (uomo che carica il cannone), Man Ray (giocatore di scacchi), Marcel Duchamp (giocatore di scacchi), Darius Milhaud, Inge Friss (ballerina). Corteo funebre: Marcel Achard, Georges Auric, Georges Lacombe, Roger Le Bon, Pierre Scize, Louis Touchages, Rolf de Maré, Jean Mamy, Georges Charensol. Durata: 22'.

E’ uno dei film più famosi nella storia del cinema, uno dei quali si è più scritto e parlato. Il motivo di tanto interesse si scopre scorrendo la lista di chi ha partecipato alla sua realizzazione: ci sono molti dei più grandi nomi nella pittura del Novecento, Picabia, Man Ray, Duchamp, il surrealismo, il movimento dada. Per questo diventa difficile parlarne oggi: cos’altro aggiungere? Posso dire che, rivedendolo, mi sono divertito molto: ci sono tante trovate buffe e non sapendone niente si direbbe un film girato per divertimento, tra amici. Del resto, nei suoi scritti René Clair fa molto spesso l’elogio di Mack Sennett, le famose comiche del cinema muto. Un cinema tutto basato sul ritmo più che su una storia da raccontare. A pensarci bene, cose simili le faceva già Georges Méliés trent’anni prima; ma non bisogna farsi trarre in inganno dalle date.
Siamo nel 1924, che a noi sembra molto lontano: ma non è la preistoria, c’erano già stati i kolossal, c’erano già Charlot e Buster Keaton, questo non è già più un film sperimentale e il fatto che sia stato girato in questo modo indica una precisa intenzione d’autore.
Soprattutto, è un film realizzato da gente giovane. Mi sono preso la briga di andare a cercare sull’enciclopedia le date di nascita: René Clair è del 1898, Man Ray del 1890, Duchamp del 1887, Achard del 1899: tutti fra i 25 e i 34 anni, con l’aggiunta di Picabia (1879) e del “vecchione” Satie, nato nel 1866, al quale è risparmiata la galoppata finale ma che sembra divertirsi molto nell’aprire il film sovrintendendo alla carica di un cannone (bisogna dire che Erik Satie somiglia davvero molto a un generale in pensione). Messi tutti insieme, abbiamo anarchismo, surrealismo, dadaismo, orfismo, cubismo, commedia brillante: e tutto in poco più di venti minuti.
“Entr’acte” nasce come intermezzo per uno spettacolo della compagnia di balletti svedesi diretta da Rolf de Maré (che compare anche nel film), in tournée a Parigi. Collaboravano con Erik Satie, un grande musicista del quale tutti conosciamo una musica per pianoforte dal nome complicato, “Gymnopédies”, o magari "Gnossiennes", nomi difficili da ricordare ma che all’ascolto si riveleranno compagnie piacevoli e ben note. La musica di Satie per Entr’acte (il film è muto ma la musica allora si suonava dal vivo) ricorda spesso Hindemith, e talvolta anticipa Philip Glass.
“Entr’acte” viene citato quasi sempre insieme a “Un chien andalou” di Luis Buñuel, che però contiene sequenze oniriche e inquietanti; qui invece è tutto divertimento, compreso il corteo per un funerale che è solo un pretesto per una serie di gags stile slapstick, da vecchia comica.
Anche qui, vengono in soccorso un po’ di date: “Le ballet mécanique” di Leger è sempre del 1924; “Un chien andalou” di Buñuel e Dalì è del 1928; “L’etoile de mer” di Man Ray è del 1928. Tutti questi film sono piuttosto brevi e reperibili anche su Youtube.
Grandi salti, abiti neri, bombette e ombrelli (che riappariranno in “A nous la liberté”), rallentatori e riprese all’indietro o accelerate: i cari vecchi trucchi, vecchi come il cinema e sempre divertenti. E nasce subito la grande passione di René Clair per la Parigi vista dall’alto, la Notre Dame di “Le voyage immaginaire”, i tetti di “Sotto i tetti di Parigi”, le panoramiche dalla Torre Eiffel in “Parigi che dorme” e di “La tour”: forse non lo aveva ancora fatto nessuno, non in questo modo e non con tanto affetto.
Nella parte visiva vedo molto la mano di Man Ray, grande fotografo. Nei sacri testi, il film risulta scritto e pensato da Francis Picabia: ma per chi conosce Man Ray è davvero difficile togliersi dalla memoria le meraviglie delle sue fotografie.
Non mancano gli animali: un macaco, un cammello che tira il carro funebre, e pupazzi e palloncini come nelle fiere di paese. Si esibisce in pose audaci una ballerina, che vediamo ripresa dal di sotto (ma con i mutandoni) cui segue un piccolo scherzo agli spettatori maschi con l’apparizione danzante dell’uomo barbuto in tutù: ma Clair ci rassicura subito, era proprio una ballerina, eccola qui (all’anagrafe si chiama Inge Friss). O forse era sempre Picabia in tutù e la ballerina era un inganno? Nel dubbio, meglio passare alla sequenza seguente.
Che è un funerale da burla, il famoso funerale di corsa, con il carro funebre che accelera e tutti dietro che corrono e saltano per stargli dietro. Il funerale prevede anche un cadavere, un morto allegro che risorge dalla bara sorridente elegantissimo e in gran forma; con la bacchetta da prestigiatore fa sparire tutti, poi fa sparire anche se stesso – ma anche questo è uno scherzo, ecco i nostri eroi che saltano fuori dal fondale di carta, e siamo davvero al finale.
Man Ray e Marcel Duchamp giocano a scacchi, con il panorama di Parigi sullo sfondo; Francis Picabia è il barbuto che danza ed è anche il servente al pezzo di Erik Satie nel caricamento del cannone, all’inizio del film. Nei libri si dice che in “Entr’acte” compare anche Darius Milhaud, il grande musicista franco-brasiliano; non so di preciso dove stia nel film, ma vi consiglio caldamente di ascoltare se ancora non lo conoscete (per esempio, “Le boeuf sur le toit”).
La cifra distintiva di “Entr’acte”, al di là dei discorsi seri e difficili dei critici d’arte, è il divertimento: divertimento che sarà il segno distintivo di tutto il cinema di René Clair, un autore capace anche di essere serio e drammatico (avrà modo di dimostrarlo in abbondanza nei decenni seguenti) ma che qui è nella sua forma migliore, quella dei vent’anni. Sono gli inizi della carriera di Clair come regista, e subito dopo “Entr’acte” arriveranno molti film da non dimenticare.

2 commenti:

Ismaele ha detto...

L'ho visto qualche anno fa per la prima volta, e mi ha fatto ridere davvero molto.
Non sapevo cos'era, ma poi ti lasci prendere e non ti molla più, sei conquistato per sempre.
E' vero, sembra una comica di quelle che vedevamo a "Oggi le comiche" e ogni volta che lo riguardo mi sembra perfetto, geniale e bellissimo.
Anche secondo ne non c'entra con “Un chien andalou”, due mondi diversissimi.

Giuliano ha detto...

Questi qua facevano cinema perché gli piaceva...si divertivano, e facevano divertire gli altri. Vale sicuramente per Clair e per Renoir, ma erano così anche Frank Capra, De Sica, Hitchcock, Orson Welles, quasi tutti fino ai nostri giorni con gente come Amir Naderi.
E tutti senza aver fatto scuole di cinema...(dalle scuole usciranno al massimo dei bravi professionisti, soprattutto le scuole di sceneggiatura sono delle gran fregature: ti insegnano solo dove vanno messi gli spot)