venerdì 21 ottobre 2011

I vitelloni

I vitelloni (1953) Regia: Federico Fellini - Soggetto: Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli, da un'idea di Tullio Pinelli - Sceneggiatura: Federico Fellini, Ennio Flaiano - Fotografia: Otello Martelli, Luciano Trasatti, Carlo Carlini - Musica: Nino Rota, diretta da Franco Ferrara - Scenografia: Mario Chiari - Costumi: M. Marinari Bomarzi - Durata: 103'.
Interpreti: Franco Interlenghi (Moraldo), Franco Fabrizi (Fausto), Leopoldo Trieste (Leopoldo), Riccardo Fellini (Riccardo), Alberto Sordi (Alberto), Eleonora Ruffo (Sandra), Claude Farell (la sorella di Alberto), Jean Brochard (il padre di Fausto), Carlo Romano (Michele, l'antiquario), Lida Baarova (Giulia, moglie dell’antiquario), Enrico Viarisio e Paola Borboni (i genitori di Moraldo e Sandra), Arlette Sauvage (la sconosciuta nel cinema), Vira Silenti (la "cinesina"), Maja Nipora (la soubrette), Achille Majeroni (il capocomico), Silvio Bagolini (Giudizio), Giovanna Galli, Franca Gandolfi, Gondrano Trucchi, Guido Martufi, Milvia Chianelli, Gustavo De Nardo, Graziella De Roc.

Sui “Vitelloni” non ho molto da dire: il film parla da sè, la cosa migliore da fare è mettersi a guardarlo, se non lo si è mai visto. La storia è in gran parte autobiografica: il ragazzo che alla fine parte in treno, lasciando gli amici e la città in cui è cresciuto, è proprio Fellini, che a diciott’anni andò a vivere altrove, prima a Firenze e poi a Roma. Una partenza non sofferta, non da emigrante, ma necessaria. Per la comprensione del film può venir buono il titolo spagnolo: “Los inutiles”. Ed è un film del 1953, anche questo va detto: il mondo da allora è molto cambiato, ma – in molte cose – si tratta di un cambiamento soltanto esteriore. Le persone, dentro, sono ancora così: il matrimonio di Fausto (Franco Fabrizi) non è molto più solido di quelli che si fanno oggi, però oggi c’è il divorzio. E, per fare solo un altro esempio, chi vuole entrare nel mondo del cinema o del teatro (o della televisione) si trova spesso davanti, ancora oggi, personaggi come quello interpretato da Achille Majeroni: che siano maschi o femmine poco importa, da questo punto di vista poco è cambiato. Spesso, il cambiamento è in peggio.
Un modo di guardare “I vitelloni” può essere questo: guardare “I vitelloni” avendo visto da poco tutti i film seguenti di Fellini, una cosa che mi è capitata in questi giorni per pura coincidenza. Così facendo, si vede che nei Vitelloni c’è già tutto il Fellini futuro, compresi i film più criptici e complessi. A volte in piccolo, minuti dettagli; a volte in grande, scene, panorami, la festa mascherata è già il Casanova, c’è Giudizio (che tornerà nei Clowns, del 1970), c’è “Il Bidone” (il furto dell’angelo)...
Qualche anno fa, per un altro blog, avevo preparato un post: lo riporto qui così come è rimasto, in attesa che mi venga qualche idea migliore:
Sui “Vitelloni” di Fellini si è parlato tanto, esistono – per nostra fortuna – molti libri su Fellini, quasi tutti buoni. Ho notato però che non si parla mai del personaggio interpretato da Leopoldo Trieste, e voglio provare a dirne qualcosa. Si tratta dell’intellettuale del gruppo, quello che vorrebbe fare il poeta e il commediografo; in provincia, si sa, non è facile. A un certo punto riesce ad ottenere un appuntamento con il Famoso e Anziano Poeta, un Maestro che si mostra molto gentile e molto interessato; il giovane si accorge che gli amici ridacchiano e fanno strani gesti, ma è talmente preso dall’emozione di poter parlare del suo lavoro con una persona importante che non ci fa caso. Gli amici lo sanno, tutti lo sanno: il Famoso e Anziano Poeta è omosessuale, del poema e delle commedie non gli importa un fico secco, gli interessa invece molto il giovanotto che gliele porge. Una delusione incredibile, di quelle dalle quali è difficile riprendersi. Non sappiamo che cosa abbia fatto in seguito il nostro personaggino, ritratto con estrema crudeltà da Fellini. Sappiamo qualcosa degli altri “vitelloni”: di Sordi che fa il gestaccio ai “lavoratori della Bassa” (ma poi la macchina si ferma e dovrà scappar via di corsa, perché i lavoratori della Bassa non sono lì a farsi prendere in giro), delle cinghiate che il padre rifila al leggero dongiovanni Fabrizi, e del viaggio a Roma del più giovane del gruppo, l’unico che oserà tentare l’avventura lasciando il paese. Questo post è anche una dedica a Leopoldo Trieste, protagonista del primo film di Fellini (è lo sposino in viaggio di nozze di “Lo sceicco bianco”), che è scomparso pochi anni fa e che non merita di essere dimenticato. Oltre che attore era scrittore in proprio , ed è più che probabile che la sua parte se la sia scritta da solo. Come abbiamo visto di recente, non è affatto una storia d’altri tempi; e non è riservata ai soli omosessuali. Chissà quanti ragazzi e ragazze hanno pianto e stanno piangendo (di rabbia e di delusione) per una storia simile, in questo momento...
Ci sarebbe molto da dire sugli attori: il proprietario del negozio di antiquariato è Carlo Romano, grande doppiatore (di Fernandel-Don Camillo, di Jerry Lewis, del sergente Garcia, del Grillo Parlante...); i genitori di Moraldo sono Enrico Viarisio e Paola Borboni, autentiche stelle del teatro negli anni precedenti; Alberto Sordi era già Alberto Sordi, molto belle e molto brave Eleonora Ruffo, Lida Baarova, Arlette Sauvage, le ballerine nella scena con Majeroni, e tutti quanti meriterebbero una nota di merito. Mi riservo una riga per Claude Farell, la sorella di Alberto Sordi, che non mi ricordavo e che mi ha molto colpito l’ultima volta che ho visto il film. Il personaggio di Achille Majeroni, l’anziano attore omosessuale, doveva essere interpretato da Vittorio De Sica, che era molto interessato e aveva già detto di sì, ma che poi non fu disponibile al momento di iniziare il film: la storia intera la racconta Fellini stesso nel libro “Intervista sul cinema” a cura di Giovanni Grazzini, ed. Laterza. Fellini conclude che forse fu meglio così, Vittorio De Sica sarebbe stato perfetto ma avrebbe inevitabilmente tirato il film dalla sua parte.
- I Vitelloni. Che cos'è che ti viene in mente? Cosa ti lega a quel film? Qual è l'immagine che ti ricollega a quel film?
Fellini: I vitelloni di spalle, su quel pontile che si avventura nel mare, un mare grigio, d'inverno, con un cielo basso, denso, nuvoloso; mio fratello che si tiene la mano sul cappello per impedire che il vento glielo porti via, la sciarpetta di Leopoldo Trieste che sventola sulla faccia di Moraldo, il rumore della risacca, lo stridio dei gabbiani. Anch'io alla fine sono rimasto suggestionato da questa inquadratura del film, che è diventata come un'immagine emblematica, un poster; e poi il faccione di Majeroni. Achille Majeroni che
faceva la parte del vecchio attore trombone e omosessuale, che concupisce Leopoldo, il vitellone intellettuale. Majeroni, Febo Mari, Gustavo Giorgi, Moissi: erano queste le firme scritte di traverso con calligrafia svolazzante su grandi fotografie di personaggi dall'espressione severa, gli occhi lampeggianti, sorrisi amari, profili imperiosi e capelli lunghi, fluenti che a volte cadevano fin quasi sulle spalle, come quelli appunto di Achille Majeroni negli “Spettri” di Ibsen. Questi volti regali e romantici apparivano all'improvviso, una mattina d'inverno, di solito poco prima del carnevale, sulle facciate delle case, dietro le vetrine del Caffè Commercio, in piazza, alla stazione, e da lassù ci guardavano senza vederci, come irraggiungibili divinità, promettendo con appena l'ombra di un sorriso che forse, sì, sarebbero venuti a trovarci, si sarebbero materializzati. Un regalo da dèi alla nostra povera, sonnacchiosa, dimenticata cittadina.
Davvero li credevo esseri soprannaturali, un'altra razza, e l'albergo Leon d'Oro che li ospitava per qualche notte acquistava le mitiche dimensioni dell'Olimpo. Tutti guardavamo con invidia il portiere dell'albergo, che poteva vederli da vicino, gli parlava, consegnava loro le chiavi. Non riuscivo a immaginare cosa fosse la vita di un attore fuori dal palcoscenico, o dal telone bianco del cinema. Majeroni avevo avuto la fortuna di vederlo ritto in piedi davanti al bancone della pasticceria Dovesi, con un gran sciarpone di seta bianca, una lobbia grigio perla in testa, pallidissimo, gli occhi quasi chiusi, con ancora una leggera ombra di trucco, sorbire con una cannuccia di paglia qualcosa che fumava dentro un piccolo bicchiere dal manico d'argento. Punch al mandarino, ci disse più tardi il cameriere. Su Majeroni quindi mi ero fatto un'idea di cosa potesse essere la sua vita fuori del palcoscenico, ma gli altri, tutti gli altri, quando il grande sipario rosso cancellava le meraviglie che avevo visto e in sala si accendevano le luci sgarbate sulle nostre povere facce di sempre, dove andavano tutti gli altri attori? Questa vaga sensazione di una loro vita irreale mi è rimasta ancora oggi nel rapporto con gli attori e non mi dispiace che sia così. Mi sembra più utile per il mio lavoro. Mi pare di capirli meglio, di intendermi a un livello più segreto. Non ho mai avuto problemi con gli attori, mi piacciono i loro difetti, la vanità, gli aspetti nevrotici, la loro psicologia a volte bambinesca, a volte un po' schizoide. Ho molta gratitudine per quello che fanno per me, e sono sempre un po' meravigliato che gli impalpabili fantasmi con cui ho convissuto per mesi nella sfera dell'immaginazione Adesso sono vivi, in carne ed ossa, parlano, si muovono, fumano, fanno quello che gli dico io, dicono le battute del film, proprio come avevo immaginato, quando un po' per volta li facevo nascere.
(Federico Fellini, da “Intervista sul cinema” a cura di Giovanni Grazzini, ed. Laterza 1983)

2 commenti:

Matteo Aceto ha detto...

Il primo classico di Fellini, "I vitelloni" resta un film godibilissimo anche oggi. La scena che più mi piace è la partenza di Moraldo mentre, andandosene via in treno, è come se vedesse i suoi amici addormentati nel letto, sui quali la cinepresa scorre via veloce. Una curiosità sul titolo: pare che il termine "vitelloni" fosse stato suggerito da Flaiano, abruzzese. Del resto, nel gergo abruzzese, un "vitellone" è proprio un ragazzone di belle speranze e poco affaccendato... mio padre ogni tanto usa quest'espressione, così come faceva suo nonno.

Giuliano ha detto...

A me piace molto Eleonora Ruffo... Ti dirò che questa dei "vitelloni" la sapevo ma me la dimentico sempre: anche perché un po' in tutta Italia si dice "manzo", "manza", "manzoeu" e simili, per indicare la gente giovane. In "Strategia del ragno" di Bertolucci c'è Pippo Campanini, amico di famiglia dei Bertolucci, che intona in qualche modo un'aria d'opera e poi dice "sai, io ho studiato da manzuolo"
:-)