giovedì 3 dicembre 2009

Io ballo da sola

Stealing beauty (Io ballo da sola, 1996). Regia di Bernardo Bertolucci. Sceneggiatura di Bernardo Bertolucci e Susan Minot. Fotografia: Darius Khondji. Sculture di Matthew Spender. Riprese effettuate in Toscana, a Gaiole in Chianti. Musica: Mozart, Jimi Hendrix, molto jazz e molte canzoni. Musiche originali di Richard Hartley. Con Liv Tyler (Lucy), Donal Mac Cann (lo scultore), Sinéad Cusack (moglie dello scultore), Jeremy Irons (l’ammalato), Jean Marais (monsieur Guillaume), Joseph Fiennes (Christopher), Rachel Weisz (Miranda), Stefania Sandrelli (Noemi), Carlo Cecchi (Carlo), Ignazio Oliva (Osvaldo). Roberto Zibetti (Niccolò), Francesco Siciliano (Michele) Leonardo Treviglio (il tenente) Rebecca Valpy (Daisy) Durata: 113 minuti
- Io vi amavo tutti, quando eravate vivi...
(Jean Marais, seconda metà del film)
Per chi non ha visto il film, dirò che l’anziano signore francese sta parlando a persone non solo vive e ben presenti, ma sono anche lì tutti insieme, allo stesso tavolo, in una pizzeria. E’ per questo che la battuta è molto amara e molto vera, anche se molto cruda. E’ una delle battute che danno senso al film, ed è un film molto bello e profondo, e molto sottovalutato.
Queste persone vivono in un ambiente solo in apparenza aperto, un mondo in gran parte falso, basato su rapporti personali solo in apparenza saldi, che si rifà più o meno apertamente a “La regola del gioco” di Jean Renoir, uno dei più grandi film nella storia del cinema e punto di riferimento costante per Bernardo Bertolucci. Come nei romanzi dell’Ottocento, come in Hawthorne e in Henry James, si tratta di inglesi e americani in Toscana: ovviamente artisti o sedicenti tali. Sono tutti bei personaggi, s’intende, e interpretati da attori magnifici; ma è chiaro fin dall’inizio a chi va la simpatia di Bertolucci, e non è nessuno di questi.
Questa è la mia analisi, s’intende: che forse non è quella giusta e non è detto che sia quella di Bertolucci, e riflette la mia antipatia ed estraneità per questo mondo di falsi artisti, ragazze romantiche che scrivono libri e diari e poesie, figli di papà che vivono nell’ambiente artistico senza avere nulla da dire, solo grazie ai soldi che non hanno guadagnato.
“Io ballo da sola” è un film girato in pieno sole, d’estate, in aperta campagna, quasi tutto in luce diurna e in esterni. Un film che mette vicine vita e morte, una malattia in fase terminale e una vitalità che deve ancora esprimersi in pieno. Quando il ciclo vitale è al massimo splendore, inizia la discesa: così insegnano i filosofi, sottolineando però che la vita è in continuo mutamento e movimento, che dalla morte nasce la vita, e viceversa.
“Stealing beauty”, “rubando la bellezza", è il titolo originale (forse un gioco di parole con Sleeping Beauty: ma opera di Bertolucci è certamente anche il titolo italiano) rende meglio il significato del film: alla fine della sua vita, l’ammalato morente ringrazia la ragazza in fiore per avergli donato la vicinanza della sua bellezza, qualcosa da rubare alla Morte che lo sta portando via da quell’incanto in cui è sempre vissuto.
E’ un tema caro alla poesia, da sempre.
Der Tod und das Mädchendi Matthias Claudius (1740-1815)
messo in musica da Franz Schubert
Das Mädchen:
"Vorüber! ach, vorüber!
Geh, wilder Knochenmann!
Ich bin noch jung, geh, Lieber!
Und rühre mich nicht an."
Der Tod:
"Gib deine Hand, du schön und zart Gebild',
Bin Freund und komme nicht zu strafen.
Sei gutes Muts! Ich bin nicht wild,
Sollst sanft in meinen Armen schlafen."
La fanciulla:
Va' via! Sta' lontano!
Tu scheletro orrendo.
Sono giovane ancora,
Non toccarmi, ti prego!
La morte:
Su dammi la mano, dolce e bella creatura
Ti sono amica e non ti porterò pena.
Su fatti coraggio! Non sono poi così dura,
Fra le mie braccia potrai dormire serena!

Per chi volesse ascoltare questo Lied di Schubert (Lied significa “canzone”, non c’è da spaventarsi) raccomando la versione indimenticabile di Kathleen Ferrier con Bruno Walter al pianoforte; ma ne esistono molte altre interpretazioni, quasi tutte buone.
Nelle arti figurative, questo tema è stato sviluppato nelle “Vanitas”, un termine latino che si rifà a famosi versi dell’Ecclesiaste. “Vanità delle vanità, tutto è vanità”: è la versione dall’ebraico fatta da San Gerolamo, milleseicento anni fa, ma Erri De Luca (in “Kohèlet Ecclesiaste”, ed. Feltrinelli) dice che è forse più giusto tradurre secondo l’originale ebraico, hèvel, vuoto, spreco, ma che suona anche molto simile ad Abele, la prima vittima.
La Vanitas è un genere pittorico tipico del Seicento del quale sono tipici e magnifici rappresentanti i dipinti di Guercino e di Cagnacci di cui ho già parlato riguardo a “Eyes wide shut” di Stanley Kubrick (un film che è un’altra Vanitas). C'è tutto, di quel quadro e delle Vanitas, nel film di Bertolucci: al centro, la ragazza giovane e fiorente; e, nei dintorni, il tempo che passa e tutti i suoi segni. “Et in Arcadia ego”, come dice la lapide nel dipinto del Guercino: per i Greci antichi, l'Arcadia era più o meno l'equivalente del nostro Paradiso Terrestre, dunque un mondo perfetto. Eppure, anche in Arcadia esiste la morte: ne sono testimoni il teschio, e la lapide che dice "anch'io sono in Arcadia".
Non è dunque casuale la scelta di Liv Tyler, all’epoca giovanissima: non una ragazzina esangue, pallida e sognante, ma alta, forte e robusta – proprio come la giovane donna al centro del dipinto di Cagnacci. Ricordo una recensione d’epoca, penso che fosse quella di Lietta Tornabuoni sull’Espresso, dove si sottolineava come un errore la scelta di questa ragazzona americana “dalle caviglie grosse”, eccetera. Questo significa non aver capito il film, non è la prima volta che capita e ogni tanto mi ritrovo a pensare che dev’essere ben triste fare il critico cinematografico di professione: ti tocca andare a vedere anche i film che non avresti voglia di vedere, magari nella sera sbagliata. Capita anche a noi, ma almeno non siamo costretti a scriverne il giorno dopo...
Un altro mio riferimento, molto personale, è ad un’opera di Leos Janacek, “La piccola volpe astuta”, dove il tema è trattato ancora in modo più ampio. Per chi fosse curioso, ne è stato tratto di recente un cartone animato molto bello, adatto anche ai bambini, per mano dell’inglese Geoff Dunbar.
Ma si può anche pensare ad un remake di "Il posto delle fragole", davanti all'ennesima apparizione del potente archetipo della Morte e della Giovinezza. In Bergman c'erano il vecchio e la ragazzina, più altri personaggi; in Bertolucci c'è un uomo ancora giovane ma prossimo alla morte, e una ragazza in cerca di se stessa e del padre (che però non è l’uomo malato).
“Io ballo da sola” comincia come “Alice nelle città” di Wenders, con un viaggio in aereo e poi in treno, dall’America fino a Siena. Qui c’è un film invece delle Polaroid, ma non vediamo in volto l’autore della ripresa (che poi viene donata a Lucy). I viaggi in aereo sono quelli di prima del 2001, e i treni sono quelli comodi e caldi di prima della privatizzazione
E poi comincia il film vero e proprio, in piena campagna senese: una vista meravigliosa che però mette tristezza perché oggi è minacciata dalla speculazioni, dalle immobiliari, dai cantieri delle grandi opere – la TAV è passata su orizzonti come questi, perché sembra incredibile ma c’è chi gli fa schifo la linea dell’orizzonte... Ma tutto questo nel film non è entrato, forse nel 1995 sembrava incredibile che si potessero rovinare posti come questi; e, soprattutto, il film parla del presente (come è giusto che sia, vista la giovane età della protagonista).
A questo punto devo confessare un mio peccato grave: all’epoca dell’uscita del film non ero andato a vederlo, l’ho recuperato in tv anni dopo. Non mi ero fidato di Bernardo Bertolucci, e ho sbagliato. Di Bertolucci bisogna fidarsi sempre: ha sempre ragione lui, magari ha girato un film diverso da quello che ci aspettavamo, ma sa sempre quello che fa e perché lo fa; e ha una capacità professionale così grande che lo mette al riparo dalla mancata riuscita. E, dunque, attenti: quando guardate un film di Bernardo Bertolucci state bene attenti, pensateci sopra, e non limitatevi alla prima impressione.
Quanto alla storia che vi è narrata, non so nemmeno se sia davvero importante. Bisogna un po’ lasciarsi andare, far finta di essere lì mentre le cose accadono, altrimenti succede come a un mio collega, che quando uscì il film me lo sintetizzò così: "c'è una ragazza che vuole perdere la verginità, e alla fine ci riesce". Una sintesi un po' rozza, d'altronde quel mio collega non era una cima; e quantomeno aveva apprezzato il film perché molto bello.
La cosa preoccupante è che la gran parte della critica, sui giornali e in tv, non si era allontanata molto da questa sintesi. Anche nelle recensioni online ho trovato molti tentativi di riassuntini, molti mipiace/nonmipiace, stroncature nette, Bertolucci dato per finito... tutto abbastanza insensato.
Non è la storia che conta, ma come viene raccontata: una verità ovvia, la storia più bella mal raccontata non piace, e qui di storie non ce ne è una sola, ce ne sono parecchie: che senso ha evocare “Il tempo delle mele”? Dimostra solo il background culturale di chi lo dice; a me sono venute in mente tante altre cose, e ad essere sinceri non ho nemmeno fatto il classico, non sono nemmeno laureato, secondo la Moratti e la Gelmini io sarei una specie di primitivo ignorante – ma anche questo discorso non fa parte del film.
Insomma, basterebbe un piccolo sforzo. Da parte nostra, noi spettatori, dovremmo avere un po’ più di umiltà. Io l’ho imparato, non subito, capisco che ci vuole un po’ di tempo, ma l’umiltà, il mettersi in ascolto, il cercare di capire cosa ci stanno dicendo, sono qualità fondamentali. Può darsi che ci stiano dicendo cose bellissime, ma noi non ascoltiamo e preferiamo guardare i vestiti, le pettinature, criticare l’aspetto fisico, mettere davanti a tutto i nostri preconcetti. E non capita solo al cinema, purtroppo.
Quanto alla storia, dirò solo questo: che le api hanno un ruolo chiave.
La sceneggiatura è firmata da Bertolucci con Susan Minot, che all’epoca era una scrittrice emergente. Ma Bertolucci non è affatto minimalista, come la Minot; è duro e diretto, anche violento. A molti non piace, per queste sue caratteristiche.
Le sculture che vediamo nel film sono opera di Matthew Spender, un artista molto quotato che vive realmente in Toscana; ne metto qui un paio, con immagini che non provengono dal film. Annoto solo che è un brutto colpo all’immagine romantica dell’artista vedere uno scultore all’opera con la motosega, ma ormai funziona così (oggi nessuno ha più voglia di far fatica, direbbero i miei amici brianzoli). Una delle sculture di Spender, quella con la donna e il bambino, farà però trasalire Lucy nel finale.
“La scultura somiglia sempre all’autore” dice lo scultore a Lucy, quando le chiede se il suo ritratto verrà somigliante.

Si fuma troppo in questo film, anche i sigari; però tutto questo smoking viene perdonato perché giustifica una meravigliosa battuta, quando Alex chiede da fumare mentre l’ambulanza lo porta via, e lo scultore gli dice:
- Oh, Alex, ma tu l’hai mai comperata una sigaretta in vita tua?

PS: Questo film ha una colonna sonora bellissima, che varia da Mozart al jazz, al rock, al blues, a Pino Daniele, alla musica per banda... Con l’aiuto di IMDB riporto qui i titoli indicati: di più della metà non so nulla, un’occasione per informarsi (il CD è stato pubblicato dalla Capitol, forse si trova ancora) . Una curiosità: non c'è nulla degli Aerosmith, la rock band guidata da Steve Tyler, padre di Liv Tyler.
Mozart: estratti da "Concerto per clarinetto e orchestra K622" ; “Trio con pianoforte K549” ; Concerto per corno n.1 K412, “Quartetto per archi n.20 K499”. Ai quali va aggiunto una stonatura del Don Giovanni, la serenata, ad opera di non ricordo chi degli attori maschi.
Luigi Ceccarelli: Variazioni su un tema messicano, per banda” Performed by Soc. Filarmonica di Gaiole in Chianti Arranged by Fabio Polese
Jimi Hendrix: "If 6 Was 9" (Performed by Axiom Funk)
John Lee Hooker: "Anne Mae" (J.L. Hooker)
John Lee Hooker: "Chill out" (J.L. Hooker, Carlos Santana, Chester Thompson)
Billie Holiday: "I'll Be Seeing You" (Fain, Kahal)
Chet Baker: Tenderly (Lawrence, Gross)
Charlie Haden: “My love and i “ (Raksin, Mercer)
Nina Simone: "My Baby Just Cares For Me" (Donaldson, Kahn)
Isaac Hayes: sample of "Walk on by" (Burt Bacharach, Hal David)
Stevie Wonder: Susperstition (Stevie Wonder)
Pino Daniele: "'O cammello 'nnammurato" (Pino Daniele)
Paolo Passano: “In questa splendida città” (Passano)
Portishead: "Glory Box" (Portishead)
Hoover: "2 Wicky" (Geerts, Callier)
Liz Phair: "Rocket Boy" (Phair, Ellison)
Mazzy Star: "Ryhmes of an Hour" (Sandoval, Roback)
Cocteau Twins: "Alice" (Cocteau Twins)
Lori Carson: "You Won't Fall" (Lori Carson)
Sam Phillips: "I Need Love" (Sam Phillips)
Helium: "Comet No.9" (Mary Timony)
Hole: "Rock Star" (Hole)
Mark Tschanz: "The Life" (Mark Tschanz)
Roland Gift: "Say it ain't so"

2 commenti:

Molly ha detto...

Grazie per questa splendida recensione e per la ricerca che hai fatto.
Anch'io non sono laureata! E nemmeno uno dei miei maestri di vita lo è stato, benché uno di loro appaia sui libri di storia del teatro in francia.
Complimenti, finalmente qualcuno che ha lo spirito e l'umiltà per scrivere davvero recensioni cinematografiche. (anche perché sospetto che molti che scrivono nemmeno abbiano visto il film, ed è ingiusto anche usassero tale metodo per scrivere di cinepannettoni e simili). Buona serata e buona continuazione.
Sono stata alla casa, è a Gaiole in Chianti. E' un viaggio da consigliare!

Giuliano ha detto...

Grazie a te, Molly: le informazioni sui luoghi sono sempre benvenute! La aggiungo subito ai titoli di testa
:-)
Ho molto rispetto per i laureati, a patto che la laurea non se la siano comperata (succede: sia coi soldi che in natura, le cronache ne parlano ma si mettono subito tutto a tacere), e poi ho seri dubbi sul metodo degli esami, dei test, di come si insegna.
Un esempio clamoroso è quello dei "falsi medici": non hanno la laurea ma non se ne accorge nessuno, e per anni. Come mai? Semplice: sono migliori degli altri.