lunedì 2 novembre 2009

Buffalo Bill e gli indiani


Buffalo Bill and the Indians, or Sitting Bull History Lesson, di Robert Altman (Buffalo Bill e gli indiani, 1976) . Sceneggiatura di Robert Altman e Alan Rudolph. Da una commedia di Arthur Kopit. Fotografia: Paul Lohmann. Musica: Richard Baskin. Con Paul Newman, Joel Grey, Kevin McCarthy, Harvey Keitel, Geraldine Chaplin, Denver Pyle, Frank Kaquitts (123 minuti)

- Non sei cambiato.
- Io non posso cambiare. La gente paga per vedermi così.
(dialogo tra Buffalo Bill e il giornalista che ne ha diffuso il mito, finale del film)
Mi ha molto divertito leggere il voto (“rating imdb”) riservato a “Quintet” di Altman: 4,5, forse il più basso in assoluto; e "Buffalo Bill" non è da meno. IMDB (Internet Movie Database), è un’enorme banca dati continuamente aggiornata, il punto di riferimento assoluto per tutti gli appassionati di cinema; questo voto viene dato dagli utenti del sito ed è un indice di come viene accolto il film, di come viene recepito dal pubblico, se viene capito oppure no, eccetera. A me non interessa molto, ad altri sì; ma è comunque interessante se si vuole sapere come è stato accolto un film dal pubblico, quante persone lo conoscono, eccetera.
Ma Robert Altman si sarebbe fatto una gran risata, su questo voto. Altman appartiene a quella genia di artisti che sembrano farlo apposta, andare contro il pubblico invece di blandirlo e di seguirne i voleri. Voi vi aspettate una cosa? E io ve ne dò un’altra, perché così a me pare giusto.
A me piace questo atteggiamento, sempre che dietro vi sia del talento, beninteso: è un po’ come andare in uno di quei ristoranti dove il cuoco è in canottiera, il tavolo è sconnesso e i bicchieri sono sbrecciati, e ti servono con malagrazia. Ma poi tutto è pulito, il cibo è ottimo, si paga poco e non c’è neanche baccano come negli altri posti...
Nel cinema, due casi clamorosi di questo atteggiamento sono Altman e Tarkovskij – il russo soprattutto in Solaris e Stalker. Due tra i più grandi del Novecento: Altman viene dal grande successo comico di MASH, e poi di Nashville, monumento alla musica più popolare in America. Ci si aspetta, a questo punto, che segua il “trend”: così farebbe chiunque, soprattutto oggi. Invece no, Altman fa un ghigno strano, si mette il cappello di traverso, ci volta le spalle e ci serve queste cose qui, “Streamers”, “Quintet”, “Jimmy Dean”, e appunto “Buffalo Bill e gli indiani”, che credo sia il punto estremo del ruvido, dell’andare contro a quello che il pubblico si aspetterebbe da te.
Verrebbe da dire: questo film è l’esatto opposto di quello che vi attendereste da un film su Buffalo Bill. E invece no, non è nemmeno così: questa non è la demolizione del mito di Buffalo Bill, non è nemmeno una sua rivisitazione in grottesco, non è nemmeno un documentario. E’ un’altra cosa ancora. E’ Altman, e davanti ad Altman bisogna sempre portare rispetto, fidarsi, e assaggiare tutto quello che vi mette davanti.
Il titolo intero è “Buffalo Bill e gli indiani, ovvero la lezione di storia di Toro Seduto”. E’ un bel film, ma è anche molto irritante. E’ un film che va molto al di là del soggetto che rappresenta: come Fellini, Altman è sempre più profondo dei suoi film. Quella che vediamo è solo la superficie di un lago molto grande, e molto profondo.


« (...) Gli indiani legano la propria vita ai sogni. Un indiano che ha fatto un sogno, anche il più incredibile, aspetterà fino alla morte che diventi realtà. I bianchi invece sono diversi: loro sognano solo quando le cose vanno per il verso giusto. Io ho l’impressione che ciò che Toro Seduto segue, esibendosi in questo circo, sia molto più reale del circo stesso, che non è altro che sogno.» (il Narratore, da “Buffalo Bill” di Altman)
(E’ la sequenza della foto di gruppo, quando finalmente Toro Seduto pare avere accettato le proposte del Circo di Buffalo Bill: ma d’improvviso arriva un telegramma del presidente Grover Cleveland, che accetta di incontrare il capo Sioux; e Toro Seduto aveva detto di aver accettato di esibirsi nel circo solo perché aveva sognato che in questo modo avrebbe incontrato il presidente USA.)
« Parlo di questa storia dei sogni perché... Beh, qui le cose stanno assumendo una dimensione irreale. Prova a metterti nei panni di Toro Seduto: te ne stai nella tua tenda e fai un sogno; poi parti per il luogo dove il sogno potrebbe diventare realtà, e aspetti che la realtà segua il corso del sogno.» (Il Narratore, come sopra)
Però poi il presidente Cleveland (“l’uomo più grosso che io abbia mai visto”), rifiuta di ascoltare la richiesta di Toro Seduto. Non vuole neanche sapere cos’è, questa richiesta: dice di no a prescindere, e per questo viene acclamato come “vero capo” da Buffalo Bill.

Lo slogan del circo, dopo l’ingaggio di Toro Seduto, è: “Nemici nel ’76, amici nell’85”.
“Farò danzare la cavalla grigia”, dice Toro Seduto (per bocca di Hornsey) quando finalmente accetta di esibirsi. E lo fa perché in questo modo può esibirsi senza offendere il suo popolo. E, quando giunge la notizia della sua morte – viene ucciso a fucilate, ma lontano – si dice che “la cavalla grigia ha danzato da sola, dopo la sua morte”. Toro Seduto porta una croce di legno al collo, ed è quella croce che ritroviamo sulla sua tomba.
Dopo la morte del Capo, sarà Hornsey a prendere il suo posto nel circo: alto, fiero, imponente, è un Toro Seduto molto più credibile di quello vero.
Paul Newman è Buffalo Bill, il narratore è Burt Lancaster. Geraldine Chaplin è l’infallibile tiratrice Annie Oakley (quella di “Annie prendi il fucile”, di quella vera esiste anche un breve filmato dei tempi di Edison). Toro Seduto, che non parla mai, è interpretato da Frank Kaquitts, piccolo e tarchiato; per lui parla (e parla tanto) Hornsey, un indiano alto e possente che avrebbe le physique du role, e che tutti scambiano per Toro Seduto (l’attore Denver Pyle).
Ci sono anche Harvey Keitel, giovanissimo, che fa il nipote dell’impresario Nate (Joel Grey, che è irriconoscibile rispetto a “Cabaret”), e Kevin McCarthy, famoso quasi solo per “L’invasione degli ultracorpi” (è il compagno della temibile Annie), e un vero soprano di chiara fama, Evelyn Lear, nella parte della signora Cavallini che “dice di no” a Buffalo Bill.

« Quando Bill è vestito così, e cavalca quel suo fiero stallone bianco, ogni dubbio sulla sua leggenda si dissolve. La stupenda immagine fisica di Bill nasconde ogni difetto della sua mente. Ma anche il più inesperto dei cacciatori ti dirà che se non si sa cosa si va a cercare, è meglio starsene a casa.» (il Narratore, c.s.)

Alla fine del film, Bill Cody sogna: lui, che non sogna mai. E vede Toro Seduto, ormai morto da tempo, nella sua stanza: come al solito, silenzioso e immobile. E’ un monologo teatrale, come in Shakespeare, durante il quale le tende si muovono, il lampadario vibra, Bill beve whisky dalla Coppa e osserva il suo ritratto a cavallo: « Guardatelo! Non cavalca con grande regalità? (...) E allora, come mai lo avete preso tutti per un Re?»

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