SOUS LES TOITS DE PARIS (SOTTO I TETTI DI PARIGI, 1930) Soggetto, sceneggiatura, dialoghi e regia: René Clair; aiuto-regia: Georges Lacombe e Marcel Carné; fotografia: Georges Périnal e Georges Raulet; scenografia: Lazare Meerson; canzoni: Raoul Moretti; direzione musicale: Armand Bernard; interpreti: Albert Préjean (Albert), Pola Illery (Pola), Gaston Modot (Fred), Edmond Gréville (Louis), Paul Olivier (l'ubriaco), Bill Bocket (Bill); produzione: Tobis; durata: 95'.
Questo film è la felicità assoluta. La mano di René Clair, in quegli anni, era una mano benedetta: nessuno ha mai più girato film così belli e storie d’amore così dolci, sapendo toccare anche il tasto drammatico. Quando guardo ai suoi movimenti di macchina, più di settant’anni fa, e penso a quanto erano grosse e pesanti le macchine che si usavano per fare i film, ancora mi commuovo.
Perché non è tanto la storia e i personaggi (sia pure tutti molto belli) che esprimono l’amore e i sentimenti, e la bellezza: sono proprio i movimenti di macchina. Fin dall’inizio, dalle prime sequenze panoramiche sui tetti e sulle finestre, che finiscono poi nella strada da dove parte l’azione vera e propria, è come se fossero gli occhi di una persona (i nostri occhi) a scorrere su e giù per i tetti di Parigi, ad accarezzare con lo sguardo cose e persone, come se fossimo affacciati ad un balcone o come se fossimo lì, in mezzo agli altri personaggi.
Non ho più visto un film così, e sì che ne ho visti tanti. Nel frattempo le macchine da presa sono diventate sempre più leggere e agili, oggi una ripresa come queste del film di Clair può essere effettuata con una macchinetta che sta anche in tasca; eppure questa leggerezza (e questa profondità) io non l’ho più vista. C’è qualcosa di simile in Eisenstein, soprattutto nell’Alexander Nevskij, e anche in Hitchcock (La finestra sul cortile), e anche in Kubrick o in altri film più vicini a noi, ma hanno valori diversi, dall’epico al drammatico al cupo. Il tocco di René Clair esiste solo nei film di René Clair. In questo film, e in “Il milione”, che gli è vicinissimo nel tempo, ma anche in “La bellezza del diavolo” (il mito di Faust, con Gerard Philipe e Michel Simon) e in “Grandi manovre”, che appartengono già al cinema moderno.
La storia in sè è un curioso e dolcissimo anacronismo: il venditore di canzoni, per strada, e la sua storia d’amore con una ragazza. Credo proprio che di questo mestiere si sia persa del tutto la memoria, e che già all’uscita del film (primi anni ’30) fosse considerata una cosa del passato: quando non c’erano i dischi, si vendevano gli spartiti. Era un’industria fiorente, basti pensare all’epopea dei Ricordi e dei Sonzogno; ma qui siamo in un ambito più casalingo, si vendono canzoni, e la canzone è “Sotto i tetti di Parigi”. La ascoltiamo più volte, nel corso del film: il ragazzo che la intona (per vendere) è bravissimo, e la fisarmonica che lo accompagna è piacevolissima; per strada si forma un capannello di persone e gli affari vanno benone. Ma, come sempre in questi casi, c’è il borsaiolo in agguato che se ne approfitta: e, orrore, ruba il borsellino anche alla bella ragazza... Ma tutto si aggiusta, nei film di Clair: anche il borsaiolo non si rivelerà poi così cattivo, e sarà l’amore a trionfare.
Come dicevo, la bellezza del film sta nel gioco delle immagini. E’ una delizia, e se avete un po’ di sensibilità vi basteranno i primi cinque minuti per innamorarvi per sempre di René Clair.
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