venerdì 4 dicembre 2009
La regola del gioco ( II )
La règle du jeu (La regola del gioco, 1939) Regia: Jean Renoir; Soggetto: Jean Renoir, con la collaborazione di Carl Koch. Sceneggiatura: Jean Renoir. Fotografia: Jean Bachelet. Scenografia: Eugène Lourié con la collaborazione di Max Douy (costumi di Coco Chanel). Musica: Mozart(Dodici danze tedesche K605 n.1), Saint-Saens (Danse macabre), Monsigny, Sallabert, Johann Strauss, Chopin, e arrangiamenti di Désormières e Joseph Kosma. Girato in esterni a Sologne, Francia centrale.
Interpreti: Roland Toutain (l’aviatore André Jurieux), Jean Renoir (Octave), Marcel Dalio (marchese Robert de la Cheyniest), Nora Grégor (la marchesa Christine, sua moglie), Paulette Dubost (Lisette, cameriera di Christine), Gaston Modot (Schumacher il guardiacaccía), Julien Carette (Marceau, il bracconiere), Anne Mayen (Jackie, nipote di Christine), Pierre Nay (Saint-Aubin), Mila Parely (Geneviève de Marrast), Odette Talazac (Charlotte de la Plante), Pierre Magnier (il generale), Richard Francoeur (La Bruyère), Claire Gérard (Mme La Bruyère), Roger Forster (l'invitato effeminato), Nicolas Amato (il sudamericano), Tony Corteggiani (Berthelin), Eddy Debray (Corneille, il maggiordomo), Léon Larive (il cuoco), Jenny Helia (la cameriera), Lise Elina (la radiocronista), André Zwoboda (l’ingegnere), Camille François (la speaker), Henri Cartier-Bresson (il cameriere inglese); Produzione: N.E.F. Durata: 110 minuti
Siamo al minuto 20: Octave, dopo aver avuto il consenso da Christine, deve chiedere anche al marchese di invitare l’amico aviatore. Il Marchese non vorrebbe, poi acconsente quando Octave gli dice che in cambio cercherà di togliergli di torno l’amante ormai diventata troppo invadente.
Il marchese gli risponde con una battuta (“speriamo adesso che Jurieux se ne vada insieme a Genevieve, così abbiamo risolto due questioni in un colpo solo”), ma aggiunge che è preoccupato, perché stavolta ha davvero paura di perdere Christine.
Octave: Vuoi sapere una cosa? Vorrei sparire in un pozzo senza fondo!
Marchese: E a che cosa ti servirebbe?
Octave: A non vedere più nulla, a non cercare più ciò che è bene e ciò che è male. Perchè a questo mondo c’è una cosa terribile, che ognuno ha le sue ragioni.
Marchese: Certo, e io sono per quelli che le espongono liberamente. Sono contro le barriere e i muri, ed è per questo che inviterò André Jurieux.
Ma il Marchese e la sua amante non riescono a smettere la loro relazione. Al minuto 54, alla fine della battuta di caccia, Christine li vedrà abbracciati, per puro caso, guardando lontano in un mirino fotografico. Genevieve sta facendo le valigie e non sa di essere stata sorpresa, ma Christine la ferma e le fa capire che sa tutto; le due donne faranno amicizia raccontandosi i difetti del marchese.
Genevieve accenna a Jurieux, e Christine le dice che è troppo sincero.
Christine: No, André è molto gentile e pieno di attenzioni, ma è troppo sincero. E’ così soffocante, la gente sincera!Nessuna delle due donne (Nora e Genevieve) è simpatica, nessuna delle due è davvero bella, nessuna delle due è davvero giovane. Oggi non darebbero una parte così ad attrici come queste, di sicuro non come protagoniste; ma con Renoir è come a teatro, conta la bravura. (Idem per gli uomini). Solo Jackie, la nipote di Christine, è davvero giovane e carina, ma alla battuta di caccia “non sa tirare” e il leprotto le sfugge: per questo viene dolcemente presa in giro da Jurieux, alla fine della caccia. (è solo uno dei mille particolari nascosti sotto i fotogrammi di questo film, pieno di metafore ma mai pesante).
Dopo la Danse Macabre, mentre Octave cerca di sfilarsi il costume da orso, Christine si apparta con SaintAubin ed è cercata sia dal marito che da Jurieuxx. Schumacher, cercando la moglie, aprirà proprio la porta dove si erano appartati; Jurieux li vede e schiaffeggia SaintAubin. Segue tafferuglio, poi la dichiarazione d’amore di Christine per Jurieux.
A 1:09 Jurieux dice a Christine che ora è felice, ma che se vogliono andare via insieme non si può fare di nascosto, occorrerà dirlo al marchese:
- Devo dirlo a Robert.
- A che serve?
- Ma, Christine, è mio dovere.
- Oh... (si allontana)
- Christine, ascolta. Non posso rubare la moglie a un uomo che mi ospita in casa sua, che mi tratta da amico, al quale stringo la mano, senza avere con lui almeno una spiegazione.
- Ma se noi due ci amiamo, a cosa serve la spiegazione?
- Ci sono delle regole che vanno rispettate, Christine.Segue lo spettacolo dei barbuti, poi il marchese mostra il grande orologio con i tre automi, poi la scena di Schumacher con la pistola eccetera. Alla fine, inseguendo Schumacher, il marchese vede i due insieme; segue la scazzottata con Jurieux (è il marchese a colpire per primo).
Christine si allontana con Octave, e insieme ripensano a quand’erano bambini. Poi Octave si rende conto del suo fallimento (come musicista e come uomo), e diventa triste.
Nel frattempo, Schumacher spara verso Marceau, e gli ospiti ridono pensando che sia parte dello spettacolo. E’ a questo punto, 1:15 – 1:20, che il marchese si rivolge al maggiordomo:
- Corneille! basta con questa commedia!
- Quale delle tante, signore?
- Ma come! quella di Schumacher e della sua signora!Corneille neutralizzerà di persona Schumacher, mentre Marceau si era nascosto dietro l’imponente pianista, non diversamente da come avrebbe fatto Charlot. Nei rapporti fra Schumacher e Marceau ci sono infatti molti echi dei poliziotti dei film di Charlot, e degli inseguimenti delle comiche nel cinema muto.
Si potrebbe compilare un piccolo bestiario: Marceau è come lo scoiattolo che si vede durante la caccia, “sono bestie simpatiche ma fanno molti danni”. Jurieux è come il gatto che viene trovato dentro la trappola da Schumacher il giorno prima della caccia: come quel gatto (“che ci ha dato tanto disturbo”), avrà problemi proprio con Schumacher (il guardacaccia...)
Il ballerino col teschio, accompagnato dai tre fantasmi che girano per la sala (con gli ombrelli ridotti anch’essi a scheletri); il pianoforte che suona da solo la Danse Macabre di Camille Saint-Saens: eventi che vanno avanti da soli, senza bisogno dell’intervento umano. (1939) La danza degli scheletri è molto bella, e rimanda direttamente a Georges Melies e agli inizi del cinema.
E' un film che sembra più antico di quel 1939, ma non è solo per la villa o per gli arredi (e gli automi), o per la festa in costume. Siamo proprio a Marivaux e a Beaumarchais, il mondo prima della Rivoluzione, un mondo che sta per finire per sempre.
Differenze e somiglianze si possono trovare anche con Laclos; ma Renoir cita come sue fonti d’ispirazione Alfred de Musset, Beaumarchais, Marivaux. Laclos è un’altra cosa, in effetti.
Nella scena della festa, tutti i protagonisti portano buffi costumi tirolesi, da Heidi e da pastori, che rendono incomprensibili i fermo immagine a chi non conosce il film.
Merita almeno una menzione il cuoco, che ha una presenza fisica notevole e che si vede bene all’inizio, subito dopo l’arrivo degli invitati: una signora chiede una dieta particolarissima e lui poi spiegherà al maggiordomo che “la signora mangerà quello che mangiano gli altri”; e poi racconta dettagli di alta cucina e si vorrebbe vederlo continuare.
In due scene, Lisette mangia una mela: tutte e due le volte davanti al suo corteggiatore Marceau (nella seconda, finisce di mangiarla cercando di distrarre il marito mentre Marceau si nasconde).
Vediamo anche Schumacher che regala un abito a sua moglie Lisette, e si aspetterebbe almeno un sorriso; ma lei guarda subito l’etichetta, ne deduce che è roba da poco e lascia il marito molto deluso.
Il personaggio del cameriere inglese, che di per sè non avrebbe nulla di memorabile e che si vede pochissimo, è però interpretato dal grandissimo fotografo Henri Cartier-Bresson, amico e collaboratore di Renoir.
Marceau è quasi il sosia del marchese, che è una specie di Jekyll & Hyde più che un Anfitrione. Ma anche Schumacher è un “doppio” del marchese, è il suo lato autoritario, è il Potere che sa farsi rispettare, anche con durezza, cioè il contrario di Marceau. Si può pensare anche a Calvino, “Il visconte dimezzato”: Marceau e Schumacher sono le due metà della personalità del marchese, che messe insieme danno la maschera apparentemente civile e controllata del marchese così come lo vediamo.
Il guardacaccia spara e tutti pensano che sia uno scherzo, una cosa di poco conto. Quando viene fermato, nessuno toglie a Schumacher le armi: la pistola è scarica, ma si è scaricata perchè ha già sparato tutti i sei colpi (è una colt). Se non è morto nessuno, è davvero un miracolo; ma sarà Schumacher a spiegare a Marceau che la pistola è scarica: nessuno si è preoccupato del fatto, perché si dà per scontato che Schumacher vada in giro armato.
Alla fine, come accadrà nella guerra, ci sono stati dei morti: ma pazienza, mica si può avere tutto. Dei morti ci si dimentica subito, e poi chi ha sparato era autorizzato a farlo (aveva il porto d’armi, vestiva un’uniforme). Sparare è inevitabile, con le armi in giro: una riflessione simile la farà Marco Ferreri con il suo “Dillinger è morto”, ed è una riflessione purtroppo sempre più attuale.
I protagonisti di “La regola del gioco” sono persone non giovani, tutti e tutte sopra i trent’anni, i più giovani intorno ai trenta. Le donne e gli uomini giocano ad essere innamorati, come se fossero giovani; ma non è più quel tempo. Non sono più giovani, ma – serissimi – vanno in cerca di amori adolescenziali (la marchesa con Octave, rimpiangendo un tempo felice che non può tornare), come se davvero fosse possibile ricominciare da capo.
L’unica che prova a dare un indirizzo sensato a questa voglia d’amore è la più giovane, Jackie: ma Jurieux non l’ascolta. La cameriera Lisette sfugge a tutti, il suo gioco è solo nel piacere di farsi corteggiare, un amoreggiare sterile che non ha altri scopi e che non può dare frutti (e che nel caso dovesse darli sarebbero solo frutti dovuti al caso). Nel film non ci sono bambini, nemmeno fra la servitù. Non c’è un futuro.
Nell’ultima inquadratura, come sottolinea Vieri Razzini nel suo commento al film, sono infatti delle ombre quelle che vediamo rientrare nella casa.
Si può ancora aggiungere che un altro film famoso ha un inizio simile (in un aeroporto, di notte), ed è “Orizzonte perduto” di Frank Capra, uscito due anni prima nel 1937; e c’è un Buddha al minuto 10, a casa di Genevieve (l’amante del Marchese è un’orientalista, si direbbe).
E si può anche far notare la somiglianza di Octave con i personaggi di Jacques Tati (Monsieur Hulot), che di sicuro a Jean Renoir deve molto.
E’ un film a cui non si addice il fermo immagine, un film vivo che si basa sul movimento. Ogni sua immagine è viva, dentro i fotogrammi c’è vita. (come in “L’invenzione di Morel” di Adolfo Bioy Casares?)
La cameriera Lisette è l’emblema di un film che non si può catturare con il fermo immagine: nel film la vediamo sempre bella, molto attraente, scattante, sorridente; l’immagine ferma rivela i difetti del suo volto (mento sfuggente, lineamenti non bellissimi) e ne mostra i difetti (non è poi così bella come sembra quando si muove e sorride: capita a molte donne).
Quale è “la regola del gioco”? Renoir non ce lo dice apertamente, ma alla fine si arriva a capirlo. La regola del gioco è di non prendere niente troppo sul serio: nemmeno l’amore, figuriamoci.
Vi si attengono tutti i personaggi, anche quelli più buffi e più piccoli: l’unico che non vi si attiene è proprio Jurieux, l’aviatore. Ma la vita andrà avanti lo stesso, il Marchese si adopererà affinché tutto sembri un increscioso incidente e nessuno ne debba subire le conseguenze; e così è stato, in fin dei conti è proprio questa la verità.
Non è un film facile da vedere, anche se è molto divertente. E’ un film che va visto diverse volte per poterne cogliere tutti i particolari, ed ogni volta lo si rivede con piacere crescente. Non è facile prima di tutto per la grande quantità di personaggi, dal Marchese all’aviatore al guardacaccia al bracconiere; hanno tutti la stessa importanza, e partecipano alla commedia in una “folle journée” chiaramente ispirata a Mozart, al Don Giovanni e alle Nozze di Figaro. Non è facile per la crudezza della lunga sequenza della caccia: siamo nel 1939, e Renoir sta facendo terribilmente sul serio quando ci mostra l’agonia di lepri e fagiani. E’ una durezza inattesa, un colpo allo stomaco nel mezzo di un film che fino allora era una commedia sentimentale; ma Renoir, a differenza di tanti altri, non è estraneo al momento storico in cui vive, ed evidentemente era bene informato di cosa succedeva nel mondo. E’ di questo che ci sta parlando.
Altri due personaggi vacillano, sulla regola non detta: la Marchesa stessa, e Octave, al quale ad un certo punto sembra schiudersi un attimo di felicità, uno spiraglio che subito si richiude.
Octave è Jean Renoir stesso, con la sua buffa faccia da omino di neve: un personaggio meraviglioso, sempre ai margini ma sempre presente, protagonista ma con discrezione.
E poi c’è la sequenza della festa, che io incornicerei e mi porterei sempre dietro: ma come si fa ad incorniciare una sequenza di un film? C’è Octave vestito da orso, come se fosse un film dei fratelli Marx, e c’è la Danse macabre di Saint Saens, danzata da buffi scheletri ed eseguita da un pianoforte che suona da solo, come se davvero fosse un suono che viene dall’aldilà; ed invece è solo un pianoforte a rulli, che la pianista guarda con sospetto e anche con ammirazione; e gli scheletri danzano agitando ombrelli privi della tela, ridotti a misere bacchette – un effetto semplice ma molto suggestivo, come è tipico dei grandi.
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