Rope (Nodo alla gola, 1948; riedizione: Cocktail per un cadavere) Regia: Alfred Hitchcock; soggetto: da un dramma di Patrick Hamilton; sceneggiatura: Arthur Laurents; fotografia (Technicolor): Joseph Valentine, William V. Skall; scenografia: Perry Ferguson, Emile Kuri, Howard Bristol; musica: Leo S. Forbstein, basata sul tema del Movimento Perpetuo n.1, di Francis Poulenc; montaggio: William H. Ziegler. Interpreti: James Stewart; John Dall e Farley Granger; e con Joan Chandler, sir Cedric Hardwicke, Constance Collier, Edith Evanson, Douglas Dick, Dick Hogan; produzione: Sidney Bernstein e Alfred Hitchcock per Transatlantic Pictures, Warner Bros; origine: USA; durata: 80'.
“Rope”, che è il titolo originale del film, significa semplicemente “Corda”. Questa corda, con la quale è stato commesso un omicidio, Hitchcock ce la mostra fin dall’inizio: la esibisce, ci gioca, torna continuamente in tutto il film, ed è spesso in primo piano. Potrebbe essere il simbolo stesso di tutto il cinema di Hitchcock, mettere tutto in evidenza: nei film di Hitchcock sappiamo quasi sempre da subito chi è il colpevole, e in questo film sappiamo anche dove è nascosto il cadavere, e fin dalla prima inquadratura. Un altro oggetto sempre in primissimo piano: una cassapanca, che nella foto messa qui sembra una tavola imbandita ma che invece nasconde un cadavere – e così resterà per tutte la durata del film.
E, particolare non secondario, in questo come in tutti i migliori film di Hitchcock non si vede una sola goccia di sangue. La suspence c’è, ma deriva da altri particolari: soprattutto deriva da un’attenzione ai particolari anche minimi, ai dialoghi, alla recitazione. Un lavoro da maestro: Hitchcock è molto diverso da come viene quasi sempre frettolosamente descritto. Di Hitchcock si potrebbe parlare per ore, e del resto i materiali abbondano: penso che nessuno come lui abbia generato tanti libri, interviste, film, documentari. Questo film permette di parlare delle capacità tecniche del regista inglese, descritte da Hitchcock stesso nell’intervista che riporto qui sotto. Oggi può far sorridere portare l’attenzione su questi particolari, oggi che il progresso tecnologico ci ha dato obiettivi e telecamere inimmaginabili, ma registi come Hitchcock e come Kubrick sono stati maestri anche nell’innovazione tecnica, studiando nuovi obiettivi e nuove tecniche d’illuminazione, mettendo le telecamere sospese, inventandosi riprese mai viste prima... Hitchcock ha fatto veri e propri prodigi, da questo punto di vista. E’ memorabile la grande carrellata di “Giovane e innocente”, anno 1937, dove si parte da un grande quadro d’insieme e si arriva, con un solo movimento macchina, al primo piano degli occhi del “colpevole”.
Devo dire che mi disturba molto vedere Hitchcock sempre ricondotto all’unica dimensione del giallo e del thriller (magari anche accostato ai Lucio Fulci e ai Dario Argento!). C’è anche questo in lui, ma è solo uno dei suoi aspetti: Hitchcock è un grande della commedia, con un umorismo molto british che a volte sfugge ma che è la sua dimensione fondamentale: fondamentale per capirlo. Chi lo giudica solo avendo visto i pupazzi degli Uccelli e la scena della doccia di Psycho, e lo inquadra nel macabro e nel pulp, sbaglia di grosso e gli fa un gran torto.
Su Hitchcock i luoghi comuni si sprecano. E’ quasi una maledizione: il giallo, il profilo pacioso, la voce melensa del doppiatore, gli uccelli cattivi e gli assassini che spargono sangue sotto la doccia... Di tutte queste cose è vittima anche “Nodo alla gola”, basterà guardare come viene riassunto quasi sempre il film, purtroppo anche da Truffaut nel libro citato. Io trovo del tutto inutile immaginare un legame qualsiasi fra i due assassini e la loro vittima: questo è un crimine del tutto insensato, gratuito e forse anche casuale, e soprattutto è quasi soltanto un gioco, un espediente narrativo: dargli una spiegazione o un pretesto più o meno razionale significa rovinarsi il piacere della storia. Ricordo che Hitchcock si poneva spesso simili scommesse: in “Lifeboat”, girato pochi anni prima, tutta l’azione si svolge su una scialuppa di salvataggio in alto mare, e anche in quel film (“Lifeboat”) volendo ci si può anche interrogare sui gusti sessuali dei protagonisti, ma che senso ha? Meglio godersi lo spettacolo...
Del tutto inutile è anche sottolineare che il film fu “un flop” al botteghino. Prima di tutto, è un’informazione sbagliata: qui sotto riporto cosa ne dice Hitchcock, su precisa domanda di Truffaut. E poi vorrei tanto che questa terminologia sparisse. Che cos’è che rende grande un film, o qualsiasi cosa che noi facciamo? Forse il numero di spettatori? Non direi proprio, nei momenti più belli della nostra vita siamo quasi sempre in due, tanto per dirne una. O magari in tre, quando nasce un bambino... Che un film rendesse al botteghino era molto importante per Hitchcock e per la sua troupe, in quel 1948: oggi per noi non dovrebbe avere più nessun valore. Meglio godersi lo spettacolo, senza ombra di dubbio.
Hitchcock era uno sperimentatore, direi quasi un ingegnere; e i suoi film sono altissimo artigianato. Oggi che girare film è facilissimo (a portata di idiota, verrebbe da dire, visti anche certi risultati soprattutto nostrani), fa quasi sorridere pensare a cosa si dovevano inventare i vecchi grandi registi. Hitchcock nasce dal teatro, almeno come spettatore: e questo è un film di vero cinema, bello e avvincente, ma che ha la particolarità di essere girato come in un’unica sequenza, in tempo reale, quasi la ripresa di una recita teatrale. C’è, sì, l’omicidio: come negarlo? Ovviamente, Hitchcock è davvero il maestro del thriller, ma non è mica l’omicidio che gli interessa, e difatti non lo mostra né mostra corpi, sangue, ferite. Gli interessa giocare bene coi suoi burattini, mettere in piedi il teatrino e farlo funzionare alla perfezione: questo film, e “La finestra sul cortile”, sono esemplari perfetti del suo stile.
Soprattutto, Hitchcock era inglese: e il suo è un umorismo tutto inglese, della stirpe di Wodehouse e di Jerome, molto fine e molto divertente. Come quando alla fine del “Delitto perfetto” l’investigatore (anche lui molto british) tira fuori un pettine e si pettina i baffi: chi altri poteva permettersi un’uscita del genere?
Gli attori sono perfetti: un grande James Stewart, John Dall e l’ambiguo Farley Granger, che qualche anno dopo sarà l’ufficiale austriaco amante di Alida Valli in “Senso” di Luchino Visconti.
Qui sotto riporto alcuni brani dall’intervista di Hitchcock su “Nodo alla gola”: che è molto lunga e purtroppo ho dovuta tagliarla. Il libro che ho io in casa è ormai un’edizione storica, pubblicato dall’editore Pratiche; so che è stato ristampato altre volte da editori diversi ma sul momento non saprei dire quali.
Alfred Hitchcock intervistato da François Truffaut, 1962:
F.T. : Siamo arrivati al 1948. E’ una tappa importante della sua carriera, perchè si avviava a diventare, con “Nodo alla gola” (Rope) 1, produttore dei suoi film. “Nodo alla gola” è anche il suo primo film a colori oltre che un'enorme sfida tecnica. Vorrei chiederle prima di tutto se l'adattamento si discosta molto dalla commedia di Patrick Hamilton.
A.H. : No, non molto. Ho lavorato un po' con Hume Cronyn e i dialoghi sono in parte quelli originali, in parte di Arthur Laurents. Non so veramente perchè mi sia lasciato trascinare in questo pasticcio di “Nodo alla gola”; non posso chiamarlo altrimenti che un pasticcio. La commedia aveva la stessa durata dell'azione, aveva un andamento continuo, dal momento in cui si alzava il sipario fino a quando era calato e mi sono chiesto: come posso tecnicamente filmare questa storia mantenendo lo stesso andamento della commedia? La risposta era evidentemente che la tecnica del film avrebbe dovuto produrre la stessa continuità e che non si sarebbe dovuto fare alcuna interruzione all'interno di una storia che incomincia alle 19,30 e termina alle 21,15. Allora mi è venuta questa idea un po' folle di girare un film costituito da una sola inquadratura. Ora, quando ci rifletto, mi rendo conto che era completamente senza senso, perchè rompevo con tutte le mie tradizioni e rinnegavo tutte le mie teorie sulla segmentazione del film e sulle possibilità offerte dal montaggio, per raccontare una storia attraverso delle immagini. (...) Beninteso, ho avuto molte difficoltà per fare questo e non solo con la macchina da presa. Per esempio con la luce: nel film la luce diminuiva continuamente, l'illuminazione cambiava tra le 19,30 e le 21,15, perchè l'azione cominciava quando era ancora giorno e si concludeva di notte. Un'altra difficoltà tecnica da superare consisteva nell'interruzione forzata alla fine di ciascuna bobina; l'ho risolta facendo passare un personaggio davanti all'obiettivo per oscurarlo proprio nel momento preciso in cui la pellicola del caricatore finiva. Così c'era un primissimo piano sulla giacca di un personaggio e all'inizio della bobina successiva si riprendeva ancora col primissimo piano sulla sua giacca.
F.T. Oltre a tutto ciò era la prima volta che usava il colore al cinema, dunque difficoltà ulteriori?
A.H. Sì, perchè ero deciso a ridurre il colore al minimo. Avevamo costruito la scenografia di un appartamento costituita da un'entrata, un soggiorno e una parte della cucina. Dietro la finestra, che lasciava intravedere New York, avevamo uno sfondo costituito da un modellino di forma semicircolare a causa dei movimenti della macchina da presa; questo modellino occupava una superficie tre volte più grande di quello della stessa scenografia, per l'effetto della prospettiva. Tra i pezzi di grattacielo e la parete dello sfondo avevo delle formazioni di nubi fatte di vetro filato. Ogni nube era mobile e indipendente. Alcune erano appese con dei fili invisibili, altre erano posate su delle pertiche; erano sistemate in una forma semicircolare. C'era un « piano di lavoro» speciale per le nuvole e tra una bobina e l'altra si spostavano da sinistra a destra, ciascuna con una velocità differente. Non si muovevano sotto i nostri occhi nel corso della bobina, ma ricordi che la macchina da presa non inquadrava sempre la finestra, così approfittavamo di questi momenti per spostarle. Quando le nuvole avevano terminato il loro percorso da un lato all'altro della finestra, le toglievamo e le montavamo di nuovo. (...)
F.T. E ha avuto molti problemi per la mobilità della macchina da presa?
A.H. La tecnica della camera mobile era già stata provata più volte nei suoi minimi dettagli. Lavoravamo con il Dolly, e per terra, c'erano dei piccoli segni di riferimento, delle cifre che quasi non si vedevano, scritte sul pavimento; tutto il lavoro dell'operatore sul suo Dolly consisteva nell'arrivare sul tal numero e così via. Quando passavamo da una stanza all'altra, la parete del soggiorno o dell'entrata spariva su delle rotaie silenziose; ma anche i mobili montati su delle piccole ruote erano spinti via man mano. Era veramente uno spettacolo assistere alle riprese di questo film! (...) avevamo fatto costruire un pavimento speciale. Nella primissima scena c'è poco dialogo. Giriamo nel soggiorno e il dialogo ricomincia, andiamo nella cucina, le pareti spariscono, le luci si alzano, è la nostra prima ripresa della prima bobina e ho talmente paura che riesco a malapena a guardare; siamo arrivati all'ottavo minuto consecutivo di ripresa, la macchina da presa fa una panoramica quando i due assassini ritornano verso la cassapanca e qui c'è... un elettricista che se ne sta in piedi! La prima ripresa era rovinata (...) Abbiamo fatto prima dieci giorni di prove con la macchina da presa, gli attori e le illuminazioni. Poi diciotto giorni di riprese e, a causa del famoso cielo arancione, nove giorni in cui abbiamo rifatto le ultime cinque bobine. (...)
F.T. Prima di finire con “Nodo alla gola”, vorrei che parlassimo un po' della sua ricerca del realismo, perchè la colonna sonora del film è veramente di una realtà allucinante, per esempio alla fine della serata, quando James Stewart apre la finestra e spara un colpo nella notte, si sentono salire tutti i rumori della strada.
A.H. Lei ha usato l'espressione: « Si sentono salire tutti i rumori della strada». Ebbene! ho proprio fatto mettere un microfono fuori dal teatro di posa all'altezza del sesto piano e ho radunato in basso delle persone che dovevano parlare tra di loro. Per la sirena della polizia mi hanno detto: «Ne abbiamo una nella nostra sonoteca. - Come si potrebbe fare per avere la sensazione della distanza? - La si farà partire molto piano, poi si alzerà sempre di più il volume. - Non voglio una cosa del genere ». Ho fatto affittare un'ambulanza con una sirena, ho sistemato il microfono sul cancello del teatro di posa e ho mandato l'ambulanza a due chilometri di distanza; è stato in questo modo che ho registrato il suono.
F.T. “Nodo alla gola” era la sua prima produzione. È stato un successo finanziario per lei?
A.H. Sì, è andata molto bene e la stampa è stata favorevole; siccome era la prima volta che si faceva questo genere di lavoro il film è ugualmente costato un milione e mezzo di dollari, di cui trecentomila sono andati a James Stewart. Recentemente la M.G.M. ha riacquistato il negativo e il film ha avuto una nuova edizione.
(da “Il cinema secondo Hitchcock”, libro-intervista con François Truffaut dove Hitchcock racconta tutti i suoi film e il suo punto di vista sul cinema) (ed. Pratiche, 1987)
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