The ghost goes west (Il fantasma galante). Regia di René Clair (1935). Sceneggiatura di René Clair, Robert Sherwood e Geoffrey Kerr , tratta dal racconto di Eric Keown “Sir Tristam Goes West”. Fotografia: Harold Rosson. Scenografia: Vincent Korda. Musica: Michel Spoliansky. Con Robert Donat (Murdoch Glourie/Donald Glourie), Jean Parker (Peggy Martin), Eugène Pallette (Joe Martin), Ralph Bunker (Bigelow), Elsa Lanchester (Signora Shepperton), Everly Gregg (Signora Martin), Morton Selten (il vecchio Glourie), Hay Petrie (Mac Laggan), Neil Moore (il figlio di Mac Laggan), Elliot Mason, Patricia Hilliard, Jack Lambert, Neil Lester, Herbert Lomas; produzione: Alexander Korda; durata: 95'.
Quello che vediamo nel primo quarto d’ora è un Braveheart volto a commedia, tra antichi clan scozzesi in lotta tra di loro e anche contro gli inglesi. Il vecchio patriarca del clan dei Glourie è molto irritato per il comportamento del suo erede, il giovane Murdoch Glorie (che nella versione italiana diventa “Baldo”, per ovvi motivi di comprensione). La guerra non è proprio al primo posto nelle preferenze di Baldo / Murdoch: a lui piacciono le ragazze, e non se ne perde una. Ma, per accontentare il padre (deriso dal clan rivale dei Mac Laggan) acconsente a partire per questo benedetto fronte, dovunque esso sia. Ci arriva, si presenta, i Mac Laggan sbalorditi vogliono subito sfidarlo (gli inglesi aspetteranno), ma lui ha trovato una pastorella e si è concesso una deroga dal giuramento fatto a suo padre. Baldo è giovane e bello, la pastorella lo ascolta volentieri; ma la storia non ha un lieto fine, un malaugurato incidente toglie Baldo dalla guerra, in maniera ingloriosa e per sempre. Nell’aldilà, suo padre e gli avi infuriati lo condannano a vagare in eterno nel castello di famiglia, mostrandosi tutte le notti a mezzanotte in punto; e questo finché non riuscirà a far dire a un MacLaggan che i Glourie sono molto meglio di loro.
E quindi ci spostiamo ai giorni nostri, cioè nel 1935: il castello è in rovina, ma piace tantissimo a una turista americana. Il padre è ricchissimo: glielo compera, lo smonta, lo porta in America tutto compreso, pietra per pietra: anche il fantasma, of course. Anzi, meglio se c’è il fantasma: vuoi mettere?
E’ una storia buffa e simpatica; in Florida, col castello scozzese rimontato sul mare tra le palme, Baldo scoverà finalmente un erede dei Mac Laggan (in Scozia non ce ne erano più) e il suo discendente Donald, così identico a lui da essere scambiato con il fantasma, troverà l’amore. Tutto così ovvio che non varrebbe nemmeno la pena di raccontarlo, eppure con René Clair ci si diverte sempre.
I dialoghi sono brillanti e divertenti, e sono molto belle le scene d’amore tra il fantasma e la ragazza, e gli equivoci conseguenti (il suo discendente è molto più timido e sfiduciato: fin dall’inizio del film sappiamo che non ha un soldo e non può dichiararsi alla ragazza). Tra le gags più divertenti, quella del Parlamento inglese che, davanti alla notizia dell’esportazione del fantasma s’indigna “perché si lascia partire un patrimonio nazionale”, mentre il Parlamento americano s’indigna “perché si lascia entrare un immigrato senza alcun controllo”.
Va però detto che con i film di René Clair succedono cose strane. Capita che i suoi film più antichi, rivisti oggi, siano freschi e divertenti come allora, compresi quelli girati nel periodo del cinema muto; e capita che film più recenti, come questo, mostrino inevitabilmente la corda. Il film fa un curioso effetto, che forse in parte è dovuto ai costumi e alla recitazione. Visto oggi, il fantasma scozzese sembra meno vecchio dei vestiti della ricca ragazza americana – che ha la radio in macchina, gran lusso nel 1935. Il vero Clair si vede, a tratti, nel primo quarto d’ora, con l’irresistibile Baldo nella scena con la pastorella. Forse la pastorella avrebbe meritato di essere la protagonista del film, e certo Clair a Parigi ci avrebbe fatto più di un pensierino; ma siamo a Hollywood e lo star system ha le sue regole.
Insomma, il fantasma galante è molto invecchiato, e ciò mi dispiace molto. Non sono affatto invecchiate le donnine del “Milione”, “Parigi che dorme” è ancora irresistibile, “Entr’acte” è ancora capace di stupire, e “Grandi manovre” è sempre un film che fa commuovere; ma qui qualcosa non funziona più.
“The ghost goes West” è divertente e simpatico, riprende stilemi e gags che hanno sempre funzionato (il drappello dei creditori, identico a quello del “Milione”); ma le attrici del Clair francese erano molto più vivaci e simpatiche, così come tutti i caratteristi. Tra gli interpreti salverei Robert Donat, che come protagonista è ottimo e credibile in tutti e due i ruoli (l’avo e il discendente) e Morton Selten, l’attore che interpreta suo padre, il vecchio scozzese di scorza dura temprato nel whisky. Donat era un vero divo, all’epoca: ha girato molti film da protagonista ed è stato l’attore preferito da Hitchcock, nei ruoli eleganti che poi, nel dopoguerra, faranno la fortuna di James Stewart e Cary Grant.
Funzionale la musica, e nella colonna sonora per le apparizioni del fantasma si ascolta uno strumento che si direbbe il theremin. Il Theremin (che prende il nome dal suo inventore, un russo) brevettato negli anni ’20, è uno dei primi strumenti elettronici, un campo magnetico che vibra muovendoci le mani sopra, senza toccare nulla, provocando un suono che si può modulare: sembra una magia, e se cercate su youtube ne troverete qualche dimostrazione. L’abbinamento del theremin con le apparizioni, spettri o alieni dallo spazio profondo, è un altro piccolo classico nella storia del cinema, e questa è forse una delle sue prime apparizioni nei film.
Ed una riga per il titolo originale, "Lo spettro va all'Ovest": cioè nel Far West, come i pionieri americani. Una battuta e un titolo per noi intraducibili, ma che agli americani sarà piaciuto molto; e in fin dei conti per un europeo l'America è davvero il Far West.
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