La dolce vita (1960) Regia: Federico Fellini – Scritto da Federico Fellini, Tullio Pinelli, Ennio Flaiano, Brunello Rondi, da un'idea originale di Federico Fellini - Fotografia: Otello Martelli – Musiche originali di Nino Rota, dirette da Franco Ferrara; la “Toccata e fuga in re minore” di Johann S. Bach; molte canzoni. - Scenografia e costumi: Piero Gherardi - Aiuto scenografia: Giorgio Giovannini, Lucia Mirisola, Vito Anzalone - Montaggio: Leo Catozzo - Segretaria di edizione: Isa Mari - Trucco: Otello Fava - Acconciature: Renata Magnanti - Produttore: Giuseppe Amato - Produttore esecutivo: Franco Magli - Direttore di produzione: Manlio M. Moretti, Nello Meniconi - Ispettore di produzione: Alessandro Von Norman. Durata: 178'.
Interpreti: Marcello Mastroianni (Marcello Rubini), Anouk Aimée (Maddalena, voce di Lilla Brignone), Yvonne Fourneaux (Emma, fidanzata di Marcello - voce di Gabriella Genta), Alain Cuny (Steiner, voce di Romolo Valli), Renée Longarini (signora Steiner), Anita Ekberg (Sylvia), Lex Barker (Robert, compagno di Sylvia), Valeria Ciangottini (Paola, la ragazza del finale), Walter Santesso (Paparazzo), Giulio Paradisi, Enzo Cerusico, Enzo Doria (gli altri fotografi), Giuliana Lo Jodice (cameriera casa Steiner), Annibale Ninchi (padre di Marcello), Adriano Celentano (cantante rock'n' roll), Alan Dijon (Frankie Stout, il barbuto che danza con la Ekberg), Polidor (clown dei palloncini), Magali Noel (Fanny), Lilly Granado (Lucy), Gloria Jones (Gloria), Nico Otzak (ragazza bionda in via Veneto), Adriana Moneta (la prostituta che offre il caffè), Nadia Gray (Nadia, la festeggiata che fa lo strip-tease), Laura Betti (la ragazza bionda che fa irritare Marcello, nel finale).
Altri interpreti in ordine di apparizione: Cesare Miceli Picardi (signore irritato nel dancing), Donatella Esparmer e Maria Pia Serafini (due donne nel dancing), Anna Maria Salerno (una prostituta), Oscar Ghiglia e Gino Marturano (due sfruttatori), Thomas Torres (giornalista ospedale), Carlo Mariotti (infermiere), Leonardo Botta (medico), Harriet White (Edna, segretaria di Sylvia), Carlo Di Maggio (Totò Scalise, produttore), Francesco Luzi (radiocronista), Francesco Consalvo (assistente Scalise), Guglielmo Leoncini (segretario Scalise), Sandy von Norman (interprete conferenza stampa), Tiziano Cortini (operatore cinegiornale), Hanry Thody, Donatella Della Nora, Maité Morand, Donato Castellaneta, John Francis Lane, Concetta Ragusa, Franpois Dieudonné, Mario Mallamo, Nadia Balabine, Umberto Felici, Maurizio Guelfi (giornalisti conferenza stampa), Gondrano Trucchi (cameriere Caracalla's), Gio Staiano (giovane effeminato), Archie Savage (ballerino negro), Paolo Labia (cameriere casa Maddalena), Giacomo Gabrielli (padre di Maddalena), Gianfranco Mingozzi (pretino chiesa Steiner), Alfredo Rizzo (regista TV), Alex Messoyedoff (il prete del miracolo), Rina Franchetti (la madre dei miracolati bugiardi), Aurelio Nardi (lo zio dei miracolati bugiardi), Marianna Leibl (la signora dai capelli bianchi, al miracolo), Giovanna e Massimo (i due bambini miracolati), Iris Tree, Leonida Repaci, Anna Salvatore, Letizia Spadini, Margherita Russo, Winie Vagliani, Desmond O'Grady (invitati casa Steiner), Nello Meniconi (litigante via Veneto), Massimo Busetti (pettegolo via Veneto), Vittorio Manfrino (direttore tabarin padre), principe Vadim Wolkonsky (principe Mascalchi), Giulio Questi (don Giulio Mascalchi), principe don Eugenio Ruspoli di Poggio Suasa (don Eugenio Mascalchi), conte Ivenda Dobrzensky (don Giovanni Mascalchi), Audrey McDonald (Sonia), Juan Antequera (onorevole spagnolo), Rosemary Rennel Rodd (medium inglese), Ferdinando Brofferio, detto Wa-Wa (amante Maddalena), donna Doris Pignatelli, principessa di Monteroduni (signora con il mantello bianco), Ida Galli (la debuttante dell'anno), Mario De Grenet (il ragazzo stanco coi cani), Franco Rossellini (il bel cavallerizzo), Maria Marigliano (Massimilla), Loretta Ramaciotti (l'invasata alla seduta), Cristina dei conti Paolozzi (la ragazza che ride), contessa Elisabetta Cini (la duchessa dormiente), Maria Teresa Wolodimeroff (la signora stanca), conte Carlo Kechler (il signore dell'orologio), conte Brunoro Serego Alighieri (il ragazzo col visone), Nani Colombo (la signora che si specchia), Giulio Girola (commissario alla strage), Giuseppe Addobbati (dottore), Paolo Fadda (vice commissario), Vando Tres (commissario di zona), Franco Giacobini (giornalista che telefona), Federika Andrè (inquilina casa Steiner), Giancarlo Romani (carabiniere), Mino Doro (amante di Nadia), Antonio Jacono e Carlo Musto (travestiti), Tito Buzzo (il bruto muscoloso), Sandra Lee (la ballerina di Spoleto), Jacques Sernas (il divo), Leontine von Strein (l'amante del divo), Leo Coleman (il ballerino negro), Daniela Calvino (Daniela), Christine Denise (la signora che mangia il pollo), Riccardo Garrone (il padrone di casa, Riccardo), Decimo Cristiani (un ragazzo che non parla), Umberto Orsini (il ragazzo che aiuta Nadia a spogliarsi), Sandra Tesi (la ragazza che gli siede accanto), Renato Mambor (un giovanotto alto), Mario Conocchia (il signore col reggiseno in testa), Enrico Glori (un ammiratore di Nadia), Lucia Vasilicò (la ragazzina che si confessa), Franca Pasutt (la ragazza che viene coperta di piume).
“La dolce vita” è un film di cui si è parlato e scritto moltissimo, e di cui ancora oggi si continua a parlare e a scrivere. La mia impressione, però, è che siano in pochi, pochissimi, ad averlo visto veramente, dall’inizio alla fine, e che i più ne parlino avendo in mente solo due brevissime sequenze: il bagno di Anita Ekberg nella Fontana di Trevi e lo spogliarello di Nadia Gray nel finale. Insomma, “La dolce vita” pare essere diventato l’equivalente cinematografico di molti libri celebri, quelli che tutti dicono di avere letto ma che poi, se si va a vedere, hanno letto veramente in pochi: da Marx a Joyce a Proust fino alla Bibbia e all’Odissea, la lista sarebbe lunghissima.
Un film di cui si è scritto e parlato molto, moltissimo, e che ebbe un enorme successo al botteghino: per motivi puramente anagrafici io me lo sono trovato davanti già rivolto al passato, questo mondo a metà anni ’60 era già in dissoluzione, incombeva il ’68, e poi dove sono cresciuto io, in ambiente operaio e nei piccoli paesi della Lombardia, si era sempre stati lontanissimi dal mondo descritto nella “Dolce vita”: innanzitutto, per una questione di soldi. Niente lusso, niente macchinone, niente vestiti eleganti, niente fotografi di piazza, nessun intellettuale, e niente prostitute (se c’erano, erano ben nascoste).
E’ un film che ha ancora molto interesse, moltissimo, e che è di un’enorme complessità: prima ho fatto il nome di Joyce, ed è proprio a Joyce, all’Ulysses in particolare, che mi viene voglia di paragonarlo. Innanzitutto, è un film lunghissimo: due ore e quarantasette minuti, quasi tre ore; ma se ne parlava (e se ne parla ancora) come di un filmetto qualsiasi, Anita Ekberg nella fontana e Mastroianni a sussurrare scemenze nel suo orecchio, tutto qui. La prima volta che mi è capitato di vederlo dall’inizio sono dunque rimasto molto sorpreso, non mi aspettavo una cosa del genere, sia per le dimensioni che per la drammaticità di molte sue scene: l’omicidio di Steiner è qualcosa che mi ha sconvolto, e che mi sconvolge ancora oggi dopo ripetute visioni nel corso degli anni. E a questo punto si può già cominciare a far notare una cosa: che il famoso spogliarello nel finale, ripreso da un fatto di cronaca recente, arriva subito dopo la morte di Steiner, con la polizia a fare i rilievi e l’immagine dello stesso Steiner riverso su una sedia. A questo punto, il film non sarebbe stato più sopportabile se Fellini e i suoi collaboratori non avessero inserito qualcosa di più leggero: lo spogliarello, per l’appunto, con Mastroianni ubriaco per non dover troppo pensare a quello che ha appena visto.
La struttura del film è comunque quella classica, a episodi: come l’Ulysses di Joyce, del resto. Quasi una “via Crucis”, con tante stazioni a cui fermarsi, ma senza la redenzione finale.
L’inizio del film è con il rumore, il rumore delle pale dell’elicottero che impedisce a Mastroianni di comunicare con le belle signore in bikini sul tetto; una scena che si collega a quella finale, dove è ancora il rumore (questa volta delle onde del mare) a impedire a Marcello di comunicare con la ragazza dal volto angelico che vorrebbe invitarlo a ballare. E’ anche l’immagine finale di tutto il cinema di Fellini: Roberto Benigni, “La voce della luna”, “...eppure io credo che se ci fosse un po’ più di silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa potremmo capire...”
E’ un inizio famosissimo, quasi un prologo: un’ enorme immagine di Cristo crocifisso, trasportato da un elicottero. Non ha un rapporto diretto con le altre immagini del film, ma è come se contenesse tutto il film. Uno dei tanti miracoli dei film di Fellini, un’immagine che non si dimentica, il Cristo in volo sul cielo di Roma.
(continua)
8 commenti:
Il rumore... sì, è una caratteristica di molti dei film di Fellini, ed è bello pensare che l'ultima frase proferita nell'ultimo film del nostro sia proprio quella battuta di Benigni. Il film felliniano più rumoroso è, secondo me, "Roma" ma il più insopportabile è il maestro di cerimonie del carnevale di Venezia che apre "Il Casanova". La sua voce non la sopporto proprio!
sul rumore e sui rumori, non posso che rimandarti a quello che ho scritto per il Balthazar di Bresson.
(la seconda puntata devo ancora scriverla, scegliere le immagini...non so ci riesco entro domani)
Non ho mai visto interamente "La dolce vita". Aspettando di procurarmi il DVD, "vedo" il film qui da te.
L'immagine del Cristo che vola mi ha richiamato alla memoria la statua di Lenin sospesa su Karl Marx Allee in "Goodbye Lenin". Non pensavo ci fosse un precedente...
in effetti, per come viene sempre presentato, non è che venga una gran voglia di vedere "La dolce vita". A dirla tutta, per come viene presentato e citato sembrerebbe una cretinata: e c'è anche una parte della critica (penso a Marco Giusti, amico di Ghezzi, e a molti altri) che mettono tutto insieme, Fellini e Lucio Fulci, Tarantino e Antonioni, Lando Buzzanca e Volonté, Edwige Fenech e Monica Vitti - che tristezza.
Fellini ha segnato la mia infanzia. Dopo aver visto "La strada", mi capitava, da bambina, di pensare spesso a Giulietta e a Zampanò. Con loro ho scoperto cose nuove e il senso di struggimento, di tenerezza. E' stata una specie di iniziazione. Non ho mai visto la "dolce vita" semplicemente perchè ad un certo punto ho smesso di vedere film, ... qualche differenza riesco a farla anch'io...:-)
anche per me, "La strada": visto da bambino, non l'ho più dimenticato. Fellini e Picasso sono però ormai diventati due luoghi comuni, e io dico "luoghi comuni dell'ignoranza": se uno non sa disegnare gli dicono "sei come Picasso", ignorando che Picasso dipingeva ritratti meravigliosi e che il periodo cubista è stato brevissimo. L'ho spiegato più volte, nel corso del tempo, ma poi l'ignoranza e il luogo comune si riformano sempre. A un certo punto, l'anno scorso, ho smesso di spiegare e ho buttato via o regalato tutti i miei appunti e i miei libri. Per Fellini, il luogo comune è che non si capisce niente...(se non ci capisci niente studia, informati, prova a prestare attenzione per più di due minuti a quello che vedi e che ascolti, prima o poi va a finire che lo dico per davvero a qualcuno)
Capisco la tua insofferenza ma fino ad un certo punto. Forse ho una punta di individualismo in più di te o sono portata a guardare la questione dal punto di vista dello spettatore, del fruitore. Certe cose sono così belle, che tutto il resto per me non conta. L'importante è che ci sia qualcuno che le abbia create ( è già un miracolo ) e qualcuno che le sappia apprezzare. Se non sono tanti, non ha importanza. L'atto creativo è per me già ragion sufficiente. Capisco, comunque che chi crea ha bisogno di sentirsi intorno qualcuno e di vedersi apprezzato. Nel mio piccolo, a me succede, in classe, di divenire molto inquieta quando mi accorgo che i ragazzi non mi ascoltano o fanno finta di farlo...
sì, certo, il tuo discorso è pienamente condivisibile. In più, ed è questa la cosa grave, bisogna aggiungere quella che è una vera e propria censura: questi film non vengono più programmati se non a ore impossibili, spezzettati, ormai non si riesce più a vederli a meno che non ci sia qualcuno in famiglia che li conosca e li apprezzi.
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