domenica 27 dicembre 2009

Green Card \ The plumber

- The plumber (L’uomo di stagno, 1979) Scritto e diretto da Peter Weir. Fotografia di David Sanderson. Musica di Rory O’Donoghue e Gerry Tolland . Con Judy Morris, Ivar Kants, Robert Coleby. Durata 76 minuti
- Green Card (Matrimonio di convenienza, 1990) Scritto e diretto da Peter Weir. Fotografia di Geoffrey Simpson. Musiche di Mozart, Theodorakis, Enya, Beach Boys; Larry Wright assolo di batteria. Musiche originali di Hans Zimmer. Con Andie Mac Dowell, Gerard Depardieu, Bebe Neuwirth, Jesse Keosian, Gregg Edelman, Robert Prosky, Ethan Phillips, Lois Smith, Conrad McLaren. Durata: 103 minuti


In uno dei suoi primi film, “The plumber”, girato subito dopo “Picnic ad Hanging rock” e “L’ultima onda”, Weir mette in scena questa situazione: una giovane antropologa, in Australia, torna a casa dopo una lunga assenza dovuta ad una missione sul campo, in paesi lontani e sperduti. Ha portato con sè molte registrazioni, e adesso si accinge a studiarle e a trascriverle. E’ bella ma non appariscente, proprio il tipo che ci si aspetterebbe pensando ad una professoressa. Anche la casa è molto ordinata, ariosa, con una bella biblioteca.
Ma ecco sorgere un problema: qualcosa non va nella doccia. Bisogna chiamare un idraulico, che arriva. E’ un uomo giovane, più o meno dell’età della professoressa; è gentile ed efficiente, molto fine. Si presenta bene, e ripara subito il difetto. Ma il giorno dopo il problema si ripresenta, e la donna è costretta a richiamarlo. In breve tempo, la presenza dell’idraulico diventa una costante in quella casa: lui c’è sempre, anche quando lei lo scaccia e decide di chiamare un altro, eccolo intrufolarsi in casa, non invitato. Non ha cattive intenzioni, è sempre mite e gentilissimo, sembra non volere altro che riparare quel guasto. Che fare? Esasperata, la donna escogita un piano davvero perfido: fa trovare della refurtiva (ce la mette lei, denunciando il furto) nella macchina del giovane, e telefona alla polizia. Il piano funziona, il giovane viene portato via con il cellulare e l’antropologa può tornare tranquilla al suo lavoro, sorseggiando una tazza di tè mentre guarda fuori dalla finestra la macchina che si allontana portando via quel disgraziato.

Dopo “The plumber” inizia la stagione dei grandi successi per Peter Weir, che inizia la carriera in USA, con film come “Witness”, “L’attimo fuggente”, “Truman Show”.
In mezzo a questi film, ecco arrivare “Green Card”, nel 1989. Mi è sembrato importante riassumere “The plumber”, perché qui Weir (autore anche del soggetto) rielabora quella situazione, e la rende più commerciale e più adatta al cinema hollywoodiano. Weir ha trovato un modo eccellente di “vendersi” (mi si passi la brutta parola) senza vendersi anche l’anima, rimanendo sempre se stesso e continuando a fare film d’autore anche per il grande circuito. Prima di lui era successo a pochi, e penso a John Huston, o a Hitchcock.
E’ difficile capire in pieno “Green Card” senza pensare a quel piccolo film australiano. So che a molti “Green Card” è sembrato un filmetto rosa senza molto sangue, ma non è proprio così. Il tema dell’estraneo, di qualcosa che piomba nelle nostre vite e le cambia, o fa sorgere chiaramente visibile in noi qualcosa che prima era nascosto, è il tema principale dell’opera di Peter Weir - che è da considerarsi come un vero (e grande) autore e non come uno dei tanti bravi professionisti. Weir è sempre molto sottile, ma sta molto attento a non dispiacere al suo pubblico, e quindi non è facile accorgersi delle sue sottigliezze. Proverò qui a riassumere Green Card, dandone per scontate le caratteristiche esterne più facilmente osservabili anche a una visione distratta.
La “Green Card”, il permesso di soggiorno per gli stranieri, l’ho scoperta in occasione di questo film. Non immaginavo nemmeno che esistesse una cosa del genere, e mi sembrava strano che fosse applicabile anche a un francese, cioè a un europeo. Avrei visto meglio questo film con un protagonista maschile nero, o arabo; oggi mi rendo conto che la situazione è decisamente peggiorata, ma che già nel 1989 anche per me sarebbe stato difficile avere la Green Card, e non solo per Depardieu. Grazie a questo film ho anche scoperto l’esistenza di quei “consigli condominiali” (non so come si chiamino di preciso) che hanno la possibilità di negare l’accesso allo stabile ad alcune persone. A New York esistono, e ricordo d’aver letto che perfino a persone ricche e famose (cantanti, attori) fu negato l’acquisto di appartamenti prestigiosi: una star come Madonna (nel senso della signora Ciccone) avrebbe attirato stuoli di fotografi e curiosi, rovinando il tranquillo vivere dei condòmini.
E’ da queste due situazioni che inizia il film: Depardieu è un musicista sbandato che ha bisogno del permesso di soggiorno, Andie Mc Dowell è una signorina elegante appassionata di guardinaggio che ha messo gli occhi su un meraviglioso appartamento, trasformato in serra dal precedente proprietario. Il proprietario, curatore di quel giardino famoso tra gli appassionati, è morto; il consiglio di condominio vuole al suo posto una coppia sposata e tranquilla, senza figli perché i bambini sono maleducati e fanno baccano. E che non siano neri, per carità. Andie (che nel film si chiama Bronte, a causa un padre scrittore che ha dato ai figli nomi tratti dai libri che ama) non vuole sposarsi, anche se ha un fidanzato; e quindi si appoggia ad un amico che organizza il finto matrimonio. Sono cose che si fanno (oggi anche da noi), ma la FBI vigila e ci sono pesanti sanzioni per i falsi matrimoni.
Il film inizia con un bellissimo assolo di batteria: è un ragazzo di strada, che picchia a gran ritmo su un secchio di plastica rovesciato. Lì vicino c’è anche Andie, che impariamo a conoscere; e subito la vediamo incontrare il grosso francese, in un bar chiamato Afrika. Si sposano e si salutano, convinti di non vedersi più.
Ma poi qualcosa non funziona, l’FBI indaga e sospetta, i vicini e il portinaio annusano qualcosa che non va. I due saranno costretti a separarsi proprio quando hanno scoperto di non essere più due estranei, ma noi ormai sappiamo che questo è solo l’inizio della loro storia insieme.
C’è molta musica nel film, usata in modo curioso e di origine diversa. Tra le sequenze che ricordo più volentieri, il Valzer di Chopin suonato dalla madre di Bebe Neuwirth, poi l’improvvisazione violenta di Depardieu invitato a suonare (“non è Mozàrt” “Lo so”), seguita dalla poesia suonata con accompagnamento furbescamente romantico, che parla dei poveri che non hanno le piante e che porterà alla protagonista l’appoggio desiderato e ormai insperato. E il Mozart suonato in casa di Andie, i rappers e i martelli pneumatici per strada. Molto belle le musiche originali, molto appropriate al clima dei film di Weir.
Il personaggio di Depardieu porta il nome di un musicista importante, Fauré: ma è Georges e non Gabriel; e quando si nomina Gabriel Fauré (maestro di Ravel e di tanti altri grandi musicisti francesi) il francese alza le spalle: “E chi è?”. Nella colonna sonora anche le melodie evanescenti di Enya, una musicista irlandese che ricorda davvero molto Andie Mac Dowell anche nell’aspetto fisico. Nel finale, quando ormai è chiaro che dovrà lasciarla (ma lei ancora non lo sa), Depardieu manderà alla moglie la canzone che canticchiava, in una busta, tramite portinaio. Nel biglietto accluso, le ricorda gli “elefònti”, e i tamburi dell’Africa...
Aggiungerei due righe per gli altri atttori: meravigliosa (e tosta) la vecchina del consiglio di condominio; grande presenza Bebe Neuwirth, che interpreta l’amica di Bronte che vorrebbe soffiarle quel bel maschio francese; ottimo l’ispettore dell’immigrazione. E una menzione particolare per il doppiaggio italiano, per il quale è stato cercato e scelto un attore francese molto bravo, che parla con un vero accento francese evitando così l’effetto Pantera Rosa che avrebbe provocato un gran danno al film.
Nelle interviste, Depardieu racconta sempre volentieri che Andie Mac Dowell era timidissima, e che quando la vediamo arrossire arrossiva per davvero. In effetti, i due messi insieme danno davvero l’impressione di essere capitati lì per caso: ma nel finale ci si commuove davanti al loro abbraccio, e ricordarlo è il più bel complimento che si possa fare ad attori e regista.

11 commenti:

giacy.nta ha detto...

L'ho appena visto. C'è anche musica di Ludovico Einaudi.
:)

Giuliano ha detto...

io invece sono riuscito a ripescare "Fearless", che mi ha commosso molto. Forse non è un capolavoro, ma va a toccare corde molto profonde...
Non ho parlato di Lodovico Einaudi? penso che sia una dimenticanza voluta, l'ho ascoltato molte volte ma non sono mai riuscito a tenere in memoria una sua nota - probabilmente è colpa mia, ma insomma così è andata.

giacy.nta ha detto...

Hai più tatto di un diplomatico!;)

La musica di Einaudi piace alle signore di mezza età come me che non sono ancora uscite dalla fase adolescenziale:))

Giuliano ha detto...

Non è un giudizio di merito, ci tengo a dirlo, solo una mia sensazione personale. Comunque sia, probabilmente non ho controllato bene la locandina, a suo tempo - ma trovare i film di Weir non è mica facile, peccato.Di Green Card avevo una copia su vhs, ma piuttosto brutta. Aspetto ancora: non dico il dvd ufficiale, ma almeno una replica decente...

giacy.nta ha detto...

Adesso che sto ( anche e soprattutto dopo aver incontrato nell'etere te )ascoltando altra musica devo dire in tutta sincerità che Einaudi mi sembra quasi elementare, banale. Delle sue composizioni a me piace molto "Indaco"; invece il brano grazie a cui ho iniziato ad ascoltarlo e seguirlo ( ho visto ed ascoltato Einaudi a Sacile qualche anno fa )è "Ora". Proprio questo brano, tuttora ( bisticcio di parole puramente casuale )determina in me uno stato d'animo indefinito in cui mi piace restare.

Ho visto "Green card" su sky. Naturalmente ho cercato il DVD ma è assai difficile trovarlo.
:)

Giuliano ha detto...

Giacinta, già che ci siamo ti segnalo alcune delle mie idiosincrasie musicali: mi capita sempre di ascoltare alla radio che dopo un po' mi annoia e mi indisponde, poi scopro che è Rachmaninov, o Scriabin. Dato che sono compositori importanti, apprezzati da musicisti che ammiro molto, si vede che è proprio una questione di pelle...
idem con il jazz, mi piace quello degli inizi ma dopo il 1945 mi annoio spesso, Glenn Miller compreso. Però, dipende.

giacy.nta ha detto...

Il Jazz non fa impazzire neanche me. Devo avere lo stato d'animo giusto per apprezzarlo. Essere anch'io free, totalmente free ( cosa che mi capita molto di rado ) da pensieri, sentimenti, obblighi...

Hai lanciato l'esca giusta per indurmi a curiosare tra le composizioni sei due "indisponenti". Devo capire perchè li trovi irritanti. :))

giacy.nta ha detto...

dei e non sei.. ( pardon! )

Giuliano ha detto...

sono invece molto belle le composizioni di Fauré, quello vero, che fu anche insegnante di Ravel. Per esempio, la Pavana, Masques et bergamasques, il Piae Jesu dal Requiem.
Del jazz mi piacciono molte cose, ma è difficile trovare i dischi giusti... dopo aver visto Bird di Clint Eastwood mi ero entusiasmato e avevo comperato qualcosa di Charlie Parker, ma non era come nel film. Penso che al jazz non si addica il disco, bisogna essere lì quando suonano.

giacy.nta ha detto...

A volte parlo a sproposito. Perdonami ma ho controllato ed ho scambiato un motivo di Enya per uno di Einaudi. Mi vergogno un po' ma non ci posso far niente! :))

Tanto rumore per nulla...

Giuliano ha detto...

Enya mi piaceva molto, ne ero anche un po' innamorato - però oggi mi annoia subito.
Una voce bellissima, mi fa rabbia perché la distorce sempre