Rabelais
- Rabelais era di destra o di sinistra?
- Era un rompicoglioni. (...) La tv Arte (franco-tedesca) mi ha proposto carta bianca per fare un film su Rabelais. Io l’ho letto ma poi l’ho abbandonato, non ho certo fatto un film a gloria di Rabelais.
- E allora cos’ha fatto?
- Un film di ricerca. Il contrario del film archeologico che si fa oggi.
- Perché lo chiama archeologico?
- Perché è uguale a quello che si faceva quando è stato inventato il cinema. Allora, dato che non esistevano ancora gli scrittori e gli sceneggiatori, il cinema lo facevano quelli che scrivevano per il teatro e per l’opera. Oggi siamo ancora lì: per fare un film i registi hanno bisogno del libretto, anche se lo chiamano sceneggiatura. Aggiungiamo un po’ di effetti speciali, che è roba vecchia come il mondo, ed ecco il cinema dei nostri giorni.
Marco Ferreri, intervista a L’Espresso 21.10.1994: il film si chiama “Faictz ce que vouldras”, “fate quel che volete”, dura 52 minuti ed è per la tv (intervista di G. Invernizzi)
“Un film per ciechi, fatto solo di dialoghi” è la definizione di Marco Ferreri per un film allora appena uscito (L’albero di Antonia) (Marco Ferreri, citato sul corriere della sera 25 settembre 1996)
Quando Ghezzi ha chiesto a Ferreri di intervenire, il regista ha obiettato: «Ho bisogno di un giorno di tempo per pensare e per capire cosa state dicendo.»
corriere della sera 28.12.1996, cronaca dal festival di Taormina.
«L’uomo non ama vedersi rappresentato così, gli piace apparire un altro: educato, lindo, corretto, nobile, razionale. Invece è una creatura che puzza, che rutta, che si ubriaca, che ha dei lati infidi e dei bassi istinti, che non ha voglia di faticare (...) »
Marco Ferreri sui suoi film, da L’Espresso 19 giugno 1997
Michel Piccoli ricorda l’amico regista
CARO FERRERI, GRANDE TIMIDO, TENERO E FEROCE
di mario serenellini, repubblica 3 gennaio 2008
«Marco Ferreri?Un gigante timido, un mostro di seduzione. Un uomo di tenerezza infinita. Il nostro primo incontro fu in un caffè, a Parigi. Mi diede dieci pagine da leggere. Non una sceneggiatura, ma un racconto senza dialoghi. Splendido».
Era “Dillinger è morto”, il film che la Cineteca Italiana proietta, in edizione restaurata, all'Oberdan, nel quadro della retrospettiva dedicata da domani al grande regista nato a Milano 80 fa e scomparso nell'adottiva Parigi nel `97. Michel Piccoli, suo attore-feticcio con Ugo Tognazzi e Marcello Mastroianni, non si sottrae all'emozione nel ricordare l'amico regista, da lui già celebrato a fine novembre al Torino Film Festival:
«Eravamo amicissimi senza parlarci. Formavamo una vera banda: lui, Philippe Noiret, Ugo, Marcello...» - rievoca l'interprete di Non toccare la donna bianca, Come sono buoni i bianchi, L'ultima donna «Ferreri è il regista che più ho amato, insieme a Bunuel, Godard e Sautet. Tra tutti, è Marco l'amico che mi manca di più. Senza questi affetti profondi non vale la pena di lavorare né di vivere».
La prima interpretazione di Piccoli in Italia è proprio, nel '68, Dillinger è morto:
«Ma l'esperienza più esaltante - precisa l'attore, 83 anni - è stata La grande abbuffata, che Marco ha potuto realizzare grazie a un produttore francese genialoide e pazzo. Mentre giravamo, eravamo convinti di interpretare una commedia brillante e ci siamo anche divertiti molto. Ma dopo averlo visto, abbiamo avuto paura. Era un film drammatico, il più grande di Ferreri».
Premiato l’estate scorsa a Locarno per la superba interpretazione in Sous les toits de Paris del giovane curdo iracheno Hiner Lemon, dov'è un ottantenne ammaccato ma sempre ricco di fascino, Piccoli assicura di avere un po' rivissuto nel nuovo film il suo personaggio di Dillinger è morto:
«Anche qui poco dialogo: trovo che oggi si parli troppo, nel cinema come nella vita quotidiana. E m'è toccato uno di quei personaggi-limite che, come attore, prediligo. Nella vita sono discreto, ma in scena e sul set mi piacciono gli estremi, la follia, il delirio. Detesto le commedie ritrosette, perbene. Certo, i gigioni non sono l'ingrediente migliore dello spettacolo, a meno che non si tratti di geni come Totò: il quale, comunque, nella vita quotidiana era uomo di grande pudore».
Attore per i registi più grandi, docile ma imperioso colosso del cinema e del teatro d'Oltralpe, amato in Italia per lo speciale charme d'interprete sobrio e insinuante, astutamente sotterraneo, Piccoli nutre a sua volta un'adorazione personale per l'Italia e i suoi attori: in particolare, per Milano e per Enzo Jannacci. Suo grande rimpianto, l'incontro mancato con Antonioni, con cui avrebbe voluto girare, nella Milano all'alba dei '60, a fianco di Jeanne Moreau, sull'onda jazz di Giorgio Gaslini, tra “comparse” eccellenti come Umberto Eco e Valentino Bompiani, La notte: «Michelangelo mi ha preferito Mastroianni, un amico, un gigione, un grande attore. Il mio più bel bacio sulla bocca al cinema l'ho dato a Marcello nella Grande abbuffata. Pur nella diversità, ci accomunava il distacco, l'ironia. Ma lui, con la sua leggerezza, le sue magie di seduttore, era una vera star. E tuttavia, non facevo che ripetere a Fellini: perché usi sempre quel vecchio attore italiano? Prendi me!».
Dall'alto dei suoi 150 film, Piccoli rivolge uno sguardo deluso all'Italia cinematografica d'oggi: «Avete rimosso Ferreri, uno dei pochi registi che hanno fatto da bandiera ai film italiani nel mondo. Un artista d'immensa intelligenza, con un amore sconfinato per il mare, la donna, i bambini. Un uomo dai grandi silenzi, tanto feroce quanto tenero: era il suo modo di proteggere sé stesso e gli altri. Le sue risate sembravano pianti. Era l'inquietudine per non sapere come vivere e come morire. I suoi film stupivano, come i suoi occhi blu, che chiudeva per ascoltare meglio, per imprigionare tutto, con o senza macchina da presa».
(le immagini vengono tutte dall'inizio di "Dillinger è morto"; il Gargantua di Rabelais è opera di Gustave Doré)
2 commenti:
un'intervista bellissima!
sì, è bello rimettere in circolo certe cose che si sono lette sui giornali e poi sono sparite...E' una delle cose che vorrei fare più spesso e con gran dovizia, ma poi se arrivano le nuove leggi sul copyright finisco in galera. Così va il mondo: ti nascondono quello che ti interessa, e poi si lamentano se uno (senza guadagnarci niente) lo rende di nuovo disponibile.
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