«...un giorno Federico Fellini mi raccontò dell’esperienza avuta assumendo LSD sotto il controllo di un’equipe medica; e lascio a voi immaginare quale scatenamento fantastico abbia potuto produrre in un uomo come lui l’assunzione di acido lisergico. Fellini sintetizzò quell’esperienza con un’immagine tanto semplice quanto efficace: aveva avuto la sensazione di percorrere nuove e ulteriori stanze della propria interiorità, stanze che non aveva mai visitato e delle quali ignorava addirittura l’esistenza.»
Franco Marcoaldi, La Repubblica 16.5.2003, articolo su Albert Hoffmann, scopritore dell’LSD, per l’uscita del libro “Conversazioni con Albert Hoffmann” di A.Gnoli e F.Volpi, ed. Bompiani (pag.159 euro 9)
- ...non era una storia molto credibile, ma d’altra parte quasi tutti i racconti di Fellini avevano questo spirito non realistico, da sogni simbolici o allegorici; credo che nemmeno lui si aspettasse di vederseli accettati in senso letterale. Quello che contava era il fondo della faccenda: si era messo in contatto con Carlos Castaneda, avremmo potuto incontrarlo. (...) Fellini non viaggiava spesso né volentieri, benché ricevesse ogni giorno inviti da tutte le parti del mondo. Una volta, a Fiumicino, aveva indicato un fossato d’acqua tra il ciglio di una strada secondaria e un campo di grano verde, e mi aveva detto: «In fondo, c’è bisogno di andare in Cina, per vedere la Cina?». (...) Ma era fatto così, e la sua fantasia lavorava meglio in condizioni controllate; per questo aveva bisogno di ricostruire il mare e il cielo nei teatri di posa di Cinecittà, invece di filmarli dal vero. (...) A volte diceva: «Io non cerco, trovo»; e non era neanche una frase inventata da lui, ma era la verità.
Andrea De Carlo su Fellini, corriere della sera 7 giugno 1996
- Tra Giulietta degli spiriti e Toby Dammit, l'episodio di Tre passi nel delirio in cui mi sembrò di sentire un rintocco quasi funebre, ci sono tre anni d'interruzione. Avesti una grave malattia e pensasti al viaggio di Mastorna.
Fellini: Chissà chi è questo signore che sta sull'elenco telefonico di Milano, che io ho aperto volutamente a caso, per cercarvi appunto il nome per il protagonista di quella storia che avevo in animo di fare, e che fino a quel momento si chiamava soltanto Il viaggio?! Dino Buzzati, che era bravissimo nel trovare nomi strani e nello stesso tempo verosimili, ne aveva proposti una ventina, e ogni volta, prima di dirne uno, faceva un risolino divertito e un po' sinistro: «Accerchiati», risatina. «Ingegner Ermete Squoiato, col c però!» si raccomandava. «Rondò, Tullio Rondò. Scidmeno. No, meglio Scimno, Paolo Scimno». Mi divertiva moltissimo ascoltarlo, ma dopo una mezz'oretta ho chiesto l'elenco del telefono. Ed ecco venir fuori «Mastorna». Ho parlato tanto di questo film. Puntualmente, due o tre volte all'anno, l'amico giornalista mi chiede notizie sulla sua salute, e mi domanda se questa è la volta buona, e se lo farò finalmente questo benedetto Mastorna. Io in buona fede dico di sì; alla fine di ogni film, infatti, il suggestivo fantasmone si ripresenta come per chiedermi di essere realizzato, e ogni volta accade qualcosa che lo fa riaffondare, glorioso relitto, nelle profondità abissali dove giace da una ventina d'anni ormai, e da dove, prodigiosamente, continua a mandare fluidi, correnti radioattive che hanno nutrito tutti i film che ho fatto al posto suo. Sono sicuro che senza il Mastorna, non avrei immaginato il Satyricon, o almeno non lo avrei immaginato così come poi l'ho realizzato; né il Casanova, e nemmeno La Città delle donne. Anche E la nave va, e Prova d'orchestra, hanno un piccolo debito con il Mastorna. La cosa strana è che quella storia pur essendosi generosamente dissanguata in tanti altri miei film, rimane miracolosamente integra nella sua struttura narrativa, non si è rimpicciolita né scarnificata, ed è sempre la più attuale di tutte le storie che posso immaginare. Non so far chiarezza sullo strano destino di questo film; forse non è nemmeno un film, ma un monito, uno stimolo, un raccontino guida, forse ha la stessa funzione di quei battelli che conducono fuori dal porto i transatlantici; qualcosa, insomma, nato non per essere fatto, ma per permettermi di fare dell'altro. Una specie di uranio creativo inesauribile. Una volta all'aeroporto di Copenhagen, nella saletta d'attesa, ho visto una valigia di metallo con gli angoli un po' ammaccati. Qualcuno l'aveva lasciata in terra, vicino a me. Sul bigliettino accanto al maníco c'era scritto «Mastorna», «J. Mastorna». Mi son guardato attorno cercando il proprietario, ma l'altoparlante annunciava la partenza del mio volo, e anche se io ero tentato di restare per vedere in faccia il misterioso viaggiatore, mi trovavo già íncolonnato verso l'uscita fra i passeggeri che si stavano imbarcando. La valigia era sempre sola soletta, abbandonata sul pavimento della sala d'attesa che adesso era deserta, e si stava lentamente riempiendo di nuovi viaggiatori. Soltanto all'ultimo momento, quando ero già sull'autobus che si muoveva per portarmi all'aereo, mi è sembrato di vedere attraverso il finestrino, qualcuno che si curvava a raccogliere la valigetta. Era una donna. Una negra. Mah! Sempre più improbabile questo Mastorna.
- Ma non vuoi accennare neanche in questa occasione che cos'è questo Viaggio di Mastorna?
Fellini: Non ci provo nemmeno. Mi sembra di poter dire che da sempre quando qualcuno mi chiede notizie sul film che sto per fare, scatta un inconscio timore, che rapidissimo si organizza per occultarlo, come una cortina fumogena che altera, deforma, nasconde, per proteggere qualcosa. E così accade che agli amici giornalísti racconto un'altra storia, un altro film. Forse è una forma esasperata di pudore, di gelosia, temo per la vita del progetto che giace inerme e spellato in una zona vulnerabilissima, e riferirne mi sembra di tradirlo o, peggio, di modificarne pericolosamente l'ipotetica, indefinibile forma. Ho anche la sensazione mortificante che parlando del film prima di farlo manco di discrezione, come quei boriosi e sgraziati millantatori che si mettono a sparlare su di una signora appena conosciuta. A cosa servono queste «spiate»? Queste anticipazioni su qualcosa che quando sarà realizzata probabilmente sarà molto diversa da come era stata immaginata a chi giovano? Se infine, per cortesia, per stanchezza, per amicizia, o per vanità mi mettessi a chiacchierare sul Mastorna, e dicessi che ancora una volta è un viaggio, immaginato, sognato, un viaggio nella memoria, nel rimosso, in un labirinto che ha un'infinità di uscite ma un solo ingresso e quindi, il vero problema non è uscire ma entrare, e spudoratamente continuassi a snocciolare definizioni e proverbi, non credo riuscirei a suggerire il senso del film, che io per primo non so cos'è. È il sospetto di un film, l'ombra di un film, forse anche un film che non so fare.
(Federico Fellini, da “Intervista sul cinema” a cura di Giovanni Grazzini, ed.Laterza 1983)
Andrea Zanzotto sul “Mastorna”:
- A quel punto la collaborazione professionale era sfociata in amicizia.
«Il rapporto era diventato qualcosa di molto più forte. Si affacciano i ricordi di un'amicizia. Per molti anni, ogni volta che mi recavo a Roma, andavo a trovare Fellini con mia moglie Marisa che era amica di Giulietta Masina. E nel periodo del premio Comisso Federico e Giulietta venivano da me e in quel caso si girava per le colline. Ricordo che una volta Federico mi disse: 'Certi punti delle tue colline hanno in sé un'aria di aldilà': Ed è proprio vero. Certi punti defilati, in cui si passa da una valle all'altra, delle vallette, per esempio, potevano proprio dare l'impressione di un possibile spostamento...».
- A proposito di aldilà: la collaborazione con Fellini ha toccato anche Il viaggio di G. Mastorna, il leggendario progetto di film che non fu mai realizzato.
«Il Mastorna è un fantasma che ha perseguitato Fellini per tanti anni. Io ne ho anche scritto. Mastorna mi sembrava la deformazione di mai/torna, un film sulla morte, insomma, fondato sui principi d'esistenza di un mondo dell'oltrevita. Ciò che mi stupiva nel grande regista era l'estrema fiducia che riponeva in quel visionario, suo amico, che consultava spesso... Gustavo Rol. Era uno degli “ultrafanici”, come li chiamano loro. Me ne parlava spesso e voleva condurre anche me da lui, ma io gli ho detto: 'Già siamo pieni di misteri senza andare a bussare a quelle porte in cui l'imbroglio convive con la ricerca. Lasciamo stare'. Credo che negli ultimi anni non muovesse dito senza consultarlo».
- Come gliene parlava?
«Me lo presentava come uno che interagiva con un mondo diverso. Ma io non sono granché entusiasta di quella che si chiama parapsicologia. Credo che certi fenomeni siano possibili, ma che occorra un lungo viaggio mentale per giustificare la loro esistenza. Mentre Fellini ci credeva profondamente».
- Con Fellini ci fu anche il progetto di un film su Venezia.
«Sì. Mi pare che se qualcosa è mancato nella parabola di Fellini siano i film su Venezia e sulla morte. Ma allo stesso tempo c'era il progetto su Mastorna che incombeva e che egli fu sempre timoroso di fare perché portava iella».
da un'intervista con ANDREA ZANZOTTO tratta dal libro 'Il cinema brucia e illumina' di Luciano De Giusti; pubblicata da La Repubblica il 13 settembre 2011.
2 commenti:
Tanti altri spunti interessanti. Un libro che ti segnalo, se non l'hai già letto, è "Yucatan" del già citato Andrea De Carlo. Seppur romanzata, è la cronaca del rapporto dell'autore con Fellini, oltre che dell'"inseguimento" all'inafferrabile Carlos Castaneda.
il bello è che Fellini non aveva bisogno di LSD: con un immaginario così vasto, gli bastava chiudere gli occhi per avere visioni (lo ha raccontato lui stesso, in diverse occasioni). Comunque sia, il Mastorna è legato a una grave malattia di Fellini, che ha rischiato anche di morire - intorno al '68, mi pare di ricordare.
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