La grande abbuffata (La grande bouffe, 1973). Regia di Marco Ferreri. Scritto da Marco Ferreri, Rafael Azcona, Francis Blanche. Fotografia di Mario Vulpiani. Costumi di Gitt Magrini. Set decorator: Claude Suné. Musiche originali di Philippe Sarde. Girato a Parigi nella villa di Rue Boileau. Interpreti: Marcello Mastroianni, Ugo Tognazzi, Philippe Noiret (voce di Sergio Graziani), Michel Piccoli (voce di Pino Locchi), Andréa Ferreol (la maestra); Florence Giorgetti, Michèle Alexandre, Solange Blondeau (le tre ragazze invitate); Monique Chaumette (la balia), Henri Piccoli (Héctor), Cordelia Piccoli (Barbara), Simon Tchao (l’ambasciatore cinese). Durata: 1h52’ (esiste una versione di 30’ più breve, secono imdb è stata fatta non per censura ma per risparmiare sull’edizione in videocassetta).
“La grande abbuffata” è un film che mi ha sempre dato parecchi problemi, ma che cerco sempre di rivedere perché mi ha anche fatto molto pensare. Per esempio, tutto quello spreco di cibo e quel finale con la Ferreol che fa appendere la carne macellata agli alberi del giardino: i macellai che consegnano la merce (un furgone intero!) ridono e la prendono per matta, ma poi eseguono. Questa è l’ultima immagine del film: il cortile e il giardino della grande casa cosparsi di quarti di bue e di altri animali macellati, e i cani intorno ad annusare per capire cosa succede. Un finale che per la presenza dei cani mi ha fatto pensare a “Quintet” di Robert Altman (anno 1979), ma anche e soprattutto alle statistiche sulla quantità di cibo che viene letteralmente buttato via ogni giorno dai nostri iper e supermercati. Cibo ancora buono, ma non più vendibile: uno spreco colossale, che finiremo col pagare. Così come Bertolucci, in Novecento, mise tutto il male del fascismo in un solo personaggio, finendo col renderlo quasi caricaturale, così Ferreri mette questi suoi quattro personaggi a simbolizzare noi stessi, gli europei e gli americani, tutto l’Occidente ricco e obeso che ha fondato sullo spreco la sua ricchezza.
A differenza di quasi tutti gli altri film di Ferreri, “La grande bouffe” è costruito con molta cura, seguendo schemi narrativi molto tradizionali. Il modello, molto ben nascosto, è quello dei grandi romanzi d’avventura: si inizia con i protagonisti presentati uno alla volta, che poi si ritrovano insieme per uno scopo preciso: come i tre moschettieri, i sette samurai, e quasi tutti i grandi film e romanzi di genere avventuroso. Qui siamo ad una rimpatriata, un “vent’anni dopo”, sappiamo che i quattro sono stati grandi amici (come i moschettieri di Dumas), ma lo scopo della loro riunione è segreto e lo verremo a sapere solo un po’ alla volta nel corso della narrazione. In teoria ci sarebbe quindi della suspence, ma ormai si sa cosa stanno per fare i quattro amici: un lento suicidio attraverso il cibo. Una grande abbuffata, che li porterà alla morte: è questo il loro accordo segreto.
Gli intenti del film rischiano però di non essere capiti, e già nei manifesti pubblicitari preparati per il lancio del film, quarant’anni fa, si vede Tognazzi avventarsi su una donna nuda sdraiata su una tavola imbandita; ma così non è, e se non si riesce a vedere fin da subito il lato tragico del film si rischia di rimanere delusi. E infatti così è successo a molti spettatori di “La grande abbuffata”, rimasti arrabbiati oltre che delusi: la reazione del pubblico alla prima uscita nei cinema è stata messa da Ferreri in “Nitrato d’argento” del 1996 (il suo ultimo film), con abbondanza di “ma che schifo” e di “non mi sarei mai aspettata una cosa del genere da Marcello Mastroianni”. Ed in effetti il film è eccessivo e sgradevole in molte sue parti: e nella parola “sgradevole” va messo in conto non solo il cibo e il sesso ma anche la merda. D’altra parte, una volta che si inizia un discorso come questo è sgradevole ma inevitabile mostrare la merda: al cinema non si usa, men che meno in tv, ma questa è la verità della morte, una cosa che al cinema non si vede mai. Il gas intestinale e il gas di scarico dell’auto, l’inondazione dalla fogna, Michel Piccoli che muore nella merda, ne avrei fatto volentieri a meno e capisco chi evita di guardare questo film, ma così va il mondo e mi sembra giusto che se ne parli anche al cinema.
Purtroppo per Ferreri, e per tutti noi, a “La grande abbuffata” è successa un po’ la stessa cosa che è capitata ad “Amici miei”, o ad “Arancia meccanica” e “Full metal jacket”: quelli che hanno visto il film hanno tenuto in memoria solo le sequenze “grasse” dimenticandosi di tutto il resto e ritenendolo superfluo. Girando su internet, per esempio, si trova in grande quantità la scena in cui le rotondità della Ferreol servono a Tognazzi come stampo per una torta; il resto del film disturba, ed è come se non esistesse più. Ormai i film si vedono a pezzettini, magari su youtube, fare un discorso appena un po’ complesso che duri più di tre minuti è diventato un’impresa.
L’autunno è la prima cosa che si vede nel film: autunno, quasi inverno, le piante spoglie, colori grigi o spenti. Nella tradizione, dopo l’autunno e l’inverno c’è la primavera: morte e rinascita. Ma qui non c’è futuro, il futuro è già stato eliminato e non ci si pensa più. Le storie che vediamo nel film, anche quelle divertenti come l’incontro con le tre ragazze, sono tutte storie senza futuro, compreso il fidanzamento di Noiret con Andréa Ferreol. Quelle che vediamo dentro la casa sono tutte cose del passato, gli arredi, le bestie morte e macellate, la balia di Noiret, ci si rinchiude nel passato e si cerca di divertirsi nel presente, ma il futuro non è previsto. Ferreri ci parla della fine di una civiltà? La villa è ricca, ricca di arredi classici, di cultura, c’è perfino la memoria di un grande poeta, ma non vi resterà nulla di vivo e probabilmente oggi un’immobiliare ci costruirebbe dentro una decina di condominii di lusso, tagliando il parco (qui vicino a casa mia è già successo, molte volte e in luoghi diversi).
I quattro protagonisti abitano in una casa magnifica, ricca di opere d’arte, ma non le vedono nemmeno. Simbolo estremo di tutto questo decadimento è l’automobile Bugatti con cui gioca Mastroianni: superflua, inutile, che non porta da nessuna parte ma è di gran lusso e “figa”. Tutto è superfluo e spreco, cibi grassi, ricchi, carne e dolci, patate in puré, sughi e salse, polenta, dolci sontuosi, paté di fegati misti, tutto esagerato e spreco colossale. Nella villa della grande abbuffata si mangia soprattutto carne, niente insalate o verdure, solo carne e cibi grassi.
Altre note sparse: 1) la maestra che porta in visita i bambini alla villa è la Ferreol 2) viene citato il grande regista di film d’avventura Raoul Walsh nella scena in cui Mastroianni mette le mutandine nere sull’occhio, a tavola 3) Tognazzi imita perfettamente Marlon Brando nel Padrino 3) Michel Piccoli suona il piano, e accenna il Bolero di Ravel danzando con la testa di un maiale 4) l’elenco di carni scaricate dal furgone, carni superflue, cacciagione, roba grassa e ricercata, da banchetto di Luigi XIV o da film di Greenaway 5) arredi superbi, villa magnifica, parco e giardino con statue, tutto perfetto, magnifica ricerca iconografica 6) oche, tacchini, faraone in giro per il cortile 7) l’ambasciatore cinese e la stanza cinese 8) all’inizio, nella parte di Héctor, vediamo Henri Piccoli, padre di Michel: non è un attore di professione, e appare per la prima volta al cinema in “Playtime” di Jacques Tati (1967). Sempre all’inizio del film, vediamo brevemente anche Cordelia Piccoli, figlia di Michel Piccoli.
Il poeta citato nel film, quando arriva la scolaresca in visita, si chiama Boileau: la prima riga su di lui in wikipedia recita così: «Nicolas Boileau, o Boileau-Despréaux, detto “il legislatore del Parnaso” (Parigi, 1 novembre 1636 – Parigi, 13 marzo 1711), è stato un poeta, scrittore e critico letterario francese.» (La pagina completa su Boileau di wikipedia è molto lunga).
Secondo imdb, la villa in cui si svolge il film è appunto in Rue Boileau, a Parigi; una delle ultime immagini è per la panchina del poeta: la panchina è proprio sotto il tiglio del poeta, ma è autunno, quasi inverno, tutto intorno ci sono solo dei rami scheletrici. E, a questo punto, di tutte le interpretazioni che ho ascoltato su “La grande abbuffata”, ne tengo da conto una sola, quella della donna che assiste i quattro uomini come l’angelo della morte. La rotonda e piacevole Ferreol come immagine della morte? Tra tutte le interpretazioni che ho sentito, lo confesso, questa è quella che mi intriga di più. Anche la morte, è risaputo, si nutre di carne, e di grasso; ed è più che naturale che, a un certo punto del film, dichiari ad alta voce di avere molta fame.
8 commenti:
Da quel poco che conosco di Ferreri, che è un regista che non amo, questo è il film che apprezzo di più, anche se non lo rivedrei.
Mette spietatamente sotto gli occhi quello che sta facendo in buona parte il ricco mondo occidentale: una regressione mortifera alla fase orale in cui tutto, anche la sessualità è solo avidità distruttiva...
Sicuramente non ci vuole un grande profeta per capirlo e gli avvertimenti non bastano.
Anche la crisi, se non viene accettata ed elaborata, non serve a molto. I ricchi, avidi, egoisti e -perchè no?- anche disperati, continueranno ad ingozzarsi fino a creparne e gli altri resteranno esclusi dal banchetto.
Preferisco di gran lunga gli avvertimenti catastrofici di Tarkovskij che, alla lucidità della diagnosi, accompagna l'ipotesi di una rinascita attraverso il sacrificio. Ma qui nessuno ha voglia o sa minimamente cosa sia il sacrificio.
c'è una cosa che accomuna Tarkovskij a Ferreri, ed è il fatto che entrambi sono stati dimenticati: rimossi, inascoltati, giudicati o "lenti e noiosi2 (Tarkovskij) oppure ricordati solo per gli eccessi caricaturali e trasgressivi (Ferreri). Per il resto, anch'io preferisco Tarkovskij, ma Ferreri ha molte cose da dirci. Lo fa spesso con dei pugni nello stomaco, ma io di questi "matti" sento una gran mancanza... Elio Petri diceva, rispondendo a una domanda precisa, che aveva fatto cinema perché così poteva parlare a tutti: lo diceva cinquant'anni fa e a quel tempo era vero, ma oggi parlare a tutti è di fatto impossibile.
Per fortuna per Tarkovskij non è del tutto vero. Per esempio, a Milano solo pochi mesi fa c'è stata una grande rassegna con tutti i suoi film ed anche le foto che lo riguardavano e ci sono varie associazioni o club a suo nome. In Russia poi, alcuni dei maggiori registi hanno un debito di riconoscenza con lui e lo ammettono, Certo non ha mai raggiunto le masse e la grande distribuzione, ma non era nei suoi intenti, e in quanto ad essere ascoltato, ovviamente no; ma quale artista che insiste su un bisogno di cambiamento rispetto ai comodi egoismi lo è?
Cara Marisa, non sono sicuro che sia vero...io ho potuto conoscere il grande cinema attraverso la tv, e quasi tutti questi film (Tarkovskij, Fellini, Kurosawa, Ferreri, Kubrick, eccetera) li ho visti al cinema, arrivavano anche nelle piccole città, se ne parlava. Negli ultimi vent'anni tutto questo è stato spazzato via con estrema cura, l'unico mezzo per conoscere i grandi autori - e non solo per il cinema, ma anche per la musica e i libri - è avere una persona fisica vicino che te ne parli, di persona o su internet, e se non hai internet è davvero dura. Penso non solo a Ferreri ma a Chaplin, a Keaton, a John Ford, a Stanlio e Ollio: spariti completamente.
Gran bel film, molto grottesco, piuttosto insolito pensando al fior fiore di protagonisti che sfoggia. Mi piacerebbe riverderlo.
francamente, potendo scegliere, preferisco rivedere Paperino e Tom e Jerry!
:-)
erano in vendita su uno scaffale per 5-7 euro, ho fatto una gran fatica a lasciarli lì...
comunque sia, scherzi a parte, è davvero un film da rivedere ogni tanto, ci si trovano sempre significati nuovi.
A proposito di Disney: ho finalmente comprato su dvd "Fantasia" e "Fantasia 2000"; si potevano prendere assieme al prezzo di 18.90 euro. Anche se, francamente, preferivo l'edizione di "Fantasia" in vhs del 1990.
non ho comperato Paperino per una sola ragione: li so a memoria!
:-)
quello con gli orsi e Paperino che fa il ranger, per esempio...L'altro giorno facevo un conto: tra questi qui e Stanlio e Ollio, quante volte li ho visti? Facendo un conto veloce, due o tre volte all'anno dal 1963 in qua (magari anche prima, ma chi se lo ricorda), fanno, vediamo un po'...
(ma ogni volta è come la prima volta, li rivedrei anche adesso)
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