Höstsonaten (t.l. Sonata d’autunno, 1977). Regia, soggetto e sceneggiatura di Ingmar Bergman. Fotografia: Sven Nykvist. Musiche di Chopin, J.S. Bach, Haendel. Con Ingrid Bergman, Liv Ullmann, Lena Nyman, Halvar Björk, Marianne Aminoff, Erland Josephson, Gunnar Björnstrand, Linn Ullmann Durata: 93minuti
E’ l’unico film fatto insieme dai due grandi del cinema svedese. Ingrid Bergman, nata nel 1915, era solo di tre anni più anziana del suo omonimo Ingmar, ma era già una diva famosa quando il regista non aveva ancora cominciato a farsi conoscere. Diva hollywoodiana, star pagatissima e famosissima, all’attivo film come “Casablanca”, “Per chi suona la campana”, “Notorious”, e il sodalizio con Roberto Rossellini, nato come rapporto professionale con “Stromboli” e sfociato nel matrimonio. Tutto questo ben prima del 1956, anno in cui Ingmar Bergman stupisce il mondo con “Il settimo sigillo”.
Difficile trovare due artisti più diversi tra di loro: non stupisce quindi che non si siano mai incontrati prima del 1977, anno di produzione di “Sonata d’autunno”. Un film da camera, tutto basato sulla recitazione, che purtroppo non è tra le migliori pellicole del regista svedese. Il soggetto – che Ingmar Bergman nel suo libro “Immagini” precisa essere nato come del tutto autonomo, solo in seguito costruito su Ingrid Bergman - tratta di una madre famosa, una concertista, che torna a trovare le figlie, che non vede da molti anni.
Un soggetto molto bergmaniano (sarebbe meglio specificare: molto ingmarbergmaniano, se mi si passa il termine), il conflitto tra una madre e una figlia, la malattia, la morte. Delle due figlie della protagonista, infatti, una (interpretata da Lena Nyman) è gravemente handicappata: al suo ritorno, la pianista scopre che non è ricoverata come credeva ma che è assistita dall’altra figlia Eva (Liv Ullmann). Eva ha perso un figlio di recente, non riesce a farsene una ragione, crede di avere ancora un contatto con il bambino. E’ sposata con Viktor, pastore protestante, e fa una vita tranquilla in un piccolo paese. Il ritorno della madre, presenza ingombrante anche per il suo talento, fa tornare a galla le antiche incomprensioni, che culminano in una delle tante scene drammatiche in famiglia del Bergman di quel periodo, come si era già visto (non tra madre e figlia ma fra sorelle) in “Sussurri e grida”, tre anni prima.
Nel corso del film si ascoltano questi brani: di Chopin, preludio n.2a in la diesis maggiore, suonato da Käbi Laretei (una pianista svedese che fu molto vicina a Ingmar Bergman); di Johann Sebastian Bach, suite n.4 in mi bemolle maggiore, suonata da Claude Genetay; di Georg Friedrich Händel sonata in fa maggiore (Frans Brüggen flauto, Gustav Leonhardt cembalo, Anner Bylsma violoncello).
Un film dalla lavorazione problematica, nato in un periodo complicato della vita di Ingmar Bergman, quando il regista svedese fu accusato di aver frodato il fisco (finì tutto bene, ma lui visse questo fatto in maniera devastante). Il risultato può essere sintetizzato in una battuta tremenda, una di quelle cose che non si sa mai bene se siano vere ma corrono sempre sulla bocca di tutti. E’ attribuita ad Alfred Hitchcock, che fu invitato a una visione privata organizzata da Ingrid Bergman:
- Bello, ma continuate voi che io vado al cinema.
Nel suo libro, intitolato “Immagini” (Garzanti, 1992), Ingmar Bergman parla di tutti i suoi film, uno per uno. Ne riporto qui alcuni passi, che riguardano la lavorazione di questo film e il suo rapporto con la famosa attrice.
«L'abbozzo di “Sonata d'autunno” fu scritto il 26 marzo 1976. Alla sua storia appartiene l'affare delle tasse in cui incappai all'inizio di gennaio: finii ricoverato alla clinica psichiatrica del Karolinska Sjukhuset, poi alla Sophia-hemmet e alla fine a Farö. Dopo tre mesi la causa giudiziaria fu sospesa. Quello che all'inizio era un reato punibile penalmente si tramutò in un banale processo per evasione fiscale. La mia prima reazione fu euforica. Ecco quanto scrissi nell'agenda di lavoro: “La notte dopo l'assoluzione, non riuscendo a dormire nonostante il sonnifero, mi viene l'idea di fare un film su una madre e una figlia, che devono essere impersonate da Ingrid Bergman e Liv Ullmann, e soltanto da loro. Forse, c'è posto anche per un terzo personaggio. (...)” Invece di due, i personaggi diventarono quattro. Che Helena generi la madre, fu un pensiero arduo, che, purtroppo, dovetti abbandonare. I personaggi percorrono strade proprie. Prima cercavo di dominarli e costringerli, ma con gli anni diventai più saggio e imparai a lasciare che si comportassero come volevano. Il risultato fu che l'odio si cementò: la figlia non potrà mai perdonare la madre. La madre non potrà mai perdonare la figlia. Si ha il perdono solo nella ragazza malata.
(...) L’idea di lavorare con Ingrid Bergman era vecchia, ma non si trova all'inizio di questa storia. L'ultima volta l’avevo incontrata al Festival di Cannes in occasione della proiezione di “Sussurri e grida”. In quell'occasione mi ficcò in tasca una lettera, in cui mi ricordava la mia promessa di fare un film insieme. Una volta avevamo fatto dei progetti per il romanzo “Il Capo Signora Ingeborg” di Hjalmar Bergman. Ma il fatto misterioso rimane questo: perché proprio questa storia e perché così conclusa? È più finita nell'abbozzo che non nella stesura definitiva. (...)
Persino le riprese furono faticose. Con Ingrid Bergman non ci furono quelle che si chiamano difficoltà di collaborazione. Si trattava, piuttosto, di una sorta di confusione di linguaggi, nel senso più profondo. Già il primo giorno, quando ci trovammo insieme nello studio a leggere il testo per le prove, scoprii che si era esercitata nella sua parte, tonalità e gesti compresi, davanti allo specchio. Evidentemente aveva un altro approccio all'esercizio del suo mestiere rispetto a noi. Era rimasta agli anni Quaranta. Credo che ci fosse in lei qualcosa di geniale, una sorta di sistema computerizzato organizzato in modo singolare. Benché i suoi meccanismi di ricezione della regia non fossero collocati nei posti dove di solito devono trovarsi, doveva in qualche modo aver percepito gli impulsi di questo o quel regista. In effetti, in diversi film americani è straordinariamente brava. (...) Fin dalle prove scoprii che la comprensione e l'ascolto erano difettosi. A questo punto, per lavorare si resero necessari metodi che solitamente rifiuto, soprattutto l'aggressione. Una volta mi disse: « Se non mi dici come devo fare questa scena, ti do uno schiaffo ». Questo mi piacque abbastanza. Ma dal punto di vista strettamente professionale era difficile lavorare con queste due attrici.
Quando oggi rivedo il film, mi accorgo di aver piantato in asso Liv là dove avrei dovuto sostenerla. Lei appartiene a quel genere di attrici generose che offrono interamente se stesse. Talvolta, nel film, si trova in alto mare e vedo che naviga da sola. Ciò dipende dal fatto che io sono stato troppo attento a Ingrid che, oltretutto, aveva difficoltà a ricordare quel che doveva dire. Al mattino era spesso pungente, arrabbiata e triste, e questo era comprensibile: era angosciata per la sua malattia, e, per di più, era convinta che il nostro modo di lavorare fosse insolito e incerto. Ma non ha mai fatto alcun tentativo di squagliarsela. Il suo comportamento fu sempre eccezionale, anche professionalmente. Pur con tutte le sue contraddizioni, Ingrid Bergman fu una persona straordinaria: generosa, di grande stile e altamente dotata.
Un critico francese scrisse con acutezza che « Bergman con “Sonata d'autunno” ha fatto un film alla Bergman ». E’ ben formulato, ma seccante. E penso che corrisponda al vero, per me.
Se però fossi riuscito a seguire la mia intenzione di fondo, non sarebbe stato così.
(...) E’ quindi tempo di guardarsi allo specchio e domandarsi: che cosa è successo veramente? Bergman ha dunque cominciato a fare film alla Bergman? Penso che “Sonata d'autunno” ne sia, purtroppo, un triste esempio. (...) Nella frase in cui scrissi che la figlia genera la madre si cela qualcosa di misterioso. C'è un sentimento che non sono riuscito a portare a termine. Superficialmente il film appare concluso come l'abbozzo, ma non è affatto così. Trivello, sì, ma i casi sono due: o la trivella si spezza o sono io che non oso scendere sufficientemente in profondità. O non ce la faccio, o non mi rendo conto che dovrei trivellare più in profondità. Allora tiro su la trivella e rinuncio a fare il passo in più che dà le vertigini. Tiro su la trivella e mi dichiaro contento. E questo il sintomo certo della sazietà creativa, tanto più pericoloso in quanto non fa male. »
(Ingmar Bergman su “Sonata d’autunno”, da “Immagini”, editore Garzanti, 1992)
PS: Questo film in Italia fu intitolato “Sinfonia d’autunno”, e sui dvd porta ancora questo titolo. Il titolo originale è chiaro, chiarissimo perfino in svedese: Höst Sonaten. Chiunque si interessi anche solo un po’ di musica sa che una Sonata (almeno da Haydn in poi) è sempre qualcosa di raccolto, di intimo, di cameristico, di regola per un solo strumento o per due: Sonata per pianoforte, Sonata per violino e pianoforte... Una Sinfonia, invece, sempre da Haydn in poi (prima erano termini abbastanza generici) richiede un numero consistente di strumentisti, che può andare da una decina (Sinfonia da camera) a un centinaio di persone, quando vi sia anche il Coro (come in Mahler). Qui ci sono due protagoniste, entrambe suonano il pianoforte, Ingmar Bergman era molto competente ed esigente in fatto di musica: questa è una Sonata, non ci sono dubbi. Il fatto che questo film in Italia sia diventato una Sinfonia è così stupido e imbarazzante da lasciare senza parole. Anche se non è un bel film, non ho avuto cuore di mettere in cima un titolo così sbagliato; e penso che, almeno al momento della riedizione in dvd, qualcosa si sarebbe potuto fare – ma così non è stato. Che brutta figura.
2 commenti:
E' vero, questa è una sonata, non una sinfonia e fai bene a sottolinearlo!
L'ho visto tanto tempo fa, ma lo ricordo perfettamente perchè allora non era scontato assistere a problematiche madre-figlia tanto conflittuali e trattate con rara perizia psicologica. La Liv Ullmann imbruttita e con quegli occhialini da vecchia professoressa mi è rimasta impressa come poche altre figure e l'invidia della figlia non dotata per la madre superficiale ma di talento, bella e famosa mi aveva colpita. Chi è in fondo la "cattiva madre", la vecchia o la giovane, tutte e due o nessuna e sono in fondo ambedue fragili creature intrappolate in un destino più grande di loro?
E' un film che non rivedo volentieri...non stavo scherzando, sono proprio dello stesso parere di Hitchcock! E mi ha fatto piacere leggere, a suo tempo, che anche Bergman era un po' perplesso.
Peccato, perché il soggetto era molto centrato.
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