Negli anni ’80 arrivano anche in Italia le tv commerciali, che fanno una cosa mai vista prima qui da noi: spezzettano i film ogni dieci-quindici minuti per mandare in onda la pubblicità. Oggi si è persa la memoria di come andavano veramente le cose, ma funzionava così: il film veniva interrotto a intervalli di dieci-quindici minuti, e non importa cosa stava succedendo in quel momento dentro il film. Se c’era un dialogo, si spezzava una parola a metà, il dialogo rimaneva sospeso; se c’era una scena d’azione o d’amore si spezzava anche quella. In mezzo, a metà fra un bacio e una dichiarazione d’amore, o fra una sparo e uno che cade colpito, cinque minuti di pubblicità sparata a tutto volume. Per chi non ci crede, ho ancora delle videocassette registrate e conservate: fu necessaria una legge del Parlamento per far smettere questo scempio, e moderare le interruzioni pubblicitarie in maniera un po’ più intelligente.
La cosa toccò anche Fellini, così come molti altri registi importanti: ricordo Ettore Scola, Francesco Rosi, e molti altri. Non si poteva fare niente, perché i diritti d’autore appartenevano alle case di produzione, che spesso non c’erano nemmeno più o avevano ceduto il loro catalogo intero a terzi. Fellini era disperato, non si capacitava di questo spezzettamento dei suoi film e lo disse in più di un’occasione. Non so se questi suoi interventi siano stati raccolti in qualche volume, mi ricordo però una sua frase che diceva così: “Ci ho messo dei mesi, per girare questa scena in questo modo, con questi tempi e con questa lunghezza, e adesso mi tocca di vederla ridotta in pezzettini e e inframmezzata da pomodori e pannolini...”
Giulio Andreotti su L’Europeo 11.8.1990, dalla pagina di commenti che teneva ogni settimana su quel giornale, spiegò a Fellini che non doveva lamentarsi: il titolo è «Caro Fellini, lo spot è tuo alleato» e Andreotti scrive queste frasi: “...ad assicurare sulla carta il pluralismo non si fatica, ma ad attuarlo non bastano le cornici giuridiche e le enunciazioni di principio, tanto è vero che mentre la Fininvest di Berlusconi ha progressivamente espanso i suoi circuiti, altri, dopo inutili sforzi, hanno fallito.” Il che non è del tutto vero, ma è anzi una favola che circola da tempo: la Finivest vinse la sua battaglia sulla concorrenza letteralmente regalando gli spazi pubblicitari, per anni. Così facendo mise in serie difficoltà la Mondadori (cioè Rete4) e la Rusconi (Italia1), nonché tutte le altre tv che avevano qualche ambizione. Per regalare gli spazi pubblicitari e intanto continuare l’attività servono molti soldi, moltissimi: e qui sta il cuore del problema, ma io mi fermo qui perché andrei fuori tema, e rimando chi fosse interessato all’argomento alle numerosissime inchieste, giudiziarie e giornalistiche, che hanno trattato l’argomento. (Nel frattempo, se non sbaglio, è anche arrivata qualche sentenza giudiziaria in proposito).
Nel 1990 fu varata dal Parlamento la legge Mammì, che regolamentava le tv commerciali dopo dieci anni di libertà totale anche per Publitalia; ma la legge Mammì non fece che fotografare l’esistente, Fininvest e Publitalia avevano fatto il vuoto approfittando dell’assenza di regole, e non restava che prenderne atto. Non contenti, i vincitori rimproverarono a Fellini gli spot che aveva girato (per Barilla, Banco di Roma, e qualcosa d’altro), ma chi li ha visti sa che sono piccoli film, esercizi di stile che durano pochi minuti. E, inoltre, Fellini era stato ben pagato e così poteva finanziare i suoi progetti futuri. Fellini non contestava il diritto di fare pubblicità, ma chiedeva soltanto delle regole e – soprattutto - il rispetto per il suo lavoro.
«Secondo alcuni colleghi, colpendo la tv commerciale si uccide il cinema italiano. Ma che diritto ha di esistere un cinema che per vivere invoca la protezione di chi lo massacra? E’ un ricatto, anzi un reato bell’e buono: e chi vi soggiace cambi mestiere.»
Federico Fellini, al Corriere della sera 21.7.1990
«Oggi siamo così condizionati a diventare fruitori, destinatari, utenti, consumatori, che anche la parola più disinteressata, l’immagine più innocente, ci arrivano come messaggi di qualche altra cosa.» «Mi è assolutamente estranea la capacità di organizzare le mie preferenze, i miei gusti, i miei desideri, in termini di genere e di categorie...»
Federico Fellini, intervista Corriere della sera dicembre 1978
- Diffido molto della libertà totale. In completa libertà, il vero artista è perduto. Ha bisogno di essere contro, per attingere in se stesso la propria energia
(Federico Fellini, dal settimanale Epoca del 1990, citato da Tullio Kezich in un articolo su John Ford)
Tati e il Don Chisciotte con Fellini:
...personalmente, non potrei prendere una cinepresa e girare ciò che non ho voglia di girare. Allora, preferirei riprendere i miei numeri che facevo nel varietà: questo non mi dà fastidio. Ma quando si è scelto il mestiere del cinema, che è appassionante e occorre riconoscerlo, bisogna farlo come lo faccio io, oppure rinunciarvi. A meno che Fellini, per esempio, non abbia bisogno di me per una bellissima storia: si è parlato, una volta, di un Don Chisciotte (...) in questo caso sì, sento che lo farei.
Jacques Tati, intervista riportata a pag.11 del “Castoro Cinema” a cura di Roberto Nepoti
(le immagini sono tratte dagli spot che Fellini ha girato per la Banca di Roma, con Paolo Villaggio e Anna Falchi; provengono dal supplemento "Sette" del Corriere della Sera, fine anni '80)
(continua)
2 commenti:
Eppure nella fantomatica "opera omnia" felliniana che in un futuro non troppo lontano, spero, si arrivierà a pubblicare dovrebbero includere anche gli spot che Fellini ha girato negli anni Ottanta. Uno che aveva a che fare con la pasta (la Barilla, se non ricordo male) era davvero geniale, e dall'atmosfera tipicamente felliniana.
gli spot per la Barilla me li ricordo bene, ma non li ho potuti rivedere; questi per la Banca li avevo invece su alcune vhs, per puro caso. C'è anche Fernando Rey, lo psicoanalista che ascolta Villaggio in cerca di sicurezza. Mi pare di ricordare che ce ne fosse anche una terza serie.
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