domenica 20 dicembre 2009

Images

Images, di Robert Altman (1972) Scritto da Robert Altman con inserti dal libro di Susannah York “In search of unicorns”. Fotografia di Vilmos Zsigmond Musiche di John Williams e di Stomu Yamash’ta. Con Susannah York, René Auberjonois, Marcel Bozzuffi, Hugh Millais , John Morley, Cathryn Harrison. Durata originale 101 minuti

«Un film è un successo quando è finito: è quello il vero successo. E’ un po’ il processo che si ha con i figli, devi riuscire a gestire il percorso della loro crescita. Una volta che sono nati non c’è molto altro da fare. Quando infine tagliano il cordone ombelicale e seguono la loro strada, un genitore spera sempre di aver fatto un buon lavoro, cerca di aiutarli e di dire agli altri quanto sono bravi, ma oltre questo non c’è molto da fare.» (Robert Altman, intervista sul set di “Images”, dal dvd del film)
“Images” (che si pronuncia i-me-gis, e non “imeigs”: lo scrivo per me che me lo dimentico sempre) viene regolarmente venduto e presentato come film horror; ma non è un horror.
Susannah York vi interpreta una schizofrenica all’inizio della sua malattia, una donna ancora giovane che non riesce più a distinguere ciò che è reale dalle sue allucinazioni; nel finale (si può dire perché non è un thriller, e anzi aiuta a comprendere ciò che si vede) commetterà senza volere un omicidio, convinta che si tratti di una delle sue visioni.
Il marito è molto distratto e superficiale, ed è spesso assente; quando se ne accorge è ormai tardi. Le voci e le visioni arrivano dal passato, si mischiano al presente, e il film è condotto in modo che anche per lo spettatore diventa difficile capire cosa è realtà e cosa è finzione.
Altman dice di essersi ispirato a “Persona” di Ingmar Bergman, e qualche somiglianza tra i due film si può trovare; ma io ci vedo (molto evidente) anche l’influsso di “Giulietta degli spiriti” di Fellini, girato sei anni prima. Molte espressioni della protagonista, Susannah York, sono infatti vicinissime a quelle di Giulietta Masina nel film di Fellini: a quel tempo Fellini era famosissimo in tutto il mondo e aveva già vinto due o tre Oscar.
La differenza con Ingmar Bergman è invece grande, al di là del tema di fondo, perché Bergman lavora moltissimo con i primi piani, qui quasi assenti. Altman utilizza invece molti campi lunghi, ed è fondamentale l’importanza del paesaggio e dei colori, e anche degli interni; ed è strana la scelta del formato della pellicola, un Panavision davvero enorme, più adatto ad un film di guerre e battaglie, che al cinema avrà fatto uno strano effetto.
Anche per l’uso del colore, e ragionando su Ingmar Bergman, “Images” si apparenta a “Sussurri e grida” piuttosto che a “Persona”: ma “Sussurri e grida” uscirà solo due anni dopo “Images”.
In “Images” c’è anche qualcosa di Hitchcock, quando arriva il signore anziano col cane, e il cane cerca di entrare nella casa di Susannah York: siamo nella seconda metà del film.

Su “Images” in rete non c’è quasi niente: penso che lo abbiano visto veramente in pochi e che sia stato quasi dimenticato. Fu premiato a Cannes, ed ebbe un periodo di grande notorietà; ma poi non se ne è più parlato, ed è un peccato. In effetti, va detto che è un film molto affascinante ma anche molto difficile.
E’ un film notevole, da conoscere; non è sicuramente un film facile ma è di quelli che rimangono dentro anche dopo molti anni. Devo dire che dopo aver visto “Images” e il Bergman di “Sussurri e grida” tutti gli horror che ho visto in seguito mi sono sempre sembrati piuttosto banali
Nel ricordo, tendevo a confondere “Images” con “Tre donne”, uscito nel 1977: le somiglianze tra i due film (entrambi di Altman) sono molte. Il film è girato in Irlanda, ma le auto sono americane, e tutto è pensato per spiazzare lo spettatore e non far pensare ad un luogo preciso.
Nel film, Susannah York legge molte pagine del suo libro “In search of unicorns” (“In cerca degli unicorni”) una favola dove si parla dell’anima, che può spostarsi in un oggetto. Ne metto qui due copertine che ho trovato in rete, forse il libro è reperibile anche in italiano ma non ho notizie certe.
Non so che rapporto vi sia tra i due film, ma sei anni dopo, nel 1978, la York sarà protagonista di “The shout” di Skolimowski, tratto da “L’urlo” di Robert Graves, che tratta proprio questo argomento; l’atmosfera di quel film ha molto in comune con questo “Images”, compresi alcuni primi piani dell’attrice protagonista.

Molto bravi tutti gli attori: metto un’immagine qua sotto che li comprende quasi tutti, e bisogna dire che uno degli uomini non è una presenza reale, forse è un fantasma o forse un ricordo del passato. Oltre ai quattro protagonisti, hanno ruoli notevoli Cathryn Harrison (la ragazzina bionda) e John Morley (l’uomo con il cane). Una curiosità è notare che i protagonisti hanno scambiato i loro nomi: Marcel è interpretato da Hugh, Hugh è interpretato da Marcel, Susannah è Cathryn e Cathryn è Susannah.
La musica è di John Williams, con il percussionista giapponese Stomu Yamash’ta ad inventare suoni.
Le frasi di Altman che riporto all’inizio lo apparentano molto ad Andrej Tarkovskij, con il quale Robert Altman ha del resto molto in comune. Oggi possono stupire, ma in quegli anni erano in molti a pensarla così, ed erano tutti i più bravi: i migliori, quelli da cui hanno copiato i registi e i produttori “di successo”. Di questo “copiare” (o magari “ispirarsi a”) tutti erano ben coscienti: per questo i Fellini, gli Antonioni, i Bergman erano amati e rispettati, e si aspettava con impazienza ogni loro nuova uscita. Magari il film non era perfetto, ma c’erano sempre dentro un’enormità di idee. Chi segue la fantascienza, per esempio, sa bene che tutti i film dal 1968 in qua, penso a “Guerre stellari”, alla saga di “Alien”, a “Matrix” e a “Il signore degli anelli”, devono moltissimo a Stanley Kubrick. Per chi volesse averne un riscontro, basterà guardare i primi episodi di “Star Trek” e confrontarli con i successivi: in mezzo c’è “2001 Odissea nello Spazio” di Stanley Kubrick, e si vede. Ancora oggi, non solo i registi che ho citato sopra ma anche i De Sica (De Sica Vittorio!), i Rossellini, vengono presi ad esempio e citati con ammirazione un po’ in tutto il mondo, Iran e Corea comprese.
E dunque Altman, Kubrick, Fellini e Tarkovskij dicevano che il vero successo è realizzare un’idea, fare un film così come avevano intenzione di farlo. Oggi i Murdoch e i Berlusconi li butterebbero fuori a calci, e forse non li farebbero nemmeno avvicinare agli uffici delle loro case di produzione, consigliando loro di cambiar mestiere e probabilmente ridendogli in faccia.
Oggi si lavora solo per il successo economico, con questi discorsi anche i giornali specializzati in cinema e spettacolo li farebbero passare per idioti - cosa che fanno quotidianamente anche i nostri politici e la gente dello spettacolo legata ai media commerciali, insultando e calunniando sistematicamente, un giorno sì e l’altro pure, tutte le persone che hanno tenuto alto il nome dell’Italia nel mondo dal 1945 in qua. Così va il mondo, e non sempre l’andare avanti è sinonimo di progresso: ormai dovremmo saperlo.
« (...) Se prima o durante le riprese di un film mi si presenta un attore mi chiede “dimmi esattamente come vuoi che interpreti questo personaggio”, io cerco di fare di tutto per non rispondere. Di solito faccio qualcosa del genere, chiedo: “oh, quelle scarpe non dovrebbero essere marroni?”. Cerco di distogliere l’attenzione da questa domanda perchè se io dicessi “senti, credo che dovresti interpretare questo personaggio in questa maniera” sarebbe come partire da un angolo di 360° (disegna il cerchio nell’aria, con le mani) e ridurlo a un angolo di sei gradi. Se io quindi dico “devi interpretarlo così” e poi il film non funziona, l’attore dirà semplicemente che ha fatto quello che gli chiedeva il regista. Io non dico niente agli attori perché voglio che essi possano avere più possibilità di esprimersi, proprio perché scrittori, produttori, registi, organizzatori, tutti noi, lavoriamo a due dimensioni; ed è l’attore che diventa l’elemento tridimensionale. Nessuno che io conosca è in grado di scrivere un testo tridimensionale. Gli autori possono dare indicazioni sui dialoghi e inserire descrizioni del tipo “devi sembrare triste”, ma in realtà cosa significa? (...) E’ l’attore che deve cercare di capirlo, non io. Se io guido l’attore passo per passo, per ottenere quello che voglio io, tolgo l’anima al film.» (Robert Altman, intervista sul set di “Images”, dal dvd del film)
PS: Tridimensionale è la scrittura per l’opera lirica, o in autori come James Joyce; ma anche lì qualcosa sfugge sempre.

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