Luci del varietà (1950) Regia: Alberto Lattuada e Federico Fellini - Soggetto: Federico Fellini - Sceneggiatura: Federico Fellini, Alberto Lattuada, Tullio Pinelli, con la collaborazione di Ennio Flaiano - Fotografia: Otello Martelli – Musiche originali di Felice Lattuada, molte canzoni – Scene costumi: Aldo Buzzi - Produttori: Alberto Lattuada, Federico Fellini - Durata: 100'.
INTERPRETI: Carla Del Poggio (Liliana "Lilly" Antonelli), Peppino De Filippo (Checco Dalmonte), Giulietta Masina (Melina Amour), Folco Lulli (Adelmo Conti), Carlo Romano (avv. Enzo La Rosa), John Kitzmiller (John), Silvio Bagolini (Bruno Antonini, il giornalista), Dante Maggio (il capocomico Remo), Franca Valeri (la coreografa ungherese), Alberto Bonucci e Vittorio Caprioli (duo teatrale), Giulio Calì (il fachiro), Mario De Angelis (maestro), Checco Durante (proprietario del Teatro), Joe Fallotta (Bill, il tiratore della prateria), Giacomo Furia (Duke), Renato Malavasi (albergatore), Fanny Marchiò (una soubrette), Gina Mascetti (Valeria Del Sole), Vania Orico (la cantante boema), Enrico Piergentili (il padre di Melina), Marco Tulli (uno spettatore), Alberto Lattuada (inserviente teatrale) Carlo Bianco (il pianista russo)
Alberto Lattuada e Federico Fellini avevano già lavorato insieme, nel primo dopoguerra, con Lattuada regista e Fellini sceneggiatore: film come Il mulino del Po, Senza pietà, Il delitto di Giovanni Episcopo. Nel 1950 si mettono in società e producono insieme un film, “Luci del varietà”, dove per la prima volta il nome di Federico Fellini figura sui titoli di testa anche come regista. Difficile dire che cosa abbia girato Fellini e cosa Lattuada: così a occhio, si può dire che sembrano di mano di Fellini le sequenze nell’ultima mezz’ora, quelle in cui Peppino De Filippo rimane chiuso fuori dalla pensione e incontra il trombettista jazz e la cantante gitana, che sembrano anticipare scene simili dello “Sceicco bianco”, di “La strada” e “Le notti di Cabiria”.
Il film in sè è ancora piacevole, e racconta l’antica storia dell’uomo sui cinquant’anni che si innamora di una donna giovane e bella; lo sfondo in cui viene raccontata è quello del teatro di varietà, vivissimo negli anni in cui fu girato il film, ormai lontano e quasi dimenticato in questi nostri anni di spettacoli ormai solo televisivi. Televisione, come spiega bene il tedesco “fernsehen”, vuol dire qualcosa come “vedere da lontano”: invece a teatro si era vicini, vicinissimi, alle volte anche troppo – come mostrerà con dovizia di particolari Fellini stesso in “Roma” (1972).
Protagonisti di “Luci del varietà” sono Peppino De Filippo, che ha il nome per primo, e bene in grande, sui titoli di testa, e Carla Del Poggio: che era la moglie di Lattuada, ma che era già un’attrice famosa per conto suo. Il matrimonio fra Carla Del Poggio e Alberto Lattuada fu celebrato nel 1945, e durò per sessant’anni, fino alla morte del regista. Carla Del Poggio è un nome d’arte: la giovane attrice era napoletana e si chiamava in realtà Maria Luigia Attanasio, figlia dell’attore Ugo Attanasio. Carla Del Poggio debuttò a quindici anni, con un film di Vittorio De Sica. Giusto per curiosità si può aggiungere che nella sua carriera Lattuada ha fatto spesso, e per davvero, quello che millanta Peppino De Filippo nel film: ha lanciato molte giovanissime attrici, fino alla metà degli anni ’80. Magari non erano film memorabili (quasi mai), ma Clio Goldsmith, per esempio, aveva più o meno la mia età e me la ricordo ancora.
Il film inizia con Peppino De Filippo che canta una filastrocca quasi infantile: “Ho perduto una paparella, com’era bella com’era bella”, prosegue con ritmi tipo Glenn Miller, tipici del dopoguerra, danzatrici nude (o quasi), e lo spettacolo finisce con la tipica “passerella” che si faceva in teatro, cantando tutti insieme “lùuuci del varietààà...”. Più avanti troveremo altri numeri e canzoni del vero varietà, da “Me gusta un bel muchacho”, ad “Hawaii, Hawaii...” (da cantare con aria sensuale e ispirata), e nel finale la parodia (piuttosto feroce, anche se lì per lì non si direbbe) della scalinata di Wanda Osiris: tutte cose che allo spettatore all’inizio degli anni ’50 erano molto familiari. Non mancano il suggeritore (per la “paperella”, figuriamoci...) e il capoclaque (molto svogliato ma efficiente) che dà pesantemente il via agli applausi. Un altro classico del genere è l’incasso sequestrato: fino a questo punto si tratta di un film quasi gemello di molti altri ambientati fra gli attori, per esempio “Il Ratto delle Sabine” con Totò e Campanini. Ma poi il film prosegue in maniera un po’ diversa, quando entra in scena Carla Del Poggio abbiamo un minimo di drammaturgia, e non solo una sequenza di scenette e canzoni.
Si tratta di un mondo che era già finito negli anni ’60, spazzato via soprattutto dalla televisione, oltre che dal drastico cambiamento generazionale che sarebbe sfociato nel maggio ’68. Gli ultimi superstiti del varietà arrivano in tv, a Canzonissima e dintorni, e lì imparo a conoscerli anch’io, da bambino. Per molti anni non ho capito questo repertorio, mi era difficile riconoscerne il valore; solo con gli anni ho capito che dietro c’era molta professionalità. Non tutto mi piace, a dire il vero pochissimo: ma nel varietà bisognava comunque saper fare qualcosa, cantare, ballare, suonare, avere un repertorio di trucchi e di idee, saper stare in scena. Ai suoi massimi livelli, Totò, Anna Magnani, Nino Taranto, Aldo Fabrizi, il varietà era davvero molto vicino al grande teatro. L’ultima generazione di questo tipo di spettacolo è stata probabilmente quella di Ugo Tognazzi, fine anni ’50; poi tutto è cambiato, i nuovi comici sono venuti dal cabaret, eccetera.
Di questo film tengo in memoria poche cose: qualche numero di teatro, l’oca nel cestino, i buoi all’aratro quando gli attori lasciano la villa dell’avvocato, all’alba, e poche altre cose. Direi che nel complesso il mondo del teatro di varietà esce meglio da altri film, sia di quel periodo (quelli con Totò, per esempio), che successivi: lo stesso Fellini in “Roma”, o magari “Ninì Tirabusciò” di Marcello Fondato, che parla degli anni precedenti a “Luci del varietà”, l’inizio secolo, ma che mostra molti numeri di varietà ben ricostruiti.
Ci sarebbe invece da perdere molto tempo sugli attori di “Luci del varietà”, perché per ognuno di loro ci sarebbe da scrivere un piccolo trattato. Per esempio, l’avvocato che invita tutti nella sua villa è il livornese Carlo Romano, grande doppiatore, la voce italiana di Fernandel (Don Camillo), di Jerry Lewis e di tanti altri attori. L’elenco degli attori doppiati da Romano è imponente, sia nel registro comico che nel drammatico; la sua voce è molto duttile ma sempre riconoscibile, e a me piace sempre ascoltarla. Un piccolo elenco degli attori da lui doppiati, presa da wikipedia: Jerry Lewis, Bob Hope, Lou Costello (Pinotto), Chico Marx, Jack Oakie, Red Skelton, Fred Astaire, James Cagney, Peter Lorre, Ernest Borgnine, Peter Ustinov, Nigel Bruce (dottor Watson di Sherlock Holmes), Eli Wallach, Rod Steiger e il Jason Robards di C'era una volta il West; Fernandel (Don Camillo), Nei cartoni animati, Carlo Romano ha doppiato il Grillo Parlante in Pinocchio (1940), il Cappellaio Matto in Alice nel Paese delle Meraviglie (1951), l'Uccello segretario in Pomi d'ottone e manici di scopa (1971) e lo Sceriffo di Nottingham in Robin Hood (1973). Nel Il Gatto con gli Stivali (1969) della TOEI era la voce del gatto Pero. In tv, Carlo Romano ha dato voce ad Alfred Hitchcock, a Henry Calvin, (il Sergente Garcia in Zorro), a Nick Carter, (il fumetto in TV di Bonvi e Guido De Maria), al Signor Rossi di Bruno Bozzetto in Il Signor Rossi cerca la felicità, e molto altro ancora. Devo anche dire, purtroppo per le mie orecchie, che in “Luci del varietà” Carlo Romano uccide due o tre arie d’opera tra le più famose. Forse era il caso di fare qualche taglio...
Un’altra curiosità sorge per il nero che suona la tromba, John Kitzmiller: dato che il suo nome compare nei titoli di testa mi ero chiesto se non fosse per caso qualche jazzista di cui non ricordavo il nome, e invece (sempre su wikipedia) ho scoperto che è vero quello che dice a Peppino De Filippo, e cioè che prima di fare l’attore era un ingegnere chimico, giunto in Italia con le truppe americane e poi rimasto qui da noi, fino al punto di prendere la cittadinanza italiana. John Kitzmiller compare in molti film italiani degli anni ’50 e ’60, aveva già recitato con Lattuada, e d’ora in poi quando vedrò un attore afroamericano accanto a Totò o a Walter Chiari proverò a vedere se è sempre lui (probabile!).
Oltre a Peppino De Filippo, altri grandi attori di teatro: il capocomico è Dante Maggio, fratello di Pupella (che reciterà per Fellini molti anni dopo, in Amarcord) e di Beniamino; l’impresario del teatro è Checco Durante, storico attore dialettale romano. Un altro grande attore è Folco Lulli, l’impresario milanese che avvicina Carla Del Poggio nella scena del ristorante. Gina Mascetti (la soubrette anziana nel finale) sarà la moglie di Sordi nello “Sceicco bianco”; Silvio Bagolini sarà il “matto” Giudizio nei Vitelloni. La “boema” che suona la chitarra e danza si chiama Evangelina Orico, è brasiliana ed era al suo primo film (ne farà molti altri, secondo quello che dice imdb).
In “Luci del varietà” c’è anche un trio famoso degli anni ‘50, quello dei “Gobbi”, che viene però spezzato in due parti: Franca Valeri è la coreografa ungherese nel finale, mente Vittorio Caprioli ed Alberto Bonucci fanno il duo “del pappagallo” in teatro, con la gag del pinguino. Vittorio Caprioli, uno dei più grandi caratteristi del cinema italiano, era il marito di Franca Valeri.
Giulietta Masina all’inizio sembra più vecchia che nei film successivi, forse per via dei costumi e della pettinatura; nel finale invece è decisamente più in forma (forse perché la riprende Federico?), soprattutto quando fa le imitazioni appare molto più bella. Segnalo ancora, ben visibili, le locandine di “Il delitto di Giovanni Episcopo” a 1h14 circa: un film di successo che fu girato da Lattuada con Fellini sceneggiatore. E, infine, gli spettatori in teatro davanti alle imitazioni della Masina fischiano e spernacchiano Napoleone e gli altri travestimenti, ma applaudono e si commuovono con Giuseppe Garibaldi. Un motivo chiaramente politico, verrebbe da pensare, molto più che patriottico: il 1948 era ancora molto vicino.
- Vedo che hai proprio delle forti resistenze a parlare dei tuoi singoli film. Ti propongo allora una sorta di gioco: io nomino un titolo e tu, come nei test delle libere associazioni, dici quello che ricordi, quello che ti viene in mente. Allora cominciamo: Luci del varietà.
Fellini: L'alba livida. L'attesa dell'« alba livida », e Peppino De Filippo che nella stalla del grande casale dove eravamo radunati raccontava la Napoli della sua infanzia, il teatro San Carlino, Antonio Petito il mitico Pulcinella chiamato Totonno 'o pazzo, Scarpetta, De Marco, detto Mfrù, e l'altro De Marco, Gustavo, il maestro di Totò; un mondo picaresco di glorie e di stracci, di avventure alla Thyl Eulenspiegel, Pinocchio, Don Chisciotte. Racconti favolosi, di attori geniali, come non ne nascono più, incarnazioni irripetibili. Ascoltavamo incantati, e lo stupendo buffone si divertiva lui stesso ai suoi racconti, con i sogghigni maligni dei suoi personaggi, infingardi e tracotanti: finché qualcuno della produzione si precipitava dentro gridando: « L'alba livida! Ce sèmo! Fóri tutti! C'è l'alba livida! ». Così era stata definita in sceneggiatura: « alba livida », e tutti, anche i più rozzi capigruppo, avevano adottato questa espressione un po' letteraria. Per giorni e giorni, scuotendo la testa con esagerata preoccupazione, dicevano a Lattuada e a me: « Voi vede' che manco stamattina potemo fa' st'alba livida? Er mese scorso semo stati pieni d'albe livide! ». L'alba livida era diventata una «cosa», come il cestino, come i binari del carrello, una cosa pratica da trovare, da consumare. In fondo sono queste le storie che chi fa il cinema ricorda più volentieri, anzi, le uniche che ricorda: l'acquazzone improvviso, l'atmosfera da scampagnata che naufraga, e ci si ripara alla meglio, chi sotto un albero, chi dentro il camion degli elettricisti; i più furbi in una cascina con un'invasione vagamente soldatesca, benevolmente arrogante, invitando i contadini a preparare subito una frittata. Questa disinvoltura, questo distratto interesse o più simpaticamente quell'aria da gioco con cui noi del cinema trattiamo cose e persone, come se il mondo intero fosse un set a nostra disposizione, un immenso trovarobato su cui mettere le mani senza chiedere permesso, fa parte dell'alienazione, dell'usura del mestiere, un po' come il pittore, per il quale gli oggetti, le facce, le case, il cielo, sono soltanto forme di cui può disporre. Per il cinema, tutto diventa una sconfinata natura morta, anche i sentimenti degli altri sono qualcosa di cui si può disporre. È un delirio, una ebrezza ubriacante di grande potere, semidivina, e questo sentimento che lega potentemente avventurieri, invasori, predatori, guastatori, crea i sodalizi più impegnativi, amicizie definitive, almeno fin quando il nodo magico che è la lavorazione del film trattiene tutti insieme; appena l'ultimo riflettore si spegne e il viaggio è finito, anche la temperatura dell'amicizia, dell'innamoramento, sfebbra rapidamente, ritornano le distanze, l'indifferenza, non ci si riconosce quasi più; fino al prossimo film, che ci ritrova di nuovo tutti assieme ad abbracciarci, con grida d'entusiasmo e diluvii di ricordi.
(Federico Fellini, da “Intervista sul cinema” a cura di Giovanni Grazzini, ed. Laterza 1983)
4 commenti:
Bel film, e bel post anche, molto ben documentato, ricco di aneddoti e informazioni che non sapevo affatto. Una curiosità: ma è vero che c'è anche Sophia Loren da qualche parte nel film, quando ancora utilizzava il finto cognome Lazzaro? Non ricordo dove ho sentito questa cosa, era in qualche intervista in tv se non ricordo male, e comunque in "Luci del varietà" non l'ho riconosciuta.
Non so di preciso, ho fatto girare un po' di siti ma la Loren non l'ho trovata...C'è Giovanna Ralli, in un piccola parte, sempre se non ricordo male. La Loren-Lazzaro so che appare in Ok Nerone, Chiari-Campanini-Mario Soldati, stesso periodo: ma la si riconosce abbastanza bene (a sapere che c'è), è nella seconda parte del film.
Sì, come Sofia Lazzaro. Si vede bene nelle foto in cui appare al centro della coreografia Del Poggio, con una specie di gonnellino a lunghe frange: fra le 3 ballerine a sinistra, è quella centrale. Inconfondibile. Vicino a lei, c'è la Ralli.
grazie per l'informazione attenta
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